Veritas sicut ius
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Veritas sicut ius - Berckus Duverly Goma
Berckus Duverly Goma
Veritas sicut ius
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Indice dei contenuti
Berckus Duverly Goma
SICUT IUS
GA
PREFAZIONE
=
IL MINISTERO SACERDOTALE, PROMOTORE DI VERITÀ ARTEFICE DI GIUSTIZIA
Concezione generale della giustizia nella dimensione socio-culturale tradizionale.
I.3 Considerazioni dottrinali e pastorali
GIUSTIZIA E VERITÀ, CROCEVIA TRA L’ESSERE GENERATORI DI STRUTTURE DI PECCATO O IL DIVENIRE FONTE DI BENE SOCIALE
II.2 L’ingiustizia aliena l’umanità
CAPITOLO III
III.1 Peccato sociale come realtà del nostro tempo
III.3 Personificazione della verità
IL PROCESSO A GESÙ, ABISSO DI MENZOGNA E D’INGIUSTIZIA
IV.2 Il contesto storico, politico e giuridico della dinamica processuale
Bibliografia
Note
Berckus Duverly Goma
VERITAS
SICUT IUS
Berckus Duverly Goma
Veritas Sicut Ius
©
GA
Editori
PREFAZIONE
La precedente pubblicazione Ius et Veritas approfondiva il tema della Giustizia di Dio nei riguardi dell’umanità attraverso le sue differenti sfaccettature: filosofica, giuridica e teologica. Il testo proponeva una serie di riflessioni mirate al processo d’interiorizzazione della giustizia, della logica, della verità, attraverso alcuni spunti su differenze e ancor più su similitudini fra i concetti di riconciliazione e di perdono all’interno dell’affascinante processo che ha come oggetto la relazione tra Vangelo e Diritto.
Ius et Veritas è un itinerario che si conclude con la figura di Cristo, artefice e portatore tra i popoli della giustizia irreprensibile, perché solo in Dio, Giustizia e Misericordia coincidono assolutamente e perfettamente; la giustizia potrebbe infatti essere paragonata a quello sguardo aperto sulla verità che, spalancandoci gli occhi, fa rendere conto della verità tutta intera . La parola veritas è spesso dimenticata o usata male: fare giustizia significa innanzitutto richiamare alla verità operando benevolentia , perché la verità conduce sempre all’indulgenza. Bisogna dubitare di tutte quelle verità presunte che al posto della benevolenza offrono peccato, contrapposizione, odio e divisione. Sono queste mancate verità la perfetta parodia del discorso di Gesù sulla sua venuta, che opera la distinzione tra bene e male, tra vita e morte. Il « non sono venuto a portare pace, ma una spada » ( Mt 10, 34) non va inteso come un grido di guerra contro i nemici, ma come un’esortazione necessaria a prendere coscienza della confusione tra bene e male nel cuore degli uomini, nelle famiglie e nella società; come una severa ma amorevole esortazione a distinguere e separare il grano, che sarà mietuto alla fine dei tempi, dalla zizzania che infesta la verità; come un vero e proprio imperativo categorico a non confondere la verità con quella pretesa di bontà di un cristianesimo presunto, posseduto dal lievito della menzogna, in contrasto con l’autentica misericordiosa verità di cui Gesù Cristo è l’unico veicolo.
La giustizia divina sancisce l’apertura nei confronti della verità santificante da cui sorge l’amore, che è il motore dell’umanità, il luogo d’incontro con Dio e la via per costruire una società più equa. Pertanto, con la giustizia umana si fa allusione a quelle virtù cardinali tendenzialmente propense ad affermare il giusto, il vero e il puro, senza la quale l’essere umano non partecipa alla pienezza della benevolentia . La temperanza, la fortezza e la prudenza sono virtù soltanto se orientate al bene, mentre la giustizia è intrinsecamente benevolentia , e secondo Aristotele è una virtù perfetta, perché non è una virtù come tutte le altre: «la giustizia è la virtù più efficace, e né la stella della sera, né quella del mattino sono così meravigliose, e citando il proverbio diciamo: la giustizia raccoglie in sé tutte le virtù
. Ed è una virtù perfetta al più alto grado perché chi la possiede è in grado di usare la virtù anche nei confronti degli altri e non soltanto verso sé stesso» [¹] . La giustizia essendo l’orizzonte e il traguardo della verità tutta intera, racchiude in sé un alto valore morale. Non che essa possa sostituire la verità, ma nessuna verità può farne a meno. La peculiarità di configurare l’essere umano nel suo complesso di relazione con il prossimo, qualifica la giustizia dalle restanti virtù, mentre le altre virtù perfezionano l’essere umano in sé medesimo nell’ermeneutica valutativa della giustizia legale sulla giustizia morale. Nell’ambito della giustizia legale gli individui vengono a contrapporsi l’un l’altro come estranei, invece nell’ambito morale, l’altro non è visto propriamente un altro o un diverso, anzi addirittura viene considerato e rispettato. Insomma, essere giusto moralmente è tale, proprio in quanto conferma l’altro nel suo essere-altro , aiutandolo ad ottenere quel che gli spetta. Non a caso alla virtù della giustizia sono collegate parole come aequitas , che domanda il rispetto del diritto altrui. Sant’Agostino afferma: «La giustizia è la virtù che rende a ciascuno quanto gli è dovuto» [²] , e rispetto alle altre tre virtù cardinali solo essa è definita virtuosa . Purtroppo un ladro può essere prudente, temperante e forte, ma certamente non giusto.
Nella presente opera Veritas sicut Ius , il tema è la Verità che si confronta con le domande ultime della vita, con gli interrogativi processuali che emergono spesso in modo drammatico e che possiamo definire le domande fondamentali dell’esistenza , perché il semplice fatto di porle, intrinsecamente colloca la creatura nella posizione di colei che dialoga con il suo Creatore, chiedendogli ragione del senso e del perché della creazione.
Chi siamo? Dove andiamo? Che senso ha la vita? Che senso ha la morte? Perché il dolore? Perché il peccato? Perché l’uomo deve compiere il bene e non il male? Perché io sono proprio io e non un altro? Perché ci dovremmo fare tali domande se già conosciamo le risposte? Forse perché interrogarci è utile a noi stessi e non a colui che domanda. Infatti in ciascun essere umano esiste un mondo sconosciuto e incredibile, sul quale ben pochi cosiddetti cattolici sono disposti ad indagare.
Perché sono nato povero e non ricco? Perché sono nato malato e non sano? Perché sono nato maschio e non femmina? Sono alcune delle infinite domande che potrebbero portare a dubitare Dei in veritate . La verità profonda, però, se fosse opportunamente cercata, porterebbe alla luce un microcosmo di infinite meraviglie, che proverebbero senz’ombra di dubbio la stupefacente e perfetta giustizia del Creatore. Dentro l’uomo, infatti, esistono realtà ben diverse e talora opposte all’apparenza che danno ragione alla verità di tutte le verità: nell’essere umano creato ad immagine e somiglianza di Dio, c’è veramente una scintilla divina. Il Verbum Dei unito all’umanità adora il Creatore in spirito e verità. La giustizia divina nella sua piena sapienza della mediazione, nella sua piccolezza esteriore della forma, rende veritiera la creatura dinanzi al Creatore donandole un senso di pace. In quell’intrinseca analogia che non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza verità . La verità, dunque, nella sua ineludibile e misteriosissima relazione d’amore con la giustizia, è il fondamento ultimo da cui scaturisce la tanta sospirata pace. « Ecco ciò che voi dovrete fare: dite la verità ciascuno con il suo prossimo; veraci e portatori di pace siano i giudizi che pronuncerete nei vostri tribunali » ( Zc 8, 16 ).
P. Giulio Cerchietti
INTRODUZIONE
Tutti abbiamo bisogno di chiederci se veramente dobbiamo prendere atto delle realtà strabilianti che esistono dentro di noi e trarne le dovute conseguenze oppure se possiamo limitarci a rifugiarci nello spontaneismo fideistico, constatando, con una certa amarezza, il menefreghismo nichilistico illusionista del mondo contemporaneo. Il Signore sa tutto di noi, sa anche che la fiducia o la sfiducia che abbiamo in noi stessi guarirà con il tempo, se sapremo fidarci di lui. Quando siamo sconvolti, non sappiamo più usare le parole d’amore, ma solo i risentimenti. Nella nostra vita spirituale dovremmo progredire, lasciando spazio, seriamente, alle grandi domande della vita, le quali ci pongono davanti alla giustizia divina, ci riconciliano con i nostri gravi tradimenti e le nostre continue imperfezioni; ci insegnano a fidarci di Dio e ad abbandonarci alla sua divina volontà; riescono a ridare una giusta direzione alle nostre decisioni. Le grandi domande della vita non portano a un concetto, ma nascondono un Dio innamorato. Ci insegnano che ciò che potrebbe sembrare una disgrazia è un mezzo per santificarci, per spingerci a cercare l’Eterno. È questo che dobbiamo imparare con gli occhi della fede. È la stessa comprensione che non deve accontentarsi delle sottigliezze contingenti ed esistenziali, ma deve avere fiducia che prima o poi anche le cosiddette domande troveranno adeguate risposte. Solo così la consapevolezza diventa una buona notizia e non un compito insormontabile: la buona notizia è sapere di poter sempre ricominciare, perché siamo figli di Dio, che non ha verso di noi risentimenti. Come ribadiva Papa Leone XIII, nell’Enciclica Annum Sacrum : « Si è andati fuori strada? bisogna ritornare sulla giusta via. Le tenebre hanno oscurato le menti? è necessario dissiparle con lo splendore della verità. La morte ha trionfato? bisogna attaccarsi alla vita. Solo così potremo sanare tante ferite. Solo allora il diritto potrà riacquistare l’autentica autorità; solo così tornerà a risplendere la pace, cadranno le spade e sfuggiranno di mano le armi» [³] . Siamo figli di un Dio che ci conosce, che è Padre misericordioso e giusto [⁴] , come ricorda Papa Benedetto XVI: « potremo sempre, senza paura e con totale fiducia, affidarci al suo perdono di Padre quando sbagliamo strada. Dio è un Padre buono che accoglie e abbraccia il figlio perduto e pentito (Lc 15,11), dona gratuitamente a coloro che chiedono (Mt 18,19; Mc 11,24; Gv 16,23) e offre il pane del cielo e l’acqua viva che fanno vivere in eterno (Gv 6,32.51-58) […] Dio è un Padre che non abbandona mai i suoi figli, un Padre amorevole che sorregge, aiuta, accoglie, perdona, salva, con una fedeltà che sorpassa immensamente quella degli uomini, per aprirsi a dimensioni di eternità» [⁵] . Gesù, per mostrare ai discepoli il volto del Padre, dice: « Chi di voi al figlio che gli chiede un pane, darà una pietra? E se gli chiede un pesce, gli darà una serpe? Se voi, dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele chiedono » (Mt 7,9-11). San Luca sottolinea la differenza tra la paternità dell’uomo e quella di Dio, che non si limita ad offrire cose concrete ma anche doni spirituali che solo lo Spirito Santo può elargire: « Se voi, dunque, che siete malvagi, sapete dare buoni doni ai vostri figli, quanto più il Padre celeste donerà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono! » (Lc 11,13) . D’altronde se è vero che « è sempre possibile conoscere meglio le verità che già si conoscono» [⁶] , l’erudizione, ossia la moltitudine di sapere ricevuto in uno o più campi di cognizione, attraverso la ricerca analitica e sistematica di atti e fatti, non sempre accompagnata da originalità di pensiero e finezza di gusto, non conduce tanto alla capacità di conoscere tutte le verità o di avere tutte le risposte, ma alla sincerità di ammettere la docta ignorantia [⁷] , «c’è dunque in noi una, per così dire, dotta ignoranza, dotta in quanto illuminata dallo Spirito di Dio, che aiuta la nostra debolezza» [⁸] . L’equilibrio tra la fiducia nella ragione e la profonda consapevolezza della propria ignoranza è una delle acquisizioni più preziose che lo Ius ha lasciato in eredità alla Veritas , anche se nell’era della comunicazione totale, di un overload comunicativo, di un sovraccarico di informazioni, nel quale ogni affermazione contiene in sé la presunzione della verità, una simile consapevolezza si trova esattamente all’opposto della certezza della fattispecie.
Conciliare ragione e ignoranza corrisponde anche al capire sbagliando, cioè al riscoprire la propria autenticità e veridicità facendo tesoro dell’errore commesso. In questo senso, l’esperienza del peccato non può essere ridotta soltanto al fare qualcosa di sbagliato; potrebbe diventare, in alcuni casi, l’avvio ad un processo di comprensione e di maturazione, attraverso cui fare i conti con i propri limiti e ricominciare dalle anomalie e abnormità di sé stessi; dalle anormalità idealistiche; dalle deviazioni realistiche, constatando le irregolarità contingenti e caduche. La Sacra Scrittura deve sempre avere l’ultima parola, rispondere alle vere questioni della vita e spiegare interamente il perché anche degli avvenimenti immanenti e trascendenti. Il mondo buono, creato da Dio privo di peccato, fu rovinato a causa della ribellione del primo uomo, Adamo: « ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti » (Gn 2,17), ingannato dal serpente. Il suo peccato ha offuscato la verità dell’esistenza facendo entrare l’ingiustizia e la morte nel mondo. L’ingiustizia e la morte sono la conseguenza del peccato. Quando Adamo si ribellò a Dio, dichiarò di voler vivere la sua vita senza comandamenti e di voler decidere tutto indipendentemente da Dio. Adamo, capostipite della razza umana [⁹] , è il rappresentante di ognuno di noi, poiché noi siamo i suoi discendenti. Quindi, noi pecchiamo in Adamo, ossia noi pecchiamo nello stesso modo in cui egli peccò. Perché Dio dovette giudicare e punire il peccato con la morte? Dopo la caduta di Adamo, egli e i suoi discendenti persero il diritto alla vita; essendo il Creatore della vita, Dio ha sanzionato il peccato con la morte naturale che l’uomo si è autoinflitto per mezzo delle sue scelte di disobbedienza ai precetti divini, ossia ai precetti della vita. In realtà, è colpa nostra se il mondo è così imperfetto: nessuno è veramente escluso dal peccato originale d’Adamo ed Eva [¹⁰] . La visione del peccato come vera e propria ingiustizia è stata trattata da san Giovanni Paolo II, nel corso di un’Udienza Generale: « L’opposto del peccatore è, nella Sacra Scrittura, l’uomo giusto (" Sadiq ). Il peccato dunque è, nel senso più ampio della parola, l’ingiustizia. Questa ingiustizia dalle molte forme trova la sua espressione anche nel termine
pesa, in cui è presente l’idea di torto recato all’altro, a colui i cui diritti sono stati violati con l’azione che costituisce appunto il peccato. La stessa parola tuttavia significa anche
ribellione" contro i superiori, tanto più grave se è rivolta contro Dio, come leggiamo nei profeti. Ho allevato e fatto crescere i figli, ma essi si sono ribellati contro di me
(Is 1,2; Is 48,8-9 e Ez 2,3). Peccato significa perciò anche ingiustizia
.
Al tempo stesso questa parola, secondo la Bibbia, mette in rilievo lo stato peccaminoso dell’uomo, in quanto colpevole del peccato. Infatti, etimologicamente, esso significa deviazione dalla giusta strada
oppure stortura
o deformazione
: il vero essere fuori dalla giustizia. La coscienza di questo stato di ingiustizia affiora in quella dolente confessione di Caino: Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono!
(Gn 4,13); e in quell’altra del salmista: Le mie iniquità hanno superato il mio capo, come carico pesante mi hanno oppresso
(Sal 37,5). La colpa - ingiustizia - comporta rottura con Dio, espressa dal termine " hata , che etimologicamente significa
mancanza verso qualcuno". Perciò ecco l’altra presa di coscienza del salmista: contro te solo ho peccato!
(Sal 50,6).
Sempre secondo la dottrina magistrale: il peccato, per quella sua essenziale natura di ingiustizia
, è offesa di Dio, ingratitudine per i suoi benefici, addirittura disprezzo verso la sua santissima Persona» [¹¹] . Attualmente viviamo in una società in cui tutto si disintegra, intorno a noi vediamo l’ingiustizia, l’infedeltà e il disamore: ciò è il risultato del rifiuto del giudizio di Dio sul peccato. Quotidianamente vediamo le conseguenze nefaste del libertinaggio, frutto della disobbedienza dell’uomo ai divini comandamenti e sperimentiamo un assaggio della vita priva di Dio. Molti accusano Dio di non far niente, dimostrando in tal modo di non aver compreso una grande verità: Dio ha già fatto tutto ciò che vorremmo che un Dio d’amore facesse
. Anzi, ha fatto infinitamente di più, poiché come sottolinea il profeta Isaia, « i pensieri di Dio non sono i nostri pensieri » (Is 55,8). Nel piano di Dio la soluzione al peccato commesso dal primo uomo (Adam) fu quella di mandare la Seconda Persona della Ss.ma Trinità, suo Figlio Gesù Cristo, vero Dio e Vero Uomo, a sacrificarsi per abolire il nostro peccato. Nella persona di Gesù Cristo, figlio di Dio Lui stesso Dio, attraverso il mistero dell’Incarnazione, il nostro Dio Creatore è entrato nella storia diventando discendente di Adamo; infatti Gesù fu chiamato anche il nuovo Adamo
nato da una Vergine. Il Figlio di Dio «ha o con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria Vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato» [¹²] . Lo Spirito Santo venne sulla Madre ed Egli fu vero Uomo, senza peccato, ma sottoposto ad ogni sorta di tentazione; per questo motivo ha potuto spargere il Suo Sangue sulla croce, per la remissione dei nostri peccati, in segno di verità personificata. «La nostra natura, malata, richiedeva d’essere guarita; decaduta, d’essere risollevata; morta, di essere risuscitata. Avevamo perduto il possesso del bene; era necessario che ci fosse restituito. Immersi nelle tenebre, occorreva che ci fosse portata la luce; perduti, attendevamo un salvatore; prigionieri, un soccorritore; schiavi, un liberatore. Tutte queste ragioni erano prive d’importanza? Non erano tali da commuovere Dio sì da farlo discendere fino alla nostra natura umana per visitarla, poiché l’umanità si trovava in una condizione tanto miserabile ed infelice?» [¹³] . Nel Nuovo Testamento la domanda per eccellenza « che cos’è la verità? » (Gv 18,38) ha una risposta chiara nella comunione di fede con la persona di Cristo. Verità significa unirsi a Cristo per liberare l’umanità dalla falsità e dall’illusorietà, per aiutarla ad amare Dio e il prossimo, entrando a far parte della Sua giustizia e rendendoci partecipi della Sua vita che porta alla salvezza, mediante la remissione dei peccati: « Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio » (2Cor 5,21). Per molti secoli il cristianesimo è stato presentato come una religione carismatica incentrata esclusivamente sulla figura messianica di Gesù, eppure in questa religione tutto il contorno storico, politico, legale in cui nasce è costituito da elementi importantissimi. Se pensiamo alla gioia pasquale, comprendiamo che la verità e la giustizia del Signore Gesù sono segni della redenzione umana, che sfocia nell’eternità beata dei credenti. Ciò significa che non si dovrebbe mai abbandonare la speranza [¹⁴] : la vita terrena non è sinonimo di rassegnazione nei confronti dei propri limiti, ma è un tempo che andrebbe speso nel cercare di superarli, per risorgere a una vita migliore e più felice, non solo in cielo, ma anche sulla terra. Il sentimento di aspettativa fiducia