Vaghezza nel soffio vitale
Di Mariano Orrù
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Anteprima del libro
Vaghezza nel soffio vitale - Mariano Orrù
Manuela...
Ai miei tre angeli:
Tenetemi a mente,
sia sempre presente
l'amore vivo e fervente.
...Mariano
Carruba Manna
Lembo di terra arsa e cumulo di pietre levigate disteso sul lieve scorrere di acque torbide, un tempo pure e color del cielo.
Con il suo piccolo promontorio a guardia della piana, alle acque pluviali tempestose e alla furia rotolante delle pietre poneva fine.
D'essere scossa in profondità e scomporre il suo destino non lo ha mai concesso.
Solo al piccolo aratro della bestia da soma, la superficie si donava allora come ad una dolce carezza, in cambio di splendide dorate e irte spighe.
A ponente, l'incantevole radioso tramonto che incornicia da lunghi secoli la roccaforte dei signori della Gherardesca, all'apice della collina rocciosa e fortificata.
I raggi, per pochi attimi, passano attraverso le feritoie regalando alla vista un fenomeno di straordinaria bellezza.
Col calare sereno della notte s'impregna l'aria di un aroma silvestre e l'argento della luna si riflette sulle pietre, testimoni inerti del fluire del tempo.
Vegetazione, scroscio d'acqua, richiami di animali notturni, tutto in un’unica dimensione, spingono la mente come per incanto a viaggiare a ritroso nella notte dei tempi.
Quanti occhi avranno osservato da quel promontorio la vallata lussureggiante, non addomesticata alla rapacità dell'uomo evoluto?
Tutto è intimo in quell'angolo apparentemente desolato, protettivo per la sua collocazione.
La notte non crea disagio o paura... infonde serenità dell'animo tutt'uno con l'universo.
Il giorno confonde, non lascia intravedere, tutto muta.
Aspetto al calar del sole l'arrivo delle tenebre, con predizione di potervi un giorno riposare per l'eternità.
L'Oblio
La calura e il vento di scirocco rendevano l'aria umida, afosa e carica di iodio irrespirabile facilitando il proliferare in modo veloce di larve di insetti piccolissimi (moscerini) che pizzicavano ovunque non si fosse coperti. Una sofferenza unica.
Era l'ora della siesta, impossibile sviluppare lavoro nei campi.
Pastori e contadini si concedevano un paio d'ore di riposo, finché la calura non dava tregua.
Nella maggior parte delle case, costruite in mattoni crudi e con il tetto di canne con sopra le tegole, un’ottima combinazione per un clima così ostile, ci si riposava tranquilli.
Ma... quelle ore di riposo erano per gli adulti, il riposo non era condiviso dai ragazzi, avendo un fiume a pochi passi dal paese, un eden con tanta vegetazione e odorose erbe aromatiche e oleandri al vento con fiori multicolori, con un'acqua fresca e cristallina dove tuffarsi e liberarsi dal tedio e dai maledettissimi moscerini.
I nostri genitori cercavano di proibirci di andare poiché ad ogni stagione qualcuno ci lasciava la pelle in quel fiume, benedetto o maledetto che esso fosse.
Obbligati a letto, aspettavamo i primi suoni emessi da un sonno pesante e profondo e, quatti quatti, raggiungevamo la via del fiume.
Scalzi, non pensavamo manco agli arbusti spinosi lungo il sentiero, una baraonda umana a ristorarsi e a scaricare entusiasmo, stress, rabbia (e qualcos'altro che poi veniva a galla) per quella calura che ci condannava al rischio che si verificassero incidenti o tante botte.
Al rientro, che non sempre avveniva prima della sveglia dei nostri genitori, scattavano le bugie ma bastava strisciare un'unghia sulle nostre braccia per capire. Stando a bagnomaria nell'acqua dolce per un po' la striscia veniva bianca, inconfutabile, e arrivavano le sberle.
Ma era più forte la voglia di refrigerio, le sberle le dimenticavi subito.
Il punto di ritrovo, una piazzetta del quartiere ai confini del paese, cementata, con un pozzo coperto ed una lunghissima vasca alta circa 60 cm che serviva ad abbeverare gli animali la sera dopo il pascolo: a orde si rifocillavano per poi tornarci la mattina dopo.
All'ombra di alcuni alberi venivano prese le decisioni e calcolati i tempi di sollazzo nel fiume.
Due fratelli, nostri amici, non partecipavano mai, vinti dalla troppa paura dei genitori e ne avevano le ragioni.
A furia di insistere, un giorno si lasciarono trascinare.
Erano felici e si stavano divertendo, da tanto lo desideravano, era una gioia immensa ma, ad un certo punto, un urlo... Ziu Luigi! Loro, presi dal gioco, non capirono fosse loro padre con in mano una cinghia in pelle da far paura.
Abbrancati di sorpresa, li riportò a casa a cinghiate per tutto il tragitto.
Presi dallo sconforto e provando un senso di colpa, rientrammo tristemente alle nostre case.
E sì che quella cinghia era giustificata: il fratello maggiore di Ziu Luigi, Efisio, amico fraterno di mio padre, morì affogato in quel fiume da giovanissimo, pur essendo un bravo nuotatore.
L'erba acquatica cresciuta sul fondale non s'intravedeva e ci restò impigliato, più cercava di liberarsi e più ne rimaneva avvolto; giunta la stanchezza cominciò ad entrare acqua nei polmoni e annegò, ora quel punto del fiume ha il suo nome, come tante altre parti ne hanno altri.
Questo non ci impediva comunque di tornarci.
Fatti i calcoli, un giorno non stavamo nei tempi per colpa dei ritardatari.
Ci restava l'ombra degli alberi, poi qualcuno notò la lunghissima vasca piena e il sole che rifletteva da quanto era pulita l'acqua.
Il responsabile comunale, un signore di una certa età, aveva l'obbligo di tenerla pulita dal limo con controlli continui. Abitava proprio di fronte e a nessuno concedeva di toccarla o farci nient’altro che non fosse l'abbeveraggio di animali.
Ma quel giorno, dannato che sia, troppo invitante, una sbirciata intorno, bastò uno sguardo, un fulmineo controllo nel cortile di Ziu Concu
e via!
Tutti dentro la vasca a goderci il refrigerio, in silenzio tombale, non parve vero come tutto procedesse senza pericoli.
Si decise di gareggiare, nuotare sott'acqua per tutta la lunghezza, sempre stando attenti a non provocare rumori.
Venne il mio turno, mi tuffai e vidi in lontananza la fine, nessuno era riuscito ad arrivare all'altro lato.
Ci misi l'anima e tutto il resto, la testa cominciò a girare quando arrivai con le mani al bordo opposto... avevo vinto.... battuto tutti, mi alzai con il capogiro ma per la contentezza gridai: Campione del mondo, campione del mondo!!!
, mi strofinai gli occhi cercando di riprendermi ma non c'era più nessuno; dei forti colpi alla schiena e un dolore atroce...Ziu Concu!
Mi batteva come un tamburo, gli altri erano riusciti a scappare, mentre cercavo di uscire e scappare via, riuscì a colpirmi con un bel paio di pugni sempre alla schiena.
Occhi semichiusi, sempre zigomi rossi, che sembravano scoppiare da un momento all'altro, pelato, due labbra pendenti, un vero mostro, dicevano che la mattina, invece di inzuppare il pane nel latte lo inzuppasse nel vino. Per questo era temuto ancora di più.
Liberato, essendo più veloce, rientrai a casa, mi misi a letto e lì il dolore si fece sentire, dovevo trattenere la sofferenza per non correre altri rischi.
La sera, al fresco, la piazza diventava un parco giochi, persone di tutte le età, dopo cena, prendevano posto per respirare un po' d'aria fresca.
Quella sera non presi parte ai giochi, i dolori non mi permettevano liberi movimenti, Ziu Concu
aveva colpito forte per il mio esile fisico.
Certe situazioni è come se fossero scritte da qualche parte che debbono accadere, la vita è sempre piena di sorprese sgradevoli e gradevoli ed io, in un giorno, le testai entrambe.
Mi ritrovai seduto sulla panchina fianco a fianco alla moglie di Ziu Concu,
che inaspettatamente mi chiese perché non giocavo con gli altri.
Le lacrime scesero senza che il viso accennasse ad alcuna smorfia, impensierita mi chiese il perché; trattenendo i singhiozzi e provando un po' di vergogna, nascosto