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Dizionario delle immagini del sacro
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E-book520 pagine9 ore

Dizionario delle immagini del sacro

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Info su questo ebook

Come ha messo in risalto il paleoantropologo Yves Coppens con le sue ricerche, già Homo abilis, precursore di Homo sapiens, era capace di creare una «cultura» propria. Da quelle prime realizzazioni l’Uomo non cessa più di creare e fare scoperte, giungendo a indagare sul suo destino attraverso l’osservazione della natura che lo circonda e del cosmo che lo sovrasta. In tale ricerca egli si pone in relazione con cinque grandi simboli di base: la volta celeste diurna e notturna; i simboli solari; i simboli lunari con i movimenti degli astri; i simboli della terra con la fertilità e infine i simboli dell’ambiente naturale: acqua, montagna, albero. Secondo Eliade, nell’immaginazione dell’Homo religiosus dimora «una luce di trascendenza proveniente dall’esterno». Il Dizionario delle immagini del sacro documenta con i testi di alcuni fra i più riconosciuti esperti del settore il complesso rapporto intessuto dagli esseri umani con il sacro attraverso le sue più diverse rappresentazioni.
LinguaItaliano
EditoreJaca Book
Data di uscita22 dic 2020
ISBN9788816802506
Dizionario delle immagini del sacro
Autore

Mircea Eliade

Mircea Eliade (1907-1986), formatosi come filosofo e storico delle religioni all’Università di Bucarest, insegnò Storia delle religioni all’École des Hautes Etudes di Parigi e all’Università di Chicago. È considerato uno degli storici delle religioni più importanti del Novecento. Famoso per i suoi studi sulle religioni indiane e lo sciamanesimo, Eliade è noto anche come scrittore di romanzi e racconti, pubblicista, saggista, autore di letteratura diaristica e memorialistica. Tra le sue opere ricordiamo Lo sciamanesimo e le tecniche dell’estasi e Mefistofele e l’androgine pubblicate in Italia dalle Edizioni Mediterranee.

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    Anteprima del libro

    Dizionario delle immagini del sacro - Mircea Eliade

    A cura di

    Mircea Eliade

    DIZIONARIO

    DELLE IMMAGINI

    DEL SACRO

    © 1986-2012

    Editoriale Jaca Book SpA, Milano

    The Encyclopedia of Religion diretta da Mircea Eliade

    Curatori dell’edizione tematica italiana

    Dario M. Cosi, Luigi Saibene, Roberto Scagno

    © 2020

    Editoriale Jaca Book Srl, Milano

    tutti i diritti riservati

    Prima edizione

    luglio 2020

    Testi di:

    Rudolf Arnheim, Moshe Barasch, Faubion Bowers, Virgil Cândea,

    Eduard Carbonell Esteller, Dominique Collon, John W. Cook, Michel Delahoutre,

    E. Dale Saunders, Carl-Martin Edsman, Simone Gaulier, Tamara M. Green,

    Robert Jera-Bezard, H.G. Kippenberg, Kristine Kontler, Stella Kramrisch, Roger Lipsey,

    Karol Myśliwiec, Hirai Naofusa, Julien Ries, Miriam Rosen, Annemarie Schimmel,

    David L. Snellgrove, John S. Strong, Lawrence E. Sullivan,

    Laurence G. Thompson, Tania Velmans, John E. Vollmer

    Traduzioni di:

    Sara Andreis, Fabrizia Berera, Emanuela Braida, Antonella Comba,

    Alessandra Consolaro, Andrea Contri, Simona Destefanis, Chiara Formis,

    Bruno Pistocchi, Cristiano Screm, Anna Serralunga, Isa Sestini

    Copertina e grafica

    Break Point / Jaca Book

    Redazione Jaca Book

    Impaginazione Elisabetta Gioanola

    eISBN 978-88-16-80250-6

    Editoriale Jaca Book

    via Frua 11, 20146 Milano, tel. 02/4856151

    libreria@jacabook.it; www.jacabook.it

    Seguici su

    INDICE

    DIZIONARIO DELLE IMMAGINI DEL SACRO

    Elenco delle voci

    A

    ARTE BIZANTINA E MISTERO DELL’INCARNAZIONE

    LE STRAORDINARIE ORIGINI

    Le chiese, dimore celesti, erano fatte per essere frequentate e, al tempo stesso, per ricordare i principali episodi della Bibbia sui quali si fondano i dogmi della fede. Lo stile pittorico bizantino, formatosi nel VI-VII secolo, deriva da un lato da modelli antichi e, dall’altro, dal pensiero cristiano, in particolare quello dei Padri greci, vicini essi stessi alla filosofia idealista di Platone e dei neoplatonici. Furono soprattutto lo Pseudo-Dionigi Areopagita (V secolo) e Massimo il Confessore (VII secolo) i Padri che influenzarono indirettamente i creatori del nuovo stile. Fu così che si affermò l’idea che, rendendo visibile ciò che visibile non era, l’immagine dovesse essere la testimonianza dell’esistenza di un mondo ultraterreno inattingibile dal pensiero razionale. Di fatto, le si chiedeva ancor di più: contemplandola, il fedele doveva giungere a una maggior conoscenza del mondo divino e alla propria perfezione spirituale. San Giovanni Damasceno osserva laconicamente: «Vidi l’immagine di Dio e la mia anima fu salva».

    I teologi greci avevano ben presto teorizzato l’insignificanza della materia, giungendo a negarle una vera esistenza. Secondo loro il mondo sensibile era solo apparenza che non corrispondeva alla verità delle cose, ma a una realtà ingannevole. Si poneva dunque il problema di come riuscire a rendere visibile nel mondo dell’immagine il kosmos (l’ordine) divino; in altre parole, come creare un «metalinguaggio» capace di esprimere la trascendenza, un’esigenza presente anche nello Pseudo-Dionigi Areopagita. In pratica, la questione era come creare dei personaggi smaterializzati e collocarli in uno spazio privo di riferimenti razionali. Perciò la figura umana fu privata del volume, le sue proporzioni si allungarono mentre il contorno scuro, addirittura incisivo, prese spesso il posto del modellato con un effetto di appiattimento delle forme.

    La contemplazione mistica a cui invitava questo linguaggio plastico era sottolineata anche dal programma iconografico: nella cupola splende la croce, simbolo trionfale di Cristo che, nell’abside, appare spesso in trono, come Signore dell’universo, circondato da angeli, apostoli e santi (per esempio in San Vitale a Ravenna, VI secolo). A volte Egli compare anche fra i quattro animali dell’Apocalisse, secondo la descrizione delle visioni divine dei profeti (chiesa di Cristo del monastero di Latomos a Salonicco, V secolo). Quest’ultimo schema è molto più comune e costante nella periferia orientale del mondo bizantino, dove compare ancora nel XIII secolo.

    Il fondo d’oro ha ormai assunto ancora più importanza e, nell’abside, appare immenso intorno all’esile figura della Vergine, come nel caso di Santa Sofia di Salonicco (IX secolo), a Hosios Loukás, a Daphní.

    Nelle scene bibliche gli sfondi architettonici, necessari per ambientare l’azione, sono ridotti al minimo, o mancano del tutto. Così, la Lavanda dei piedi di Hosios Loukás presenta solo poche assi, che per di più sono dorate e si amalgamano col fondo, per indicare il banco sul quale stanno seduti gli apostoli; nell’Annunciazione di Daphní è stata addirittura eliminata la linea del suolo, così che i personaggi fluttuano nella luce dorata senza alcun appoggio solido. La stessa cosa si verifica nella Crocifissione di Hosios Loukás e, più tardi, in quella dell’icona dell’XI-XII secolo del monastero di Santa Caterina del Sinai dove Cristo è rappresentato morto sulla croce, una novità che apparve per la prima volta nelle miniature dei salteri del IX secolo, subito dopo la vittoria degli iconoduli. Nel mosaico di Hosios Loukás e nell’icona citata, il Crocifisso, fra la Vergine e il Battista, spicca contro uno sfondo d’oro sconfinato e senza alcun rimando alle realtà di questo mondo. L’immagine del sacrificio volontario di Gesù viene così privata di qualsiasi elemento narrativo, per diventare un simbolo proiettato nell’eternità della luce divina.

    TANIA VELMANS

    ARTE DELL’EPOCA DELLE CAVERNE

    Durante gli anni ’70 e ’80 del XX secolo, grazie all’impulso dato da una serie di storici della preistoria – tra i quali spiccano André Leroi-Gourhan, Yves Coppens, Emmanuel Anati, Paolo Graziosi e Antonio Beltrán – si è costituito un gruppo di studiosi finalizzato a coordinare la ricerca, lo studio, la salvaguardia e la valorizzazione dell’arte rupestre. La collaborazione dei ricercatori ha consentito di fornire un primo panorama di questo patrimonio e di far progredire l’interpretazione dell’arte religiosa delle caverne.

    CHIAVI DI LETTURA

    Diverse chiavi di lettura sono venute ad aggiungersi a quella del reverendo Henri Breuil, nota per aver sottolineato l’importanza della magia della caccia e dei riti propiziatori. André Leroi-Gourhan e Annette Laming-Emperaire, purtroppo perita in un incidente, hanno messo in luce la bipolarità delle figure e delle valenze, segni di una elaborazione di concetti dualistici e di una visione complessa della società e del cosmo. L’insieme dell’arte figurativa paleolitica dovrebbe essere considerato come «l’espressione di concetti sull’organizzazione naturale e soprannaturale (che nel pensiero paleolitico non potevano che essere un tutt’uno) del mondo vivente». Di tale interpretazione dell’arte rupestre come riflesso della società si è valsa l’antropologia sociale e culturale anglosassone nella sua analisi della società e delle «istituzioni» del Paleolitico superiore. Il nostro autore ha presentato anche una seconda chiave di lettura, costruita a partire dai mitogrammi leggibili nelle grandi composizioni figurative delle caverne e capaci di introdurci negli arcani dei miti elaborati da Homo sapiens sapiens. Infine, basandosi sull’analisi della diversità e sulla ricchezza dei simboli, Emmanuel Anati vede nell’arte rupestre l’origine dell’elaborazione dei concetti nella formazione dello spirito umano, e l’espressione delle facoltà di astrazione, di sintesi e di associazione.

    I SANTUARI

    Entusiasmati dalle scoperte, i primi celebratori dell’arte animalista hanno utilizzato un linguaggio fatto di superlativi: la grotta di Niaux sarebbe la «Versailles della preistoria», mentre in quella di Lascaux è stata vista la «cappella Sistina» del Paleolitico. Una volta tornata la calma si è imposto un concetto: le grotte e le caverne sono dei santuari ricavati nelle profondità della terra. Attualmente siamo in grado di intravedere la strada che conduce dagli uomini di Cro-Magnon ai Maddaleniani. Homo sapiens di Cro-Magnon incideva e scolpiva le prime immagini nei ripari sotto le rocce. I Maddaleniani si addentravano di più nel buio e nel mistero delle profondità. Le tracce di passi, in particolare passi di adolescenti, e i mitogrammi delle volte e delle pareti fanno pensare a delle riunioni iniziatiche; tale ipotesi è confermata a Lascaux dal numero impressionante di impronte di giovani.

    FIGURA 1. Figura antropo-zoomorfa con testa di uccello, zampe d’orso e corpo umano. Grotta di Altamira, Cantabria, Spagna. Rilievo di Henri Breuil.

    FIGURA 2. Scena di danze di antropo-zoomorfi. Secondo Emmanuel Anati rivela con probabilità un mito. Potrebbe trattarsi ad un tempo di una scena sciamanica. Il rilievo è stato eseguito a Tamgali, Kazakhstan.

    La presenza, il numero e la qualità dei mitogrammi inducono a supporre l’esistenza di miti cosmogonici e miti delle origini che saranno poi definiti dalle ricerche successive. L’unione – mai l’accoppiamento – tra gli animali costituirebbe la prova di una mitologia bipolarizzata che avrebbe caratterizzato l’età della Renna. Le statuette femminili, definite «Veneri di Aurignac», che sono state rinvenute su tutto il territorio europeo, sarebbero le prime testimonianze dei culti e dei miti della fecondità. Nelle raffigurazioni maddaleniane di uomini mascherati alcuni studiosi hanno visto degli «stregoni» o degli «sciamani», forse dei maestri delle cerimonie di iniziazione. Le rappresentazioni di danze circolari non sarebbero estranee alle pratiche iniziatiche, una perpetuazione delle quali si può osservare presso le popolazioni di cacciatori delle culture arcaiche recenti.

    La ricerca attuale dimostra che il santuario è legato alla cultura della popolazione circostante; ciò conferisce a ogni santuario una propria identità e richiede un’interpretazione specifica per ciascuno di essi. Per esempio a Rouffignac lo studio dettagliato del Soffitto dei Serpenti ha condotto Claude Barrière a interpretare il serpente come simbolo del male e il mammut come simbolo della vita. L’insieme della composizione costituirebbe un’illustrazione della lotta del Male contro la Vita. Nel suo studio sui santuari monotematici dell’arte rupestre cantabrica, Francisco Jordá Cerdá è giunto a conclusioni incoraggianti per lo studio della religiosità delle popolazioni maddaleniane. Oggetto dei suoi studi sono: rappresentazioni animali che sembrano raffigurare l’apparizione dell’animale mitico; cappelle considerate come luoghi destinati al deposito di «oggetti sacri»; il simbolismo del clan in presenza della potenza celeste; la mano considerata come archetipo religioso del rifiuto delle forze ostili; i miti cosmogonici.

    L’HOMO RELIGIOSUS DEL PALEOLITICO SUPERIORE

    Le chiavi di lettura non sono ermeneutiche dell’arte rupestre, ma strumenti grazie ai quali gli ermeneuti possono penetrare negli arcani dei santuari e tentare di comprendere i mitogrammi, le incisioni fatte sui muri e sugli utensili, il senso delle statuette femminili e delle composizioni sui soffitti e le rocce parietali. Circa 10.000 anni fa, alla fine della glaciazione Würm, l’arte rupestre maddaleniana si è estinta. Il riscaldamento della terra ha segnato la fine delle grandi specie animali che erano familiari ai cacciatori raccoglitori. Si è conclusa così un’epoca della storia umana.

    L’utilizzo simultaneo delle quattro chiavi di lettura di cui abbiamo parlato ci permette di intravedere alcuni aspetti dell’esperienza del sacro e del comportamento di Homo sapiens sapiens, autore e contemporaneo dell’arte rupestre. Questo Uomo ha vissuto un’esperienza che comprendeva la percezione di kratofanie e ierofanie, sebbene ancora con una certa confusione. Ciò ci fa pensare a un comportamento magico-religioso ispirato a una certa percezione della Trascendenza. Tale percezione da parte dell’homo religiosus paleolithicus è resa evidente sia dall’organizzazione dei santuari, sia dalle composizioni rupestri e dai segni dell’arte parietale e mobiliare. La rappresentazione di innumerevoli mitogrammi dimostra che un pensiero simbolico e mitico costituiva la struttura della religiosità di quest’uomo e determinava i suoi comportamenti. Per lui l’iniziazione ai miti doveva essere una forma di rivelazione di una «storia santa» del cosmo e dell’uomo, che gli permetteva di collocarsi all’interno dell’Universo.

    FIGURA 3. Figura antropomorfa: corpo umano e muso di bisonte, probabilmente rappresenta un essere umano mascherato con testa e pelle di bisonte (possibile sacerdote o sciamano che esegue una danza rituale). Grotta di Gabilliou, Dordogna, Francia.

    BIBLIOGRAFIA

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    E. Anati, Le radici della cultura, Jaca Book, Milano 1992.

    E. Anati, Il museo immaginario della preistoria, Jaca Book, Milano 1995, 2002².

    E. Anati (dir.), Arte e comunicazione nelle società preletterate, Jaca Book-Centro Camuno di Studi Preistorici, Milano-Capo di Ponte 2011.

    A. Beltrán, Da cacciatori ad allevatori. L’arte rupestre del Levante spagnolo, Jaca Book, Milano 1980.

    A. Beltrán, Arte rupestre preistorica, Jaca Book, Milano 1993.

    Y. Coppens, Le Singe, l’Afrique et l’homme, Fayard, Paris 1983 (tr. it. La scimmia, L’Africa e l’uomo, Jaca Book, Milano 1985, 1996³).

    Y. Coppens, L’Origine de l’Homme; le milieu, la découverte, la conscience, la création, in «Revue des sciences morales et politiques», Paris 1987, pp. 507-32.

    Y. Coppens, Le origini dell’uomo, illustrazioni di S. Gepner, Jaca Book, Milano 2008.

    Y. Coppens, La nascita delle arti e del sacro, illustrazioni di S. Gepner, Jaca Book, Milano 2011.

    A. Leroi-Gourhan, Les Religions de la préhistoire, PUF, Paris 1964 (tr. it. Le religioni della preistoria, Rizzoli, Milano).

    A. Leroi-Gourhan, Préhistoire de l’art occidental, Mazenod, Paris 1965.

    A. Leroi-Gourhan, I più antichi artisti d’Europa. Introduzione all’arte parietale paleolitica, Jaca Book, Milano 1981.

    J. Ries, Les Rites d’initiation, Centre d’histoire des religions, Louvain-la-Neuve 1986 (tr. it. I riti di iniziazione, Jaca Book, Milano 1989, 2016²).

    J. Ries (dir.; codir. L.E. Sullivan), Trattato di Antropologia del Sacro, I-X, Jaca Book-Massimo, Milano 1989-2009.

    J. Ries, Opera Omnia, Jaca Book, Milano: II. L’uomo e il Sacro nella storia dell’umanità, 2007; III. L’uomo religioso e la sua esperienza del Sacro, 2007; VI. La storia comparata delle religioni e l’ermeneutica, 2009.

    JULIEN RIES

    ARTE FRANCO-CANTABRICA

    L’ARTE DEL PALEOLITICO SUPERIORE

    L’arte preistorica si divide in due categorie a seconda del tipo di supporto sul quale è stata realizzata l’opera. Le opere eseguite su supporti fissi, come le lastre rocciose e le caverne, rientrano nel campo dell’arte rupestre denominata anche parietale. Quando le opere sono eseguite su supporti mobili si parla di arte mobiliare. L’arte preistorica è propria delle civiltà di cacciatori del Paleolitico superiore e interessa un periodo compreso tra 34.000 anni fa e il 9000 a.C. Nello spazio e nel tempo, l’arte rupestre franco-cantabrica ha avuto un’estensione minore dell’arte mobiliare, dato che essa è iniziata all’incirca 25.000-20.000 anni fa e si è conclusa attorno a 10.000 anni fa, contemporaneamente alla civiltà maddaleniana. Essa è fiorita soprattutto nel Sud-Est della Francia, sui Pirenei, in Spagna e sulle Asturie (monti Cantabrici) e in modo minore sulle coste europee del Mediterraneo. Poiché le tracce della sua esistenza sono particolarmente numerose nei ripari e nelle grotte della Francia e della regione dei monti Cantabrici, si parla di arte franco-cantabrica. L’arte del Levante spagnolo, invece, designa l’insieme dei dipinti parietali che non sono situati in grotte, come quelle della regione franco-cantabrica, ma in ripari posti sotto a rocce localizzate nella Spagna orientale. Le pitture e le incisioni delle grotte e dei ripari rocciosi dell’Italia meridionale, della Sicilia e della Linguadoca francese costituiscono infine l’arte propria di una provincia denominata da Paolo Graziosi mediterranea. In questo insieme artistico del Paleolitico superiore, l’arte franco-cantabrica è rimasta il polo di attrazione delle ricerche scientifiche, e occupa una posizione di preminenza per la descrizione che essa offre di un’epoca prestigiosa per il numero e la qualità delle opere conservate.

    GLI STILI DELL’ARTE PALEOLITICA

    André Leroi-Gourhan ha suddiviso l’arte paleolitica in quattro stili. Lo stile I (da 34.000 a 25.000 anni fa) comprende i graffiti illeggibili, i tratti, le incisioni, le coppelle. Queste opere primitive sono esempi di arte figurativa geometrica. Nello stile II (da 25.000 a 15.000 anni fa) troviamo rigidi profili di animali privi di dettagli. Lo stile III o preclassico comprende opere nell’esecuzione delle quali gli artisti hanno riprodotto le proporzioni della realtà visiva. In esse sono raffigurati i dettagli essenziali, come nel caso di Lascaux e di Pech-Merle. Lo stile IV, detto classico, va dal Maddaleniano medio alla fine del Paleolitico. In questa fase l’arte del Paleolitico superiore raggiunge il suo apogeo e i movimenti e le proporzioni delle forme sono riprodotti con realismo. Le opere dello stile IV sono state a loro volta divise in tre fasi di cui le ultime due si avviano alla decadenza. La prima fase costituisce invece l’esempio della massima perfezione artistica, con i dipinti di Altamira, di Niaux, di Font-de-Gaume, di Les Combarelles e di Les Trois-Frères. Le opere più significative della prestigiosa arte franco-cantabrica appartengono agli stili III e IV.

    L’INSIEME DELLE CIVILTÀ PRODUTTRICI DELL’ARTE FRANCO-CANTABRICA

    La civiltà castelperroniana, che trae il proprio nome dalla Grotta delle Fate di Châtelperron (Francia), si colloca in una fase di transizione (da 34.000 a 30.000 anni fa). Essa riproduce ancora l’opera dell’uomo di Neandertal, ma introduce anche le prime espressioni simboliche dell’arte paleolitica: incisioni su ossa e figure geometriche su piastre. Essa interessa praticamente l’area nella quale si svilupperà l’arte franco-cantabrica.

    La civiltà aurignaziana, dal nome di Aurignac nell’Alta Garonna (Francia), produce un’utensileria molto varia ed elaborata. Essa presenta abbondanza di suppellettili e costituisce l’esempio di un’arte che mostra il fiorire del pensiero simbolico. In essa troviamo raffigurazioni maschili e soprattutto femminili, riprodotte su massi rocciosi, come pure alcuni animali stilizzati. Tale civiltà si estende dal Vicino Oriente all’Atlantico, interessa il periodo compreso tra 33.000 e 26.000 anni fa e costituisce la prima manifestazione dell’arte paleolitica.

    La civiltà gravettiana è produttrice di un’arte che segna lo sviluppo dell’arte paleolitica (da 27.000 a 19.000 anni fa). Il suo nome deriva da La Gravette in Dordogna. Essa si estende in tutta Europa ed è suddivisa in diverse classi artistiche. Durante gli 8 millenni della sua esistenza, l’arte paleolitica si sviluppa ampiamente, producendo incisioni, dipinti e sculture.

    La civiltà solutreana trae il proprio nome dagli scavi del Crot-du-Charnier a Solutré-Pouilly in Senna e Loira (Francia). Questa civiltà si colloca nel periodo della massima perfezione del taglio della pietra, all’inizio dello stile in. Essa interessa soltanto la Francia (Massiccio Centrale, Pirenei) e la Spagna cantabrica. Ci ha lasciato alcuni dipinti raffiguranti animali (da 20.000 a 18.000 anni fa).

    La civiltà maddaleniana produce la più alta espressione dell’arte paleolitica (da 18.000 a 10.000 anni fa), con più di centocinquanta grotte decorate adibite a santuari, la maggior parte delle quali sono situate nell’area franco-cantabrica. Il nome di questa civiltà deriva dal grande riparo roccioso della Madeleine a Tursac in Dordogna (Francia). L’esecuzione di opere d’arte parietali realizzate dai Maddaleniani nell’oscurità e nelle profondità della terra costituisce un fatto unico nella storia.

    La civiltà epipaleolitica inizia circa 10.000 anni fa. In Francia e in Spagna comincia la decadenza dell’arte animalistica. L’arte del Paleolitico giungerà ben presto al suo termine.

    L’ARTE FRANCO-CANTABRICA

    La civiltà maddaleniana in senso stretto si limita a interessare l’area franco-cantabrica. Caratteristica della sua arte mobiliare è un’abbondanza di forme e di motivi decorativi. L’arte parietale è realizzata in gallerie e in sale all’interno di grotte calcaree che vengono usate come santuari. Tra le grotte rinvenute, 150 circa, le più belle sono quelle di Le Gabillou, di Lascaux, di Les Combarelles, di Font-de-Gaume, di Rouffignac e Niaux in Francia; di Altamira, di Monte El Castillo, di Ekain, di Santimamiñe in Spagna. Esse costituiscono esempi di un’intensificazione straordinaria della pittura parietale. Cacciatori di animali di grossa taglia, i Maddaleniani li raffigurano in tutti i loro dettagli anatomici: cavalli, bisonti, cervi, mammut, rinoceronti, felini e caprini, qualche renna, qualche uccello, a volte alcuni pesci. Incisioni, coppelle e numerosi segni vengono eseguiti su strumenti, armi e utensili e riprodotti anche nelle pitture rupestri, insieme ad alcune figure (orecchie, corna, occhi e narici di animali) che si evolvono progressivamente verso la stilizzazione.

    Questo apporto di segni e di rappresentazioni non figurative, a volte molto complesse, è una caratteristica tipica della civiltà maddaleniana, importante per lo studio della comparsa, in Homo sapiens sapiens, della capacità di elaborare concetti e di servirsi della scrittura.

    I SANTUARI PALEOLITICI

    L’arte paleolitica parietale si esprime all’interno di santuari, costituiti da grotte e da caverne decorate, situati per la maggior parte in Francia e in Spagna e suddivisi in due categorie: i santuari posti all’ingresso delle grotte e relativamente vicini alla luce, e i santuari oscuri situati in profondità. Secondo André Leroi-Gourhan, questi ultimi sono succeduti ai santuari ricavati dagli ingressi, poiché nel periodo maddaleniano medio si è prodotto uno spostamento in massa verso il fondo delle caverne. Nei santuari vicini alla luce sono state rinvenute pareti scolpite, mentre le pareti e i soffitti dei santuari profondi sono ornati di dipinti.

    FIGURA 1. Associazione di figure e simboli, isolati dalle numerose sovrapposizioni. Caverne du Volp, Ariège, Francia. Un personaggio-bisonte suona l’arco, strumento musicale ancora oggi in uso presso le popolazioni di cacciatori. Al centro, una figura zoomorfa, metà cervo e metà bisonte, è preceduta da una renna e associata a segni tra cui una silhouette femminile.

    Questi due tipi di santuari sono esistiti nella stessa epoca. La zona che segna l’inizio del santuario è spesso indicata da punti o tratti incisi o dipinti, che forse erano destinati a orientare i visitatori, ma che comunque hanno un significato simbolico incontestabile. I dipinti presentano composizioni centrali che raffigurano associazioni di due o tre animali: bisonte-cavallo, bue-cavallo, bisonte-mammut, ma anche bisonte-cavallo-mammut, a volte accompagnati dallo stambecco, dal cervo e dalla cerva. Da un secolo gli studiosi della preistoria sono impegnati a penetrare il mistero di questi santuari e della loro ricchezza iconografica e artistica.

    BIBLIOGRAFIA

    A. Beltrán, Da cacciatori ad allevatori. L’arte rupestre del Levante spagnolo, Jaca Book, Milano 1980.

    A. Beltrán, Altamira, Lunwerg, Madrid 1998 (tr. it. La grotta preistorica di Altamira, Jaca Book, Milano 1998).

    H. Breuil, Quatre siècles d’art pariétal, Centre d’études préhistoriques, Montignac 1952.

    J.-P. Demoule, Naissance de la figure. L’art du Paléolithique à l’âge du Fer, Editions Hazan, Paris 2007 (tr. it. La nascita della figura umana. L’arte dal Paleolitico all’età dei metalli, Jaca Book, Milano 2007).

    J. Guilaine, La France d’avant la France. Du Néolithique à l’âge du fer, Hachette, Paris 1980.

    J. Guilaine, Les Racines de la Méditerranée et de l’Europe, Librairie Arthème Fayard-Collège de France, Paris 2008 (tr. it. Le radici del Mediterraneo e dell’Europa, Jaca Book, Milano 2010).

    F. Jordá Cerdá, Sur des sanctuaires monothématiques dans l’art rupestre cantabrique, in E. Anati, Arte e religione nella preistoria. Valcamonica Symposium ’79, Jaca Book-Centro Camuno di Studi Preistorici, Milano-Capo di Ponte 1983, pp. 331-348.

    A. Leroi-Gourhan, I più antichi artisti d’Europa. Introduzione all’arte parietale paleolitica, Jaca Book, Milano 1981.

    L.R. Nougier, Les Grottes préhistoriques ornées de France, d’Espagne et d’Italie, Balland, Paris 1990.

    JULIEN RIES

    ARTE PARIETALE E MESSAGGIO RELIGIOSO

    UN TENTATIVO ERMENEUTICO

    Porre il problema del messaggio implica imboccare la via dell’ermeneutica, cioè della ricerca del senso. L’ermeneutica dell’arte rupestre si situa a due livelli. Un’ermeneutica descrittiva, che si interessa dello studio dell’uomo in situ e cerca di definire il senso che Homo sapiens sapiens del Paleolitico superiore – l’uomo maddaleniano – attribuiva ai santuari e alla loro decorazione; e un’ermeneutica normativa, che si propone invece di comprendere quale sia il senso di questa arte per la conoscenza dell’uomo e della condizione umana.

    Sulla base dello studio degli stili e della loro cronologia, André Leroi-Gourhan ha dimostrato che «l’arte paleolitica, durante tutto il suo sviluppo, è legata a una stessa base simbolica e segue una curva evolutiva coerente, paragonabile a quella delle altre arti conosciute che ricoprono lunghi periodi di tempo». Per l’ermeneutica questa dimostrazione è di capitale importanza, poiché permette di porsi il problema di definire il messaggio di questa arte e in particolare il suo messaggio religioso. Inoltre dal punto di vista religioso è importante stabilire per quanto tempo le grotte decorate sono state frequentate, poiché ciò consente di valutare la coerenza del pensiero dell’uomo maddaleniano.

    LE SPIEGAZIONI DEL PASSATO

    Una prima spiegazione partiva dal principio della gratuità dell’arte, «l’arte per l’arte». Gli artisti del Paleolitico si sarebbero comportati come bambini. Si sarebbero divertiti a dipingere le figure animali che popolavano l’ambiente circostante la loro vita di cacciatori. Questo punto di vista esclude dunque qualsiasi ricerca di un messaggio.

    Tratta dall’etnologia comparata così come veniva praticata all’inizio del XX secolo, un’altra spiegazione partiva dalla magia della caccia, esercitata da alcune tribù aborigene in Australia e altrove. I Maddaleniani avrebbero raffigurato dei bisonti, dei cavalli selvaggi, degli uri, dei mammut e dei cervi allo scopo di immobilizzare questi animali durante le battute di caccia che essi avrebbero compiuto in seguito. Vestiti da stregoni, gli artisti avrebbero eseguito nelle caverne delle cacce mimate, preludio di cacce autentiche. A questi sortilegi praticati dai cacciatori paleolitici occorrerebbe associare la magia riguardante la fecondità degli animali e della donna. Henri Breuil ha sviluppato a lungo questa ipotesi. Diversi autori sono ricorsi al totemismo. Sulle pareti e i soffitti delle caverne sarebbero rappresentati i totem dei clan maddaleniani: cavallo, bisonte, mammut… I grandi affreschi delle caverne non sarebbero scene di magia, ma rappresenterebbero le lotte e i combattimenti dei clan. Una spiegazione simile si fonda sul dogma evoluzionista del totemismo, secondo il quale ogni religione avrebbe la propria origine nel totem.

    FIGURA 1. Rilievo di Henri Breuil della volta della cosiddetta «Sala dei Policromi» di Altamira, Cantabria, Spagna. Si tratta della più complessa e famosa sala di pittura delle grotte cantabriche. Qui si prende in considerazione il rapporto tra gli animali come evidenziato da Leroi-Gourhan. Diciotto bisonti stanno al centro, identificati con B¹; ai bordi di questa distesa di bisonti troviamo un cinghiale D, due cavalli A di cui al centro in alto una grande testa, cerve C¹b, due cinghiali C³.

    Infine si è pensato allo sciamanismo, con guaritori che recuperano le anime dei malati. Alcune rappresentazioni umane, come quella di Lascaux, farebbero pensare non a stregoni, bensì a sciamani. Come è avvenuto per i partigiani del totemismo, ci troveremmo in presenza di un’esperienza «religiosa», in questo caso di un’esperienza dell’aldilà. Fondate su ideologie, queste teorie legavano fatti e documenti a un rigido schema di princìpi formulati a priori. Studiando Lascaux e Pech-Merle, Annette Laming-Emperaire fu colpita dall’associazione frequente del cavallo e del bisonte. André Leroi-Gourhan constatò che l’ipotesi del sortilegio venatorio era insufficiente, poiché partiva da un fatto secondario: le ferite presentate da alcuni animali. Inoltre il simbolismo delle lotte degli sciamani e di animali gravidi gli sembrava una base ermeneutica fragile.

    UNO STUDIO SISTEMATICO DEI DOCUMENTI

    Partendo da indagini minuziose condotte nelle grotte, i nostri due autori hanno confrontato i risultati delle loro rispettive osservazioni e le loro analisi della documentazione, trovandosi d’accordo sui punti essenziali delle loro vedute. Leroi- Gourhan ha enumerato le specie rappresentate in più di sessanta grotte, e ha constatato un accostamento sistematico di figure delle quali egli ha analizzato anche la distribuzione spaziale nelle composizioni iconografiche. Negli insiemi parietali l’associazione bisonte-cavallo è costante; il cavallo e il bisonte o l’uro sono presenti nella stessa proporzione. Vi sono anche composizioni bisonte-cavallo + mammut, come pure composizioni formate da un maggior numero di personaggi, che in un’unica scena riassumono tutte le specie raffigurate nella grotta. Queste scene riassuntive si trovano più spesso verso il fondo della grotta o in luoghi appartati. Troviamo anche il gruppo bisonte-cavallo-stambecco-cervo accompagnato da segni appaiati. In questa unione di segni, che non è mai un accoppiamento, Leroi-Gourhan vede un simbolismo sessuale binario, poiché il cavallo sarebbe un simbolo maschile e il bisonte un simbolo femminile. Annette Laming-Emperaire inverte i componenti di questo simbolismo sessuale.

    In numerosi casi la zona che segna l’ingresso, i passaggi e la fine delle grotte è indicata da linee, da punti, da tratti e da altri segni. Ora, questi segni e questi tratti compaiono ripetutamente e in modo ordinato in un gran numero di raggruppamenti centrali. Basandosi su statistiche topografiche e sulla cronologia degli stili, Leroi-Gourhan formula un’ipotesi: anche questi segni sarebbero dei simboli di carattere sessuale, maschili e femminili. Egli trova una conferma della sua interpretazione nell’arte mobiliare. Infatti questi segni si notano anche sulle statuette scolpite nella roccia o modellate nell’argilla che compaiono all’ingresso delle grotte, su alcuni utensili e su piccole placche di pietra e di osso.

    La caverna stessa entra a far parte della composizione simbolica. Il sistema figurativo si è sviluppato a seconda della diversità delle forme delle caverne e delle particolarità etniche e culturali delle popolazioni a partire da un unico quadro concettuale, non solo nell’area franco-cantabrica, ma anche in altre zone d’Europa. Ci troviamo in presenza di un meccanismo che dimostra l’esistenza di tradizioni culturali simboliche che si differenziano da quelle del Vicino Oriente, del Sahara, dell’Africa del Sud. Quindi il blocco paleolitico franco-cantabrico – al quale occorre aggiungere il resto d’Europa – costituisce un insieme omogeneo, diverso da quello che seguirà il periodo del Paleolitico.

    Noi disponiamo dunque di una chiave di lettura dei santuari, della loro decorazione e dell’arte mobiliare e parietale del Paleolitico. Secondo Leroi-Gourhan, i dati essenziali di questa arte sono: «prevalenza dell’associazione tra due specie animali delle quali una è il cavallo e l’altra un bovide, intervento di un terzo elemento associato in modo variabile alla coppia fondamentale (mammut, stambecco, cervo), presenza eventuale di felini e del rinoceronte. Su questa struttura animalista, integrata nel quadro naturale della caverna, viene abbozzata una seconda linea simbolica, ispirata all’uomo, che si esprime negli stessi rapporti di posizione intercorrenti tra gli animali e si manifesta sia tramite rappresentazioni complete dell’uomo e della donna, sia, più spesso, tramite simboli geometrici».

    FIGURA 2. Rilievo della volta di Ekain (a 150 chilometri da Altamira). Qui il rapporto tra gli animali si inverte e sono i cavalli a dominare l’insieme A; solo i cavalli e i bisonti sono colorati in ocra rossa, a significare che è il binomio più significativo. Nella zona alta periferica abbiamo quattro bisonti B¹, un cervo C¹ e uno stambecco C³.

    UN SIMBOLISMO ESPRESSIVO DI UNA RELIGIOSITÀ

    I lavori di André Leroi-Gourhan e di Annette Laming-Emperaire hanno segnato una svolta decisiva. Essi mettono in evidenza l’esistenza di una elaborazione di concetti e di una struttura di pensiero comune, tra le popolazioni del Paleolitico superiore, che si manifesta con continuità per più di 20 millenni per mezzo di simboli riprodotti nelle grotte, nei ripari rocciosi e su alcuni oggetti, in tutta l’Europa paleolitica e soprattutto nell’area franco-cantabrica. Si tratta di un pensiero simbolico di notevole complessità, espresso da una tecnica altrettanto notevole. Homo sapiens sapiens ha raggiunto un livello culturale e sociale molto elevato. Ma questo homo symbolicus era anche un homo religiosus?

    La documentazione raccolta dimostra che questo Uomo aveva una percezione dello straordinario nella vita e della vita. Lo studio delle pratiche funerarie paleolitiche, caratterizzate dall’uso dell’ocra rossa, dalle offerte di alimenti e di oggetti, dalla decorazione dei crani e dall’inserimento di conchiglie nelle orbite, indica l’esistenza di tutto un campo emozionale e della credenza in una vita ultraterrena. Le pratiche funerarie e l’arte del Paleolitico sono inseparabili, poiché esse sono opera degli stessi uomini e di una stessa società. Questa constatazione ci invita a ricercare la dimensione religiosa dell’arte paleolitica.

    Del Paleolitico ci è pervenuta solo la rappresentazione esteriore, mentre il raggruppamento delle figure è esistito in un contesto orale, con il quale il raggruppamento simbolico era coordinato. Nei suoi lavori di antropologia, Leroi-Gourhan ha ipotizzato un legame tra la tecnica e il linguaggio. Infatti il linguaggio è legato all’utensile, poiché essi sono entrambi indici di coscienza, di intelligenza e di riflessione. Nel costituirsi del bagaglio intellettuale dell’uomo, il grafismo che inizia con il Paleolitico segna una nuova tappa.

    FIGURA 3. Pittogrammi, ideogrammi e psicogrammi. La Pileta, Malaga, Spagna. Questo dipinto marrone scuro raffigura un cavallo (pittogramma). Sul

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