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Ho attraversato la valle solitaria
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E-book227 pagine3 ore

Ho attraversato la valle solitaria

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Info su questo ebook

Crolla il Muro di Berlino e Tonino, insegnante in trasferta tra le montagne del Nord, sogna un nuovo mondo.

L’iniziale piglio battagliero cede il posto a una malinconica disillusione. Attraverso il proprio vissuto, l’uomo testimonia il declino dei costumi giovanili, denuncia le ingiustizie, i favoritismi e i giochi politici che regolano le fortune dei docenti all’interno del sistema scolastico.

L’unico rifugio per Tonino è Nicole, solo la sua alunna riesce a tenerlo lontano dalle meschinità che è obbligato ad affrontare ogni giorno.

Il riconoscimento della disfatta di una vita che emerge nelle amare parole conclusive del romanzo costituisce un messaggio di denuncia lanciato al lettore.
LinguaItaliano
Data di uscita13 apr 2017
ISBN9788892659629
Ho attraversato la valle solitaria

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    Anteprima del libro

    Ho attraversato la valle solitaria - Francesco Resta

    633/1941.

    Prefazione

    Uno spaccato del mondo della scuola visto con gli occhi di un insegnante che dal sud si trasferisce in piccoli centri urbani del nord, a ridosso delle vallate e delle montagne, e trascorre là la sua esistenza. Il racconto in prima persona copre un arco di oltre venti anni in cui la vicenda del protagonista e quella dei molti personaggi con cui entra in contatto si intreccia con la vicenda della società italiana a cavallo tra gli anni Novanta e gli anni Duemila. Le relazioni con gli altri docenti, gli alunni e le loro famiglie costituiscono lo sfondo attraverso il quale si muovono le riflessioni del protagonista, nel suo rapporto con la lontana terra di origine, con l’etica che il lavoro gli impone, anche in relazione ai cambiamenti che intervengono nella società e che si riflettono direttamente sulla scuola.

    La morale che se ne trae non è affatto positiva: il disinteresse del bene comune e gli egoismi personali prevalgono su tutto e sembrano avere la meglio.

    Il fiume e il suo eterno fluire, il pero e le sue gemme nuove a primavera, le montagne da esplorare, conoscere, conquistare, non solo con la forza fisica ma con la mente e il cuore. Tonino ascolta la natura, con essa crea un legame profondo, cerca sempre di trarne un insegnamento da poter condividere con i suoi ragazzi in aula.

    L’amore per la terra ha radici profonde come quelle degli ulivi tra cui è cresciuto.

    Il passato è ancora vivo nei ricordi di Tonino, pensare alla libertà e alla dedizione con cui il nonno e il padre conducevano la loro impresa agricola, rimette in dubbio le scelte compiute. La strada dell’insegnamento lo ha portato a migliaia di chilometri di distanza, lo ha condotto nella valle. La scuola è un mosaico fatto di collegiali e burocrazia, di speranze e delusioni, ma soprattutto di volti e di storie.

    Negli anni Tonino incontra centinaia di persone tra alunni, genitori e colleghi, ognuno porta su di sé le cicatrici del passato e un carico di sogni da realizzare, alcuni di essi accompagnano il professore solo per un breve tratto del cammino, altri lo affiancano nella scalata delle vette. Quando la stanchezza sembra avere la meglio, lo sguardo e le parole di un amico permettono di recuperare le energie necessarie per andare avanti e giungere alla meta, questo Tonino lo imparerà nelle arrampicate in montagna cosi come negli anni di servizio, conservando con amore gli sguardi più dolci e le parole più significative.

    Fatti e personaggi descritti in questo romanzo sono immaginari.

    Ogni riferimento a fatti o persone è puramente casuale.

    Primo Capitolo

    Nicole

    1

    Veniva da lontano il nuovo prof di Matematica, ne parlavano tutti in paese.

    La chiamavano la scuola dei precari.

    Gli altri venivano confermati da diversi anni, erano sempre gli stessi.

    Nei posti più sperduti mandavano quelli in fondo alle graduatorie, i primi se ne guardavano bene di scegliere una vallata così lontana. Le scuole da evitare erano nei punti estremi della provincia, un mare di montagne solcato di traverso dal fiume principale.

    A rendere più isolato il posto contribuiva una vecchia morena che si superava con alcuni tornanti, seguiva una forra così stretta che anche d'estate il sole compariva per poche ore.

    Quando entrò in classe se ne accorsero tutti da come parlava, forse veniva dalla Sicilia, Calabria o magari dalla Puglia. Non insegnava da tanto tempo, non era spavaldo come il prof d’Italiano, se ne accorse anche Nicole.

    Lei se ne stava con la fronte attaccata al vetro della finestra e contava gli abeti in fila come sentinelle. Il tempo si stava guastando, era arrivato il primo freddo e le prime piogge che chiudevano l’estate.

    Era triste. Vedeva i suoi compagni che facevano ricreazione nel cortile della scuola, lei invece era rimasta in classe durante l’intervallo, aveva preferito rimanere da sola col nuovo prof, seduto dietro la cattedra, che scriveva ancora sul registro.

    Carlotta ogni tanto le dava un sbirciata attraverso i vetri leggermente appannati e le faceva il solito sorrisetto da smorfiosa, era stata sempre invidiosa.

    Come sta tuo fratello? Le aveva chiesto quando Nicole aveva provato per la prima volta a usare il rossetto. Poi quando decisero di affidarle la parte principale nella recita di fine anno, Carlotta di nuovo: Parteciperà anche tuo fratello alla recita? Così gli faremo fare la parte del lupo.

    Perché del lupo?

    Perché Daniele urla.

    Anche sua madre glielo ricordava spesso: Hai preso tutto tu e a tuo fratello non gli hai lasciato niente.

    Brava anche con gli sci, a tal punto da convincere suo padre a fare certe levatacce tutte le domeniche delle gare e con un freddo cane prendere gli impianti almeno un’ora prima della partenza per ritirare i pettorali.

    Oltre ad essere la prima della classe aveva due fanali azzurri che ti abbagliavano, invece il fratello di un paio d’anni più piccolo, era piuttosto rachitico e presentava qualche problema nell’apprendimento. L’aveva capito subito Nicole, aveva provato a fargli riempire con delle aste una pagina del suo quaderno a quadretti, l’inizio fu promettente, poi una serie di righe e cerchi, e infine in fondo a destra altre cinque aste ben allineate. Le fece venire in mente il quadro appeso nel corridoio della scuola, con sotto scritto: Kandinsky. Daniele era un genio ma a modo suo, sin dalla prima elementare era fissato per le date di nascita, ricordava la sua, quella di Nicole, di suo padre, sua madre e sapeva calcolare in pochi secondi a quale giorno della settimana corrispondevano. La madre chiudeva le finestre e lui le apriva, diceva che gli mancava l’aria e poi si metteva a fare degli ululati da fare spaventare il vicinato. Allora decisero di trasferirsi in una casetta della Forestale, lontani dalle pettegole del paese e dai ficcanasi, così suo padre oltre al suo orticello poteva tirare su il maiale.

    All’inizio della prima ora i suoi compagni le avevano fatto una gran festa, con una torta e tredici candeline, anche Carlotta le aveva fatto festa, ma lei era triste lo stesso. Di ritorno a casa nessuno si sarebbe ricordato del suo compleanno, nemmeno Daniele, l’unica era sempre stata la mamma ma già dall’anno prima non se lo ricordava più. Nicole dava tutta la colpa al papà che li aveva portati così lontano e la mamma lì non voleva più restare.

    Non piaceva nemmeno a lei la nuova sistemazione, bisognava fare molta strada per arrivare a scuola. Le sarebbe piaciuto invece rimanere vicino all’oratorio di Don Roberto, anche se la nuova casa aveva una camera in più che poi rimaneva vuota tranne il periodo di Natale. Già, rimaneva sempre vuota, le sarebbe piaciuto se fosse arrivato qualcuno.

    Magari il nuovo prof.

    I suoi compagni si rincorrevano nel cortile per combattere il freddo pungente, stava per suonare di nuovo la campanella, guardò il prof che compilava il registro, non sapeva come dirglielo.

    Però, almeno aveva ottenuto anche la televisione in camera, così prima di addormentarsi stava sotto le coperte con la mamma a vedere qualche film e il papà le aveva fatto anche il collegamento con il campanello, come lo aveva prima nella sua casa vicino l’oratorio.

    Doveva far presto, prima che arrivassero gli altri, prese coraggio, piano tirò fuori la sua voce:

    Prof… ha già trovato casa?

    Secondo Capitolo

    Arrivo nel villaggio

    2

    È disponibile per una supplenza di quindici ore fino a Natale? Deve presentarsi domani in segreteria. Eravamo a metà settembre.

    L'anno prima c'era stata la caduta del muro di Berlino.

    Altrimenti siamo costretti a scorrere la graduatoria. Lo sapevano che mi trovavo a mille chilometri ma non accettarono scuse.

    Mi feci ripetere per bene la località, non ne avevo mai sentito parlare prima.

    Presi il treno la sera stessa. I binari andavano lontano fino all’ultima stazione. Dopo dieci ore di un viaggio allucinante, dovetti fare un’altra ora di corriera. La strada saliva con una serie di tornanti e infine il villaggio ai piedi del valico che veniva chiuso alla prima nevicata. La valle d'inverno diventava una località frequentata solo da due o tre furgoni che rifornivano il bar e il negozio vicino la pieve. Il negozio era gestito dal fornaio, lì bisognava aspettare fino alle dieci per il giornale. All'imbocco del paese, impressionante l’imponenza della scuola di recente costruzione con annessa palestra tutta in vetro e legno, stonava con le decrepite case lì vicine. Una palestra del genere dalle mie parti non esisteva nemmeno nelle grandi città.

    In quella borgata erano tutti gentili, anche la preside che veniva dalla bassa, prossima alla pensione, mi accolse con un gran sorriso.

    È la sua prima supplenza. Allora le dico subito che è molto fortunato, in quanto la collega che sostituisce, poveretta, si è procurata una brutta frattura al femore. È piuttosto anziana e quasi sicuramente ne avrà per tutto l’anno scolastico. Poi l’anno prossimo va anche in pensione.

    Non stavo nella pelle. Cominciavo a capire che bisognava vivere sulle sfighe dei colleghi più anziani.

    Le ricordo che oggi alle quattordici e trenta abbiamo la collegiale.

    La collegiale?

    Fece una smorfia, alzò gli occhi al soffitto e chiamò il suo vice.

    Lui mi spiegò per bene il tutto: programmazioni, organigramma, attività, proposte, progetti e via di seguito.

    Per non parlare dei primi giorni di lezione, non sapevo nemmeno se durante i buchi dell’orario potessi uscire o se dovessi rimanere a disposizione. Entravo in classe e mi sentivo così stralunato dietro la cattedra, eppure erano solo ragazzini di dodici e tredici anni, dopo qualche secondo che li fissavi abbassavano subito lo sguardo. Ancora più imbarazzati erano quando venivano accompagnati a scuola con l’Ape, invece qualche altro si addormentava tra i banchi per aver fatto l’alba a mungere le mucche. In certe occasioni provavano anche vergogna per i loro genitori per come si presentavano nei colloqui. Mi rimase impressa proprio la mamma di Nicole, non riusciva a sopportare quella vita nel bosco, mostrava settant’anni e ne aveva trenta in meno, di prima mattina sentivo dalla sua bocca un forte alito saturo di grappa mentre biascicava bocia ogni quattro parole.

    Mi trovavo così bene che spesso la sera rinunciavo a uscire coi colleghi, loro invece non avendo nessuno in casa uscivano sempre per stare in compagnia.

    Non si contavano i loro sfottò ma in fin dei conti crepavano d'invidia, tra quelli che più rompevano c’erano i due inseparabili: Alfio e Lillo.

    Il primo si sentiva portato per le pubbliche relazioni. Eppure a vedere i suoi capelli ricci sopra la sua stazza a barile non ci avrebbe creduto nessuno. Non faceva nemmeno mistero di aver lasciato giù moglie e tre figli, bisognava riconoscergli almeno questa correttezza. Precario da una vita, conosceva quel mondo come le sue tasche, graduatorie, nomine, passaggi di materia, scadenze, concorsi, ne sapeva una più del diavolo. Andavamo da lui per qualsiasi informazione, se poi si trovava in difficoltà, alzava gli occhi come per guardare i ricci dei suoi capelli.

    Non c’è problema.

    C’era da credergli, anche la sua famiglia non costituiva un problema e dove arrivava lui in pochi si sarebbero spinti. Un altro al suo posto avrebbe tolto la fede dal dito e poi si sarebbe dato alla caccia, lui invece no, aspettava la preda e l’azzannava al collo, diciamo al collo.

    Capitò proprio in quei giorni l’arrivo di una giovane precaria, proveniva dalle graduatorie di Salerno, e nel vederla tutta imbranata capimmo subito. Alfio aveva soprattutto un debole per la pelle ambrata e quella sembrava venisse da Granada, altro che da Sala Consilina.

    A chi posso chiedere delle graduatorie?

    Da Alfio. Aveva le ore contate.

    Mii! strabuzzò gli occhi e chi sei la sorella della Cardinale?

    Così abile con le nuove sbandate in arrivo e ancora più abile nel gestire, con un pelo sullo stomaco alto quattro dita, le chiamate che riceveva la moglie per eventuali supplenze.

    Concettina, lascia perdere questa supplenza, non venire su. Adesso il posto era troppo lontano, un’altra volta era di pochi giorni, un’altra erano più le spese del resto, c’era sempre un giusto motivo.

    E poi, Concettina, i bambini a chi li lasci? Adesso te li curano i tuoi ma se vieni su non ci basta lo stipendio tuo e nemmeno il mio.

    E se lei cercava di insistere, stufa marcia di menarla in quel modo, e sperava finalmente di attraversare lo Stretto: Ma Alfio, ho già accettato, come faccio adesso? Devo partire per forza lui risolveva in quattro e quattr’otto:

    Non c’è problema. Dammi il numero della scuola che adesso chiamo io. Tu da lì non ti muovere.

    La salernitana dopo un paio di mesi, per sua fortuna, fu chiamata per un’altra supplenza in un’altra scuola e Alfio, spinto da qualche recondito scrupolo, decise di far venire su la moglie.

    Lei era ben diversa dalle amanti del marito, quasi ingobbita per le fatiche accumulate nel menare la carretta da sola per lunghi anni, con tre bambini da tirare su, solo con l’aiuto della pensione dei suoi.

    Voi scherzate ma non conoscete Concettina e soprattutto non siete sposati, prima dovete provare. Specie il pomeriggio, durante la partita al bar della stazione, era sempre una lagna, poi si piegava con la stecca tra le mani e premeva con la sua enorme pancia sul bordo del bigliardo.

    Noi altri ci guardavamo perplessi.

    Allora perché l’hai sposata?

    Storia lunga, troppo lunga. Si bloccava un attimo, tutto sbilanciato sulla punta di un piede e alzava il capo gonfio e paonazzo per lo sforzo di colpire la palla troppo lontana.

    Pure le palle mi devono scassà sta minchia.

    Colpiva la palla, si alzava, piano piano, in modo da far scendere il sangue nei piedi e, seguendo la carambola sul tappeto verde, prendeva fiato.

    Mi gioco le palle che Concettina tempo un mese e se ne vorrà tornare a casa. Sicuro fino alla morte sono.

    Lillo invece era tutt’altro tipo, fu il primo ad accogliermi in sala insegnanti a braccia aperte, sembrava che avesse un megafono in gola.

    Non è vero che sono Franco Franchi in persona?

    Come se ci conoscessimo da tanto tempo, sempre sorridente, disponibile, non a caso proveniva dalla stessa regione di Alfio, proprio un bel carattere e proprio per quel carattere risultò più che simpatico a una lettrice di madrelingua tedesca. Non si capacitava come un pezzo di gnocca del genere dovesse fare gli occhi dolci proprio a lui, quando a Racalmuto aveva sudato sette camicie per rimorchiare un mezzo scarafone. C'era poco da fare, fra i tanti colleghi molto più attraenti, lei aveva scelto forse il più sgarrupato ma dal carattere così solare da farle perdere davvero la testa e naturalmente lei l'aveva fatta perdere anche a lui, nonostante fosse già impelagato fino al collo, e in Sicilia quando ci si impegnava in certe storie non si poteva sgarrare.

    Vi ricordate? Anche Massimo Troisi diceva che nei suoi sogni faceva la guerra con le armi scartate dagli altri. Questo sarà l’unico fucile buono della mia vita e non lo voglio perdere. Lo ripeteva in continuazione, ne era proprio convinto.

    Convinto che la teutonica l'avesse scelto senza badare da dove venisse e a quale famiglia appartenesse, ce lo spiegava benissimo, cercava in tutti i modi una giustificazione. Dopotutto era l'insegnante più amato dai ragazzi, da ciò si intuiva che possedeva qualcosa di innato dentro che a noi altri mancava.

    Vedrete che la mia storia non è la prima e non sarà l'ultima, capiterà anche a voi.

    Un bel pomeriggio eravamo sdraiati a prendere il sole davanti al bar della stazione delle corriere, l'avevamo trasformato nel classico bar all'aperto del sud dove si passa il tempo a chiacchierare o a farsi gli occhi con le curve di qualche bonazza di passaggio.

    Mentre ammiravamo l’enrosadira del Cimone mi facevo mille domande, sapevo poco e niente del mio

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