La Chiesa e gli Stati: Percorsi giuridici del Novecento
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Nel Novecento il problema ha manifestato profili nuovi, conseguenti ai due diversi volti assunti dallo Stato: ideologico nelle grandi dittature, secolarizzato e laico nelle democrazie pluraliste. Il confronto con queste due diverse espressioni ha provocato nell’esperienza giuridica della Chiesa rilevanti modificazioni per la codificazione canonica e la pratica concordataria. In particolare, se il codice canonico del 1917 risulta costruito sul paradigma del rapporto con uno Stato caratterizzato dalle pretese giurisdizionalistiche, la codificazione del 1983 segna l’affronto della Chiesa con il secolarismo e l’insinuante tentazione laicistica, talora ammantata delle vesti della laicità. Quanto ai concordati, si nota una metamorfosi profonda rispetto alla tradizione forgiata dal Concordato napoleonico del 1801. Essa attiene ai soggetti contraenti, ai contenuti delle disposizioni, ai beneficiari di queste. In sostanza questi accordi internazionali tendono a divenire una delle espressioni d’elezione di una Chiesa che rivendica per tutti, e non solo per sé, la libertà religiosa individuale, collettiva, istituzionale e che tende a rivestire a livello planetario il ruolo di “difensore d’ufficio” dell’uomo.
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Anteprima del libro
La Chiesa e gli Stati - Giuseppe Dalla Torre
GIUSEPPE DALLA TORRE
LA CHIESA E GLI STATI
Percorsi giuridici del Novecento
Copyright © 2017 by Edizioni Studium - Roma
www.edizionistudium.it
ISBN: 9788838246067
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Indice dei contenuti
PRESENTAZIONE
I. IL CODICE PIO-BENEDETTINO E LO IUS PUBLICUM ECCLESIASTICUM EXTERNUM
1. Un dibattito antico e nuovo
2. Il contesto storico
3. Il contesto magisteriale
4. I modelli secolari
5. Quale diritto pubblico ecclesiastico esterno nella codificazione pio-benedettina?
6. Riflessioni conclusive
II. IL «DIRITTO PUBBLICO ESTERNO» E LA NUOVA CODIFICAZIONE CANONICA
1. Le omissioni del legislatore canonico nella regolamentazione generale delle relazioni esterne della Chiesa, tra vecchia e nuova codificazione, nel quadro della complessità e specificità del sistema delle fonti di diritto canonico
2. Possibilità di rintracciare nel codex ora in vigore le numerose disposizioni relative ai rapporti esterni dell’ordinamento canonico con gli ordinamenti statuali e con gli altri ordinamenti confessionali; loro configurazione quali traduzioni, in norme immediatamente precettive, delle indicazioni conciliari
3. Il rifiuto dell’ideologia della codificazione e sue conseguenze in ordine al problema dell’individuazione delle fonti del diritto pubblico ecclesiastico esterno. In particolare: a) le fonti canoniche extracodiciali
4. Segue: b) il diritto concordatario e di derivazione concordataria, ed il problema dei rapporti fra norme d’origine convenzionale e norme del codice
5. Segue: c) le fonti extra-canoniche dello Ius publicum ecclesiasticum externum, con specifico riferimento alla questione della «canonizzazione» delle leggi civili
6. Interrogativi e problemi che si pongono, dinnanzi al nuovo codex, sia sotto il profilo più generalmente attinente ai modelli ideali sottostanti alle singole disposizioni codiciali d’interesse, sia sotto quello più propriamente dogmatico, e di ricostruzione d’una teoria canonistica circa le relazione esterne alla Chiesa
III. L’ATTIVITÀ CONCORDATARIA DI GIOVANNI PAOLO II
1. Una tematica che ha suscitato interesse
2. Ragioni storiche di un fenomeno in espansione
3. Un Papa giurista o un Papa pastore?
4. Alcune considerazioni finali
IV. SECOLARIZZAZIONE E LAICITÀ
1. Una navigazione difficile
2. Secolarizzazioni e secolarizzazione
3. Le derive della laicità
4. Mos gallicus
e mos italicus
5. Quale laicità per l’Europa?
V. SANA LAICITÀ O LAICITÀ POSITIVA?
1. Per superare la polisemia del termine laicità
2. Cenni sulla dottrina cattolica in tema di laicità
3. Una aggettivazione risalente: la sana
laicità
4. Le più moderne espressioni della laicità positiva
5. Note conclusive
VI. LA CHIESA DI FRONTE AGLI STATI NELL’ATTUALE CONTESTO
1. Il codice del 1917 e lo Ius Publicum Ecclesiasticum Externum: un punto di arrivo
2. Un punto di ripartenza: il Vaticano II
3. I rapporti con le comunità politiche
4. La Chiesa e la società civile
5. Il movimento ecumenico e le relazioni interreligiose
6. Annotazioni conclusive
VII. L’ESPERIENZA NOVECENTESCA DELLA CODIFICAZIONE CANONICA UN FRUTTO DEI RAPPORTI CON GLI STATI
1. Tra diritto, pastorale e politica
2. L’estromissione del diritto canonico dagli ordinamenti statuali e sue conseguenze sulla codificazione
3. I paradigmi secolari come riferimenti del codice canonico
4. Il peso della storia
5. Prove di resistenza
6. Alcune riflessioni conclusive
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
CULTURA
Studium
100.
Scuola di Alta Formazione in diritto canonico ecclesiastico e vaticano / 2.
Tutti i volumi pubblicati nelle collane dell’editrice Studium Cultura
ed Universale
sono sottoposti a doppio referaggio cieco. La documentazione resta agli atti. Per consulenze specifiche, ci si avvale anche di professori esterni al Comitato scientifico, consultabile all’indirizzo web http://www.edizionistudium.it/content/comitato-scientifico-0.
Volume pubblicato grazie al contributo della
Libera Università Maria SS. Assunta
«ché tra le spine nasce la rosa,
e tra le molte persecuzioni ne viene
la reformazione della santa Chiesa»
(Caterina da Siena, Lett. n. 270)
PRESENTAZIONE
Il problema del rapporto col potere politico è stato una costante nella storia della Chiesa perché, come è facilmente intuibile, una volta posto il dualismo derivante dalla distinzione evangelica tra ciò che è di Cesare
e ciò che è di Dio
, ne è scaturita la perenne esigenza di distinguere i relativi ambiti e di relazionare le due autorità. Ma nel Novecento quel problema ha assunto profili in parte nuovi, conseguenti ai due diversi volti che la istituzione statale ha assunto nel corso di un secolo che, a ben vedere, breve non è stato: il volto neo-giurisdizionalista e ideologico delle grandi dittature, quello secolarizzato e laico delle democrazie pluraliste.
Il confronto con queste due diverse espressioni della statualità – confronto necessitato, poiché la Chiesa vive nei popoli di questa terra, e quindi nei rispettivi Stati – ha provocato nell’esperienza giuridica un modificarsi di concezioni, istituti, norme, in seno all’ordinamento giuridico canonico. Tali modificazioni appaiono particolarmente significative in due ambiti: la codificazione e la pratica concordataria.
Per quanto riguarda le codificazioni del diritto canonico latino, occorre osservare che esse sono costruite sul paradigma del rapporto con lo Stato, dalle cui tornanti pretese giurisdizionalistiche occorre guardarsi. Solo che la codificazione del 1917 si dovrà confrontare col moderno Moloch dei totalitarismi di destra e di sinistra, mentre la codificazione del 1983 segnerà l’affronto della Chiesa con il secolarismo e l’insinuante tentazione laicistica, ammantata delle vesti della laicità.
Quanto poi ai concordati, che in fine secolo – in particolare durante il lungo pontificato di Giovanni Paolo II – conoscono uno sviluppo inatteso e sorprendente, si nota una metamorfosi profonda rispetto alla tradizione radicata nel paradigma del Concordato napoleonico del 1801. Metamorfosi che attiene ai soggetti contraenti (non più solo gli Stati cattolici), ai contenuti delle disposizioni (appaiono nuove materie miste, mentre ne scompaiono di antiche), ai beneficiari di queste (dalle istituzioni ecclesiastiche, ai cattolici, ad ogni uomo). In sostanza questi accordi internazionali tendono a divenire una delle espressioni – ed al tempo stesso uno degli strumenti – d’ elezione di una Chiesa che rivendica per tutti, e non solo per sé, la libertà religiosa individuale, collettiva, istituzionale, e che più in generale tende a rivestire a livello planetario il ruolo di difensore d’ufficio
dell’uomo, nelle sue spettanze inderogabili.
Al mutare dell’esperienza giuridica risponde un aggiornamento profondo di concezioni, in cui si vede con chiarezza la progressiva recezione degli insegnamenti del Concilio Vaticano II in materia di libertà religiosa e di rapporti fra la Chiesa e le comunità politiche. Così ad esempio nel passaggio dalle chiusure ancora ottocentesche nei confronti della laicità delle pubbliche istituzioni, tipiche ancora del primo Novecento, alle timide brecce segnalate dal magistero di Pio XII sulla sana laicità dello Stato
, alla apertura piena di Benedetto XVI in termini di laicità positiva
.
* * *
Raccolgo in questo volume alcuni studi apparsi, ad eccezione di uno, nell’ultimo decennio, relativi ai rapporti tra la Chiesa e gli Stati, cioè attinenti a quel ramo del diritto canonico che una volta si chiamava Ius Publicum Ecclesiasticum Externum. Sono contributi che si ricollegano evidentemente ad una pluralità di scritti che, sull’argomento o attorno all’argomento, ho prodotto in quasi un cinquantennio di attività di ricerca; scritti dei quali segnano nella mia memoria tappe importanti la monografia, pionieristica allora per il tema affrontato, su Chiesa particolare e comunità politica. Nuove prospettive del diritto pubblico ecclesiastico esterno (Mucchi, Modena 1983), il libro La città sul monte. Contributo ad una teoria canonistica sulle relazioni fra Chiesa e Comunità politica ( Ave, Roma 1996, 2002, 2007), ed infine il volumetto Dio e Cesare. Paradigmi cristiani nella modernità (Città Nuova, Roma 2008).
Nel riguardare tutto questo materiale, con le inevitabili ripetizioni ma anche con un progredire di approfondimenti, percepisco con chiarezza che, in fondo, proprio questo dei rapporti fra Chiesa e comunità politica è stato il vero interesse della mia vita di ricercatore e il perno di tutta la mia speculazione scientifica: sia nell’ambito del diritto ecclesiastico, che ho insegnato nell’ Alma Mater Studiorum di Bologna e nella LUMSA di Roma, sia nell’ambito del diritto canonico, che ho insegnato ancora nella LUMSA, e poi nelle Università Pontificie Lateranense, Urbaniana, Angelicum. E, quasi concludendo il percorso, mi sento di non poter non condividere l’affermazione – che allora non compresi e quasi contestai – di un grande intellettuale e storico, Pietro Scoppola, per il quale in definitiva nel corso d’una vita il ricercatore non fa che scrivere un unico libro: sempre lo stesso.
g.d.t.
Roma, 4 aprile 2017
nella ricorrenza di s. Isidoro di Siviglia
I. IL CODICE PIO-BENEDETTINO E LO IUS PUBLICUM ECCLESIASTICUM EXTERNUM
1. Un dibattito antico e nuovo
In altra occasione ho già avuto modo di notare che una affermazione ricorrente nei commentari al codice di diritto canonico del 1917 era quella per cui il diritto pubblico ecclesiastico, in particolare lo Ius publicum externum , sarebbe risultato completamente estraneo alla codificazione [1] . Una affermazione sorprendente, almeno per quanto atteneva al cosiddetto Ius publicum internum , poiché i canoni del codice pio-benedettino, già ad un primo e sommario esame, risultavano in realtà afferenti nella maggior parte al diritto pubblico, essendo solo in minima parte ascrivibili – se si accetta tale distinzione per il diritto della Chiesa – al diritto privato.
Diverso il caso dello Ius publicum externum, sia per ragioni d’ordine dottrinale sia per ragioni d’ordine storico. Difatti dal punto di vista dottrinale era dibattuta la questione della configurabilità di una distinzione tra diritto pubblico ecclesiastico e diritto canonico pubblico [2] , con intuibili conseguenze in ordine alla loro qualificabilità come materia di codice. Dal punto di vista storico poi, e più precisamente sul piano della storia del pensiero giuridico e della dottrina canonistica, la questione del rapporto tra Ius publicum ecclesiasticum externum e codice era stata oggetto di ampio dibattito prima, durante e dopo il lavoro di codificazione.
In effetti dall’annuncio del codice e nel corso dell’elaborazione della codificazione un nutrito dibattito dottrinale venne ad aprirsi, all’interno di quello più ampio sulla opportunità o sulla stessa possibilità di codificare il venerando diritto della Chiesa, circa l’eventuale recezione dello Ius publicum externum. Invero accanto a coloro che ritenevano opportuna l’inclusione del diritto pubblico esterno nel codice, erano le opinioni – complessivamente preponderanti – di quanti consideravano inopportuna tale recezione per non turbare i rapporti giuridici definiti con gli Stati, o di quanti la opinavano del tutto impossibile, perché il codice avrebbe dovuto riconsiderare funditus il problema dei rapporti tra la Chiesa e gli Stati, superando completamente le vecchie teoriche e sistematizzazioni elaborate dalla scienza del diritto pubblico ecclesiastico, o perché il codice avrebbe dovuto segnare un processo di spiritualizzazione
e di de-temporalizzazione
del diritto della Chiesa. Non mancava l’opinione di chi, già scettico sulla possibilità di codificare il diritto canonico, riteneva del tutto impossibile la codificazione di quella sua parte, più teorica che normativa, più dottrinale che giuridico-positiva, riguardante appunto le relazioni inter potestates. Era in sostanza la posizione di coloro che si ponevano i problemi tecnici di una traduzione in norme di principi teologici o addirittura politici, naturalmente sfuggenti ad una traduzione in termini prettamente giuridici.
A promulgazione avvenuta il dibattito, come accennato, non si spense. Esso continuò partendo dalla evidente assenza di una parte del codice specificamente dedicata alla materia dei rapporti tra la Chiesa e gli Stati, e si dipanò sostanzialmente attorno alle ragioni di tale assenza ed alla possibilità comunque di individuare, nell’ordinamento codiciale, norme riferibili allo Ius publicum ecclesiasticum externum. Non può dunque non sorprendere il fatto che nella manualistica ecclesiastica si sia continuato a ripetere tralaticiamente l’affermazione della completa estraneità del diritto pubblico ecclesiastico alla codificazione, a fronte di una questione irrisolta.
Tutto questo fervore attorno al tema è stato egregiamente ricordato e ricostruito nelle indagini sulla prima codificazione canonica, significativamente avviate dopo la nuova codificazione, in particolare da Giorgio Feliciani e, soprattutto, da Romeo Astorri [3] .
Non è dunque il caso di riprendere in questa sede una rassegna delle diverse posizioni dottrinali succedutesi nel tempo in materia, già compiutamente elaborata. E tuttavia pare di dover rilevare come la questione di fondo, sostanziale, sulla quale tali posizioni si aggiravano non sia ancora del tutto chiarita. Rimangono ancora degli interrogativi sui quali la riflessione non sembra inutile, a cominciare da quello relativo alla sussistenza, nonostante tutto, cioè nonostante la rilevata mancanza di una specifica trattazione in codice, di una più o meno ampia quantità di norme di diritto pubblico ecclesiastico esterno; norme eventualmente collegabili tra di loro, riconducibili a precisi ed univoci modelli magisteriali e dottrinali, dalla cui connessione è possibile ricostruire un sistema.
Così pure manca, a me pare, un adeguato approfondimento di quali siano stati gli effetti delle scelte del codificatore del 1917 non solo sulla concreta pratica delle relazioni tra la Chiesa e gli Stati o sulle teorizzazioni canonistiche circa tali rapporti, ma anche sugli sviluppi della stessa dottrina giuridica secolare relativamente alla qualificazione dello Stato dal punto di vista confessionale ed allo sviluppo di esperienze giuridiche conseguenti e coerenti.
Le riflessioni che seguono intendono offrire, senza pretesa alcuna di esaustività, un contributo in tal senso.
[1] G. Dalla Torre, Il diritto pubblico esterno
e la nuova codificazione canonica, in Scritti in memoria di Pietro Gismondi, I, Giuffrè, Milano 1987, p. 499 ss. Il testo è qui riprodotto nel Capitolo II.
[2] Cfr. ad esempio E. Fogliasso, Il codice di diritto canonico e il Jus publicum ecclesiasticum
, in «Salesianum», 1944, p. 21.
[3] Si veda in particolare di G. Feliciani, La Chiesa di fronte agli Stati, in «La Scuola Cattolica», 124 (1966), p. 263 ss.; di R. Astorri vedasi Le leggi della Chiesa tra codificazione e diritti particolari, Padova 1992 e soprattutto L’Introduzione
del Falco nel dibattito sulla codificazione, in M. Falco, Introduzione allo studio del codex iuris canonici
, a cura di G. Feliciani, il Mulino, Bologna 1992, p. 51 ss.
2. Il contesto storico
All’inizio del Ventesimo secolo, quando si cominciava a por mano alla codificazione canonica, il contesto nel quale veniva a collocarsi il diritto sacro era ormai totalmente mutato rispetto a tradizioni plurisecolari, che avevano profondamente segnato la storia europea.
Dal punto di vista politico-istituzionale, dopo le effimere esperienze di restaurazione che si erano tentate in vari Stati europei – ma pur sempre restaurazioni parziali ed ineluttabilmente segnate dalle pregresse esperienze rivoluzionarie e dalle vicende napoleoniche –, si era del tutto consumato il distacco degli Stati dalla Chiesa. Il processo di secolarizzazione era avanzato rapidamente e profondamente, allontanando le istituzioni pubbliche dai modelli religiosi di riferimento [1] . Il principio di distinzione fra Stato e Chiesa si era venuto, proprio nei Paesi di antica tradizione cattolica, progressivamente mutando in un marcato separatismo; la laicità dello Stato era principio che poco a poco si affermava non solo quale elemento culturale, ma anche quale principio giuridico caratterizzante la forma di Stato; la tendenza, esemplare nella terza Repubblica francese, ad estromettere la Chiesa e la religione dallo spazio pubblico faceva degenerare la laicità nelle forme ideologiche del laicismo [2] .
Un processo di estraniazione dello Stato dalla Chiesa, avviato da tempo, era giunto a conclusione, e l’antica idea della convivenza di due auctoritates chiamate a reggere la stessa società era definitivamente tramontata. L’idea tutta moderna di sovranità dello Stato poneva la Chiesa tra le formazioni sociali di cui si struttura e nelle quali si esprime quella società civile che, nell’esperienza europeo-continentale, è in posizione servente rispetto allo Stato e soggiace al suo imperium.
Dal punto di vista giuridico il contesto nel quale veniva a collocarsi il diritto sacro era ormai totalmente mutato rispetto a quella che era stata, per secoli, la solidarietà tra l’uno e l’altro diritto. Come è stato autorevolmente notato, già all’inizio del diciannovesimo secolo gli ordinamenti giuridici secolari si erano ricostituiti su fondamenta profane. In effetti, «la Chiesa aveva perso quasi tutte le sue posizioni dell’ ancien régime. Il diritto delle Decretali continuava da essere applicato soltanto in un organismo molto impoverito. Di una sottomissione degli Stati, anche nel significato datole nel diciottesimo secolo, non era più questione: il dualismo di potenza era finito» [3] .
Come ho già avuto modo di osservare in altra sede [4] , l’avvento del codex del 1917 è l’effetto ed al tempo stesso il segno della fine di quella solidarietà
tra diritto canonico e diritto degli Stati.
In effetti, dopo l’esperienza della christianitas medioevale, nei moderni Stati assolutistici aventi un dichiarato carattere confessionale-cattolico, il diritto canonico si era venuto sviluppando – sia come normazione, sia