Non calpestate i fiori
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Anteprima del libro
Non calpestate i fiori - Lorenzo De Luna
lettura.
Capitolo 1
Un giorno qualunque
La primavera del 2014 arrivò prepotentemente sul litorale laziale, costringendo i cittadini di Nettuno ad indossare un abbigliamento estivo nel giro di una manciata di giorni. Una consistente percentuale di umidità rendeva l’aria irrespirabile e, nello stesso tempo, appiccicava gli abiti al corpo creando una conseguente necessità, quella di andare in spiaggia e magari fare anche un bagno nel fresco e ventilato mar Tirreno.
Chissà dunque come sarebbe stata l’estate- pensò tra sé Lorenzo - dall'interno della sua abitazione sita in periferia, seduto su una delle quattro sedie in ferro color marrone che circondavano il tavolo in legno massello, giunto a casa sua direttamente dal Libano nel 2008. Con i gomiti sul tavolo e le mani che sostenevano la fronte, pensava al triste e ultimo decennio che aveva vissuto e di come tante cose messe su pian piano, giorno per giorno con tanti sacrifici, erano andate perse per volere del legale della ex moglie che, senza responsabilità alcuna, prometteva che quanto più potevano distruggere ciò che era stato realizzato da Lorenzo, tanto più avrebbero ottenuto come cifra di mantenimento. Pura follia, soprattutto a discapito dei due figli avuti da quel naufragato matrimonio: Michela ed Alessandro. Nel frattempo, nella sua vita erano sopraggiunte nuove storie sentimentali, di basso valore, compresa l’ultima, quella che stava vivendo. Sembrava dovesse essere la fiaba eterna ma, alle prime difficoltà, fu subito chiaro che si trattava della ennesima storia inutile.
Mentre considerava questo brutto capitolo della sua vita, Lorenzo sentì la necessità di raggiungere il litorale per fare una passeggiata a piedi nudi sulla fresca sabbia della battigia. Quei pensieri così negativi lo stavano pian piano trascinando verso una forma di depressione e se ne stava rendendo conto giorno per giorno. Bisognava in qualche modo reagire. Decise di montare sul suo scooter, un vecchio Majesty 250 di cilindrata, alla ricerca di aria sul volto e di una schiarita nella marea di pensieri che lo tormentavano; gli avrebbe fatto sicuramente bene.
Giunto sul piazzale Guido Cicco si concesse subito un caffè al chiosco bar e, dopo aver pagato il dovuto, si incamminò verso il grattacielo denominato dalla popolazione nettunese Scacciapensieri
.
Il mare era veramente una tavola, bellissimo e, seppur ancora primavera, ragazzi audaci sfidavano la temperatura quasi gelida dell’acqua improvvisando una partita con un pallone rinvenuto per caso. Diverse persone avevano avuto la sua stessa idea e, scarpe in mano, si godevano passeggiando la fresca sabbia sotto i piedi. Vide un uomo della sua stessa età seduto sulla sabbia con uno zainetto rosso posto dinanzi i piedi. Non sembrava essere interessato a nulla di ciò che accadeva attorno a lui; si limitava a guardare dritto all’orizzonte. Al sopraggiungere di Lorenzo, si volse e lo salutò debolmente con la mano. Lorenzo rispose allo stesso modo anche se non ricordava di conoscere quella persona. Gli si avvicinò «Ciao, non vorrei fare una brutta figura ma, pur essendo un volto conosciuto, non riesco a ricordare in quale occasione ci siamo incontrati né il tuo nome, e ti chiedo scusa per questo.»
L’uomo si alzò in piedi e, facendo attenzione a non riempire di sabbia il proprio zainetto, rivolse un sorriso a Lorenzo dicendo: «Ciao, praticamente abbiamo lo stesso problema: ti ho salutato per non fare brutta figura nel caso fossi una conoscenza certa, ma... non so nemmeno io chi tu sia anche se in questo periodo farei fatica a riconoscere me stesso guardandomi allo specchio. Per non parlare dei nomi poi, continuo a cambiare nome a persone che conosco da anni, certe figure che non ti dico!» La risata fu unanime, sembrava che i due avessero trovato il giusto farmaco scaccia pensieri ed il posto era proprio quello adatto, il grattacielo Scacciapensieri
di Nettuno.
Il suo nome era Andrea e a Lorenzo venne subito in mente di fare una domanda: «Per caso ci siamo incontrati in tribunale durante una delle numerose udienze di separazione che sto affrontando?»
«Non ricordo ma, da quello che mi pare di capire, dobbiamo essere sulla stessa barca, dal momento che condividiamo questa tragica esperienza.»
Decisero di andare a bere una birra al chiosco dove Lorenzo aveva parcheggiato il suo Majesty e Andrea la sua Vitara. Parlarono a lungo, dei propri figli, degli avvocati, mettendo in campo esperienze negative e positive. Andrea, mentre erano sul punto di salutarsi, fece la proposta che determinò l’inizio di una forte amicizia: «Lorenzo, penso che dovremmo frequentarci; magari abbiamo anche amiche da presentarci l‘un l’altro e, sai, ho fatto caso ad un dettaglio molto importante mentre parlavi. Dicevi di essere un grande amante della vela e della pesca. A vela non ci sono mai andato ma riguardo alla pesca credo di essere un accanito amante di questo sport.»
«Ti propongo allora una cosa: usciamo con la mia piccola barca a vela e tu porta tutta l’attrezzatura per il tipo di pesca che faremo durante la navigazione! Credo sia un buon periodo questo per la traina costiera. Facciamo per domattina?»
«Ci sto! Domani è domenica e non ho impegni di lavoro. Dove ci vediamo?»
«La barca è ormeggiata al pontile H della marina di Nettuno, al posto nr. 13. Alle 7 del mattino. A domani. Ancora una cosa, Andrea! Sento forte il bisogno di parlarti di una forte esperienza che ho vissuto nella mia vita e che risale al ‘99; ho urgente necessità di smaltire in questo modo pesi forti, macigni che mi porto dentro. Sarò molto generico per ovvii motivi professionali e di riservatezza ma ho letto da qualche parte che un segreto è quel qualcosa che uno sa e dice a un altro di non rivelare. E forse con i miei fardelli potrei distoglierti dai tuoi pensieri. Alle 7 di domani quindi...»
Capitolo 2
Campo base in Macedonia
«Entriamo dentro» disse la signora Kata al marito, «non siamo al sicuro qui, siamo soli e non ci proteggerà nessuno!» Lui, testa in alto e sguardo fisso verso la luna, sussurrò appena: «Sono a casa mia, non mi muovo.»
Mentre al chiarore della luna si consumava questo dialogo sottovoce, da casa di Rita si levava un vociare alterato, dai toni esasperati. La mamma di Rita chiedeva che le venisse raccontato quel che era successo la sera prima, ma Rita e suo fratello non volevano spaventare la mamma e per tutta risposta tacevano. La giovane provava invano a rassicurare la madre, minimizzando il misterioso accaduto, ma palesava una forte confusione e questo alla mamma non era di certo sfuggito...
Rita e suo fratello decisero di non rivelare a nessuno quello che avevano visto e mantennero il fraterno patto.
La sera precedente, dei paramilitari serbi, meglio conosciuti come Arkanovi Tigrovi
, le Tigri di Arkan, erano entrati nella casa che confinava con il giardino della famiglia di Rita. Le due abitazioni non erano divise da un muro di cinta ma semplicemente da una rete metallica alta poco più di un metro. La visuale libera da ostacoli permetteva di seguire a vista ogni cosa che accadeva nella casa confinante e nel resto del quartiere serbo.
Fino alle tre di notte avevano seguito ogni movimento dei paramilitari, che erano entrati in silenzio nel quartiere assicurandosi di essere lontani da occhi indiscreti. Come ogni notte, le Tigri di Arkan operavano sistematici rastrellamenti per derubare la popolazione kosovara di etnia albanese, lasciando alle spalle del loro passaggio saccheggi, violenze sessuali e torture inflitte a tutti coloro ai