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Dai che ce la fai
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Dai che ce la fai
E-book85 pagine59 minuti

Dai che ce la fai

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Info su questo ebook

Racconti adolescenziali su temi di scottante attualità come il bullismo, l’anoressia, l’incomunicabilità tra figli e genitori, che fotografano la realtà di oggi con un linguaggio mimetico e avvincente e presentano situazioni realistiche in cui, piccoli e grandi, possono rispecchiarsi. Un volumetto adatto a giovani lettori che vogliano appassionarsi alle singole vicende, per poi trarre da ogni storia le giuste conclusioni, confrontandole con fatti davvero accaduti. Non solo da leggere a scuola per studio.
LinguaItaliano
Data di uscita21 gen 2019
ISBN9788827868447
Dai che ce la fai

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    Anteprima del libro

    Dai che ce la fai - Titti Preta

    Self-Publishing

    DEBORA,

    BALENA SFIGATA

    1.

    Debora si è allargata

    Era un mattino plumbeo, in cui un umore nero copriva il turchino e lo spalmava di grigio. Debora se ne stava in camera sua a fissare l’abitino di velluto nero che aveva indossato per due anni di seguito a Natale, regalo dell’amata nonna, che da qualche mese non c’era più. Aveva il collettino di tulle e il fiocco rosso da annodare dietro e la faceva assomigliare a una bambola. Non accettava l’idea di non poterlo indossare più. Si sforzava di entrarci, ma le maniche erano corte e la zip non chiudeva. Era ingrassata. Molto, a guardare l’abito preferito.

    - No, sei cresciuta! - le ripeteva la mamma.

    Va bene, sono cresciuta. si rispondeva.

    Lo specchio, però, rifletteva una sua immagine dilatata nella quale non si riconosceva. E il suo umore diveniva nero al pari del cielo. Debora posò l’abito sul letto e lo guardò come se fosse un morto nella bara. Si accucciò vicino e iniziò a percepire la pesantezza dei suoi pensieri. La paura era un macigno che la sovrastava, impossibile da annientare. Nulla poteva contro di lei. Senza il suo amato abito di velluto Debora si sentiva spoglia e fragile. Era cambiata, dunque era un’altra persona. Una nuova Debora. Chi sono io? si chiese e non ne ebbe risposta.

    - Mamma, mi vedo diversa...

    - Certo. Stai diventando grande. Finirai la scuola media tra un anno, poi andrai al liceo e farai tante nuove amicizie. Costruirai il tuo futuro, finalmente. Non sei felice?

    No, mamma. Io volevo rimanere bambina.

    Questo pensava ogni volta che la mamma le programmava la vita, riempendola di impegni e idee che non la attraevano per niente.

    Cambiare le imponeva riflessione e nasceva il problema di chiedersi: Chi sono? Debora era sempre Debora. Il suo corpo no. Glielo diceva l’amato abitino di velluto che non era più quella di un anno fa. E glielo diceva lo specchio.

    Tutti a ripeterle che si cresce, si cambia, si matura, si invecchia...si muore. Debora non capiva niente, sentiva solo un senso di nausea che le saliva dalle viscere al cervello e la stordiva.

    Anche oggi si chiedeva: Perché occorre crescere e cambiare aspetto? Era l’ultima cosa che voleva. Non aveva desiderio di crescere, di essere un’altra Debora.

    La paura si materializzò: era una strega cattiva che trasformava tutto e tutti a suo piacere col tocco della bacchetta magica.

    Debora osservava la cameretta e la vedeva diversa. Eppure era stato il suo mondo segreto, la sua isola felice... adesso le tante Barbie e i peluche erano inutili soprammobili, non i suoi compagni di vita!

    Anche i suoi familiari non le aggradavano più: suo padre era odioso, sua madre antipatica, il fratellino insopportabile. La casa era una prigione.

    Non solo le persone si caricavano di difetti, ma anche le cose e ne arrivava il rigetto. E lei, la dolce Debora, era sempre più grassa e brutta.

    Trascorrevano così le vacanze di Natale più tristi della sua piccola vita. Appena 13 anni e un carico immane di pensieri. Il suo corpo che cambiava era uno di questi. Ma soprattutto c’era la paura di tornare a scuola dopo l’Epifania.

    2.

    I genitori, questi sconosciuti

    Ecco la solita sera invernale. Fredda e cupa. Fuori nevicava e una coltre bianca stava ricoprendo alberi, tetti, strade, auto. Un tempo a Debora piaceva giocarci con la neve. Ora non più.

    Si stava svolgendo la solita cena. Mamma, perfetta casalinga, (Tanto lo stipendio di papà è più che sufficiente e poi la casa è di proprietà... a che serve che io esca la mattina e torni a sera abbandonando la famiglia) aveva preparato la solita pastina.

    - Debora, tesoro ...cos’hai? Perché non mangi?

    Debora fece segno di no con la testa prima, poi prese a mangiare con finta voracità la minestrina serale, sapendo di far contenta la mamma.

    - Ti tieni leggera se la mangi, e ti scaldi il pancino. – le disse con un sorriso languido e comprensivo, mentre infilava il cucchiaio pieno nella bocca spalancata di Massimo, il piccoletto di casa, seduto accanto a lei sul seggiolone.

    Ma quale pancino, mamma! – avrebbe voluto dirle Debora – Se a scuola mi prendono in giro per la mia pancia che straripa fuori dai jeans e mi chiamano la Balena Sfigata!"

    La mamma neanche stavolta riuscì ad andare oltre, però intuì che Debora era spenta e distratta e, soprattutto, triste.

    Giorni prima i genitori di Marta, la compagna di banco di Debora, le avevano accennato qualcosa che era accaduto in classe delle figlie, la seconda D dell’Istituto Comprensivo G. Pascoli. Qualcosa che per lei era una seccatura che avrebbe dovuto risolvere parlandone con il preside, per poi incontrarsi con lo psicologo del consultorio che svolgeva servizio di consulenza per la scuola.

    "E se poi mi consigliassero di farle cambiare scuola? Dove dovrei iscriverla a questo punto? Alla prima scuola che capita? E se dista dieci km da casa chi l’accompagna la mattina presto? Suo padre esce alle

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