Di nuovo in piedi
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Anteprima del libro
Di nuovo in piedi - Alessandro Raviolo
Must
CAPITOLO 1
Altare, 15 settembre 2019
Andrea aveva chiuso il libro mentre l’auto guidata dal padre passava dal solito viadotto, per la solita vacanza al mare e prima della solita, ennesima e noiosissima cena dagli amici di famiglia a Torino; una di quelle cene alle quali nemmeno gli veniva richiesto se volesse partecipare o meno, semplicemente gli veniva imposto… ma le parole di quelle frasi, impresse sulle pagine di un libro tascabile gli continuavano a frullare nella testa.
A ragionarci bene sopra, Andrea non aveva mai fatto autocritica, non aveva mai fatto sogni né progetti, non aveva nemmeno espresso desideri alle sue feste di compleanno; viveva la sua vita trasportato dalla corrente quotidiana, dalla routine, da abitudini consolidate dai tempi della scuola… ora almeno aveva l’unico, grande vantaggio di non dover nemmeno più fare i compiti.
Non era mai stato un animale sociale, non amava la compagnia, né la finzione di molti rapporti umani, gli anni universitari post liceo gli avevano regalato la totale libertà di non dover più simulare di sentirsi parte di un qualsiasi gruppo e questo per lui rappresentava un enorme sollievo poiché aveva riposto in un cassetto la sensazione di essere sempre e comunque inadeguato per chiunque.
Aveva imparato a bastare a se stesso, accettando il suo essere troppo magro ed esile, poco solare e la sua innata timidezza forse più impostagli indirettamente dalla famiglia che, considerandolo tale, era riuscita a convincerlo di ciò, timidezza spesso scambiata dagli altri per snobismo e aveva, passivamente, accettato tutti i suoi limiti, impostigli dagli altri o da se stesso.
A ventitré anni compiuti, infatti, si trovava ancora a passare quasi tutte le sue vacanze con i genitori e i loro amici, non gli venivano chiesti programmi né chiesto un parere ma semplicemente veniva dato per scontato che le cose procedessero esattamente come quando aveva sette anni.
Le stesse vacanze estive di sempre, di riposo
chissà poi da cosa, erano finite come ogni anno anche per lui e Andreino, come lo chiamava suo papà, si sentiva molto più ino
di Andrew
, nome che si era dato per cercare di darsi un tono con le ragazze, così come l’aver iniziato a fumare di nascosto, unico vizio consolatorio e di ribellione concessogli, il solo compagno nelle giornate passate a zonzo con la scusa di frequentare la facoltà di scienze politiche che non aveva nemmeno bene idea di dove fosse ubicata.
Aveva seguito poche lezioni, quelle obbligatorie e comunque sufficienti per permettergli di strappare una laurea che probabilmente non gli sarebbe servita a nulla, se non a prolungare la sua perenne e inconcludente perdita di tempo.
Viaggiava, viaggiava moltissimo… con la mente, girovagava tra i suoi pensieri senza una meta precisa o uno scopo ma al solo fine di bighellonare con se stesso, prendendosi gioco del suo tempo quasi fosse una risorsa illimitata, nella certezza, comune a tanti che ci sarebbe sempre stato del tempo da perdere.
Non aveva avuto quella che suole definirsi un'infanzia infelice, anzi, la percepiva come abbastanza serena nella sua mediocrità e, sebbene molti confondano serenità e felicità, lui semplicemente non l'aveva vissuta appieno, così come continuava nella sua non vita
sempre più simile a un lento e incerto incedere senza nessun movimento, positivo o negativo; mai fuori dagli schemi, senza aver mai creato un problema oppure una piccola preoccupazione ai genitori, senza nemmeno la traccia di mezza ribellione adolescenziale, né di un sussulto giovanile fine a se stesso o per un rigurgito di autonomia e libertà.
Tutto questo forse più per timore della severità di un padre militare o per paura di deludere profondamente la madre; suo papà era ben poco incline al dialogo e molto più a suo agio a dare ordini che a valutare e accompagnare la crescita del figlio e i suoi desideri, la madre viceversa cercava di assecondarlo e si barcamenava nell’equilibrio perenne tra i voleri del padre e il carattere taciturno e musone del figlio.
Le sue uniche, vere e primitive passioni erano la musica e il calcio; la prima soprattutto era un amore viscerale sin da quando era bambino.
Ogni sua giornata era caratterizzata da una canzone, una melodia, un motivetto.
Nelle note trovava un angolo in cui essere se stesso, seppur sempre diverso dall'io precedente; sentiva, in sé, di avere una moltitudine di personalità, di inclinazioni che, a seconda delle giornate e dell’umore, gli permettevano di ampliare i suoi gusti che, alla fine, risultavano confusi in una commistione completa di generi, un pot-pourri abbastanza variegato e caotico.
Spaziava dal pop italiano al britpop, dalla classica fino all’hard rock, attraverso i cantautori italiani degli anni ‘70/80, con una spruzzata di musica jazz e swing.
Vi era una totale assenza di una linea coerente, assecondata solo dall’istinto del momento e dai suoi molteplici, disordinati e complessi momenti interiori.
Questa passione cresceva e si alimentava passivamente, senza che avesse mai nemmeno partecipato a un concerto dal vivo; sebbene ne avesse visti a centinaia su dvd e Youtube non aveva neppure il rimpianto di non averli vissuti di persona.
Non aveva mai neppure desiderato o provato a suonare uno strumento musicale… forse la musica serviva a riempire il vuoto continuo della sua anima, un vuoto che sentiva spesso e che accumuna molta gente… ognuno cerca di riempirlo a modo proprio, con la passione smodata per il cibo, per l’alcol o per il sesso… a ognuno il suo.
Tutto era iniziato con un walkman regalatogli dalla madre per la promozione in quinta elementare; da allora ascoltava, registrava e fagocitava ogni cantante, cantautore, gruppo che producesse qualsiasi rumore comunemente definito suono
dal genere umano… un suono dopo l’altro a comporre la musica, la sua musica… erano bizzarre anche le sue playlist, accozzaglie di generi e artisti così differenti tra loro.
Inutile dire di quando avesse provato a convincere il padre a lasciarlo iscriversi al Dams, idea subitaneamente rispedita al mittente senza possibilità di discussione e senza particolari malumori da parte di Andrea che aveva accettato la decisione paterna rinunciando a qualsiasi ulteriore osservazione.
L’altra sua passione, il calcio, si concentrava quasi esclusivamente sul campionato inglese, questo sì per totale snobismo e voglia di distinguersi; al liceo trovava entusiasmante il potersi dissociare da ogni discussione calcistica del lunedì con i suoi compagni.
Era qualcosa che, ai suoi occhi, lo faceva sentire positivamente diverso dagli altri.
Anche questo suo interesse non entusiasmava il padre dato che avrebbe offerto ancora meno sbocchi per il futuro professionale rispetto al vituperato Dams.
Il perno della sua infanzia era stata