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Le Bianche Ombre: Petalo di Fiamma
Le Bianche Ombre: Petalo di Fiamma
Le Bianche Ombre: Petalo di Fiamma
E-book333 pagine4 ore

Le Bianche Ombre: Petalo di Fiamma

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Info su questo ebook

Può la potenza di un fiore ardere a tal punto da sconfiggere l’oscurità di ceree ombre? Questo si domanda un gruppo di ragazzi che, per ragioni a loro ignote, si troveranno a percorrere un cammino di scoperta e rivelazioni in un mondo fantastico, in cui anche le più elementari concezioni vengono stravolte. Spesso si domandano se ciò che vivono sia solamente una mera allucinazione, un sogno, o se sia tutto reale e concreto. Si desteranno da questo perpetuo sogno dal sapore di incubo, o chiuderanno per sempre gli occhi sul loro passato?
LinguaItaliano
Data di uscita25 gen 2019
ISBN9788832502077
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    Anteprima del libro

    Le Bianche Ombre - Giacomo Venir

    Giacomo Venir

    Le Bianche Ombre

    Petalo Di Fiamma

    UUID: 2ed11e7c-53c2-11e9-9917-bb9721ed696d

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

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    Disclaimer

    Le immagini utilizzate per la realizzazione della copertina sono state estrapolate dal web, e rielaborate per la stessa. Tuttavia è risultato impossibile risalire agli eventuali artisti, in quanto le ricerche delle stesse portano a siti di Wallpapers sui quali non viene citato alcun autore o designer.

    L'autore di questo libro è aperto a qualunque segnalazione che possa risultare utile per risalire ai possessori dei diritti d'autore delle stesse immagini.

    Introduzione

    In molti vedono il fantasy come un genere minore, non in grado di reggere il confronto con le opere della grande letteratura. Vorrei rispondere a queste persone in tal modo: sappiate che ciò di cui noi tutti abbiamo bisogno in questa vita monotona e fin troppo legata all'ordinario, non è una riesposizione in belle parole della vita stessa, ma qualcosa in grado di trasmettere emozioni che superano e varcano i limiti di questo mondo, un qualcosa di forte e travolgente, che sappia prenderci e che sia in grado di farci evadere dalla realtà, molto spesso amara; un qualcosa che possa trasformare i nostri sogni in concretezza nella vita reale. Ho sempre amato e apprezzato la letteratura e la produzione letteraria settecentesca e ottocentesca, e continuo a farlo, e proprio per tale motivo esorto tutti voi, nemici del fantasy, a considerare quello che sto per dirvi: un bel libro, un’avventura coinvolgente e una storia stupenda, non sono le rosee espressioni e le dolci proposizioni ad inverarle, bensì colui che sa raccontarle instillando in noi la voglia di viverle e di riascoltarle all'infinito. La melodia di un meraviglioso racconto non la compone il genio con il suo ingegno, ma il folle con la sua fantasia.

    Con l'ingegno si costruiscono città, con la follia si immaginano mondi. Con l'ingegno si dà vita a civiltà, con la follia si plasmano universi.

    Alla mia famiglia,

    che mi ha donato occhi con cui stupirmi,

    Ai miei amici,

    che mi hanno stravolto la vita,

    E a voi ragazzi,

    che mi avete tenuto compagnia in questa affollata solitudine,

    ripetendomi spesso:

    Sei scrittore e protagonista della tua storia al tempo stesso.

    Prologo - La Caccia

    Egli corse sul sentiero, esortando i suoi compagni a seguirlo. Si mise in ascolto, e dopo poco degli ululati si fecero nuovamente udire, questa volta più distinti e vicini, come il raggio di sole che alla mattina acceca il viso senza sosta e senza remore, nonostante i tentativi di ripararsi dalla sua cocente intensità.

    «Si avvicinano», proseguì respirando affannosamente per la preoccupazione. «Dobbiamo correre: presto!»

    Volarono come forsennati, e nonostante l’ora tarda, le forze non li tradirono, sostenendo la pesante marcia.

    Andarono avanti così per molto tempo, sempre inseguiti dagli agghiaccianti latrati. Fortunatamente il sentiero permise loro di correre senza impedimenti, ma al contempo anche i loro inseguitori erano agevolati.

    L’affanno saliva sempre più, ma tuttavia non cedettero, mentre lontano cominciava a delinearsi la forma di un ponte. Ma il branco incalzava furiosamente, e non impiegò molto ad emergere dalla vegetazione come una gigantesca creatura che affiora dalle profondità dell’oceano. Da ogni albero sul lato del sentiero sbucava una di quelle belve, che andava ad aggiungersi all'enorme massa grigia, bianca e nera, la quale simultaneamente si muoveva nella notte. Per la compagnia non c’era scampo.

    Le fiere erano ormai vicinissime: in breve i fuggitivi avrebbero sentito il loro alito sulle gambe. Tuttavia, a questo punto erano al cavalcavia, lungo e ghiaioso. Salirono sull'arco di roccia e lo ridiscesero in un solo fiato. Colui che conduceva la marcia, all'insaputa di tutti, si bloccò a metà, e voltandosi estrasse la spada, mettendosi saldamente di fronte all'imbocco del ponte, pronto a resistere.

    Gli altri, accortisi della cosa, si fermarono e tornarono a pregarlo di seguirli. Ma lui li respinse, e con tono perentorio li costrinse all'ubbidienza.

    Così, con le lacrime che laceravano loro il viso durante la folle corsa, gli amici dovettero darsi alla fuga. La pena fu indescrivibile, i loro cuori si fecero gravi, tutt'intorno il mondo sembrava spegnersi, sbiadendo lentamente, ed i loro sensi si annebbiarono. L’udito era turato dai troppi rumori che la mente stessa metteva nell'aria, e i passi erano appesantiti da un onere indescrivibile, mentre il terreno sembrava scuotersi.

    Ad un certo punto, una di loro venne azzannata a una gamba, e crollò a terra sotto una di quelle enormi furie. Subito gli amici si adoperarono per salvarla. In breve, ella fu fuori pericolo, e dopo essere stata prontamente fasciata, venne rimessa in piedi. Ma adesso non potevano più correre, poiché la poveretta zoppicava, e così, vedendo che era impossibile procedere, si fermarono, preparandosi alla difesa. Furono bruciati vari fasci di rami, nel tentativo di creare una sorta di anello di fuoco.

    Ma in poco tempo il calore si fece insostenibile, e il fumo li stava asfissiando, imprigionati com'erano nella loro stessa gabbia, che si tramutò in un mortale muro di fiamme e fumo. In breve sarebbero morti soffocati, e se le fiamme non avessero iniziato ad estinguersi, avrebbero perso conoscenza, e senza nemmeno accorgersene, la vita stessa.

    Per quanto l’animo possa reggere di fronte alle avversità, la forza del braccio spesso prevale, e mentre il fuoco perdeva lentamente vigore, come una belva ferita a morte, la stessa energia che animava il cuore degli amici si affievoliva con esso.

    Il branco non indietreggiava di un passo, e non appena si aprì un piccolo varco, i più audaci saltarono dentro, bruciandosi però con le braci ancora ardenti. Continuavano a trovare varchi, e la difesa si fece penosamente ardua.

    Proprio quando ormai tutto sembrava perduto, uno di loro, ferito ad un polpaccio, disse:

    «Ragazzi, sono contento di morire così, accanto a voi, combattendo fino allo stremo per difendere le nostre vite. Ho sempre desiderato di lottare come i guerrieri dei miei libri, e adesso ecco che muoio come uno di loro, con le persone migliori di questo mondo e dell’altro».

    I suoi amici gli sorrisero. Certo, non erano visi felici e gioiosi, ma nella loro amarezza recavano i migliori propositi che in una simile occasione si potessero desiderare.

    Erano proprio quelli i momenti in cui ogni amarezza si estingueva, in cui i pesanti ricordi svanivano rinforzando lo spirito, e in cui il gruppo si sentiva lontano da ogni rimorso, appeso a un sottilissimo filo di delicato lino, preferendo cadere tutti insieme, piuttosto che lasciar precipitare nel baratro ciò che davvero dava loro la forza di reggersi.

    Ma purtroppo, senza aiuti e con le membra ormai fiaccate, resistere oltre non sembrava più possibile, ed in breve sarebbero crollati, spezzati e lacerati dagli artigli di quelle belve. Non appena il cerchio di fuoco e fiamme si estinse, ogni speranza, seppur fragile, venne a mancare, svanendo del tutto.

    Parte I

    1 La festa

    Una calda mattina d’ottobre; ebbene sì, è qui che inizia la mia storia. Strana mattina quella, davvero. Vedendo la cupa coltre di nubi fuori dalla finestra, decisi di indossare abiti lunghi e pesanti, ma quando il mio amico Dagnor (i nomi qui riportati sono quelli con i quali, in seguito all'acquisizione di particolari doti, venimmo chiamati e ci chiamiamo tutt'ora, e per tale motivo non saranno mai utilizzati quelli originari) mi fece una chiamata, dicendomi che avremmo mangiato all'aperto e aggiungendo che lui era vestito con abiti leggeri, dovetti cambiare idea, e insieme ad essa, i vestiti. Molto strana quella mattina, mi sto ripetendo, è vero, ma un’aria di mistero aleggiava nel calore e nella bellezza del mattino. Vestitomi, e preso tutto l’occorrente per la festa, chiamai mia madre, e uscimmo di casa. Abitando poco distante dall'abitazione del festeggiato, arrivai in breve tempo alla meta. Quasi dimenticavo, era proprio Dagnor, il mio migliore amico, il festeggiato.

    Non mi sono ancora presentato, ma sappiate che non vi dirò il mio vero nome: ricordatemi come Gimrion, capelli castani e occhi marroni tendenti al verde, alto di statura e d’indole calma e tranquilla. Come sono dentro? Scopritelo voi, leggendo questo racconto, tenendo conto non solo di ciò che troverete scritto su di me, ma di chi cercherò di far essere voi.

    2 La paura dei parenti

    Fu bizzarro l’arrivo in casa del mio amico: essendo la sua festa, mi aspettavo folle di parenti che ricoprivano uno a uno i centimetri calpestabili dell’abitazione, non lasciandomi respiro. Invece no, nessuno. Solo il solito giardino, con quelle sue piante e i suoi alberi, i suoi fiori e i suoi profumi di sempre; insomma, qualcosa non tornava. Possibile che fossi il primo arrivato? No, fuori discussione, il parentado era interamente in casa, pronto, in agguato nella tana, ed io, sola preda, mi sarei dovuto introdurre nel covo del nemico. Il terrore saliva, ma durò quel poco che bastava per attraversare i primi fili d’erba del prato, poiché fu Dafne, la fidanzata del festeggiato, a venirmi incontro e a salutarmi, facendomi render conto di come effettivamente la casa, per il momento, fosse occupata solamente dai suoi residenti di sempre. Ciò mi confortò grandemente: potevo attendere il lupo in casa sua!

    3 Le nuove conoscenze

    Salutata la famiglia e il festeggiato, aiutai a concludere le preparazioni per il pranzo: tovaglie, sedie, bicchieri, posate; insomma, tutto l’occorrente fu messo a disposizione e a uso dei convitati e degli ospitanti. Adesso mancava la larga parentela, partendo dai cugini fino ad arrivare agli zii; si attendeva con ansia – molto grande per me – il loro arrivo.

    Devo ammettere che non ricordo molto bene quale fu l’ordine con il quale si presentarono, ma se non vado errato, furono gli zii e le due cugine di Dagnor a far breccia per primi nella mia timidezza, e forse proprio la loro allegria e la loro simpatia riuscirono a distrarmi dal resto dei parenti.

    Così conobbi queste due fanciulle, Gliungal e Findeilas, entrambe dai capelli bruni, occhi marroni, di simile altezza, molto vicine a me in età e tra di loro: la prima più grande di me e della sorella, l’altra poco più piccola, entrambe aggraziate, di piacente vista e di gentil fattezze, divertenti, socievoli, cordiali, e con vivaci e sensibili modi di fare.

    La prima impressione che mi fecero fu molto buona, e conoscendole più a fondo, non mutai opinione, bensì non potei che renderla migliore.

    Di altri personaggi si parlerà in questa storia, e faranno la loro apparizione durante lo svolgimento di essa, ma se adesso ancora non vengono menzionati, è perché ritengo più saggio lasciare un velo di tenebra, su coloro che in seguito porteranno la luce. Per adesso ricordate Lumar e Karedel: la prima una ragazza sui 15, 16 anni, pelle bianchissima, chiusa nell'ignoto, distaccata dalle relazioni e dai dialoghi mondani, dai capelli dorati e gli occhi blu mare, con un particolare interesse per le illusioni e le magie (delle quali in quei giorni mi dilettavo); il secondo è un cugino alla lontana di Dagnor, un tipo stravagante, piuttosto vivace e sognatore, ottimista e positivo, pelle scura, capelli neri e corti, morbidi e riccioluti, naso grassottello e leggermente schiacciato, di circa 14 anni, forse un po’ avventato e burlone, ma di buon animo.

    Così, arrivati tutti i parenti invitati, ebbe inizio il pranzo…

    4 Dagnor

    Tranquilli, non mi sono dimenticato di descrivere Dagnor, tenevo solamente in serbo le parole per dedicarmici meglio. Dagnor, un ragazzo della mia stessa età, spensierato e forse non molto dedito allo studio, ma che segue le passioni pervicacemente. I suoi capelli, non molto lunghi e scurissimi, accrescono la loro densa e forte colorazione ricadendo raramente sulle foltissime sopracciglia, ed i suoi occhi di un marrone vivo donano un’intensa vivacità al suo viso tondeggiante. Non troppo alto, massiccio, spesso avventato, una persona che non si fa problemi a mettersi in mezzo ai pasticci, di animo forte, temprato dalle esperienze, dal carattere solido. Ciò che più risalta nel suo essere è la sua sincerità e benevolenza nei confronti degli altri. È quell’amico al quale puoi dire tutto e sentirtene soddisfatto, oppure tacere ed esserne in egual modo pago.

    Insomma, credo che basti per farvi comprendere quanto tenga a lui. Riguardo alla sua fidanzata, sappiate che non la conosco nel profondo, ma è una persona amabile, chiara e aperta, direi la perfetta armonia per Dagnor.

    5 Il pranzo e il gioco

    Pranzammo abbondantemente, saziandoci oltre il dovuto. Il tutto fu accompagnato dall'allegria e dalle battute che si tennero durante i dialoghi, alternati da momenti di imbarazzante silenzio. Tutto proseguì per il meglio, e poco prima del termine del nostro desinare, su decisione mia e di Dagnor, presi delle carte, con le quali cercai di stupire e intrattenere i miei nuovi amici. Non tutti furono rapiti da quel magico momento, ma non per questo mi scoraggiai, trovando in Lumar una perfetta spettatrice per i miei giochi. Successivamente, su scelta comune, ci spostammo a fare due chiacchiere nel piano più basso della casa, dove divani e poltrone accolsero la nostra stanchezza dovuta al grande pranzo. Gli adulti restarono a tavola.

    Fu piacevole quel tempo passato a giocherellare e a lasciarsi andare allo scherzo. Poco dopo, Dafne dovette tornare a casa. Era quasi sera.

    6 La sensazione

    Spero non vi siate dimenticati del mio strano sentore del mattino, poiché mi tornò addosso come un’onda che si infrange sugli scogli. Restai un attimo scosso e notai che tutto intorno a me si faceva buio, grigio, cupo. Pensai fossi sul punto di perdere i sensi, mi sentivo stordito, nauseato, mi calava la vista, sentivo freddo, e infine caddi a terra. Non so dirvi cosa mi portò ad una sincope così improvvisa, ma non persi del tutto conoscenza, e dopo qualche secondo ero nuovamente in piedi. I miei amici, che assistettero esterrefatti alla scena, mi aiutarono a riprendermi, e mi chiesero spiegazioni. Mi giustificai, dicendo di essere inciampato, ma notai che fui poco creduto. Non riuscivo a levarmi di dosso quello che sembrava essere un presentimento, una sensazione che mi stava schiacciando, e la paura di essere preso in giro, nello spiegare cosa avessi, mi bloccava ancora di più. Purtroppo, poco dopo, quella vaga percezione di paura si sarebbe tramutata in reale terrore, non solo per me, ma per tutta la mia comitiva.

    7 Il primo spavento

    Era quasi ora di cena, e in breve ci saremmo tutti quanti recati alle rispettive case. Ma qualcosa di inaspettato accadde: la luce se ne andò, e stridii agghiaccianti riecheggiarono per tutta la casa, accompagnati da un fragore assordante; sembrava che tutto stesse per cadere a pezzi. Rimanemmo immobili e ci guardammo nei nostri volti sbiancati, resi ancor più cerei dal pallore dei flebili raggi di luna, chiedendoci cosa mai potesse essere accaduto. Grazie a quella poca luce lunare che entrava nella stanza, riuscimmo a trovare le scale che conducevano al pian terreno, dove speravamo di ricevere spiegazioni – e soprattutto conforto – per ciò che era appena accaduto, dato che tutte le persone presenti all'evento, eccetto me, Dagnor, Gliungal, Findeilas, Karedel e Lumar, erano restate di sopra durante i nostri svaghi, e il coraggio che cercavamo di infonderci era davvero poco.

    Quello che trovammo fu tale, che sarei tentato di dire che lo spavento appena vissuto era da considerarsi una bazzecola.

    8 La terribile rivelazione

    Fu un attimo accorgersi della completa assenza di persone nel salotto, dato che nessuna voce rispondeva ai nostri richiami, i quali si perdevano in un silenzio tombale che ci stringeva i cuori sempre di più. Un’altra sorpresa ci attendeva: la porta d’ingresso era completamente sbarrata da un disordine di mobili ribaltati, mentre quelle che davano al bagno, alla cucina, e quella dalla quale eravamo appena passati, erano graffiate o demolite. L’unica cosa intatta nel salotto era il grande finestrone di vetro che dava sul giardino. L’arredamento in parte si era conservato, mentre in alcuni punti aveva assunto forme e caratteristiche di una capanna di montagna. Eravamo incastrati in quel luogo, non essendo cosa utile scendere nuovamente. L’unica via ancora percorribile era quella che portava al piano più alto dell’abitazione. Ma con quale coraggio ci saremmo portati ancora avanti, se non riuscivamo nemmeno a sentire più le gambe, ormai perse anch'esse nel terrore del momento?

    Fu la forza d’animo di Gliungal a riportare un po’ d’ordine nel grande caos dei nostri pensieri. Ci fece rendere conto che restare lì impalati, mentre le tenebre continuavano a calare, sarebbe stato di scarsa utilità, perciò ci recammo alla finestra, così da cercare di capire il motivo di tutto quel trambusto. Riuscimmo a distinguere quelle poche cose che ci fecero comprendere un radicale cambiamento nel paesaggio fuori della casa: eravamo intrappolati in uno scenario assurdo, dove il nostro mondo, con il suo progresso, aveva lasciato posto ad una landa desolata, che poi si sarebbe rivelata parte di una realtà dove vigevano le vecchie regole della natura. Come se non bastasse, ci rendemmo conto dell’assenza dei nostri cellulari, persi o scomparsi che fossero, e gli altri apparecchi elettronici della casa che rinvenimmo erano ormai inutilizzabili. L’ombra di un mantello guizzò per un attimo fuori nell'oscurità, e tosto svanì nel nulla dal quale sembrava provenire. Non riuscimmo a spiegarci il perché di tali fatti, e inoltre, per via delle tenebre e del terrore che esse ci infondevano, distinguere gli oggetti era davvero difficile. Avevamo paura che da un momento all'altro vestiti e pavimento si sarebbero volatilizzati a loro volta. Fortunatamente nulla di tutto ciò accadde, e così, ritrovandoci nel buio, salimmo le scale per il piano superiore.

    9 La decisione

    Il poco coraggio che si prova in certi momenti è davvero imbarazzante. Nonostante tutto, fui il secondo a mettere piede sul pavimento dell’ultimo piano, preceduto da Gliungal, che continuava a mostrare grandissima fermezza e lucidità, seguito da Karedel, Findeilas, Lumar, e infine Dagnor, che chiudeva la fila. Una nuova sorpresa ci attese quando cercammo le porte delle camere a tentoni: come al piano inferiore, anch'esse erano inutilizzabili o sfasciate. Bisognava organizzarsi, o le possibilità di sopravvivere sarebbero svanite in breve: dovevamo cercare di rompere il vetro del salotto, il nostro ultimo accesso per l’esterno, e infine avremmo dovuto chiamare aiuto, o altrimenti ci saremmo dovuti mettere alla ricerca di qualcosa che ci avrebbe dato modo di resistere ancora un po’. Non so bene cosa mi dette forza e risolutezza, ma in quel preciso istante ritrovai me stesso e, senza tante chiacchiere, riuscii a convincere i miei amici che sarebbe stato meglio se fossi andato io da solo al di fuori della casa, poiché non sapevamo cosa potesse attenderci all'esterno. Ma fu cosa di un attimo.

    Appena stavo per prendere le scale, fui afferrato ad una spalla e gettato a terra. Non feci nemmeno in tempo a rendermi conto dell’accaduto, che Dagnor già era arrivato in fondo alla gradinata, e mentre mi rialzavo, un infrangersi di vetri ruppe il silenzio. Fu più il timore di non trovare il mio amico se mi fossi messo a rincorrerlo, che la paura stessa di uscire, che mi fece restare.

    La notte sembrava interminabile, la fame e la sete mi fecero dormire ben poco. Accompagnato a tutto questo, vi era anche la scomoda posizione nella quale ci trovavamo, stando rannicchiati in terra sull'umido pavimento del corridoio del piano superiore, dove cercavamo di riposare.

    Un soffio di gelido vento si alternava al calore causato dalla paura e dalla strana situazione, e non smetteva di raggelarmi il sangue.

    10 Grandi cambiamenti e nuove iniziative

    Quando il primo fioco raggio di sole attraversò la vetrata infranta, e quando il tepore della mattina si infuse nel mio animo, scesi di corsa le scale, e spinto da una fortissima curiosità, uscii all'esterno. Le ossa e tutti i muscoli mi dolevano fortemente, e per la prima volta in vita mia sperimentai la sofferenza che si prova in seguito ad aver dormito completamente distesi a terra. Un grande cambiamento mi circondava: tutte le ville che prima ricoprivano i lati della strada erano state sostituite dalla vegetazione, composta non da alberi verdi e rigogliosi, non da fiori e cespugli colorati, bensì da rocce, sterpi e arbusti secchi, l’erba era nera, bruciacchiata, i tronchi dei grandi alberi tagliati o escoriati. Una vera e propria landa desolata. Feci il giro della casa e alla mia vista si offriva sempre il medesimo spettacolo. Intravidi in lontananza accenni di una foresta e di un alto picco montuoso. Pensai che il mio amico si fosse incamminato verso il bosco, per cercarvi qualcuno ancora vivo o del cibo, ricorrendo alla caccia se necessario, anche se dubitavo fortemente delle sue abilità in tale arte.

    Mi ricordai infine dei miei quattro compagni ancora dormienti nella casa, perciò, ormai abbastanza calmo, salii nella camera, li svegliai, e cercai brevemente di descrivere loro il cambiamento avvenuto al di fuori, esortandoli a uscire.

    Dopo qualche minuto di attenta analisi dello scenario e dell’aspetto spoglio della natura circostante, i miei amici tornarono davanti all'entrata della casa dove io mi trovavo e, dato che l’aria aperta e la luce erano maggiormente sinonimi di felicità e freschezza rispetto al buio della stanza, restammo lì davanti, seduti per terra o su pietre, pensando al da farsi. Per prima cosa bisognava dedicarsi alla ricerca di Dagnor e del cibo. Avventurarsi qua e là avrebbe significato dividersi nuovamente, perciò si propose di prepararsi ad un’estrema – ma forse necessaria – scelta: nel malaugurato caso in cui Dagnor non avesse fatto ritorno, avremmo dovuto prendere noi la via, e incamminarci alla ricerca della salvezza, o della morte.

    Così attendemmo ansiosamente che qualcosa smuovesse quella calma e quel silenzio che terrorizzavano e appesantivano i nostri cuori.

    11 La speranza

    Dalla posizione del sole cercammo di determinare l’orario: doveva essere mezzogiorno, dato che i raggi solari scendevano perpendicolarmente sul terreno. La sete e la fame ci stavano spossando. La nostra situazione era davvero penosa, ma cercare riparo nella casa era l’ultimo dei nostri pensieri.

    Fu come uno scalpiccio lontano che ci smosse dalla nostra assenza e, guardando prima a destra, poi a sinistra, scorgemmo una forma nella lontananza del paesaggio, di distinguibile aspetto umano, provenire dalla foresta. Il nostro primo pensiero fu " Dagnor !", ma dato che la distanza non permetteva di discernere il volto della figura, ipotizzammo che poteva trattarsi di una qualunque altra persona (o peggio).

    Furono attimi di tensione. Il calore del sole sembrava nulla rispetto al feroce inferno che infuriava nelle nostre menti, lasciandoci tutti in piedi, ad occhi spalancati e con le mani adagiate sul volto, in attesa che il destino si compisse. La mia fronte bruciava, le braccia e il collo mi tremavano, ed il mio viso era imperlato di un secco sudore. Ma non sempre, dopo lunghi attimi in cui lo scudo della speranza tende a cedere sotto i colpi del martello del terrore, segue qualcosa di tragico. Difatti, la voce lontana e distinguibile del nostro amico ci fece finalmente tornare a respirare, lasciando un minimo di sollievo ai nostri spiriti.

    Un Ce l’ho fatta fu accolto con grande gioia da tutti, quando egli si presentò con due bisacce piene d’acqua e cibo. Il suo abbigliamento era del tutto cambiato: portava un pantalone di cuoio e una casacca nera con sotto un grigio straccio bucato a mo’ di maglietta; due calzari marroni completavano il suo mutamento da persona moderna a perfetto uomo dei tempi passati. Ci disse che sentiva un prurito corrergli lungo tutto il corpo, ed era dalla mattina che si grattava come un cane con le pulci. Tuttavia, era molto felice di aver ricevuto quel dono, amante come me di tutto ciò che riportava ad un passato lontano e misterioso.

    La prima cosa che prendemmo di mira, nonostante questi suoi strani abiti, fu il cibo, e a seguire, l’acqua. Rifocillatici, cominciammo a porgli delle domande e, dopo esserci seduti, ascoltammo con

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