Le Rondini del Caucaso
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Anteprima del libro
Le Rondini del Caucaso - Faustino Neri
Albatros
Nuove Voci
Ebook
© 2017 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l. | Roma
www.gruppoalbatrosilfilo.it
ISBN 978-88-567-8117-5
I edizione elettronica gennaio 2017
Prefazione
Le storie, quelle vere, sono tutte belle. Sentirle raccontare da chi le ha vissute è intrigante. Goderne nella lettura, che consente accelerazioni e rallentamenti, pause, ritorni e rimandi, è immersione emotiva ed emersione riflessiva.
Questo, in estrema sintesi, il continuo cambiamento di stato d’animo indotto dalla lettura delle pagine che seguono. Pagine che, tra le varie caratteristiche possiedono alcune chicche da assaporare con attenzione.
Il primo gusto è quello tipico degli inizi, degli esordi di un’avventura che si è trasformata in vita vissuta. C’è chi sostiene che negli inizi è contenuto tutto lo sviluppo di una storia. Se anche così non fosse, è almeno indubitabile che gli iniziatori possiedono una caratteristica di unicità non più rintracciabile in chi, pur mettendosi sulla medesima strada, verrà successivamente. I primi osano, i primi rischiano, avanzano senza riferimenti ed esperienza specifica, non hanno parametri perché loro stessi li costituiscono per chi, eventualmente, verrà dopo.
Gli iniziatori non sanno di essere tali, vivono tutta l’ansia dell’incertezza, ma anche l’irresistibile attrazione per un futuro non scritto, avvertono il fascino di una pagina bianca su cui vergare di proprio pugno le parole che sceglieranno per diventare pietre miliari di un percorso che altri poi continueranno. Una sensazione di possibilità totale, di spinta gratuita senza la certezza di un premio finale. Agli inizi, è il desiderio che spinge all’azione, non la convinzione. I bisogni, reali o presunti, si mescolano in modo confuso e in parte inconsapevole e trovano parole che appartengono al sogno, proiezione indistinta che penetra la coltre nebbiosa che gli sta davanti.
I personaggi di questo libro hanno vissuto – vivono, per il lettore – lo stato d’animo degli inizi: i linguaggi, le sorprese, le disavventure. I sentimenti, mescolati e contrastanti – dall’ironia all’angoscia – ce li rendono come furono veramente, forse ingenui, proprio perché il tempo degli inizi è costellato da intuizioni più che riflessioni.
Gli inizi sono fatti da gente che si mette in gioco davvero e non sa calcolare bene. Si chiama anche incoscienza, questa paradossale virtù.
Il secondo gusto è quello di una storia tutta giovanile e non solo perché popolata di giovani.
Questa storia è tutta protesa al domani, al futuro, perché è intrisa del desiderio giovanile di protagonismo, di uscita dalle secche del passato, dall’ingiustizia e dal dolore della guerra con le sue storie agghiaccianti.
Contrasta con forza e con efficacia, nel racconto, la forza costrittiva della necessità e l’energia liberante e travolgente della generosità giovanile, al punto che i protagonisti, pur sperando nel successo di alcuni passaggi assai improbabili, sono spesso sorpresi della riuscita. E in questo stato d’animo non c’è anagrafe che tenga! Le storie contengono tutte una dinamica di disponibilità gratuita.
È esperienza universale: quel sì
piccolo e fragile, a volte balbettato perché inconsapevole, ha costruito una storia. È la storia delle persone, dei giovani soprattutto, dei soggetti senza potere, ma con una grande possibilità, quella di decidere liberamente e responsabilmente della propria vita. Una decisione che presagisce un cambiamento, che a volte lo teme, ma che non cessa di volerlo.
Il terzo gusto è quello contrastato della sorpresa tra ciò che fu e ciò che quella storia è diventata oggi. Le storie che crescono sono cariche di bellezza e di speranza, ma spesso si colorano di una retorica che nuoce alla verità della narrazione. Del resto, il lettore è attratto e incuriosito soprattutto dai passaggi, dalle fatiche, dai momenti di cedimento e di ripresa, vuol sapere come sia cresciuta una storia, vuole essere accompagnato nelle pieghe più piccole ma preziose delle banalità apparentemente più insignificanti che ne hanno, invece, segnato il ritmo quotidiano.
Trovare nella normalità la straordinarietà è compito arduo, che si avvicina a quello che spesso chiamiamo segreto della vita
. In questo libro si trova una storia forse normale ma raccontata come straordinaria, vera, senza retorica, che ha conservato il candore degli inizi, pur essendo rivista e narrata in una fase matura.
Forse la straordinarietà dell’umano emerge quando ci consideriamo unici. E questo chiunque può viverlo, per questo la narrazione contenuta in queste pagine può essere un aiuto per la storia di ciascuno di noi.
Franco Vaccari
Ho raggiunto il tempo della terza età
: così recita un’espressione tradizionale riferita a un periodo che abbraccia l’intero arco della vita umana; gli studiosi di materie esistenziali avevano sezionato l’età dell’uomo in tre periodi: giovinezza, maturità, vecchiaia (o terza età).
Oggi invece, in ragione della crescita numerica delle persone anziane, dell’innalzamento della vita media, del ruolo dei nonni che svolgono i compiti di genitori e che sono impegnati in attività sociali, la terza età – la vecchiaia – non è il termine ultimo, ma è seguita dalla quarta età: l’epoca della conoscenza.
La Valle dell’Arno vista da Montozzi
Tale vorrei che fosse la parabola della mia esistenza terrena. Mi accingo a scrivere la storia vera di un gruppo di ragazzi e ragazze del Caucaso, che sono andati a Rondine, in Italia, a studiare nella Scuola di Pace, per farsi una cultura internazionale lontano dai conflitti che dilaniano i loro paesi di provenienza. Questo accade mentre sto percorrendo l’arco della quarta età e spero di essere guidato dalla conoscenza.
E dalla saggezza.
Quando ti ho visto la prima volta
non ho voluto stringerti la mano…
Il treno corre veloce sul ponte più alto della direttissima Milano-Roma. Il rumore ritmico e silenzioso del Freccia Rossa ci riporta bruscamente alla realtà. Le ruote sembrano accarezzare i binari, non feriscono di colpi sordi le rotaie, come quelli dei carri bestiame che portavano a scuola gli studenti di campagna, nel 1947.
Sono i rumori vellutati del silenzio, sono i suoni impercettibili dello stato di estraniamento temporale in un passato lontano, durato soltanto pochi istanti.
Il fiume che scorre lento e stanco sotto le altissime campate del cavalcavia è proprio l’Arno, oppure un ruscelletto che taglia in due la Riserva Naturale di Bandella, prima di confluire in Arno? Sembra un rigagnolo, non c’è acqua, è quasi asciutto; non piove da tanto tempo, da tanti giorni di sole cocente com’è oggi; bene così, i due sposi d’oro sono proprio contenti di questa bella giornata.
«Tempo inclemente dal gran caldo, noi sappiamo che tu devi piovere, è necessario per dissetare la terra e gli esseri viventi, ma aspetta a domani per cambiare, cosa è un sol giorno? Oggi lasciaci celebrare la nostra festa sotto il tiepido sole settembrino».
Stavano appoggiati al muretto che delimita la ripida spiaggia sul fiume, i gomiti sul piano e il viso fra le mani, pensierosi. Lo sguardo vagava verso uno spazio senza orizzonte, sulla sponda opposta del fiume, di là d’Arno, verso Casa al Cincio.
Qui s’incrociano due epoche, il passato e il futuro: intorno al 1200 il passato e, nel cuore del presente, il 2000: Dante Alighieri, Leonardo da Vinci, Freccia Rossa.
Località: Rondine.
Rondine
"Spesso i paesaggi spopolati travolti dall’abbandono e dalla solitudine rischiano di tramutarsi in terra di nessuno.
Così poteva apparire all’occasionale visitatore di venti anni fa l’antico borgo di Rondine, dominato dai ruderi dell’imponente castello duecentesco a strapiombo sul fiume Arno dall’alto del maestoso sperone roccioso, ricco di storia secolare.
Ma il risveglio delle memorie antiche e il rinascere della speranza hanno legittimato l’esistenza di un piccolo centro dove, fuori dallo sterile sentiero dell’egoismo e del profitto, è stato possibile riaccendere il coraggio per guardare più in alto e più lontano, come fanno le rondini secondo natura.
Il Piccolo Borgo si è trasformato in una realtà culturale competitiva sull’indifferenza, spesso diffusa a ogni livello, capace di sfidare comodi appiattimenti, creandosi un’identità in grado di progettare valori: solidarietà, fiducia, comprensione.
Le antiche mura del Castello mostrano crepe profonde di un potere ormai tramontato, ma la navicella sull’Arno traghetta progetti e convoglia sull’altra sponda continue consonanze ideali" [da: Testimonianza di Carlo Starnazzi, in Rapporto Annuo 1999].
Tutte le storie cominciano dal principio. Le azioni dell’uomo sono impostate su dei principi. I principi guida del pensiero possono essere buoni o poco buoni. Chi dedica le proprie azioni al bene comune, opera guidato da principi buoni. Rondine è il frutto tangibile scaturito da buoni e solidi principi.
Rondini
Dall’Africa e dal lontano Oriente
vengono a primavera per edificare il nido
che salutano con gioioso grido.
E subito si danno da fare:
nidi da ricostruire, linguaggio da imparare.
Volteggiano nell’aria e giù
a terra in picchiata
a cercare il cibo per la nidiata.
Ce ne sono tanti di nidi sotto la grondaia,
osserviamoli con grande gioia
al tramonto, sul far della sera,
ascoltiamo il loro garrire
quando salutano il giorno
prima di dormire.
Al finir dell’estate,
prima di partire,
sulle onde dell’etere
si radunano in lunghe file.
Sembra faccian l’appello,
oppure ci vogliono salutare
per poi ritornare
ai loro paesi, oltre il mare.
(di Rosa Mazierli, Tigliai, 2012)
Motivazioni
Le rondini si alzarono in volo dal filo della corrente elettrica sul quale si erano radunate, formando delle figure strane, le movenze di un valzer a suon di musica. Non si era mai visto un simile spettacolo nei raduni, neppure alla partenza dello stormo verso i paesi caldi.
Le rondini alate partecipavano istintivamente alla festa del saluto intrecciando nell’aria tersa disegni geometrici originali per tributare un omaggio alle amiche rondini stanziali che abitano in questo luogo da alcuni anni, per studiare i fondamenti della cultura umana e per imparare a vivere in pace.
Finalmente lo stormo si formò al completo, la rondine capobranco dette il via, partirono, si levarono in volo come un unico ombrello nero nell’azzurro cielo. Eseguirono due giri sull’aria tersa di Rondine: garrivano in coro un saluto caloroso agli amici che restavano anche d’inverno sotto i tetti delle case dove avevano costruito i loro nidi. Avevano lasciato la famiglia, scappavano dalla terra natia, dove era impossibile vivere decorosamente perché da qualche tempo il loro paese era stato trasformato in un teatro di guerre fratricide.
«C’è una cosa peggiore della guerra? Penso di sì: peggio della guerra è abituarsi alla guerra. Avete mai pensato che esistono generazioni intere di persone che sono nate e cresciute in una realtà di cui il conflitto è parte integrante? Io sono una di queste persone. Vengo dal Caucaso, dall’Armenia, che è una delle zone del mondo dove la sfida per l’esistenza e la sopravvivenza è la colla che tiene unita la gente».
(Maria)
«Che cosa ci ha portati qui, nella Cittadella di Rondine? La speranza di una buona educazione, la sete di un’esperienza italiana, la convinzione che il mondo è un posto meraviglioso e la curiosità di scoprire se (il mondo) è veramente così».
«Dopo il primo periodo, l’Italiano si è trasformato lentamente da rumore in parole di dialogo: domandare e ricevere domande, ascoltare ed essere ascoltati. E adesso c’è un nuovo, completamente nuovo linguaggio della nostra testimonianza di coesistenza. E c’è una nuova identità, quella che insegna a confrontarsi con l’altro, a stare nel conflitto senza accorgersene e rimanere ignari del nostro conflitto, come i pesci rimangono impassibili nell’acqua dell’Arno.
Chi sono io? Una domanda che tanti di noi si fanno spesso. Una domanda a cui pensiamo stando da soli con noi stessi, dialogando con la nostra anima, camminando sul sentiero della vita. Chi sono io, dopo aver vissuto con il mio nemico? Una domanda molto rara, no? Una domanda a cui non avete mai pensato; forse potrebbe sembrarvi inutile perché mai l’avete provata. E io invece sì! Noi siamo i bambini della guerra. La nostra infanzia non è passata sotto il sole, la nostra infanzia è un periodo infinitamente scuro, quando le bambole sono le schegge dei proiettili. Siamo cresciuti con il dolore nell’anima, sotto la propaganda di odio verso i nemici e forse abbiamo il diritto di odiarli. Ma noi, rondini, abbiamo scelto la strada del perdono. Sono una Rondine d’Oro anch’io».
(Elmira)
«Ormai sono già una rondine che è cresciuta e che è pronta a volare, ma che si ricorda e non dimenticherà mai la sua storia, la storia della piccola rivoluzione che ha cambiato il mondo, il suo mondo. Ma non tutto è stato così facile. Sapete cosa significa vivere tutta la vita avendo un pensiero ben chiaro? Essere sicuri di una cosa, non avere dubbi, essere convinti di avere ragione? Da bambina vedere il sangue, le lacrime e i funerali di centinaia di persone nello stesso giorno? Capire che la colpa di tutto questo dolore è di quelli che stanno al di là della frontiera? Mi ricordo quel giorno come fosse ieri, un normalissimo giorno di maggio – il mese delle profumate ginestre gialle, il mese dedicato alla Madonna, il mese delle rose, il mese dell’amore – un giorno che non sembrava essere speciale ma che mi ha fatto vedere quello che non avevo mai visto prima, che mi ha fatto capire quello che non avevo mai capito prima. Solamente un giorno che mi ha cambiato la vita. Era un evento particolare, con tanti giovani. Ero felice di esserci, sorridendo mi voltavo a destra e a sinistra, salutavo, stringevo le mani e… poi tutto si è fermato. Un senso di ribellione ha preso il posto della gioia; tutto si è fermato, sono caduta in uno stato di turbamento e di paura. Il ragazzo di fronte a me portava un cappello con la scritta Yerevan, ho smesso di sorridere.
Sono armeno
ha detto lui, sfidandomi.
Non vedevo più nessuno, solo lui. L’odio, unica cosa che ho visto nei suoi occhi. L’odio, unica cosa che ho sentito nel mio cuore.
Sono azerbaigiana
ho detto io, sottolineando ogni parola.
Un’azerbaigiana e un armeno insieme, vicino, faccia a faccia, occhi negli occhi per la prima volta nelle nostre vite. Lì! Nei nostri paesi sarebbe stato impossibile, ma oggi è successo anche questo».
Non uccidere il fratello
«Mio fratello, un giovane ventenne di etnia cecena, militava nell’esercito russo. Durante l’assedio di Grosny, nella battaglia decisiva, furibonda, i ceceni opposero una strenua resistenza. Impugnando armi leggere, male armati, riuscirono a bloccare per poco tempo l’avanzata del nemico, benché fosse dotato di cannoni e di carri armati».
Il ragazzo, di fronte ai tre componenti della commissione esaminatrice, parla con voce tremante, non riesce a frenare le lacrime.
Venti di guerra in Cecenia
«Caddero molti uomini sulle candide nevi del Caucaso, da una parte e dall’altra. Mio fratello rimase ferito. Abbandonato sul campo dai russi, fu soccorso dai partigiani ceceni e portato in ospedale, dove qualche reparto funzionava ancora, nonostante le distruzioni causate dalle cannonate e dalle bombe dell’esercito russo. Mia madre e io andammo a trovarlo, stava sdraiato su un lettino con le lenzuola insanguinate, vicino alla finestra della corsia gremita di feriti. Aveva una gamba a brandelli a causa dello scoppio di una bomba a mano, soffriva molto; quando ci vide il suo sguardo sofferente si aprì alla speranza, con un gesto della mano fece un cenno a mia madre, che si accostò a lui curva sul letto. Le parlava in un orecchio con un filo di voce, sussurrava, invocando il suo aiuto disperatamente.
Mammina, portami via di qui, subito, sono in pericolo!
.
Non preoccuparti, figlio mio, sei tornato a casa, qui ti trovi di nuovo in mezzo ai fratelli, nella tua terra, con la tua famiglia
. Il figlio ferito si aggrappò al collo della madre con forza, la stringeva fino a farle male. Io non ci capivo niente, ero piccolo, avevo otto anni, non mi sembrava possibile che mio fratello avesse così tanta paura mentre giaceva nell’ospedale della sua città, dove lo avrebbero curato e guarito.
Tutti eravamo in pericolo, la popolazione subiva giornalmente la violenza della guerra e viveva nel timore di non arrivare a vedere l’alba del giorno seguente. Ma la paura di mio fratello Muslim era diversa, era la disperazione di un giovane soldato terrorizzato.
"Mamma, corrono delle voci preoccupanti sul mio futuro. Ieri, mentre mi prestavano i primi soccorsi, mezzo intontito, sentivo bisbigliare delle parole strane: meglio se fosse già morto… ha sparato contro i suoi fratelli… traditore!".
Sognavi
.
No, mamma non sognavo, ma anche se fosse stato un sogno, perché quelle parole sgorgavano proprio dalla bocca dei soccorritori? Non li ho visti bene, non li riconosco, chi sono? Mamma, per favore, portami via di qui
.
Non posso, Muslim, stai molto male
, disse la mamma piangendo calde lacrime sul capo del poveretto, come faccio? Il chirurgo mi ha detto che domani ti amputerà la gamba
.
Ce ne andammo a testa bassa, incoraggiando Muslim a darsi la forza di superare con coraggio l’intervento, domani».
I membri della commissione esaminatrice rimasero allibiti, specialmente le due signore: «Poveretto», dicevano, «che brutta esperienza, questo povero ragazzo e sua madre, che angoscia».
E il Presidente: «Si è presentato Muslim a sostenere l’esame per essere ammesso alla scuola di Rondine?».
«No, Signore, mio fratello non è qui. La storia non è finita. Il giorno successivo tornammo all’ospedale per assisterlo e per consolarlo dopo l’intervento,