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Sons of Prometheus: Libri I e II
Sons of Prometheus: Libri I e II
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E-book376 pagine5 ore

Sons of Prometheus: Libri I e II

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Info su questo ebook

Una storia fatta di storie, raccontata con l’incisività, i ritmi e i colpi di scena di un serial tv. Un folle autoproclamatosi Dio e la sua setta assassina di sedicenti divinità, ognuno con il nome di un dio pagano di religioni provenienti da tutto il globo. Un viaggio disperato attraverso il mondo, unica pista: i messaggi di sfida lasciati dagli assassini. Due nemici giurati: un uomo senza nome e l’inquisitore che lo aveva condannato, uniti da un comune intento: uccidere qualcuno che non può morire. Ogni storia ha più punti di vista: il racconto del protagonista, quello dell’inquisitore e il diario dell’assassino, che ne spiega i retroscena.
Un romanzo non solo sulle vicende dei suoi protagonisti, ma anche sulla storia, la letteratura, la legge, la scienza, la musica, la filosofia e la religione. Una discesa, di girone in girone, in un angosciante inferno rinascimentale, un’allegoria dei tempi moderni in un thriller storico vivido e cruento che, a ogni tappa, sfida i lettori ad arrivare alla soluzione prima della scioccante conclusione.
Dedicato a due maestri della letteratura recentemente scomparsi: Umberto Eco e Valerio Evangelisti.

33 anni, come i capitoli di ognuno dei suoi libri e come i canti di Paradiso e Inferno nella Divina Commedia. Globetrotter studioso di letteratura, storia, filosofia, arte, archeologia e diritto. Prima della stesura di ogni libro, visita personalmente i luoghi del racconto per respirarne la storia.
Martin Eco Dantes, uno pseudonimo di gusto nerudiano che è omaggio vivente a tre maestri della letteratura e alle loro opere: George R.R. Martin, con A Song of Ice and Fire (Il Trono di Spade), Umberto Eco con Il Nome della Rosa, l’opera che più di tutte ha influenzato lo stile della saga, e Alexandre Dumas, attraverso il cognome del suo più celebre personaggio, Edmond Dantès, che nel libro di Dumas adotta l’identità fittizia del Conte di Montecristo. Non a caso, abbreviando i primi due nomi, ne esce M.E.Dantes. 
Ma, a ben vedere, gli omaggi sono quattro, perché non è possibile scrivere Dantes senza scrivere Dante, altro autore spessissimo omaggiato nel corso delle opere.
 
LinguaItaliano
Data di uscita31 gen 2023
ISBN9788830676305
Sons of Prometheus: Libri I e II

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    Anteprima del libro

    Sons of Prometheus - Martin Eco Dantes

    Nuove Voci

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Premessa

    Il tomo comprende i primi due libri della saga, che raccontano le origini e le prime tre tappe di un viaggio senza fine. Trentatré capitoli per ogni libro, come i canti dell’Inferno di Dante.

    Un viaggio nel Rinascimento più oscuro, caratterizzato da colpi di scena e flashback che contribuiscono a tenere desta l’attenzione del lettore su una trama cruda e tagliente, raccontata, in modo non lineare, da più punti di vista che si intrecciano per confluire in un’unicità narrativa: quello dello sfortunato protagonista, quello dell’irreprensibile inquisitore, quello dell’efferato antagonista, vero e proprio proto-serial killer, e quello dei suoi seguaci plagiati, attraverso i diari che inframezzano e completano la narrazione principale. Un salto vivido ed empatico nei panni dei protagonisti quanto in quelli dei malvagi, un affresco sulle origini del male, dove persino le motivazioni dei più empi sembrano a tratti convincenti e la distinzione tra bene e male comincia a vacillare.

    Ogni meta è disseminata di nuovi macabri indizi, e la soluzione è il nome della successiva.

    Il libro, per i lettori più attenti ed esigenti, presenta numerosi richiami alla cultura, con citazioni dalla mitologia alla religione, all’esoterismo, alla storia, alla filosofia, alla scienza, alla letteratura, all’arte, al diritto antico e persino alla cultura moderna e alla musica rock, anche nei titoli dei capitoli. Riferimenti che, quando non sono raccontati direttamente attraverso le parole dei protagonisti, vengono puntualmente approfonditi in una bibliografia ricca e dettagliata che consente, a chi lo volesse, di aggiungere alla lettura di un avvincente thriller storico un piacevole viaggio nella cultura antica. I luoghi del romanzo sono riportati con caparbia conformità alla realtà storica, curando i particolari delle descrizioni e fornendo supporto storico a tutto quanto narrato.

    L’autore si è divertito, di tanto in tanto, a mettere in bocca ai propri personaggi frasi celebri e avulse dal contesto storico, donando loro rinnovato senso nel nuovo ambito, un nuovo modo di fare retelling e una riflessione sul significato delle parole, se strappate al loro contesto.

    Un viaggio mozzafiato dalla prima pagina sino alla parola fine.

    LIBRO I

    I FIGLI DI PROMETEO

    Capitolo 1

    Testamento

    «Cain… Joannes Dietrich…» l’uomo sussurrò di nuovo quei nomi, poi un’ultima volta: «Inquisitore Joannes Dietrich… Cain», e poi una volta ancora, oltre l’ultima, mentre annodava il cappio.

    Un urlo di rabbia riecheggiò per i corridoi delle prigioni di Castel Sant’Angelo¹, scuotendo le pareti delle patrie galere, forte come una bestemmia, poi un pianto disperato, quello di chi ha perso tutto, ma sa che perderà ancora. Strinse il cappio intorno al collo e salì sullo sgabello. Nessuno a fermarlo nel buio della gelida cella, nessuno al mondo per cui fermarsi.

    Diede un ultimo sguardo alle sue memorie, l’unico motivo che aveva ritardato il triste gesto fino ad allora: completarle, perché sapessero.

    Allontanò lo sgabello, con un calcio deciso alla vita, e si lasciò andare. Le mani, istintivamente, salirono al collo, strangolato dal nodo, lasciò andare quelle e anche la vita. «Joannes Dietrich… Cain» come bestemmie, gli si strozzarono in gola, mentre il cappio lo soffocava…

    1 Castel Sant’Angelo, detto anche Mausoleo di Adriano, era la residenza papale e nell’antichità fungeva anche da penitenziario per i nemici della curia.

    Capitolo 2

    GENESI

    ²

    Le Memorie

    Scrivo queste memorie affinché, quando non ci sarò più, la verità si sappia, e, poiché completarle è l’unico motivo che mi tiene in vita, lavorerò alacremente per terminarle il prima possibile.

    Il mio nome non lo saprete mai, esso morirà con me, ma lasciate che vi racconti la mia storia.

    Nacqui in una famiglia comune, fratello minore di tre. Mio padre era bottegaio e mio fratello maggiore lo divenne come lui. Il fratello di mezzo optò per la carriera militare, sognava i gradi da generale, ma non riuscì mai a scalare le gerarchie, come sovente capita alla gente comune e, come spesso accade a quelli come noi quando rischiano tutto pur di dare un senso al proprio destino, morì in battaglia, al seguito del cavaliere bianco Janos Hunyadi³, prima di poter coronare il suo sogno. Trucidato dagli Ottomani⁴, tre volte più numerosi, tradito dalla follia di un Re⁵ che non era nemmeno il suo, dalle promesse di un Papa annoiato⁶ e un santo che non ha mai pregato per lui⁷. Riposa senza sepoltura a Varna⁸, bagnato dalle acque del Mar Nero, un numero senza nome in terra straniera, dimenticato dalla storia, come una goccia vermiglia in un mare di sangue.

    Fu allora che scelsi la vita monastica, non per vocazione né per prestigio, quello il monastero non lo offre, semmai lo nega, ma per curiosità, un desiderio così intenso da tenermi in vita, così forte da togliermela per sempre.

    Per conoscere il mondo, mi rinchiusi in un monastero e divenni un amanuense. Ebbi modo di trascrivere e tradurre i classici dimenticati, padroneggiando non solo i metodi della scrittura gotica⁹, nota ai più come littera textualis o textus fractus, e le sue evoluzioni, la littera bononiensis¹⁰ e la littera parisiensis¹¹, ma persino quelli oramai in disuso e sconosciuti ai molti denominati onciale¹², beneventana¹³ e carolina¹⁴.

    Fu l’inizio di un lungo e appassionante viaggio senza mai lasciare il monastero. Quei tomi furono per me le navi e i carri su cui raggiungere suoli che i miei piedi non hanno mai calpestato, le orecchie e il naso per ascoltare suoni e annusare profumi di luoghi lontani, che non ho mai visitato, il cannocchiale per guardare in faccia genti che non ho mai veduto, il ricordo affettuoso di eventi che non ho mai vissuto.

    La mia esistenza era ancora all’inizio, e credevo tutto ciò mi bastasse, sapevo molto, ma conoscevo poco della vita. Ma, come ho detto, ero ancora giovane e inesperto, e l’esperienza è l’unica cosa che i tomi non potevano insegnare.

    Venne il giorno che il mio priore, padre Malcolm da Greenwich, mi chiamò per conferire. Il titolo di Padre ben si addiceva a quell’uomo colmo di virtù, poiché era questo per me: un padre. E, se è vero che prendendo i voti si rinuncia alla propria famiglia per servire il Signore, era altrettanto vero che il Signore era stato tanto magnanimo, nella sua infinita misericordia, da regalarmi un nuovo padre, e credo che lo stesso Padre Malcolm la pensasse alla medesima maniera, ho sempre creduto mi considerasse il figlio che non aveva mai avuto. Tale era l’ammirazione che arrivai a nutrire per quel sant’uomo, così vicino ai precetti del Signore quanto alla carità terrena, che, quasi senza accorgermene, presi a imitarne la fisionomia. Non so ben dire quando fosse cominciato, ma, è come se, mentre il mio priore mi insegnava le sue virtù, rendendomi simile a lui nello spirito, il tempo avesse colmato la distanza che ci separava nell’aspetto, così da renderci tanto simili come si può dire solo di un padre e di un figlio. Se non fosse stato per un accenno di calvizie, che si era fatta strada sul capo del mio precettore, ben imitata sul mio dagli effetti della tonsura, per qualche solco del tempo sul suo volto e per il sottile accento di oltremanica che condiva ogni sua parola, pronunciata con voce ben più roca e profonda della mia, un osservatore distratto, guardandomi, avrebbe potuto giurare di essere di fronte al ritratto di un giovane padre Malcolm. Il medesimo naso greco, a sovrapporsi su labbra marcate, la stessa espressione facciale rilassata, la mia priva dei segni dell’etá, la sua solcata da profonde rughe, gli occhi buoni, cerulei e limpidi come un cielo terso, il leggero prognatismo, coperto dalla folta ma ordinata barba, castana come la corteccia di una quercia dalle radici salde, la sua punteggiata dall’argento dell’età, come una cima leggermente innevata, solo all’inizio della bufera. Era quello il viso rassicurante che immaginavo quando chiudevo gli occhi e sussurravo il Pater Noster, per me era il volto di Dio, e quell’odore muschiato misto a quello sacramentale dell’incenso… quello era il profumo di Cristo.

    Forse il tempo ha già trasfigurato i miei ricordi e mi sbaglio. Forse, senza rendermene conto, nel profondo del mio cuore, ero stato io a cercare di assomigliare al mio priore, come un figlio trae ispirazione dal padre, e un fedele da Dio. Il tempo, la fame e la sofferenza potrebbero aver cancellato i dettagli, ma giammai dimenticherò gli eventi che portarono alla mia rovina. Essi, unitamente ai nomi dei miei carnefici, sono marchiati a fuoco nella mia anima, che brucia tuttora, nonostante il riposo finale sia vicino.

    2 Il libro della Genesi è il primo libro della Torah del Tanakh ebraico e della Bibbia cristiana. Scritto in ebraico e diviso in cinquanta capitoli, nei primi undici capitoli descrive la cosiddetta preistoria biblica (creazione, peccato originale, diluvio universale), e, nei rimanenti, la storia dei patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe e di Giuseppe.

    3 Janos Hunyadi fu una figura chiave nella difesa delle frontiere ungheresi dagli attacchi degli Ottomani, con i quali si scontrò a Varna (1444) e Belgrado (1456). Fu voivoda (sovrano) di Transilvania (1441-1456), capitano generale (1444-1446) e poi reggente del Regno d’Ungheria (1446-1453).

    4 Il Sublime Stato ottomano, o, più comunemente, l’Impero Ottomano, fu uno degli imperi più vasti della storia e il più vasto del suo tempo. Sotto il regno di Solimano il Magnifico, l’impero arrivò all’apice del potere diventando un’entità politica multiculturale, multilinguistica e multietnica che controllava un vastissimo territorio, esteso dai confini meridionali del Sacro Romano Impero alle periferie di Vienna e della Polonia a nord, fino allo Yemen e all’Eritrea a sud; dall’Algeria a ovest fino all’Azerbaigian a est, controllando gran parte dei Balcani, del Vicino Oriente e del Nordafrica.

    Esistito per 623 anni, dal 1299 al 1922, si dissolse dopo la Grande Guerra.

    5 Ladislao III Jagellone fu re di Polonia dal 1434 al 1444, re d’Ungheria dal 1440 al 1444 con il nome di Vladislao I.

    6 Gabriele Condulmer, salito al seggio pontificio col nome di Eugenio IV, fu il duecentosettesimo papa della chiesa cattolica.

    7 Giovanni da Capestrano fu un religioso italiano dell’ordine dei Frati Minori Osservanti. La figura di San Giovanni da Capestrano è legata fondamentalmente all’Abruzzo dove visse e peregrinò, fondando varie chiese, tra cui: la Basilica di San Tommaso Apostolo, la Chiesa e convento di Santa Maria delle Grazie a Ortona, la Chiesa e convento di Sant’Antonio di Padova a Lanciano, il Convento di San Giuliano e il Monastero di Santa Agnese all’Aquila e il convento di San Francesco a Capestrano. Considerato da molti un beato quando era ancora in vita, fu proclamato santo dalla Chiesa cattolica nel 1690.

    8 La battaglia di Varna, nell’attuale Bulgaria. Fu un episodio chiave della crociata lanciata da Papa Eugenio IV contro gli Ottomani. Fu combattuta il 10 novembre 1444 tra le truppe del sultano Murad II e la coalizione cristiana capitanata dal re Ladislao III Jagellone che, rimasto nella retroguardia, si lanciò incautamente alla carica contro i giannizzeri, determinando la sconfitta dei cristiani.

    9 La scrittura gotica era un tipo di scrittura minuscola, derivata dall’alfabeto latino, in auge dal XII secolo.

    10 La littera bononiensis era un tipo di scrittura gotica utilizzata soprattutto in ambito universitario, in particolare dai manoscritti bolognesi.

    11 La littera parisiensis era un tipo di scrittura gotica utilizzata soprattutto in ambito universitario, in particolare dai manoscritti parigini.

    12 L’onciale era un tipo di scrittura maiuscola usata dal III all’ VIII secolo dagli amanuensi latini e bizantini.

    13 La beneventana era un tipo di scrittura minuscola originaria del ducato di Benevento. Detta anche Longobarda, dal territorio Longobardia Minor, si distingue in barese e cassinese.

    14 La scrittura carolina, o di cancelleria, è una forma di scrittura semicorsiva in auge tra l’VIII e il IX secolo.

    Capitolo 3

    Non ci indurre in tentazione

    ¹⁵

    Quel giorno, Padre Malcolm non era solo nella grande sala. Ad attendermi, a mischiarsi con quello del mio priore, c’era un altro odore.

    Ancor più delle sue sembianze, di Abel ricordo ancora il dolce profumo fiorito, che lo aveva preceduto annunciandone la presenza, così forte che la mia mente, allora ancora ingenua e ottenebrata dalle bugie della fede, pensò a un miracolo, nulla di più sbagliato. L’aspetto era quello di un damerino, difficile da incontrare in un monastero umile come il nostro, agghindato e decorato come un albero il giorno di Natale, ma su quell’albero crescevano frutti pericolosi¹⁶. Due occhi azzurri come il cielo, una cascata di ricci nero corvino, che discendeva come grappoli d’uva su un volto glabro, fin troppo pallido, che gli conferiva l’aspetto debole dell’uomo di città, labbra quasi inesistenti, sormontate da un naso sottile e aquilino come il becco di un rapace. Quanto agli abiti, non ne avevo mai visti di così belli e sfarzosi, fatti delle sete più pregiate e dai colori più sgargianti, e temetti che anche solo guardarli costituisse peccato di vanità. Nel complesso, se dovessi rendere l’idea con un paragone, direi che ricordava, quantomeno nella mia mente, l’immagine dei sovrani francesi e forse è anche per questo che non esitai a seguirlo come un suddito col suo re.

    Poi padre Malcolm ci presentò. Ricordo ogni dettaglio del momento che diede inizio alle mie pene, sebbene, in quegli attimi, non ne fossi ancora consapevole. Abel si definiva un mercante e un esploratore, era appena tornato da un lungo viaggio nelle Americhe dove aveva commerciato con gli indigeni, che lui chiamava indiani. Mi mostrò i loro strani e affascinanti cimeli, segni di un retaggio del tutto alieno persino agli europei più avventurosi, inimmaginabili per un umile monaco come me. A loro modo, benchè non fossero né d’oro né d’argento, erano tesori. Il petto prese a battermi con tale forza che mi chiesi se il mio cuore avesse veramente mai palpitato prima di allora, o fosse semplicemente rimasto fermo, in attesa trepidante di quel momento.

    Abel era il prototipo perfetto degli ideali umanisti che cominciavano a circolare a quel tempo, che ponevano l’uomo al centro dell’universo e spostavano i limiti del possibile oltre l’orizzonte visibile, impettito e pieno di sé come solo un francese può essere. Padre Malcolm mi disse che Abel stava per intraprendere un viaggio per una terra lontana e sconosciuta.

    «Unisciti a noi e daremo al mondo un altro mondo!¹⁷ Faremo meglio di Colombo¹⁸, egli ha avuto fortuna a scoprire le Americhe, ma chi sa cosa avrebbe scoperto, se solo le Americhe non gli avessero sbarrato la strada!»¹⁹disse. Io mi chiedevo, piuttosto, quanti prima di lui avessero scoperto le Americhe e non avessero fatto in tempo ad avvisare il mondo, affondati sulla via del ritorno²⁰.

    «Uomini come noi non hanno bisogno di fortuna» si vantava, ma si sbagliava. Puoi svegliarti alle prime luci dell’alba, ma il destino si sveglierà sempre prima di te²¹.

    Sorvolando sullo smisurato egocentrismo del francese, ero affascinato dalle sue storie. Esse raccontavano di mondi ed esperienze fatti di sapori mai assaggiati, odori che mai mi avevano inebriato, e tramonti a me sconosciuti, che solo attraverso i tomi avevo potuto scorgere.

    Padre Malcolm disse che Abel necessitava di un cronista che lo seguisse e documentasse la sua nuova avventura alla ricerca di una terra ancora sconosciuta, perduta tra gli oceani, che nascondeva, Abel ne era certo, inestimabili tesori. Ero perplesso e spaventato, ma al tempo stesso entusiasmato. La vita da amanuense mi piaceva e mi appagava, e non avevo mai desiderato di più, fino al suo arrivo almeno.

    Non ero mai uscito dal monastero da quando avevo preso i voti, molto giovane, e conoscevo il mondo solo attraverso i tomi. Il mondo, che avevo tanto immaginato e desiderato chiuso tra quelle mura, ora mi spaventava.

    Ma i miei dubbi erano inutili quanto quelli di un vitello da macellare, non ero io a dover decidere, ma il mio priore, e così fu.

    «Sei come una nave al sicuro nel suo porto, ma non è per questo che le navi esistono»²² mi disse.

    Il dono di un viaggio verso l’ignoto, eleganti vestiti, spezie e manufatti esotici, merce rara. Che ingenuo, avrei dovuto sapere che ogni cosa a questo mondo ha il suo prezzo e, se non mi veniva chiesto di pagarlo, allora ero io la merce: era me che stavano vendendo²³.

    15 È un verso del Padre Nostro.

    16 Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, e l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male. Genesi 2,9.

    E Dio impose all’uomo anche questo comando: «Di ogni albero del giardino puoi mangiare a sazietà. Ma in quanto all’albero della conoscenza del bene e del male non ne devi mangiare, poiché nel giorno in cui ne mangerai certamente dovrai morire Genesi 2,16.

    17 Cristoforo Colombo ha dato al mondo un altro mondo George Santayana.

    18 Navigatore ed esploratore della Repubblica di Genova, Cristoforo Colombo, con la scoperta dell’America, fu tra i più importanti protagonisti delle grandi scoperte geografiche europee a cavallo tra il XV e il XVI secolo.

    19 Parafrasi delle parole di Jonathan Swift, Pensieri su vari argomenti. La stessa frase è citata da Stanislav Jerzy Lec in Pensieri Spettinati.

    20 Parafrasi delle parole di Valeriu Butulescu, Aforismi.

    21 Proverbio tradizionale africano.

    22 Parafrasi delle parole di John Augustus Shedd, Salt from My Attic. La stessa frase è stata spesso citata dall’Ex primo ministro pakistano Benazir Bhutto.

    23 Parafrasando una frase tratta da The social Dilemma, 2020.

    Capitolo 4

    Esodo²⁴

    Abel mi condusse sulla sua nave, entusiasta di questa nuova avventura, gli chiesi quale fosse la prima meta, rispose Roma.

    Ma Abel non mi aveva detto tutto.

    Era a Roma che si trovava chi avrebbe dovuto guidarci, attraverso rotte inedite, fino a un’isola sconosciuta, sulle tracce di un tesoro immenso. Non potevo tuttavia immaginare che costui fosse rinchiuso a Castel Sant’Angelo.

    Cain era il fratello maggiore di Abel, e in una precedente vita era stato un cuoco, prima di essere condannato all’ergastolo, le prigioni vita natural durante. Chiesi ad Abel più volte il motivo della condanna, il dubbio veniva allora a farmi visita, di tanto in tanto, durante la notte, tanto quanto faccia il rimorso ora, ma Abel sorvolò sempre sull’argomento, garantendo personalmente riguardo la sua innocenza e gli credetti, sbagliai.

    Che un innocente venisse incarcerato, all’epoca, non era cosa rara. Fatti incresciosi accadevano allora e accadono tutt’oggi, queste memorie ne sono una dimostrazione lampante e, in verità, per la giustizia degli uomini è più facile che un innocente venga incarcerato, piuttosto che un colpevole venga punito per i suoi crimini.

    Ma come incontrare un uomo rinchiuso nelle patrie galere, e per di più condannato all’ergastolo?

    «Ha detto solo che morirà e risorgerà, come Cristo. Lo troveremo nella pila comune di cadaveri, nel cortile delle fucilazioni» cosi disse Abel e cosi facemmo.

    Una volta fatto scalo a Ostia, un carro era pronto a portarci alla nostra meta. Il sole già tramontava, specchiandosi nel Tevere, quando attraversammo Ponte Sant’Angelo²⁵, con stupore misto a inquietudine. Da giovanissimo, avevo udito le leggende che circondavano quel ponte, e che raccontavano della sfortunata vicenda di Beatrice Cenci²⁶, vittima di un aguzzino che aveva gli stessi occhi e lo stesso volto del padre, ma le mani di un mostro. Sventurata colpevole di aver messo la giustizia di Dio davanti a quella degli uomini, assicurando quel demonio alla Caina²⁷, vittima di una madre cieca e un Papa sordo alle sue grida di aiuto. La storia di come il popolo, generalmente vile, possa, in una notte di coraggio, sollevarsi e urlare in difesa di una vittima degli eventi e scoprire venticinque giorni dopo di non aver mai avuto voce, vedendo morire la loro eroina. Signore lega quel corpo, ma spicciati a sciogliere quell’anima, che giunga all’immortalità e all’eterna gloria²⁸.

    Si diceva che il fantasma della sfortunata dama si aggirasse per il ponte nella notte tra il dieci e l’undici di settembre, ma era la vigilia del santo giorno dell’Ascensione²⁹di Cristo, quando scorgemmo la sagoma dell’angelo che ci scrutava dall’alto della terrazza, e sentii stringermi il cuore. Imponente, bellissima e severa era la rappresentazione fedele dell’arcangelo Michele³⁰ apparso in quel luogo a Papa Gregorio Magno³¹. Erano ancora vivide nella mia mente le descrizioni dell’evento di Gregorio di Tours³² e Iacopo da Varazze³³, che avevo avuto modo di leggere trascrivendo l’Historia Francorum e la Legenda Aurea.

    A quel tempo, la città era in completo disordine, morte e carestia la rendevano un inferno in terra, sommersa a causa di una rovinosa piena del Tevere e decimata dai morsi della morte nera proveniente dall’Egitto conosciuta come lues Inguinaria. Per cercare di risollevare le sorti di quella che fino a poco tempo prima era stata la capitale del mondo, Papa Gregorio, subentrato a settembre al seggio ancora caldo di Pelagio II³⁴, strappato prematuramente alla vita dalla peste, decise di organizzare una processione per chiedere la misericordia divina, una litania settiforme³⁵ a Maria Salus Populi Romani³⁶.

    Furono tre giorni di processione in cui i romani parteciparono con fervore cristiano, intonando inni sacri. Divisi in sette cortei, attraversarono la cittá per portare a San Pietro l’icona di Maria dipinta da San Luca Evangelista³⁷ conservata nella chiesa di Santa Maria Maggiore³⁸. In un’ora sola erano già morti in ottanta, ma, a ogni passo, l’aria si faceva più leggera. Giunti al ponte che collegava al mausoleo adrianeo, allora chiamato Castellum Crescentii, vennero loro incontro le schiere angeliche cantando il Regina Caeli³⁹:

    Il Papa quindi si prostrò e rispose:

    E gli angeli presero a volteggiare intorno all’icona. Poi, giunti davanti al Mausoleo di Adriano, il ventinove agosto dell’anno cinquecentonovanta dopo Cristo, apparve davanti a tutti i presenti la sagoma di un angelo che riponeva la spada fiammeggiante nel fodero. Da quel momento l’epidemia di peste si arrestò e l’antico Mausoleo Adrianeo fu ribattezzato Castel Sant’Angelo, in onore di quegli avvenimenti prodigiosi. Si dice che tutt’oggi siano conservate le impronte dell’angelo, rimaste impresse nella dura pietra, a testimonianza del suo passaggio.

    Maestoso, bellissimo e terribile, San Michele Arcangelo ci giudicava dall’alto del suo trono, avvolto dalle luci scintillanti dei fuochi dell’allegrezza⁴⁰, che si solevano ripetere ogni anno in quella data. Michelangelo⁴¹ li definiva girandole, fuoco e fiamme scoppiettanti, che a me ricordavano più quelle del giorno del giudizio, mozzandomi il fiato per la bellezza e per il timore di essere giudicato per il peccato che ci accingevamo a commettere…

    Abel doveva aver già preso accordi con le guardie carcerarie poiché, giunti dinanzi al penitenziario, gli fu sufficiente sfilarsi silenziosamente uno dei numerosi anelli dozzinali che gli ornavano la mano e consegnarlo, senza proferire parola, per passare ogni controllo. La guardia che ci aveva accolto all’ingresso doveva essere una semplice sentinella, o persino un umile allievo, prestato alla guardia per impiegare i gendarmi di più alto rango durante i festeggiamenti. Sfoggiava

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