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Potrebbe Piovere
Potrebbe Piovere
Potrebbe Piovere
E-book234 pagine3 ore

Potrebbe Piovere

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Info su questo ebook

"Potrebbe Piovere" racconta le vicende di quattro adolescenti dalle vite disastrate.
Consumati dalle droghe e dall'alcool, non riescono a vedere nessun altro scopo se non quello della quotidiana 'autodistruzione di se stessi. Dopo che un tragico evento avrà sconvolto e, di conseguenza, irrimediabilmente cambiato l'armonia del gruppo, ognuno di loro inizierà a mettere in dubbio l'opportunità di condurre una vita sregolata e sempre al di sopra delle righe.
In più, Alessandro, membro del gruppo, nonché vero motore immobile delle vicende raccontate, verrà a conoscenza delle gesta di un pistolero di frontiera di nome Alex Ethios, condannato a morte più di cent'anni prima che lui nascesse.
Riuscirà Alex, uomo che fu al tempo duro e avvezzo alle crudeltà della vita, a salvare l'anima di un ragazzo giunto alla deriva della sua esistenza?
LinguaItaliano
Data di uscita3 nov 2016
ISBN9788822861931
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    Anteprima del libro

    Potrebbe Piovere - Alessio Bolognani

    Alessio Bolognani

    Potrebbe Piovere

    UUID: 6374ce7e-a214-11e6-9690-0f7870795abd

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write (http://write.streetlib.com)

    un prodotto di Simplicissimus Book Farm

    Indice

    Prologo

    PRIMA PARTE

    I

    II

    III

    IV

    V

    VI

    VII

    VIII

    IX

    X

    XI

    XII

    XIII

    XIV

    SECONDA PARTE

    XV

    XVI

    XVII

    XVIII

    XIX

    XX

    XXI

    XXII

    XXIII

    XXIV

    XXV

    XXVI

    XXVII

    XXVIII

    XXIX

    XXX

    XXXI

    XXXII

    TERZA E ULTIMA PARTE

    Epilogo

    Prologo

    (Durante la lettura del capitolo si raccomanda l’ascolto della canzone Make it rain di Ed Sheeran)

    Al funerale della madre di Carlos non pioveva, il che è piuttosto singolare se pensiamo che la prerogativa, per ogni funerale che si rispetti, è senza dubbio la pioggia. Al contrario, il sole accecante di metà maggio feriva le pupille del giovane, asciugando all’istante ogni singola lacrima che gli sgorgava dagli occhi, rigandogli le guance rosse.

    Quando il prete finì la cerimonia, suo padre lo avvicinò e prima che Carlos potesse dire anche solo una parola, lo strinse forte a sé. Il giovane, dopo alcuni minuti, si liberò della stretta e lo fissò con sguardo triste, come se cercasse ben più del conforto di un semplice abbraccio. Avrebbe desiderato sopra ogni cosa trovare un modo per riuscire ad affrontare una simile tragedia, magari non con il sorriso sulle labbra, perché ciò sarebbe stato impossibile, ma con la fierezza e la dignità con le quali stava affrontando il tutto suo padre. Quest’ultimo era sempre stato per lui ben più che un genitore, poiché aveva rappresentato, durante tutti i vent’anni della sua vita, un esempio di rettitudine morale da seguire e imitare pedissequamente. Perfino in una simile circostanza non si era affatto smentito, dimostrando a lui, come a tutti i presenti, un contegno invidiabile, nonché fuori dalla norma.

    Poco dopo, a loro si avvicinò Eveline, la figlia inglese avuta dalla madre di Carlos nel corso del suo matrimonio precedente, la quale si strinse ai due, scoppiando anch’essa in lacrime. Il padre si premurò di consolarla come meglio non avrebbe potuto fare e, dopo averle dato un tenero bacio sulla fronte, le disse di tornare a casa che lui l’avrebbe raggiunta più tardi. Così, posò una mano sulla spalla di Carlos ed entrambi si allontanarono dalla folla, alla ricerca di un posto tranquillo, nel quale poter scambiare due chiacchiere.

    Una panchina isolata, sovrastata da un rigoglioso salice piangente, si dimostrò perfettamente adatta allo scopo di ripararli dal sole. Il padre fece segno a Carlos di sedersi e parlò per primo: – So che tutto questo al momento ti sembra insopportabile. So anche che nella tua testa si stanno affollando mille pensieri e mille domande alle quali vorresti subito poter trovare una risposta unica e soddisfacente, che magari ti consenta perfino di dormire sereno durante queste notti. – Si interruppe brevemente per osservare il figlio, il quale fissava la ghiaia davanti a sé con sguardo perso, per poi riprendere a parlare: – Se hai intenzione di trovare una spiegazione a quello che è successo, o se vorresti avere qualcuno vicino in questo momento, che ti spieghi cosa fare e come farlo, sei totalmente fuori strada. La verità è che le cose capitano. Punto. Niente di più e niente di meno. Potrà sembrarti ovvio, ma non è così, perché il primo passo nella risoluzione di un problema è vedere la realtà per come essa è, e non per come vorremmo che fosse. Solo così, quando passerà il giusto tempo per soffrire, troverai il modo per riuscire a conviverci. Non cercare di metterti di traverso a ciò che sfugge al tuo controllo, non incolpare chicchessia per quello che ti succede, né tantomeno te stesso. Le cose capitano, e capiteranno sempre. Trova il modo per convivere con esse il più serenamente possibile, perché solo così sarai in grado di imparare dal nostro più grande maestro di vita: il Dolore. –

    Non appena ebbe finito di parlare, il padre sfilò una sigaretta dal pacchetto riposto nella tasca della giacca, e l’accese. Carlos aveva ancora la testa bassa e fissava per terra, come se stesse cercando di metabolizzare appieno il discorso che aveva appena ascoltato.

    – Sigaretta? –, disse il padre allungando il pacchetto al figlio, e questi non si fece pregare.

    Passarono alcuni minuti prima che il padre riprendesse a parlare, ma quando ciò accadde, disse: – Ho una cosa da darti –, ed estrasse dalla tasca un piccolo quaderno di appunti, piuttosto malconcio e sgualcito. Lo appoggiò sulla panchina, a ridosso di Carlos, per poi aggiungere: – Ora sono uno scrittore affermato, ma non è sempre stato così. Tu della mia vita sai poco e niente perché ci sono alcune cose delle quali non parlo molto volentieri. Ecco, buona parte di quelle cose sono racchiuse in questo piccolo quaderno che non ho mai trovato il coraggio di pubblicare, forse perché ero troppo spaventato di dare alle stampe un mio scritto così personale. Sai, nell’esatto momento in cui ti esponi così tanto, permetti alla gente di criticarti ed io, al tempo, non ero ancora pronto. Ormai ho sessant’anni e paradossalmente ho ancora paura del giudizio altrui, ma non del tuo. Perciò, sappi fin da subito che tra queste pagine ho raccontato sia quello che mi è capitato quando ero ragazzo, che parte della storia avuta con tua madre, a partire dai primi anni, fino a quando sei nato tu, ed è giusto che tu abbia la possibilità di leggerle entrambe. Il quaderno è praticamente completo, eccezion fatta per il prologo e per l’epilogo, i quali mancano del tutto. Chissà, magari un domani, se sceglierai mai di pubblicarlo, potrai scriverli e aggiungerli tu stesso. – In quel punto del discorso, Carlos prese tra le mani il piccolo quaderno e iniziò a sfogliarlo delicatamente, quasi avesse paura di romperlo. Tra quelle pagine c’era la storia mai raccontata dei suoi genitori e fremeva all’idea di poterla leggere. Alzò gli occhi verso il padre e dalla sua bocca scaturì una sola semplice domanda: – Tu come fai? –

    – A fare cosa? –, rispose il padre con aria perplessa.

    – Intendo… come fai a convivere con il tuo dolore? –, ribatté prontamente Carlos.

    Sul viso del padre si dipinse un enorme sorriso. Sollevò lo sguardo al cielo in direzione del sole, e rispose: – Penso sempre che, dopo tutto, potrebbe anche piovere. – 

    PRIMA PARTE

    Aspicite o cives senis Enni imaginis formam

    heic vostrum panxit maxuma facta patrum.

    Nemo me lacrumis decoret neque funera fletum

    faxit: cur ? volito vivus per ora virum

    (Cicerone, in Tusculanae I.XV.34, riferendosi all’epitaffio del poeta Ennio)

    I

    La lunga rampa di scale scavate nella roccia, che conduceva in piazza Roma, sembrava essere interminabile. I larghi gradoni permettevano che la salita non fosse poi così ripida, ma il prezzo da pagare per una simile comodità era che si arrivasse completamente stremati alla sommità della stessa, qualora non si fosse abituati a percorrerla. Questa era una delle tante caratteristiche che contraddistinguevano gli originari del luogo dai semplici turisti occasionali e, nonostante Alessandro Bottani, per gli amici Botta, appartenesse alla prima categoria, faceva ancora una certa fatica a guadagnarsi la cima senza avere il respiro affannato. Ovviamente, ciò non aveva nulla a che vedere con il quotidiano pacchetto di sigarette fumato regolarmente, ma era più una questione legata al suo rapporto burrascoso con la città stessa. Lui piaceva a lei, quanto lei piacesse a lui, ovvero proprio un cazzo.

    Dopo aver finalmente scavalcato l’ultimo gradone, Alessandro giunse in piazza alle quattro come era ormai solito fare da anni, in cerca dei suoi amici di sempre. Bastò gettare un paio di occhiate tutto intorno per trovarli svaccati sulla panchina posta sul lato corto della piazza, proprio sotto la balconata di quello che si ostinavano ancora a chiamare il loro liceo, nonostante alcuni di loro lo avessero abbandonato ormai da un pezzo. Quando li ebbe raggiunti, li salutò uno ad uno singolarmente, prima a mano aperta e poi con il pugno chiuso, e si mise a sedere anche lui.

    – Questa città mi sta veramente sulle palle: non c’è mai un cazzo da fare. –

    A rompere per primo il silenzio fu Mattia, un ragazzo sulla ventina, robusto di costituzione, con i capelli rasati ai lati e più folti in cima. La prima cosa che balzava all’occhio della sua figura era un enorme tatuaggio posto sull’avambraccio destro, sbiadito e dai contorni irregolari, recante la scritta no pain, no gain.

    – Io un’idea ce l’avrei –, disse Marco, un ragazzo magrolino con una folta cascata di capelli ricci e dallo sguardo vispo. – Andiamo a svaligiare la mensa della scuola; passando dalle cantine ci vuole giusto un attimo prima di arrivare alle celle frigorifere. L’ultima volta è stato divertente. –

    – Buona idea, ma c’è solo un piccolissimo problema: non so se ti ricordi ma la settimana scorsa io e Fava siamo stati beccati dal preside, e il coglione ha deciso di sbarrare la porta del corridoio. Quindi nada, da lì non si può più passare –, confidò agli amici Alessandro, accompagnando la frase con un occhiolino di intesa rivolto a Fabio Favini, in arte Fava, il quale sedeva immediatamente alla sua sinistra.

    – Sapevo foste stati beccati –, intervenne Mattia, – ma che fosse anche stata sbarrata la porta mi è nuova. –

    – Eh già, purtroppo va così –, rispose Alessandro, alzando le spalle in segno di rassegnazione.

    – Lasciatelo dire Ale: tu e Fabio siete proprio una coppia di finocchi. Come cazzo avete fatto a farvi sgamare, si può sapere? –, brontolò Marco, evidentemente scocciato dal fatto che la sua idea fosse morta sul nascere, ancora prima di essere stata presa in considerazione dal gruppo.

    – Ma vedi di non starmi addosso, siamo stati beccati e basta, il come non lo so. So solo che il pomeriggio del giorno dopo, quando siamo tornati lì sotto, c’erano due lucchetti e una di quelle catene talmente spesse che non la spezzi manco pregando il padreterno. –

    – Rimane il fatto che siete due scemi, sia tu che il tuo amico lì vicino che non parla e che fa finta di niente. –

    – Marco, posso dirti una cosa? –, chiese con tono ironico Alessandro, visibilmente infastidito dal comportamento infantile dell’amico.

    – Dimmi –

    – Vaffanculo –

    – Vaffanculo tu, spastico che non sei altro. –

    – Ragazzi basta, abbiamo capito il concetto, sembrate due ragazzette isteriche. Ecco, so io cosa ci vuole per distendere un po’ i nervi e farci stare tutti belli tranquilli. Dai, prendiamoci bene –, e così dicendo, Mattia si tolse una scarpa; dopo averne staccato la suola, estrasse una pallina avvolta dalla carta trasparente. Prese una cartina lunga, chiese a Fabio di strappare un pezzo di carta dal biglietto dell’autobus per fare il filtro e, dopo aver tritato come meglio poteva l’erba, e aver tolto i vari rametti che puntualmente rimanevano nella cima, sfilò una sigaretta dal pacchetto per tirare su una canna fatta a regola d’arte. Era davvero difficile trovare qualcuno che sapesse rollare meglio di Mattia, conosciuto da tutti come Mad, poiché di cognome faceva Madini. Rollava delle canne non troppo larghe, davvero ben bilanciate, sia come quantitativo d’erba che come simmetria della stessa. Vederlo tirare su era un piacere per gli occhi, ma soprattutto dava ancora più soddisfazione fumarne una subito dopo che l’avesse girata.

    Mentre la canna passava tra le mani dei ragazzi, dopo poco più di due tiri, Fabio si sistemò meglio sulla panchina e disse: – Ragazzi non ce la faccio più, vi devo parlare. Vi ricordate di Jania? –

    – Io si, non è per caso la puttana che ti sbattevi qualche mese fa giù al porto? –, rispose prontamente Alessandro, cercando di apparire un po’ più sano di quanto in realtà non fosse.

    – Esatto bello. Beh, è rimasta incinta. –

    – Sai, a forza di trombare a destra e a manca, prima o poi può capitare. Io lo dico da sempre: la soluzione migliore è convincerla a ingoiare, così non ci si sbaglia mai. –, aggiunse distrattamente Mattia prima di ricadere con uno sguardo catatonico a fissare il vuoto davanti a sé, come se, in quel preciso istante, qualcosa di molto interessante gli si parasse davanti agli occhi.

    – Guarda che il qui presente Fava non tromba mica a destra e a manca –, affermò perplesso Marco. Un attimo dopo fu Alessandro a parlare per chiarirgli il dubbio: – Infatti penso che Mad si riferisse a Jania. –

    – Voi non avete afferrato bene il concetto, quindi ve lo ripropongo: Jania dice che l’ho messa incinta io e, in parole povere, bisogna trovare al più presto una soluzione. –

    Intervenne prontamente Marco: – Quindi non ha ingoiato? –

    – No, Cristo Santo! Non ha ingoiato, passiamo oltre per favore? Qualcuno mi dice come esco da questa situazione di merda? –, sbottò Fabio dopo essere diventato rosso paonazzo in faccia.

    – Quanti soldi ti sono rimasti sul conto corrente? –, domandò Alessandro, dissimulando noncuranza.

    – Se arrivo a cinquecento euro sono fortunato. Perché me lo chiedi? –

    – Perché per un volo di sola andata per il Nicaragua non ti basteranno mai anche se, volendo proprio considerare il lato positivo della questione, almeno potrai pagarle l’aborto. –

    – Io non voglio che abortisca. Penso davvero di provare qualcosa per lei. Certo, non tanto da volere un figlio, ma mi è sempre piaciuto pensare che un giorno o l’altro, quando fossi riuscito a guadagnare abbastanza da vivere in modo dignitoso, l’avrei fatta venire a vivere con me. Il punto è che il tizio che la sfrutta, un certo Jarrod, ha detto che se non risolviamo tutto questo casino al più presto, uno di questi giorni mi ammazza di botte. Per il momento nulla le impedisce di lavorare, ma è questione di tempo: tra un po’ nessuno vorrà andare a letto con una donna incinta. –

    – Invece è qui che ti sbagli, caro mio. Su internet è pieno di video di tizi che fanno sesso con donne incinte quindi, alla fine della fiera, se c’è un mercato per queste degenerazioni mentali da disadattati del cazzo, va a finire che al tipo gli hai fatto pure un favore. Potresti addirittura farti pagare e pretendere la percentuale. –

    – Marco, vai a farti fottere, la percentuale al massimo la chiedo a tua madre. E comunque non voglio che qualcuno vada a letto con Jania mentre ha nella pancia mio figlio. Già facevo fatica a sopportarlo prima, figurati adesso come mi posso sentire. E poi, ammettendo anche il più remoto ed eventuale dei casi in cui possa arrivare ad accettarlo, cosa che comunque non si verificherà mai, chi mi dà la garanzia che a forza di prendere pisellate in testa non mi esca ritardato, o peggio, magari anche cieco da un occhio? –, e dopo aver pronunciato questa ultima frase, il corpo di Fabio ricadde molle sopra lo schienale della panchina.

    Di lì a poco Mattia si riscosse dalla sua intensa meditazione, data dai fumi della marijuana, ed esclamò contento: – Trovato! –

    – Hai la mia completa attenzione –, biascicò sconsolato Fabio.

    – Futuro papà, che hai capito? Intendevo che ho ritrovato il fumo che avevo perso due sere fa. Pensavo mi fosse caduto in discoteca mentre ballavamo e invece…eccolo qua! –, e accompagnò la frase con un gesto teatrale volto a mostrare a tutti una piccola bustina trasparente che teneva stretta saldamente tra le sue dita. – Mi ero completamente dimenticato della tasca interna della giacca. Mentre cerchiamo una soluzione faccio su un’altra canna, così ragioniamo a mente più lucida –, e così Mad ricominciò daccapo la procedura precedente, con la sola eccezione che questa volta riscaldò l’hashish fino a renderlo più malleabile, per poi mischiarlo con il tabacco di una sigaretta spezzata a metà.

    – Fava, parlando seriamente per un attimo, come fa Jania ad essere sicura che il bambino sia proprio il tuo? Ha fatto qualche test, magari non di quelli comprati al supermarket per nove e novantanove? Scusa se te lo dico, ma con tutti gli uomini con i quali è andata a letto, probabilmente in tutta la città non ce n’è uno che non possa essere il padre del bambino. – Alessandro era l’unico che in quel momento aveva messo in moto i neuroni per cercare una spiegazione plausibile da proporre all’amico o, in mancanza, per tentare di rassicurarlo un po’.

    – Anche se a questo non avevo proprio pensato, tieni presente che io e lei non abbiamo più da tempo il classico rapporto che intercorre tra la prostituta e il cliente. Non mi fa più nemmeno pagare perché dice che le piace venire a letto con me. Dovrò chiederle delle spiegazioni più dettagliate in ogni caso, anche se mi fido molto di lei. Se ha detto di essere incinta sarà sicuramente così, poiché non avrebbe alcun interesse a mentirmi. –

    – E non appena ci avrai visto chiaro Fabio, ricorda sempre: d’ora in avanti, falla ingoiare. –

    – Mad, ho capito, ricevuto, il messaggio è passato, ora fai girare la canna che mi devo ripigliare. Anzi, lascia stare, ne tiro su una io che le tue saranno anche bellissime da guardare, ma per i miei gusti sono troppo leggere. –

    – Tutto è bene quello che, come al solito, non si risolve –, sentenziò Alessandro allargando le braccia e posizionandole sullo schienale della panchina, come per abbracciare simbolicamente tutti gli amici insieme. – Ora che sappiamo come si dovrà muovere Fava, parliamo di cose più importanti, del tipo: chi ci viene stasera alla festa giù al porto? –

    – Io in linea di massima ci sono –, rispose Mattia mangiandosi tre delle sette parole pronunciate, visto che nel frattempo stava leccando la colla per chiudere la cartina.

    – Anche io, ma arrivo tardi perché prima passo a trovare Jania. Vada come vada ci si vede lì. –

    – Ottimo, e tu Marco?

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