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Forte come il mare
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E-book145 pagine2 ore

Forte come il mare

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Romance - romanzo (116 pagine) - Lo sai chi era veramente Melusine? Era una maga di cui si era innamorato un mortale. Il poveretto ha fatto una brutta fine, ma io sono diverso, non sarai tu a divorarmi, te l'assicuro...


Cornovaglia, 1700.

Melusine vive nella locanda dello zio Abel, un ex contrabbandiere che ora fa il doppio gioco, e di sua zia Conwenna, una donna fragile e senza carattere. La ragazza vorrebbe andarsene da una casa dove sente di non essere niente più che una serva, ma i pochi soldi e i miseri gioielli che la madre le ha lasciato non sono sufficienti per andare da nessuna parte.

Una notte, durante una delle sue passeggiate, incontra Ryol Seznec, figlio bastardo di un lord e di una bretone venuta chissà da dove, che fa il contrabbandiere per ribellione e per far tacere i fantasmi di un passato arido e privo di amore.

Ryol è un uomo duro, che non cede ai sentimenti e alle emozioni, eppure Melusine gli resta nel cuore, pur non fidandosi di lei.

Melusine è una donna innamorata, testarda e passionale, certa che Ryol sia l’unico uomo che lei possa amare, contro tutto e tutti, soprattutto contro lui stesso.

Questa è la storia di un amore impossibile. Eppure invincibile e forte.

Forte come il mare.


Nata a Trieste, Elena Vesnaver lavora come attrice per più di 20 anni e scrive adattamenti e testi teatrali. Dal 2004 si dedica esclusivamente alla scrittura, esplorando diversi generi letterari.

Tra i suoi ultimi libri, Le ragioni dell’inverno (A.Car ed.) e Il segreto della dire (Coccole Books). Collabora alla rivista Confidenze dal 2009 con romanzi e racconti.

Per Delos Digital ha pubblicato nelle collane Sherlockiana, Senza sfumature, History Crime e Passioni romantiche. È curatrice della collana Odissea Romantica.

Con il racconto La ragazza di via Sette fontane ha vinto il Premio Scerbanenco@Lignano (2015) e con Tutti mi chiamano bionda la prima edizione del Premio Verbania for Women (2016).

LinguaItaliano
Data di uscita14 feb 2017
ISBN9788825401066
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    Anteprima del libro

    Forte come il mare - Elena Vesnaver

    9788865309223

    1.

    Cornovaglia, 1700

    Il gabbiano si buttò vorace sugli scarti di pesce che la ragazza gli aveva lanciato con mano sicura, dopo averli recuperati da un secchio. Il grande uccello fece un largo giro sopra alla testa della sua benefattrice, poi andò ad appollaiarsi qualche metro più in là, su una roccia a strapiombo sul mare e la guardò attento, con occhio rapace e cattivo.

    – Ne hai avuto abbastanza per oggi, vecchio pigro – rise lei, per niente intimidita. – Vattene a pescare per conto tuo.

    L’uccello continuò a osservare per un pezzo la ragazza che si allontanava nella brughiera, poi si stancò, spalancò le ali e si tuffò nella nebbia che si levava dal mare e che il vento stracciava, come se fosse stata una enorme ragnatela.

    Melusine si strinse nello scialle scolorito e rattoppato. Aveva freddo, ma nessuna voglia di tornare a casa, così si sedette su un masso reso scabro dalle tempeste e rimase a fissare l’orizzonte che andava scurendosi sempre di più, promettendo pioggia e temperature rigide.

    A Melusine la brughiera piaceva. Le piacevano le distese di erica, i pochi arbusti, il mare prepotente e le rovine abbandonate degli antichi; da piccola passava intere giornate a vagabondare in giro, arrampicandosi lungo i dirupi e mangiando il pane che riusciva a rubare in cucina insieme a qualche bacca che lo speziale le aveva insegnato a riconoscere. Sorrise al ricordo dell’uomo, con solo una manciata di denti in bocca ma con un cuore grande e generoso, che aveva in qualche modo reso meno triste la sua infanzia abbandonata.

    Con un sospiro riprese la strada per tornare a casa, non aveva più scuse per ritardare, era uscita senza dire niente a nessuno e non le andava di dover ascoltare i rimproveri dello zio Abel; con un po’ di fortuna ce l’avrebbe fatta a scivolare nel pollaio senza che né lui, né altri si accorgessero di quanto era stata via.

    Dopo un po’ apparve il sentiero di terra battuta che aveva abbandonato per avventurarsi verso il mare e se si guardava con attenzione, in fondo al viottolo cominciava a vedersi il tetto scurito dalle intemperie de Il Cinghiale d’oro, l’unica casa che Melusine avesse mai conosciuto in vent’anni di vita.

    La ragazza allungò il passo e aguzzò la vista; se zio Abel fosse stato ad aspettarla sulla porta, avrebbe potuto sempre girare al largo dall’entrata principale per sgattaiolare attraverso il cortile posteriore, ma la sola cosa che vide fu una figura di donna infagottata che le faceva cenno di sbrigarsi.

    Suo malgrado Melusine sentì i polmoni svuotarsi per il sollievo.

    – Ma dove eri finita? – le chiese ansando la zia, non appena la raggiunse. – E se zio Abel ti cercava?

    – Lo ha fatto?

    – È uscito presto stamattina per andare a Tintagel e non è ancora tornato.

    – Perché ti preoccupi, allora – fece spallucce Melusine, – adesso sono qui.

    Conwenna le spalancò gli occhi spaventati in faccia e un po’ tirandola, un po’ precedendola, la guidò verso la taverna. Quasi senza accorgersene, la ragazza allungò il passo, non per paura di zio Abel, ma per non far preoccupare troppo la povera zia Conwenna che, fino a quel momento della sua vita, ne aveva viste fin troppe.

    La mamma le aveva raccontato che da giovane Conwenna era stata la più bella ragazza di quell’angolo di Cornovaglia e che aveva avuto un sacco di corteggiatori, anche gente importante, come un commerciante di Londra che era arrivato con una nave da carico e avrebbe voluto sposarla subito e portarla a casa sua.

    Ma Conwenna aveva la testolina volubile di un passero e aveva preferito continuare a civettare con tutti gli uomini dei dintorni, finché non era apparso Abel e lei gli si era consegnata totalmente, diventando l’ombra pallida e irriconoscibile di quello che era stata.

    Era una cosa stupida, pensava spesso Melusine, lei non avrebbe mai permesso che un uomo la riducesse in quelle condizioni, sicuramente non un uomo rozzo e stupido come suo zio e considerando i clienti che frequentavano la locanda, Melusine si era convinta che tutti gli uomini fossero fatti in quel modo, con qualche variante di poco conto, forse; magari il vicario era diverso, ma aveva sessant’anni, non era sposato e l’argomento preferito dei suoi lunghi e noiosi discorsi verteva sempre sulle prediche che dispensava ai parrocchiani assonnati la domenica mattina.

    Terminando i suoi ragionamenti con una seconda scrollata di spalle, Melusine entrò nella sala di mescita e si sentì avvolgere da un calore confortevole.

    Il Cinghiale d’oro era la miglior taverna della costa, o almeno era quello che diceva il proprietario. Melusine ne dubitava, ma doveva ammettere che il cibo semplice e saporito, la possibilità di bere un buon tè caldo e una giovanissima serva che dava una mano a servire gli avventori, rendevano il locale se non elegante, almeno accogliente. Che poi, dopo una certa ora, venissero tirati fuori dalla cantina liquori di contrabbando e i clienti non fossero più viaggiatori di passaggio e commercianti, ma gente che era meglio non incontrare in un vicolo buio, poco importava, non tutti lo sapevano e chi lo sapeva, stava zitto. Il contrabbando, su quelle coste, era un’abitudine consolidata e non scandalizzava nessuno, a parte il vicario, che ogni settimana tuonava dal suo pulpito e la madre di Melusine, che coltivava con passione l’odio per i contrabbandieri che, secondo lei, erano i principali colpevoli della morte del giovane marito.

    – Ehi, ragazza, è da ore che aspetto qualcosa da mangiare!

    L’uomo, un tipo robusto e volgare che odorava di cavallo, le aveva afferrato il braccio e glielo stringeva senza complimenti.

    – Vi faccio portare subito il meglio che abbiamo nella dispensa, signore, non preoccupatevi – Melusine gli scoccò un sorriso che lo distrasse quel tanto che bastava per permetterle di liberarsi e rifugiarsi rapida in cucina.

    – Dov’è Lucy? – chiese, cercando con lo sguardo la servetta. – Là fuori qualcuno perde la pazienza.

    – Non lo so – rispose lamentosa la zia, rimestando chissà che cosa in una grande pignatta, – l’ho mandata nell’orto e non è più tornata.

    Sbuffando, Melusine alzò gli occhi al cielo e uscì dalla porta del retro.

    Lì dietro il freddo sembrava ancora più intenso, forse per l’aria miseranda che aveva il cortile, con le galline che chiocciavano in giro e un mucchio di immondizia fradicia in un angolo che le fece storcere la bocca e raccogliere la gonna per inzaccherarsi il meno possibile.

    Quante volte aveva detto allo zio di sistemare quell’aia infestata dalla sporcizia? Ma Abel era famoso per la sua indolenza e anche il lavoro della locanda era stato ben felice di lasciarlo tutto sulle gracili spalle della moglie, poi, non appena Melusine era diventata cresciuta, aveva preteso che anche lei facesse la sua parte; non che le dispiacesse, lavorare non l’aveva mai spaventata, ma era per Conwenna che si preoccupava.

    A proposito di indolenza, dove si era ficcata Lucy? Quella ragazza era un disastro, le sole cose che sapeva fare bene era sparire quando c’era da lavorare e piantare i suoi occhi da gatta sugli uomini che vagabondavano da quelle parti; non era chiaro perché zio Abel si ostinava a tenerla lì, o forse lo era fin troppo.

    – Lucy! – gridò Melusine, stringendosi lo scialle attorno alla gola e maledicendo la sguattera che l’aveva obbligata a uscire al gelo. – Sbrigati una buona volta, o giuro che ti rimando a casa tua!

    Era l’unica minaccia che funzionava con Lucy. Non avrebbe sopportato di tornare a vivere con quella arpia della madre.

    Un rumore soffocato, proveniente dalla rimessa, attirò la sua attenzione; dopo essersi accostata silenziosamente alla porta, con un gesto brusco spalancò il battente e si trovò davanti a Lucy impegnata a sistemarsi frettolosa il corpetto, mentre un giovane dai capelli rossi che Melusine non aveva mai visto, si chiudeva le brache.

    – Non è come voi credete, signorina! – la prevenne Lucy, senza nemmeno sforzarsi troppo di sembrare convincente.

    – Ah, no? E cosa credo, secondo te?

    – Qualsiasi cosa, però non è così.

    Melusine considerò con una sorta di schizzinoso disprezzo le guance arrossate della ragazza e i suoi capelli color della stoppa che le scendevano arruffati lungo la schiena magra e nervosa come quella di un animale selvatico. Con rabbia si accorse che Lucy non aveva paura di lei, anzi, sembrava soddisfatta che l’avesse scoperta, mentre era chiaro che l’uomo non vedeva l’ora di essere da un’altra parte.

    – Vattene in cucina – sibilò, cercando di avere un tono di voce dignitoso, da padrona.

    – Sapete, signorina – mormorò con un sorriso trionfante Lucy, – sono cose che le donne fanno. Le donne vere, voglio dire.

    Poi prese per mano il ragazzo dai capelli rossi e lo trascinò via.

    Brutta sgualdrina, brutta sgualdrina impudente.

    Melusine inghiottì rabbia e saliva e cercò di calmarsi. Come si permetteva quella puttanella in calore di trattarla con superiorità, quasi che tutto quello strusciarsi contro ogni paio di calzoni che si faceva vedere da quelle parti la rendesse migliore; come si permetteva di trattarla al pari di una bambina.

    Lei sapeva cosa succedeva fra gli uomini e le donne, non era una stupida ingenua, ma quella cosa non le piaceva e non aveva nessuna intenzione di accettarla. Non si sarebbe sottomessa a nessun uomo, lei, non gli avrebbe permesso di toccarla e di diventare il suo padrone, non sarebbe diventata come zia Conwenna.

    Abel non aveva mai sfiorato Melusine, ma con la moglie non era avaro di schiaffi e botte; eppure, di notte, lei sentiva le grida di piacere della donna, le suppliche perché il marito non si fermasse e i grugniti soddisfatti dell’uomo. Sarebbe morta piuttosto che subire una simile umiliazione e poi i progetti per il futuro che aveva in mente erano ben diversi.

    Il rumore di un carro la riscosse dai suoi pensieri, si affacciò alla porta e vide che lo zio era tornato a casa, la faccia cupa come al solito. Melusine si affrettò ad attraversare il cortile per rientrare in cucina.

    – Sempre a bighellonare in giro, eh? – la redarguì lui saltando giù dal carretto. – Renditi utile, almeno, che c’è roba da scaricare.

    – La zia ha bisogno di me. Chiedi a Lucy di rendersi utile, forse farà meno danni, se è occupata.

    Abel la guardò allontanarsi, rigida e composta e sputò a terra, nel fango.

    – Abbassa la cresta, principessa, che tanto, prima o poi, incontrerai quello che ti insegnerà come si comporta una brava donna!

    La ragazza gli lanciò un’occhiata di fuoco e Abel scoppiò in una risata che fece scappare i due polli venuti a becchettare ai suoi piedi.

    In cucina sfogò la sua rabbia sfregando le pentole di rame ammucchiate sul tavolo e che Lucy aveva ignorato.

    – Quella ragazza non serve a niente – brontolò, rivolta alla zia.

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