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Il diritto monastico
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E-book490 pagine6 ore

Il diritto monastico

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Info su questo ebook

Il libro è un percorso giuridico-formale interno dell'Ordine Benedettino-Silvestrino sulla base della Regola di vita di S. Benedetto, del magistero della Chiesa, del Codex Iuris Canonici e dei documenti pre e post conciliari. Un punto di riflessione in continuo fermento e crescita sulla presa di coscienza di come è maturata la legislazione monastica nel corso dei secoli fino ad oggi con l'intento principale di ripristinarne e fornirne ulteriori conoscenze.
LinguaItaliano
EditoreGAEditori
Data di uscita15 feb 2019
ISBN9788832518399
Il diritto monastico

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    Il diritto monastico - Berckus Duverly Goma

    Berckus Duverly Goma

    Il diritto monastico

    UUID: 9e5eca88-3148-11e9-b1f7-17532927e555

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    IL DIRITTO MONASTICO

    L’ESPERIENZA GIURIDICA DELL’ORDINE

    BENEDETTINO - SILVESTRINO

    ABBREVIAZIONI E SIGLE

    CAPITOLO I

    CAPITOLO II

    CONCLUSIONE GENERALE

    BIBLIOGRAFIA

    Note

    Dello stesso autore:

    IL DIRITTO MONASTICO

    tra ius præcedens e ius vigens

    l’esperienza giuridica dell’ordine

    benedettino - silvestrino

    I edizione

    Pontificia Università Lateranense (2013)

    IUS ET VERITAS

    GAEditori (2018)

    Berckus Duverly Goma

    IL DIRITTO MONASTICO

    TRA IUS PRÆCEDENS E IUS VIGENS

    L’ESPERIENZA GIURIDICA DELL’ORDINE

    BENEDETTINO - SILVESTRINO

    © GA Editori

    Via Pastore 18 - 94011 Agira (Enna)

    gaeditori@gmail.com

    www.gaeditori.it

    ISBN: 9788894250961

    Berckus Duverly Goma

    Il diritto monastico

    tra ius præcedens e ius vigens

    l’esperienza giuridica dell’ordine

    benedettino - silvestrino

    Copyright © by GAEditori

    Nuova edizione integrale (II): giugno 2018

    La percentuale delle vendite spettante all’autore sarà interamente devoluta all’associazione Amici del Benin per contribuire alle missioni umanitarie già in atto.

    Nomi e marchi citati sono generalmente depositati o registrati dalle rispettive case produttrici. L’editore dichiara la propria disponibilità ad adempiere agli obblighi di legge nei confronti degli aventi diritto sulle opere riprodotte.

    La fotocopiatura dei libri è un reato.

    Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941n. 633. Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata dall’editore.

    In copertina figura di San Benedetto con le sue Regole.

    In quarta di copertina, nella foto piccola, l’autore nel corso della presentazione di uno dei suoi libri.

    Progetto grafico : relego splende communicatiion https://relegosplendecommunication.tumblr.com

    ABBREVIAZIONI E SIGLE

    AAS Acta Apostolicae Sedis

    ACGS Archivio della Curia Generalizia della Congregazione

    Silvestrina

    ACS Acta Congregationis Silvestrinae Ordinis S. Benedicti

    AG Decreto Ad Gentes

    AMF Archivio Montefano, archivio storico della

    Congregazione Silvestrina

    can. canone, canoni

    CCEO Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium

    cf. confronta

    CIC Codex Iuris Canonici

    cit. opera/articolo citato

    CIVCSVA Congregatio pro Institutis Vitae Consecratae et

    Societatibus Vitae Apostolicae

    col. colonna, colonne

    Comm. Communicationes

    Cost. silv. Costituzioni della Congregazione Silvestrina

    CpR Commentarium pro Religiosis et Missionariis

    DDC Dictionnaire de Droit Canonique

    DIP Dizionario degli Istituti di Perfezione

    Dich. Silv. Dichiarazione della congregazione Silvestrina

    Dir. Silv. Direttorio della Congregazione Silvestrina

    Ibid. Ibidem

    IF Inter Fratres

    Inform. Informationes SCRIS

    LG Costituzione Lumen Gentium

    n. numero, numeri

    OSB Ordo Sancti Benedicti

    p. pagina, pagine

    PC Decreto Perfectae Caritatis

    PG Patrologia Graeca

    PL Patrologia Latina

    Periodica Periodica de re morali, canonica, liturgica

    QDE Quaderni di Diritto Ecclesiale

    RB Regula Benedicti

    RC Renovationis Causam

    s.d. senza data

    s.l. senza luogo

    SCRIS Sacra Congregatio pro Religiosis et Institutis

    Saecularibus

    v. verso

    VC Vita Consacrata

    vol. volume, volumi

    INTRODUZIONE

    Il lavoro che segue ha come obiettivo quello di delineare e di esaminare il percorso giuridico-formale interno all’Ordine Benedettino-Silvestrino, già in parte sostanziato dal diritto proprio della Congregazione (Costituzioni, Direttori e Dichiarazioni silvestrine) sulla base della Regola di vita di S. Benedetto, del magistero della Chiesa, del Codex Iuris Canonici e dei documenti pre e post conciliari. A tal fine, si è operato un approfondimento sulle fonti del diritto monastico onde pervenire, mediante la comparazione con l’ordinamento canonico, alla determinazione del suo valore cogente e delle dinamiche prospettiche da esso scaturenti.

    Verranno portate alla luce le questioni inerenti ius præcedens e ius vigens del diritto monastico, e le problematicità ad essi correlate nel loro divenire storico.

    Il sistema giuridico della Chiesa ed il complesso delle norme che concernono Stato e Chiesa vengono rispettivamente studiati da due discipline giuridiche: dal diritto canonico e dal diritto ecclesiastico. Di fatto, la distinzione del diritto della Chiesa, cioè l’ordinamento giuridico canonico complessivo e il diritto nella Chiesa, cioè tutto quel diritto che vive all’interno dell’ordinamento canonico e che a volte non ha lo stesso regime giuridico dell’ordinamento civile, comporta la necessità di particolari riflessioni per giungere ad una più approfondita comprensione degli istituti giuridici monastici. Il diritto canonico ed il diritto ecclesiastico contengono entrambi norme e gruppi di norme che concernono i religiosi (monaci); tali norme costituiscono nel diritto canonico un corpo speciale, detto ius religiosorum; nel diritto ecclesiastico le norme che riguardano i religiosi hanno avuto una grande rilevanza politica e la materia è tuttora dibattuta sotto il profilo storico-giuridico.

    L’ordinamento giuridico canonico si esprime in ragione della reciprocità di diritti e di doveri vigenti nella Chiesa, nella piena consapevolezza che l’inottemperanza colpevole degli istituti giuridici priva di un ‘buon-diritto’ tutti i christifideles.

    La distinzione adottata dallo ius vigens tra leggi della Chiesa di interesse generale e leggi della Chiesa di interesse particolare, esprime in termini giuridici la grande realtà comunionale della Chiesa: il Codex Iuris Canonici è essenzialmente un codice di comunione; legge universale, unica ed esclusiva della Chiesa, alla sua promulgazione seguì il processo di revisione e di adeguamento delle leggi particolari che ricevevano fondamento e validità dal supremo legislatore ecclesiastico. Questo comportò, per gli Ordini e le Congregazioni religiose, l’elaborazione dei propri testi costituzionali o regolamenti interni onde rapportarli alla normativa canonica, come prevedeva lo ius præcedens (can. 489 [¹] ). Questo canone fu ripreso dalla Congregazione dei Religiosi [²] per richiamare tutti gli Istituti religiosi al dovere di emendare il testo delle loro costituzioni e statuti alla luce del Codice [³] e di sottoporlo alla sua approvazione, insieme alla relazione quinquennale prescritta dal can. 510 [⁴] ; sopperendo in ciò al fatto che nei canoni del Codex Iuris Canonici regolanti i rapporti tra ius vigens e ius præcedens (consuetudinario e scritto), non si parla degli ‘statuti’ e degli ‘ordinamenti’, essendo queste due fonti di diritto non contemplate dal Codice precedente. Tuttavia, gli statuti e gli ordinamenti in essere, seguono le disposizioni adottate dallo ius vigens nei riguardi delle leggi particolari e sono strettamente legati fra di loro, non solo dall’unità d’ispirazione da cui sono sorte, ma anche dalla stratificazione storica delle fonti normative canoniche.

    Il diritto antico recepito dal Codex Iuris Canonici del 1983 è uno dei principi d'interpretazione dei canoni, accanto ai criteri stabiliti dallo stesso CIC del 1983 (cann. 16-19) e dalla tradizione canonica. Vi sono norme di diritto monastico che, pur anteriori al Codex Iuris Canonici del 1983 non sono da esso abrogate, in quanto non contrarie alle disposizioni vigenti; ma vi sono anche norme particolari disciplinari o penali che si pongono in contrasto con quelle del CIC 1983 e che di conseguenza sono da considerare abrogate. Sono infatti considerate abrogate, secondo il can. 6 §1 [⁵] , quelle leggi anteriori al CIC del 1983 quali il Codex Iuris Canonici del 1917 nella sua totalità e altre leggi universali e particolari che sono contrarie alle disposizioni vigenti. D’altronde, anche le consuetudini monastiche particolari ed universali, contrarie al CIC del 1983 vengono soppresse ex can. 5 §1 [⁶] il quale dispone che:

    «le consuetudini sia universali sia particolari ancora in vigore, contrarie alle disposizioni dei canoni di questo Codice sono abolite completamente, né si permetta che possano essere riprese in futuro; anche le altre si considerino soppresse, a meno che il Codice non disponga espressamente altro, o siano centenarie o immemorabili, le quali se, a giudizio dell'Ordinario, secondo le circostanze di luoghi e di persone non possono essere abolite, si possono tollerare».

    Il §2 [⁷] del can. 5 del CIC '83 stabilisce che: «le consuetudini fuori del diritto finora vigenti, sia universali sia particolari, sono conservate». Perciò, le consuetudini monastiche fuori dello ius vigens al momento della promulgazione del CIC del 1983 conservano la loro forza giuridica e diventano fonte di diritto. Esse possono venire pertanto temperate o anche del tutto abrogate se le circostanze lo esigono, o dispensate se ne consegue una onesta o utile compensazione.

    La fonte del diritto monastico risiede nei comportamenti e nelle prassi che creano regole giuridiche volte a disciplinare la comunità monastica la quale, indipendentemente dalle sue dimensioni, non può esistere senza un ordinamento giuridico.

    C'è dunque stretta corrispondenza tra cenobio e diritto. In questa prospettiva al diritto monastico va sempre riconosciuta la sua natura di elemento di relazione e rapporto rispetto a quel genus christianorum cui è rivolta, ovverossia i monaci, senza i quali sarebbe un mero accidens. Da tutto ciò emerge una logica consapevolezza: definire le Regole monastiche come regole giuridiche non è sufficiente. L'elemento ulteriore che caratterizza le regole giuridiche è l'elemento deontologico, cioè l’insieme dei doveri, perché la regola giuridica elabora e definisce un comportamento religioso giudicato idoneo per consentirne la prosecuzione nel tempo secondo una norma. Il che significa che non c'è un ‘esserÈ, ma un ‘dover esserÈ (esistenza etica) nella Regola giuridica. Le Regole monastiche, come le Regole di giustizia, si definiscono sulla base di una particolareggiata analisi basata sull’osservazione del complesso della vita religiosa e da tutto questo nasce il diritto [⁸] . La regola giuridica scritta non è di per sé sufficiente affinché si affermi come tale: affinché la regola acquisti vigenza, è necessario che venga osservata e venga fatta osservare dalle comunità. Questa osservanza prende il nome tecnico di ‘effettività’. L’effettività di una norma consiste nella generale osservanza della stessa da parte dei suoi destinatari. Pertanto, la regola giuridica è una norma che viene formulata e, affinché viva e continui a vivere, è necessario che venga osservata dall’intera comunità dei monaci. Diversamente, la regola muore, rimanendo sterile e priva di ogni efficacia. Diverso dal concetto di effettività è quello di ‘efficacia’: la capacità propria dell’atto di produrre degli effetti giuridici. L’efficacia delle norme di diritto monastico risiede, naturalmente, nella Sacra Scrittura, nella legislazione canonica e nelle antiche regole monastiche. Quelle antiche regole, autentici monumenti di sapienza, di dottrina e di coraggio [⁹] , sono state le prime leggi organiche degli ordini religiosi e hanno loro consentito coesione e crescita, vivificandosi nello svolgersi dei secoli.

    Il primo capitolo analizza la storia e le fonti del diritto monastico, rilevando sostanzialmente due prospettive complementari. La prima è l’aspetto delle prescrizioni consuetudinarie dell’esperienza cenobitica che occupa un posto importante nella legislazione monastica; l’altra è la connessione stretta tra i diversi profili storico-giuridici (monastici, canonici e civili), in cui la realtà si è evoluta in ragione dei mutamenti socio-religiosi. Da questo intreccio di elementi si verrà lentamente ad enucleare l’aspetto propriamente giuridico del diritto monastico.

    Nel secondo capitolo verrà trattato il regime giuridico degli istituti monastici: da una parte, l’iter codiciale sui diritti-doveri dei religiosi, dall’altra, quello sull’autonomia del monastero, con particolare riguardo agli elementi che confluiscono nello ius vigens, nello sforzo di meglio definire l’anello di congiunzione con lo ius præcedens nell’ambito cenobitico.

    Il terzo capitolo verterà sulla peculiarità giuridica dell’Ordine Benedettino-Silvestrino, ponendo capo ai problemi dottrinali del tempo presente.

    Questo lavoro, non vuole essere solo uno dei tanti contributi da aggiungere a quelli finora dati al diritto monastico, ma vuole essere un punto di riflessione in continuo fermento e crescita sulla presa di coscienza di come è maturata la legislazione monastica nel corso dei secoli fino ad oggi. Inoltre, questo lavoro, pur nella sua modestia, vuole comunque avere una sua peculiarità: quella di ripristinare e fornire ulteriori conoscenze in materia della normativa monastica che si sviluppa nel più intimo delle dinamiche di vita di un monastero, in modo da valorizzare e arricchire l’esperienza istituzionale silvestrina.

    CAPITOLO I

    STORIA E FONTI DEL DIRITTO MONASTICO

    I.1. Premessa

    Dobbiamo chiederci se si possa ancora parlare di diritto monastico o sia preferibile assumere, come definitivo, sia pure in chiave storico-giuridica, l'approdo sistematico adottato dal Codex Iuris Canonici del 1983.

    La domanda, lontana da qualsivoglia velleità retorica, è legittima: quali problemi pone l’inserimento del diritto monastico nella più vasta normativa relativa alla vita religiosa, dal punto di vista storiografico (di storia generale, monastica, della Chiesa), teologico e, necessariamente, giuridico?

    Cercheremo di trovare una o più possibili risposte al quesito sopra formulato esaminandolo attraverso una duplice prospettiva: quello storico (la sua genesi, lo sviluppo, la situazione attuale) e quello che potremmo definire di teoria generale del diritto, come conseguenza di una più ampia valutazione di tipo giuridico-canonico.

    Fin dai primi secoli, il Vangelo e le epistole formavano la " lex nova" [¹⁰] .

    La Chiesa, in quanto società, ha sempre avuto un ordinamento giuridico, in senso lato, a partire dalle prime comunità cristiane, ma di diritto propriamente inteso si potrà parlare a partire dai primi decenni del secondo secolo [¹¹] . Il diritto della Chiesa romana infatti, si sviluppa all’epoca patristica, in concomitanza con lo sviluppo delle comunità cristiane, e si configura come scienza del diritto canonico, riconosciuta a pieno titolo fra le altre sacre discipline [¹²] . Nelle sue linee maestre, la legge ecclesiale abbraccia tutte le categorie di ordinamento etico-canonico sotto l’onnicomprensiva nozione di dispositio, o provvidenza ordinatrice di salvezza della Lex divina. Nella Chiesa il diritto aiuta a vivere meglio la fede in Cristo, favorendo rapporti secondo giustizia e carità per la salus animarum, intesa come suprema lex [¹³] . «Proprio per questo il diritto della Chiesa, per non smentire la sua ispirazione evangelica, ha sentito il bisogno di approdare a quella ‘ aequitas canonica’ che è una giustizia realizzata nella carità» [¹⁴] . L’evoluzione del diritto canonico è analoga nei paesi in cui arriva l'urto creatore della Kenosi: dall'Armenia all'intero bacino mediterraneo fino all'Asia Minore. Emblematica in questo senso è la rivoluzione indotta dall'editto di Licinio e Costantino del 313 d.C. a Milano [¹⁵] e definitivamente istituzionalizzata da Teodosio [¹⁶] con la proclamazione, a Tessalonica nel 380, del cristianesimo come religione di Stato. La produzione giuridica che questi avvenimenti suscitarono fu poi raggruppata nel Codex Iustinianus sotto il titolo di De summa trinitate et de fide catholica [¹⁷] .

    Se è vero che il monachesimo si configura come risultato di scelte spirituali, di ricerca di Dio e abnegazione al Vangelo [¹⁸] , è indubbio che sviluppandosi come fatto inscindibilmente connesso alla vita ecclesiale, giunga a definirsi sia come fattispecie giuridica nel più ampio contesto dell'ordinamento della Chiesa, sia come realtà bisognosa di una normazione propria in ragione delle caratteristiche storiche, geografiche, ambientali, onde renderlo riconoscibile anche nel contesto politico-sociale nel quale opera. Il monachesimo muove i primi passi proprio in quegli stessi anni, sebbene i pionieri cristiani della fuga mundi alla sequela Christi abbiano sicuramente fatto le loro prime apparizioni in concomitanza con l'esordio stesso dei discepoli di Gesù. La realtà cenobitica, storicamente intesa, risale però al IV secolo in Egitto, con s. Antonio ed i suoi seguaci, come apprendiamo dalla biografia del Santo scritta da Atanasio di Alessandria († 373); e forse è proprio per meglio promuovere un tale genere di vita che Atanasio scrisse la Vita Antonii [¹⁹] , la cui traduzione dal greco al latino produsse, a Roma, una migliore conoscenza della spiritualità e degli ordinamenti monastici sorti in Oriente [²⁰] .

    Procederemo adesso ad una sintetica descrizione storica del monachesimo, ad una riflessione sullo ius pr æ cedens e sullo ius vigens, e formuleremo le nostre osservazioni sulla normativa vigente.

    Fin dal primo secolo, in età Apostolica, con l’attesa della Parusia, l'imminente fine dei tempi, le primitive comunità cristiane svilupparono nella Chiesa un’intensa attività giuridica che abbracciava materie simili a quelle attuali [²¹] . I fedeli cristiani vivevano, come possiamo riscontrare in Tertulliano, nel rispetto formale della legge positiva, ma spiritualmente avulsi dal mondo e dalle sue derive pagane [²²] . L'esperienza dei monaci stiliti [²³] , ad esempio, ci fornisce l'estremo termine di paragone sulle dinamiche innescate, nel tormentato alveo tardo-imperiale, dal rivoluzionario messaggio evangelico [²⁴] .

    In età classica il monachesimo, orientale ed occidentale, si presenta s ui iuris fin dagli albori, sia per la separazione fisica e spaziale del μόνος rispetto alla moltitudine, sia per la peculiarità della vita solitaria prima ed in piccoli gruppi poi, nell'ambito della stessa comunità religiosa [²⁵] . Poiché nella legislazione canonica, si definisce ‘religionÈ l’associazione volontaria di persone dello stesso sesso approvata dalla legittima autorità ecclesiastica, i cui membri, secondo statuti propri, vivono in comune sotto una regola professata [²⁶] ; la regola monastica non è soltanto un corpus di disposizioni: conformemente al principio teologico pervasivo dell’intera Ecclesia, tutto è riconducibile alla volontà ispiratrice di Dio, alla santa iniziazione, alla contemplazione mistica ed ascetica. Il sopraggiungere della Regula di Pacomio e di Basilio, e delle altre antiche Regole che Benedetto riassume e sviluppa, comportano certo l’esigenza di un compendio di norme che incanalino disciplinarmente il cenobio, purchè ispirate dal messaggio evangelico e non certo da una idea giuridicistica del diritto. E sebbene la ispiratrice ‘ rectissima norma vitae humana [²⁷] scaturigine e motore del contributo di Benedetto, debba attendere ancora qualche secolo per divenire fonte di diritto, assumerà comunque, in fieri, valenza di consuetudine.

    I.2. Linee di riflessione storica

    Le riflessioni seguenti scaturiscono dalla disamina dello sviluppo giuridico in ambito monastico secondo un criterio storico-cronologico: dall’età classica alla contemporanea, fino alla legislazione attuale. Un cammino articolato attraverso le varie tappe che hanno scandito il secolare processo di elaborazione ed applicazione delle norme all’interno di quel singolarissimo momento della storia individuale e collettiva rappresentato dal monachesimo, peculiare ed etimologicamente straordinario anche nell’ambito della stessa Chiesa cattolica. La finalità della sintesi sottesa allo schema che abbiamo qui proposto muove infatti dal bustrofedico andamento della dialettica ad intra e ad extra che è il simbolo stesso della temperie millenaria del cenobio, del suo incessante moto tra diritto ed esperienza, tra dato normativo e modus vivendi.

    I.2.1. La consuetudine nella tradizione agostiniana.

    Le consuetudini monastiche sono l’insieme degli usi vigenti che regolano le occupazioni dei monaci e ne costituiscono, potremmo dire, il commentario alla Regola che fissa le leggi generali dell’ Opus Dei.

    In una lettera scritta nell’aprile del 397, Sant'Agostino († 430) interpella il sacerdote Casulano in merito alle usanze adottate dalle chiese locali sul digiuno del sabato. In essa rinveniamo un passaggio che rivela implicitamente il valore che all’epoca assumeva la consuetudine: « In his enim rebus, de quibus nihil certi statuit Scriptura divina, mos populi Dei, vel instituta maiorum pro lege tenenda sunt» [²⁸] .

    Da questo frammento si evince una tripartizione di fonti afferente il governo del popolo di Dio: la Divina Scrittura quale fonte principale; qualora essa nulla disponga in materia ( in his enim rebus, de quibus nihil certi statuit Scriptura divina) si ricorre al Mos, ossia alla tradizione, e agli Instituta maiorum, organismi composti dagli anziani, riuniti in consiglio deliberativo, le cui indicazioni pro lege tenenda sunt.

    Detto altrimenti, ciò che funge da ordinamento giuridico è costituito dalla esegesi biblica, dall’esperienza della vita quotidiana, dalla fedeltà agli anziani, dalle sentenze patristiche e canoniche. La lex cristiana si basa sulle prescrizioni della Scriptura divina, poi su quelle del diritto particolare e comune, cioè la consuetudine popolare e le decisioni degli anziani. Il Cristo - Parola unica - della Scriptura divina, è l'unica via di accesso al Padre [²⁹] . Dio, attraverso tutte le parole della Sacra Scrittura, non dice che una sola Parola, il suo unico Verbo, nel quale esprime se stesso interamente. Sant'Agostino afferma: «ricordatevi che uno solo è il discorso di Dio che si sviluppa in tutta la Sacra Scrittura ed uno solo è il Verbo che risuona sulla bocca di tutti gli scrittori santi, il quale, essendo in principio Dio presso Dio, non conosce sillabazione perché è fuori del tempo» [³⁰] .

    L’indubbio privilegio della Sacra Scrittura nella sua valenza normativa voluta ed ispirata da Dio, rivelatore di ogni certezza: «L’Evangelo ci ha trasmesso le prescrizioni di Cristo, le quali, per loro natura, hanno una dimensione che sorpassa l'aspetto strettamente giuridico» [³¹] . La traditio è null'altro che una consuetudine giuridica consolidata che lega quelle prescrizioni provenienti dalla Scriptura divina alle singole situazioni giuridiche soggettive. A proposito delle consuetudini giuridiche consolidate, nel canone n.7 [³²] del Codice di Nicea del 20 maggio 325, rinveniamo i termini: antiqua traditio e consuetudo per indicare una norma giuridica.

    Nella eredità insita nella parola consuetudo derivato di ‘ consuetus’, emerge non solo un’accettazione unanime della norma, un ossequio condiviso da parte della comunità, e proprio per questo definito ‘consueto’, ma riluce il sostrato della ‘ traditio’, legame meta-temporale dal quale si dipartono la dottrina della fede, la morale, la liturgia, l'atto disciplinare nella Chiesa, la catechesi, che di quell’essere ‘consueto’ rappresenta l’applicazione pragmatica nell’articolarsi dei giorni vissuti dalla comunità. La forza vincolante della traditio non risulta infatti da un atteggiamento di vuota deferenza all’agire dei predecessori, quanto piuttosto dal suo essere di origine apostolica e, perciò, divina.

    Il filo che lega dottrina religiosa e accettazione della norma è riconducibile alla missione conferita da Dio a suo Figlio e tramandata da Cristo agli apostoli, agli evangelisti e ai profeti ( maiores) [³³] come patrimonio normativo [³⁴] . In questo ordinamento è centrale l'idea di traditio apostolica, regolatrice delle situazioni concrete: paradigmatica in questo senso la Didaché o doctrina duodecim apostolorum [³⁵] .

    I.2.2. Configurazione della consuetudine: dal diritto romano alla Regola Benedettina

    Sotto il profilo giuridico, la consuetudine ‘è il procedimento, cioè, istituito dalla lunga reiterazione dei medesimi comportamenti, compiuta nella convinzione di ottemperare ad un obbligo giuridico. Procedimento, quindi, costituito da un duplice elemento: quello materiale, che consiste nella diuturnitas del contegno; e quello spirituale, che risiede nella opinio iuris atque necessitatis, al quale il contegno stesso si ispira’ [³⁶] .

    1. L’elemento materiale od oggettivo - esterno - (ripetizione), si riferisce alla reiterazione del comportamento nel tempo ed è, a sua volta, costituito da cinque requisiti: generalità, uniformità, costanza (continuità), frequenza e pubblicità (divulgazione).

    Per ‘generalità’ si intende il comportamento ripetuto non di una sola persona, ma della maggior parte degli individui soggetti ad una situazione data; per ‘uniformità’ si intende che le persone devono avere una medesima condotta nella fattispecie di riferimento (stesso requisito è contenuto anche nella nozione di ripetizione, giacchè se i comportamenti non fossero uniformi, non si potrebbe neppure parlare di ripetizione); per ‘costanza’ o (continuità), si intende che la ripetizione deve essere continuata nel tempo; per ‘frequenza’ si intende che non deve trattarsi di un fatto occasionale; per ‘pubblicità’ o (divulgazione), che la regola consuetudinaria, ovvero la modalità di vigenza ad essa riconducibile, sia universalmente nota nell’ambito geografico, professionale etc. di applicazione.

    2. L’elemento psicologico o, come altrimenti si dice, spirituale - interno -, rappresentato dall’ opinio iuris atque necessitatis, che consiste nel convincimento di uniformarsi ad un obbligo giuridico.

    La consuetudine quindi come prassi comportamentale conforme all’ordinamento vigente, allorquando, in ragione della perfezione di questo, esso rimandi alla consuetudine per la definizione di aree altrimenti non normate. I due elementi sopra descritti, il primo esterno e l’altro interno , la cui compresenza formano la consuetudine, sono stati così elaborati dai giureconsulti giustinianei .

    Statuiva appunto il Digestum di Giustiniano: « De legibus senatusque consultis et longa consuetudine» [³⁷] (attenersi alle leggi, ai responsi del senato e alla antichità della consuetudine); pensiero analogo ritroviamo nella Regola di S. Benedetto, a proposito dell' octavus humilitatis gradus: « si nihil agat monachus, nisi quod communis monasterii regula vel maiorum cohortantur exempla» [³⁸] (il monaco non faccia nulla al di fuori di ciò che è indicato dalla regola comune del monastero o dall’esempio degli anziani). Questo precetto di S. Benedetto rimanda alla funzione anche giurisprudenziale della consuetudine : « si de interpretatione legis quaeratur, in primis inspiciendum est, quo iure civitas retro in eiusmodi casibus usa fuisset: optima enim est legum interpres consuetudo» [³⁹] ( … la consuetudine è la migliore interprete delle leggi). Risulta evidente che si tratta di consuetudine secondo la legge, la quale conferma col fatto la necessità della norma giuridica positiva. Possiamo quindi dire che s. Benedetto fa sua la norma del diritto romano e la traspone in ambito monastico.

    La communis regula è infatti l’osservanza generale, affermata consensualmente in ambito comunitario, vissuta e proposta dagli anziani, maiorum cohortantur exempla, fino all'impegno personale finalizzato alla conversatio morum.

    L’esempio degli anziani ( maiorum exempla) [⁴⁰] , la loro prolungata esperienza, sono la tradizione visibile di una conversione morale costante, risultante da una fedele obbedienza alla Regula. Quando la consuetudine nella vita monastica è osservata al pari della legge di origine divina, trasmessa dalla Sacra Scrittura, essa contribuisce alla formazione del diritto monastico [⁴¹] . Dal secolo IX fino al secolo XIII, il diritto monastico è prevalentemente consuetudinario [⁴²] . Soltanto nei secoli successivi, con la trasformazione delle mentalità e l'elaborazione di un diritto erudito, si assiste alla prevalenza progressiva della legislazione in senso proprio [⁴³] .

    Nell’esperienza giuridica medievale la consuetudine è tanto meno precisa quanto più è vasta la sua nomenclatura, talvolta perfino sprovvista di cogente valore giuridico: consuetudo, decretum, disciplina, institutio, institutum, observantia, ordinatio, ordo, praeceptum, regula, ritus, statutum… Si tratta spesso di una abitudine, di un modo di essere e di agire, di ciò che la semantica greca indica con il vocabolo πρᾶξις, di una disposizione più descrittiva che prescrittiva: sarebbe dunque una variabile del termine latino mos con vari gradi d’interpretazione giuridica.

    Così intesa, la consuetudine è fonte del diritto, o meglio, è una delle fonti formali del diritto positivo [⁴⁴] ; è un genere di fonte, espressa in forma scritta, che nell’antico diritto monastico compendia la Regola [⁴⁵] , prezioso deposito utilizzato dallo storico per ricostruire la vita giuridica, sociale, economica e religiosa di una comunità. È componente di un diritto conservatore, non innovativo, e diventa anche efficace mezzo di divulgazione della identità cristiana all'esterno delle mura claustrali [⁴⁶] . Comunque, nel diritto medievale, la consuetudine esprime una giurisprudenza: quella territoriale e personale costituisce l'esempio in tal senso migliore e rende manifesta la tendenza istituzionale ad avvalersi della consuetudo come fonte preferita in ambito giurisdizionale.

    I.2.3. La consuetudine come fonte di diritto monastico.

    Per meglio chiarire la consuetudine nell’ordinamento monastico, è necessario collocarla nell'ambito delle sue fonti: esse sono di cognizione e di produzione [⁴⁷] . La consuetudine, conosciuta come fonte di cognizione ( fontes cognoscendi) nel diritto monastico, è tale poiché in essa si rinviene il materiale idoneo alla produzione della norma giuridica. Tuttavia è forse azzardato definire la consuetudine come fonte di produzione ( fontes existendi) nel diritto monastico, dal momento che richiede la dimostrazione della sua idoneità a produrre regole di condotta atte a divenire norme giuridiche disciplinanti la comunità monastica. Quindi il riconoscimento dell’esistenza di regole del costume tipicamente monastico non conduce necessariamente all’ammissione che vi siano regole giuridiche consuetudinarie [⁴⁸] .

    Nell’ambito del monachesimo cristiano è evidente che la consuetudine sia la fonte primaria del sistema giuridico: essa ha contribuito all’elaborazione del diritto non solo con la redazione di regole e di una letteratura espressiva della prassi quotidiana (vite, apoftegmi, lettere, trattati ascetici) ma, a partire dalla metà del sec. V, attraverso la promozione dell’intervento legislativo dei Concili. Le collezioni canoniche latine medievali infatti, hanno introdotto nella Chiesa una teoria generale del diritto già prima della compilazione della Concordia discordantium canonum di Graziano del 1140 [⁴⁹] . Quest’opera ha incoraggiato la Sede Apostolica a proseguire nell’intento, sino ad approdare a quell’enorme compilazione officiale del Corpus Iuris canonici [⁵⁰] . «L’influsso dell’opera di Graziano si fece sentire anche nel campo del diritto monastico, pur esso tendente ad un adattamento richiesto dalle nuove esigenze dei tempi, come è dimostrato tra l’altro, dalla diffusione del Decretum nelle biblioteche monastiche» [⁵¹] .

    Tra le nozioni essenziali elaborate in questi documenti, forgiati con il martello del diritto romano, assumono particolare rilievo quelle di diritto ( ius), legge ( lex), consuetudine ( consuetudo) ed istituto ( institutum) [⁵²] , lievitati dalla distinzione operata dai giuristi romani e i filosofi greci fra leggi scritte (νòμοι ἓγραφοι) e non scritte (νòμοι ἂγγραφοι). Perciò, in alcuni passi della giurisprudenza imperiale troviamo l'espressione « sine scripto in sola prudentium interpretatione consistit» [⁵³] e un identico concetto lo rinveniamo in un passo delle Istituzioni di Ulpiano († 228) [⁵⁴] . Ma lo ius ex non scripto, che si rifà all’ interpretatio prudentium, non si può identificare con quella che chiamiamo consuetudine, la quale è «l’osservanza costante e uniforme di una regola di condotta, compiuta dai membri di una comunanza sociale con la convinzione della sua rispondenza ad una necessità giuridica» [⁵⁵] . La consuetudine, in quanto generatrice di regole, si fissa per lunga e costante tradizione in alcuni requisiti determinanti per la formazione di una linea di condotta nell’ambito comunitario.

    Cumulandosi nella doppia personalità del ‘principÈ unico giudice ed arbitro, sia la signoria temporale che religiosa, alla consuetudine non viene più riconosciuta valenza sussidiaria e la legge scritta prevale in assoluto. In specie, molte materie che le leggi imperiali non avevano regolate e che nelle varie province orientali non si potevano facilmente sottoporre al regime fissato dal diritto romano, erano disciplinate dagli usi generali e locali. In questo senso, la contrapposizione fra ius ex scripto e ius ex non scripto pur essendo stata posta a base della compilazione giustinianea [⁵⁶] , diverge dall’uso classico tanto che i responsa prudentium sono considerati come una delle categorie di ius ex scripto provenienti dall’antichità.

    Nel mondo monastico, una volta fissate e accettate, le consuetudini acquistano forza impegnativa e si distinguono in base al principio della territorialità del diritto. Data l’autonomia degli antichi monasteri, gli usi locali variavano molto; nei secc. VII e VIII quasi ogni monastero aveva la propria tradizione, cosicché, nonostante fosse adottata la medesima regola, vigeva poca uniformità nella sua osservanza. Tuttavia si nota che l’ usus regni ha invece valore generale e si contrappone alla consuetudo loci, ossia al diritto consuetudinario locale, che è un diritto spontaneo, immediato, non volontario. Questa differenza, trasfusa nella Regola benedettina, dà origine a due concetti: abbatis imperium, ovvero dotato di natura giurisdizionale assoluta, e privata imperia, ossia indicazioni di natura imperativa relativa [⁵⁷] .

    Le regole monastiche devono la loro fisionomia sia al magistero della Regola scritta ( in omnibus igitur omnes magistram sequantur regulam neque ab ea temere declinetur a quoquam) che al magistero dell’esperienza vissuta ( experientia magistra). Le consuetudini monastiche provengono o dalla tradizione longa et inveterata [⁵⁸] , o da auctoritas pubblica costituita e riconosciuta, o dalla necessità e dalla natura delle cose. La distinzione fra la Regula e la traditio è data dal fatto che la prima pone una norma positivamente emanante da una auctoritas, la seconda da una fonte, giustappunto, consuetudinaria.

    Elemento costante in ambito monastico è la persistente, comunitaria ricerca della volontà divina. L'evidenza di questo comportamento è data dallo stesso atto fondativo del primo cenobio: un insieme di fratelli consacrati per l'attuazione del dettato evangelico.

    Il diritto monastico, infatti, privilegia il chiostro come luogo di relazione e ricerca comunitaria, e vede nella societas una delle fonti che conducono alla sussunzione nel gruppo delle santità individuali.

    Emblematica rappresentazione della ricezione della norma da parte della communitas [⁵⁹] , costante e imperativa negli ordinamenti giuridici, è la capacità intima e pervasiva di ricevere la legge positiva e ad essa sottostare nello spirito di obbedienza sancito dalle consuetudini more temporum. Calato nello specifico della nostra riflessione, significa che in mancanza di una legge debitamente promulgata, le modalità di accettazione e applicazione della consuetudine assicurano un criterio di giudizio e di condotta. Fatti, questi, che esaltano l'elemento collettivo a scapito della mera ascesi personale [⁶⁰] .

    In questa prospettiva, Isidoro di Siviglia († 636) distingueva già diversi livelli nella terminologia consuetudinaria, quando si sforzava di precisare la natura del diritto e di definirlo nei confronti della legge e della consuetudine:

    « Ius generale nomen est, lex autem iuris est species. Ius autem dictum, quia iustum. Omne autem ius legibus aut moribus constat. Lex est constitutio scripta. Mos est vetustate probata consuetudo, sive lex non scripta. Nam lex a legendo vocata, quia scriptum est. Mos autem longa est consuetudo de moribus, institutum, quod pro lege suscipitur, cum deficit lex: nec differt scriptura an ratione consistat,

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