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Papato, episcopati e società civili (1917-2019): Nuove pagine di diritto canonico ed ecclesiastico
Papato, episcopati e società civili (1917-2019): Nuove pagine di diritto canonico ed ecclesiastico
Papato, episcopati e società civili (1917-2019): Nuove pagine di diritto canonico ed ecclesiastico
E-book543 pagine7 ore

Papato, episcopati e società civili (1917-2019): Nuove pagine di diritto canonico ed ecclesiastico

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Il volume raccoglie 22 scritti scelti di Giorgio Feliciani, pubblicati in anni recenti su riviste o in opere collettanee, di rilevanza nazionale e internazionale. Nella prima sezione sono presentati contributi di carattere storico-giuridico. La seconda sezione contiene studi di diritto canonico. La terza ed ultima sezione raccoglie scritti di diritto ecclesiastico dedicati ad alcuni ‘nodi’ problematici dei rapporti tra Stato e confessioni religiose nell’ordinamento italiano e in ambito europeo.
LinguaItaliano
Data di uscita10 dic 2020
ISBN9788865127322
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    Papato, episcopati e società civili (1917-2019) - Giorgio Feliciani

    Giorgio Feliciani

    Papato, episcopati e società civili (1917-2019)

    Nuove pagine di diritto canonico ed ecclesiastico

    © 2020, Marcianum Press, Venezia

    Impaginazione e grafica: Massimiliano Vio

    ISBN: 978-88-6512-732-2

    ISBN: 9788865127322

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    Prefazione di Benedict Ndubueze Ejeh

    Premessa di Michele Madonna

    Prima Parte PERCORSI STORICI

    Chiesa e Stati nella codificazione canonica del 1917. Esperienze e opinioni del nunzio apostolico Pacelli

    Le proposte del Cardinale Pietro Gasparri nella Plenaria del 18 giugno 1925 per un regolamento delle conferenze episcopali

    Le conferenze episcopali nelle proposte del cardinale Bonaventura Cerretti al suo rientro a Roma dalla nunziatura di Parigi

    Il ruolo delle conferenze episcopali nelle relazioni internazionali della Santa Sede

    La Conferenza episcopale italiana e la revisione del Concordato

    Orio Giacchi

    Seconda Parte DIRITTO CANONICO

    La codificazione per la Chiesa latina: attese e realizzazioni. Dobbiamo tornare alle Decretali?

    I diritti e i doveri dei laici nell’ambito della evangelizzazione: la loro partecipazione al munus docendi

    Diritto canonico e missione: il ruolo specifico dei Santuari

    Il nuovo statuto della Commissione degli Episcopati della Comunità Europea (COMECE)

    «Chiesa dalle genti», il sinodo minore della diocesi di Milano. Profili canonistici

    Il Diritto pubblico ecclesiastico nell’attuale magistero pontificio

    Papa Francesco e la libertà religiosa

    Papa Francesco e le migrazioni nei primi cinque anni di pontificato

    «Cosa vostra». Il dialogo tra la Conferenza episcopale e le istituzioni italiane

    Il diritto canonico nelle università non ecclesiastiche

    Terza Parte DIRITTO ECCLESIASTICO

    La libertà religiosa nell’attuale prassi ecclesiale in Italia

    La questione del crocifisso. La situazione italiana

    30 anni di bene comune

    La libertà religiosa nel contesto stabilito dal Trattato di Lisbona

    Stati e confessioni religiose: normative privilegiative e pluralismo dei culti nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo

    Il regime giuridico dei luoghi di culto nel diritto internazionale e nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo

    Scritti di Giorgio Feliciani (2012-2019)

    Prefazione di Benedict Ndubueze Ejeh

    Il presente volume di Giorgio Feliciani dal titolo Papato, episcopati e società civili (1917-2019) ripropone alcuni tra i suoi ultimi scritti (dal 2012 al 2019), a cura di Michele Madonna, per celebrare meritatamente i suoi 80 anni di età spesi per la maggior parte a promuovere la scienza del diritto canonico e l’applicazione della stessa all’edificazione della Chiesa nel mondo. Già il titolo stesso dell’opera mette in evidenza il campo in cui il professor Feliciani ha concentrato il suo interesse scientifico in questi anni, offrendo numerosi contributi che per la loro profondità e grande attualità sono molto apprezzati dai cultori della materia.

    L’elevata qualità scientifica dei singoli studi raccolti dal volume mette in evidenza la feconda capacità dell’autore di individuare e affrontare questioni di grande interesse per gli studiosi che intendono approfondire le ragioni e le problematiche attinenti alla produzione normativa della Chiesa negli ambiti interessati.

    Il curatore del volume Michele Madonna ha suddiviso i saggi in tre aree tematiche: percorsi storici, diritto canonico e diritto ecclesiastico. La parte storica privilegia le conferenze episcopali, la codificazione e il concordato, evidenziando il ruolo di alcuni importanti personaggi storici protagonisti in questi settori. Degno di particolare nota è l’omaggio reso al grande esponente della scuola canonistica italiana, il giurista Orio Giacchi, ricordato da Feliciani come l’autore che ha maggiormente illustrato e approfondito i presupposti teorici di tale scuola. La parte dedicata al diritto canonico mette in rilievo l’interesse che il professor Feliciani ha riservato ai nuovi orizzonti dell’attuale pontificato di papa Francesco, in particolare i suoi interventi su questioni circa la libertà religiosa e le migrazioni. Questa parte riprende inoltre altre tematiche di grande attualità come la missione della Chiesa nelle circostanze attuali, sia in riferimento al contesto diocesano (di Milano) sia anche nell’ambito della comunità europea. L’ultima parte sul diritto ecclesiastico approfondisce nello specifico il tema della libertà religiosa nel contesto italiano e in quello europeo.

    Il numero rilevante di questi ultimi scritti del professore, 35 nell’insieme, prodotti nel breve arco temporale di otto anni (2012-2019) dalla conclusione degli impegni universitari alla Cattolica di Milano, la loro profondità scientifica, l’originalità e incisività dei loro contenuti e la varietà delle questioni che affrontano, documentano il prolifico impegno dell’autore.

    Fa onore alla nostra Facoltà di diritto canonico San Pio X ospitare questo volume nella collana Monografie delle nostre pubblicazioni accademiche. E personalmente, offrire queste righe di prefazione nella veste di preside della Facoltà è per me un grande privilegio. Le ragioni sono molteplici. Giorgio Feliciani è un nome molto stimato nel mondo accademico italiano ed internazionale delle scienze giuridiche canoniche. Esperto di diritto ecclesiastico, di organizzazione ecclesiastica, dei rapporti tra la Chiesa e le comunità politiche e dello statuto giuridico dei fedeli nella Chiesa, il profilo scientifico ed accademico del professor Feliciani raggiunge i più alti livelli di originalità, profondità e versatilità. La rassegna bibliografica dei suoi scritti, curata da Anna Luisa Casiraghi in un precedente volume dal titolo Le pietre, il ponte e l’arco, che raccoglieva alcuni scritti del dotto canonista dal 1965 al 2012, annovera oltre 250 voci tra monografie, articoli, saggi e volumi curati, in cui sono stati affrontati temi del diritto costituzionale della Chiesa, dell’organizzazione ecclesiastica, dei principi generali del diritto canonico, del regime canonico e civile dei beni culturali, della legislazione canonica universale e di quella particolare, dei diritti dei fedeli e delle associazioni ecclesiali, del diritto ecclesiastico e del rapporto tra Chiesa e istituzioni statali. Il volume che ospita questa bibliografia pubblicava alcuni saggi, 25 in tutto, per onorare il professore in occasione del suo formale congedo da una proficua attività di docenza presso la Cattolica di Milano.

    Come si è accennato, Giorgio Feliciani ha continuato la sua attività di ricerca dopo il ritiro dagli incarichi accademici della Cattolica. Il presente volume ne è la dimostrazione: una raccolta di 22 saggi tra i ben 35 nuovi contributi sparsi in vari volumi collettivi e riviste nazionali ed internazionali, pubblicati tra il 2012 e il 2019. In occasione dell’80° compleanno del professor Feliciani è parso dunque giusto alla nostra Facoltà pubblicare questi scritti maturati durante il tempo in cui il professore si è dedicato in modo esclusivo al nostro Istituto per ciò che riguarda lo svolgimento dell’attività di docenza universitaria. Un volume che raccogliesse i suoi ultimi studi, sempre distinti per la loro indole profonda, originale, puntuale e incisiva, promuovendone dunque la maggiore diffusione, ci è parso il modo giusto per festeggiare l’esimio nostro docente.

    La storia recente della Facoltà di diritto canonico San Pio X di Venezia ha visto Giorgio Feliciani impegnato tra i primi professori sin dai prodromi della stessa. Tra le diverse materie da lui insegnate nel corso degli anni meritano speciale attenzione quelle di cui è attualmente incaricato, in particolare Chiesa e comunità politica e Popolo di Dio. Statuti personali. Nello svolgimento di questi corsi mette a frutto la propria competenza scientifica documentata dalle sue diverse pubblicazioni, avvalendosi anche delle specifiche esperienze avute nei rispettivi ambiti e di appropriate metodologie didattiche. Infatti, Giorgio Feliciani, come noto, è stato membro, per conto della Santa Sede o della Conferenza Episcopale Italiana, delle diverse commissioni paritetiche per la preparazione e attuazione degli Accordi concordatari italiani del 1984-1985. Il suo insegnamento è arricchito di contenuti pratici peritali acquisiti da questa competenza, oltre ai frutti delle sue ricerche che privilegiano questo campo. Inoltre, dovendosi rivolgere a studenti di varie nazionalità e persino di diversi continenti, il suo insegnamento è molto apprezzato per il suo carattere concreto e comparatistico, che impegna i discenti in ricerche sul regime vigente nei rispettivi Paesi. Lo stesso dicasi delle lunghe esperienze maturate come consultore del Pontificio consiglio per i laici e gli approfondimenti costanti degli argomenti attinenti allo statuto ecclesiale dei fedeli laici, avvalendosi di tale conoscenza per aiutare la formazione degli studenti, come futuri canonisti e operatori del diritto canonico, sulla realtà delle associazioni dei fedeli e su come elaborare gli statuti di questi enti ecclesiali.

    Gli impegni del professor Feliciani nel promuovere la vita accademica della nostra Facoltà non si esauriscono negli interventi didattici, ma interessano anche il campo dei convegni e quello delle produzioni scientifiche. Alcune iniziative convegnistiche della Facoltà portano i suoi preziosi contributi fino alla progettazione e allo svolgimento delle stesse, dal convegno del 2005, dedicato all’intesa italiana sui beni culturali di interesse religioso (realizzato dalla Facoltà in collaborazione con il Centro studi sugli enti ecclesiastici CESEN da lui diretto) a quello del 2017 riguardante Sistematica e tecnica delle codificazioni canoniche del XX secolo. Parimenti, sono fondamentali i suoi apporti alla rivista della Facoltà Ephemerides Iuris Canonici mediante l’attiva e assidua partecipazione nella Direzione scientifica, il coordinamento di interi numeri e la pubblicazione di vari scritti nella stessa rivista.

    La Facoltà è poi profondamente riconoscente al professor Feliciani per la generosa donazione di gran parte della propria biblioteca e soprattutto della copiosa documentazione raccolta nel corso dei decenni sul processo di codificazione del 1917, cementando in questo modo per sempre il legame anche affettivo con la Facoltà.

    Prof. Benedict Ndubueze Ejeh

    Preside della Facoltà di diritto canonico San Pio X Venezia

    21 novembre 2019,

    Festa della Madonna della Salute

    Premessa di Michele Madonna

    Giorgio Feliciani, in una continua e feconda attività di ricerca dal 1965 ad oggi, è autore di oltre 250 pubblicazioni scientifiche tra volumi, saggi, articoli, curatele, non solo in lingua italiana, ma anche in diverse lingue straniere (inglese, francese, spagnolo, tedesco, polacco, portoghese, cinese).

    Nel 2012 era stato pubblicato un volume di suoi scritti scelti ( Le pietre, il ponte e l’arco, Vita e Pensiero, Milano 2012, con introduzione di Ombretta Fumagalli Carulli e bibliografia a cura di Annaluisa Casiraghi), che aveva raccolto 25 contributi pubblicati nell’arco temporale dal 1982 al 2012 su diversi temi: le leggi della Chiesa nella scienza canonistica, il popolo di Dio, l’universalità e il particolarismo nel diritto canonico, i beni culturali, i rapporti tra Chiesa e Stato.

    Nel periodo successivo, Feliciani ha proseguito con indefesso impegno la sua attività scientifica. Il presente volume raccoglie una parte significativa dei suoi ultimi studi, pubblicati su riviste o in opere collettanee, di rilevanza nazionale e internazionale. Gli scritti sono riproposti nella loro versione originaria in lingua italiana, con l’esclusione delle appendici documentali, e con lievi modifiche motivate essenzialmente da ragioni di uniformazione di carattere redazionale.

    Nella prima sezione sono presentati contributi di carattere storico-giuridico, alcuni dedicati ad importanti figure della Chiesa del Novecento (Eugenio Pacelli, Pietro Gasparri, Bonaventura Cerretti), altri rivolti ad indagare il ruolo delle conferenze episcopali nei rapporti con gli Stati. Chiude significativamente questa prima parte un breve profilo di Orio Giacchi, maestro di Feliciani, pubblicato sul Dizionario biografico dei giuristi italiani.

    La seconda sezione contiene studi di diritto canonico, sia su temi di carattere generale (il significato del Codice del 1983, il ruolo dei laici), sia su più specifiche questioni (i santuari, lo statuto della COMECE, il sinodo minore della diocesi di Milano del 2019). In ambito canonistico, l’attenzione di Feliciani è anche rivolta al recente magistero pontificio su aspetti di particolare interesse e attualità per la Chiesa ad intra e ad extra (diritto pubblico ecclesiastico, conferenze episcopali, libertà religiosa, migrazioni). Questa seconda parte si conclude con un’ampia riflessione sull’insegnamento del diritto canonico nelle università non ecclesiastiche.

    Nella terza sezione sono raccolti scritti di diritto ecclesiastico. Da un lato, essi manifestano l’attenzione del nostro studioso verso alcuni ‘nodi’ problematici dei rapporti tra Stato e confessioni religiose nell’ordinamento italiano (libertà religiosa, simboli religiosi nello spazio pubblico, finanziamento delle chiese). Dall’altro, testimoniano la sua apertura alla dimensione europea e sovranazionale (libertà religiosa nel Trattato di Lisbona, giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sul pluralismo religioso e sul regime giuridico dei luoghi di culto).

    Per chi scrive, quest’opera ha un duplice significato, soggettivo e oggettivo. Sotto il primo punto di vista, è un piccolo segno per tenere saldo il vincolo di affetto e gratitudine verso il Professor Feliciani da parte di un allievo, che sotto la sua guida ha iniziato un percorso scientifico e accademico. Quanto al secondo aspetto, è un omaggio all’uomo giusto e generoso, giunto al felice traguardo degli ottanta anni di vita, e un’ulteriore testimonianza dell’impegno dello studioso prolifico e profondo, con i suoi 55 anni di attività, capace, anche in tempi recenti, di offrire importanti contributi di riflessione e di tracciare sentieri di ricerca per la nostra comunità scientifica, alla quale tanto ha dato e molto potrà ancora dare.

    Michele Madonna

    Università degli Studi di Pavia

    Prima Parte PERCORSI STORICI

    Chiesa e Stati nella codificazione canonica del 1917. Esperienze e opinioni del nunzio apostolico Pacelli

    Il presente contributo è stato pubblicato in lingua tedesca con il titolo Basisnorm der Handlungen Pacellis? Der Codex Iuris Canonici von 1917, in AA.VV., Eugenio Pacelli als Nuntius in Deutschland. Forschungsperspektiven und Ansätze zu einem internationalen Vergleich, a cura di H. Wolf, Schöningh, Paderborn 2012, pp. 49-60.

    1. La ricezione dei principi dello ius publicum ecclesiasticum externum

    L’argomento del presente contributo pone innanzitutto l’esigenza di accertare se il Codice del 1917 proponga una normativa, o almeno prospetti una concezione, dei rapporti della Chiesa con gli Stati, che possa costituire la direttiva fondamentale di quella missione politico-diplomatica che viene indicata dal can. 267 quale primo compito di un nunzio apostolico, come meglio si mostrerà in seguito.

    Al riguardo è opportuno ricordare che, durante i lavori per la prima codificazione, non pochi canonisti si attendevano da questa riforma legislativa «una esplicita e positiva e formale affermazione» dei principi dello ius publicum ecclesiasticum [1] , mentre altri la ritenevano difficoltosa, se non impossibile, a causa delle diversificazioni intervenute nei rapporti della Chiesa con i singoli Stati e delle prevedibili reazioni di questi ultimi [2] .

    Una tesi che sembrò trovare conferma nel testo promulgato con la costituzione « Providentissima Mater Ecclesia». Infatti, a giudizio degli studiosi che si occuparono della questione, il Codice costituiva una completa delusione per quanti speravano di trovarvi i principi dello ius publicum ecclesiasticum externum poiché, a loro avviso, pur contenendo qualche indicazione in proposito, trattava delle relazioni tra Chiesa e Stato con grande riservatezza, in «tono prudente, misurato ed elevato», senza alcuna preoccupazione di completezza e sistematicità [3] .

    Un giudizio che, alla luce di un attento esame dei canoni del Codice pio-benedettino, non appare condivisibile poiché sembra ignorare, o per lo meno eccessivamente sottovalutare, la rilevanza del principio sancito dal can. 100 § 1: « Catholica Ecclesia et Apostolica Sedes moralis personae rationem habent ex ipsa ordinatione divina» [4] . La sua enunciazione è infatti chiaramente diretta a rivendicare alla Chiesa e alla Santa Sede la qualifica di soggetti di diritti e di doveri che, in quanto derivanti direttamente da Dio, sono del tutto indipendenti dai poteri statuali sia nell’origine sia nell’esercizio. Una interpretazione che trova chiara conferma nell’edizione del Codice annotata dal Gasparri, che tra le fonti di questa disposizione menziona la condanna da parte del Sillabo della tesi secondo cui «La Chiesa non è una vera e perfetta società completamente libera, né ha diritti suoi propri e permanenti a lei conferiti dal suo Divino Fondatore, ma spetta alla civile potestà definire quali siano i diritti della Chiesa e i limiti dentro i quali possa esercitare i medesimi diritti» [5] .

    E il Codice, in diversi canoni, si preoccupa di enunciare tali prerogative. Rivendica innanzitutto alla Chiesa non solo il potere di ordine, ma anche quello di giurisdizione o governo, evidenziandone l’origine divina (can. 196) e riconoscendo in via esclusiva alla stessa Chiesa il compito di attribuirlo a quanti lo debbano concretamente esercitare. In particolare il can. 109 avverte che la cooptazione nella gerarchia ecclesiastica avviene non per consenso o chiamata da parte del popolo o del potere secolare, ma con la sacra ordinazione e la missione canonica. E il can. 147 ribadisce che nessun ufficio ecclesiastico può essere validamente ottenuto senza quella provisio canonica che, per definizione, spetta alla competente autorità ecclesiastica.

    Al fine, poi, di assicurare la più ampia libertà nell’esercizio dei poteri ecclesiastici, si prevedono diversi privilegi a favore dei chierici, come l’immunità dal potere giudiziario secolare (can. 120 § 1) e l’esenzione dalle funzioni e dai pubblici uffici estranei alla loro condizione (can. 121). E, per quanto specificamente concerne l’attività di culto, si dispone che nel suo esercizio i sacri ministri dipendano esclusivamente dai rispettivi superiori (can. 1260) e che i luoghi sacri siano esenti dalla giurisdizione civile (can. 1160).

    Inoltre, nella parte del Codice dedicata al magistero, si sanciscono, tra l’altro, lo « ius et officium» della Chiesa di insegnare a tutte le genti l’« evangelicam doctrinam», indipendentemente da qualunque potere civile (can. 1322 § 2), la sua competenza esclusiva circa la formazione di quanti aspirano ai ministeri ecclesiastici (can. 1352), il suo potere di censurare e, all’occorrenza, proibire i libri (can. 1384 § 1 e 1395).

    Specifica attenzione è pure dedicata alla materia patrimoniale, rivendicando lo « ius nativum» della Chiesa e della Santa Sede ad acquistare, possedere e amministrare beni temporali per il perseguimento dei propri fini (can. 1495), come pure il diritto della Chiesa ad esigere dai fedeli i mezzi necessari a tali scopi (can. 1496).

    In campo giudiziario è poi espressamente affermato il diritto proprio ed esclusivo della stessa Chiesa a conoscere le cause riguardanti « res spirituales et spiritualibus adnexas», le violazioni delle leggi ecclesiastiche, le persone che godono del privilegio di foro (can. 1553 § 1) e a punire, in piena indipendenza da qualunque potestà umana, i delitti dei propri sudditi con pene sia spirituali sia temporali (can. 2214 § 1).

    La normativa si rivela particolarmente ampia e dettagliata nelle materie in cui le tradizionali prerogative delle autorità ecclesiastiche incontravano maggiori ostacoli nella politica e nella legislazione degli Stati liberali. In campo scolastico il Codice non solo ribadisce il diritto della Chiesa di istituire scuole di ogni ordine e grado (can. 1375), ma manifesta una notevole sfiducia nei confronti della scuola pubblica, vietandone la frequenza ai fanciulli cattolici a meno che, in circostanze eccezionali, l’ordinario del luogo ritenga di poterla tollerare, dopo avere adottato specifiche cautele « ut periculum perversionis vitetur» (can. 1374). In tutte le scuole deve essere comunque assicurata l’educazione e l’istruzione religiosa cattolica sotto la direzione dell’autorità ecclesiastica a cui spetta anche un potere di vigilanza di carattere generale per tutelare, sotto ogni profilo, l’integrità della fede e l’onestà dei costumi (can. 1373, 1381, 1382). Quanto al matrimonio dei battezzati la competenza della « civilis potestas», legislativa e giudiziaria, è rigorosamente limitata agli effetti « mere civiles» (can. 1016, 1960, 1961), mentre al matrimonio civile – qualificato come «cosiddetto» matrimonio (« ut aiunt») – non è riconosciuta alcuna rilevanza se non al fine della applicazione di sanzioni (can. 188, 5°; 646 § 1, 3°; 2356; 2388).

    Non mancano, infine, pene di particolare gravità per i comportamenti contrari alle disposizioni di tutti questi canoni. Quanti, avvalendosi dei pubblici poteri di cui sono investiti, emanino leggi o decreti contro la libertà e i diritti della Chiesa, sono colpiti dalla scomunica latae sententiae riservata speciali modo alla Santa Sede. E alla stessa pena soggiacciono coloro che, ricorrendo « ad quamlibet laicalem potestatem», impediscano l’esercizio della giurisdizione ecclesiastica (can. 2334).

    2. La concezione della Chiesa quale «societas perfecta»

    Ma, al di là di tutte le singole disposizioni che si possono menzionare, c’è da chiedersi se l’intero processo della codificazione pio-benedettina non sia da leggersi nella prospettiva dello ius publicum ecclesiasticum externum.

    Il principio fondamentale che, secondo la dottrina cattolica, regge le relazioni tra la Chiesa e gli Stati è senz’altro da riconoscersi nell’insegnamento di Leone XIII, secondo cui «Iddio divise il governo del genere umano in due poteri, cioè l’ecclesiastico e il civile, in modo che l’uno sovraintendesse alle cose divine, l’altro alle terrene. Ambedue sono i massimi nel proprio ordine» [6] . Ma, anche là dove questo principio fosse stato accettato dalle leggi fondamentali degli Stati [7] , sono evidenti tutti i problemi che si ponevano e si pongono quando si tratti di individuare e determinare in concreto quale sia l’ordine che, rispettivamente, compete a ciascuna delle due potestà [8] . E, sotto questo profilo, l’intero Codice, raccogliendo in modo organico e sistematico la normativa sulle diverse materie che ricadono sotto l’autorità del legislatore canonico, può essere considerato come la più completa e esauriente definizione ex parte Ecclesiae dell’ordine proprio della potestà ecclesiastica, che viene poi specificamente tutelato e rivendicato nei canoni che espressamente sanciscono iura nativa, independentia, propria, exclusiva.

    D’altro canto non va dimenticato che la codificazione pio-benedettina costituisce una «imitazione» delle forme legislative adottate dagli Stati moderni, come del resto chiaramente affermato dallo stesso Gasparri nella lettera inviata alle Università cattoliche nel 1904 [9] . Una opzione che si pone in clamoroso contrasto con tutta la tradizione canonica precedente, ma che si giustifica alla luce della teorica della Chiesa come « societas perfecta», elaborata dalla canonistica curiale come reazione alla pretesa degli Stati di considerare la comunità ecclesiale integralmente soggetta ai loro poteri [10] . È infatti del tutto ragionevole supporre che le autorità ecclesiastiche del tempo abbiano ritenuto opportuno, se non proprio indispensabile, dimostrare concretamente tale assunto, dotandosi di strumenti che, sotto il profilo giuridico-formale, risultassero il più possibile simili a quelli delle altre «società perfette» conosciute, vale a dire gli Stati [11] .

    E che tale fosse una delle non ultime motivazioni della codificazione voluta da Pio X è chiaramente confermato dalle prime parole della costituzione di promulgazione del Codex iuris canonici che presentano la Chiesa come « ita a Conditore Christo constituta, ut omnibus instructa esset notis quae cuilibet perfectae societati congruunt». Non sorprende, quindi, che il Codice, «al pari dei codici civili» riesca «ad esprimere l’identità di un modello teologico e sociale ben preciso, quello di una Chiesa definita (…) come ‘ societas perfecta’» [12] .

    Alla luce delle considerazioni fin qui svolte si può dunque affermare che la rilevanza del Codice pio-benedettino sotto il profilo dello ius publicum ecclesiasticum externum è stata ed è ancora oggi decisamente sottovalutata. Dalla mancanza di una apposita parte, sezione o titolo integralmente dedicati alla materia non si può senz’altro dedurre l’assenza di qualunque preoccupazione di sistematicità nella sua trattazione. Non solo i diritti della Chiesa vengono espressamente e inequivocabilmente rivendicati nei più diversi campi contro i regalismi vecchi e nuovi, ma lo stesso processo di codificazione intende riaffermare di fronte al potere secolare la natura della Chiesa come societas perfecta, dotata nell’ordine proprio di poteri di origine divina.

    3. Verso una nuova concezione dei concordati

    Può però sorprendere che l’istituto concordatario sia menzionato dal Codice quasi incidentalmente, e con esclusivo riferimento alle conventiones in vigore al momento della sua promulgazione (can. 3). Va però ricordato che, mentre «la scure laicista e liberale aveva saccheggiato ampiamente l’area concordataria», a partire dal 1862 ben pochi Stati avevano aderito a nuovi accordi, sì che «alla vigilia del primo conflitto mondiale lo strumento concordatario sembrava un relitto del passato» [13] . E, d’altra parte, già Leone XIII mostra di non considerare i concordati come mezzi necessari o per lo meno privilegiati nelle relazioni della Chiesa con gli Stati.

    Anzi si esprime a loro riguardo in termini quanto mai cauti e discreti. Ritiene infatti che per «debitamente coordinare le due potestà», ecclesiastica e civile, sia di norma sufficiente che ciascuna di esse si mantenga nell’ambito della sua giurisdizione, riconoscendo la competenza dell’altra nell’ordine che le spetta [14] .

    Peraltro, nella fase conclusiva del processo di codificazione e negli anni immediatamente successivi alla prima guerra mondiale, negli ambienti curiali si delinea, non senza difficoltà e contrasti, una più attenta valutazione dello strumento concordatario, che può essere così sintetizzata [15] . Innanzitutto si rileva realisticamente come, nella concreta situazione in cui versano i rapporti della Chiesa con i singoli Stati, l’adozione o il mantenimento del regime concordatario non sia, sempre e necessariamente, la soluzione preferibile. Già in un voto del 1916 Pacelli, allora Segretario della Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari, notava come, in caso di violazione ad opera della controparte, la denuncia di un concordato potesse realizzare «il desiderio di promuovere e di assicurare nella misura più ampia la libertà della Chiesa, sciogliendola da qualsiasi vincolo», avvertendo che «a ciò condurranno forse in un lontano avvenire le tendenze moderne verso la separazione dello Stato dalla Chiesa, pur così condannabile in tesi» [16] .

    Una opinione che, secondo un’attendibile testimonianza, sarebbe stata poi condivisa dal Gasparri, che avrebbe considerato una buona separazione meritevole di lode come ritorno apprezzabile a un regime di concordia tra Stato e Chiesa [17] .

    Ma lo stesso Pacelli, proprio mentre rifiutava di accordare un privilegio assoluto e incondizionato allo strumento concordatario, apriva a questo istituto nuove e significative prospettive. Proponeva, infatti, una concezione dei concordati che superava la prospettiva dello ius publicum ecclesiasticum externum, attribuendo ad essi la funzione non solo di regolare i rapporti con gli Stati, ma anche di statuire le norme canoniche di diritto particolare richieste dal bene della Chiesa nei rispettivi Paesi.

    Le motivazioni di questa posizione appaiono essenzialmente riconducibili a una realistica valutazione della evoluzione intervenuta nell’organizzazione politica della società: gli Stati moderni avevano ormai assunto una tale incidenza nella vita dei cittadini che la Chiesa, per poter svolgere efficacemente la propria missione, si poteva trovare a dover articolare la propria legislazione in funzione delle specifiche esigenze di carattere pastorale che si presentavano nei singoli Paesi.

    Le originali intuizioni del Pacelli erano destinate a trovare ampia attuazione nei decenni immediatamente successivi. Mentre le tendenze neo-giurisdizionaliste perdevano vigore e i regimi separatisti attenuavano l’ostilità nei confronti della Chiesa [18] , «all’era dei privilegi veniva (...) naturalmente a sostituirsi e subentrare quella dei concordati, intesi non più come aliquid favoris vel privilegii elargito dalla Chiesa allo Stato, ma come veri accordi giuridici pattuiti fra le due autorità», non più circoscritti «alla soluzione di una qualche questione di per sé particolare», ma estesi a «tutto il regolamento generale delle relazioni fra le due potestà» [19] .

    4. Le funzioni del nunzio

    Il canone dedicato dal Codice alle funzioni dei nunzi si rivela quanto mai scarno ed essenziale e si caratterizza per la precedenza data alla missione politico-diplomatica rispetto a quella più propriamente pastorale concernente i rapporti con le Chiese particolari situate nel territorio loro assegnato. Infatti il can. 267 nel n. 1 affida a questi legati pontifici il compito di assicurare, secondo le norme stabilite dalla Santa Sede, le relazioni tra quest’ultima e i governi civili presso cui sono stabilmente accreditati. E solo nel n. 2 si occupa delle loro funzioni nei confronti delle Chiese particolari, e in termini molto generici, descrivendole come vigilanza sulle condizioni delle stesse Chiese al fine di renderne edotta la Santa Sede.

    Come ampiamente messo in luce da una recentissima indagine [20] , queste disposizioni si scostano decisamente dai progetti originari che non solo relegavano in secondo piano la funzione politico-diplomatica, ma specificavano maggiormente la responsabilità dei nunzi circa le Chiese particolari, impegnandoli a vigilare al fine di impedire, ed eventualmente reprimere, ogni possibile abuso in materia di fede, morale, disciplina ecclesiastica, e chiedendo loro di informare la Santa Sede sia sulla condizione delle Chiese particolari sia sulle persone da chiamare alle dignità ecclesiastiche.

    Un singolare mutamento certamente non dovuto a considerazioni di carattere tecnico-giuridico, ma a preoccupazioni di natura strettamente politica. Permanevano infatti le resistenze di alcuni governi a riconoscere le prerogative del nunzio circa le Chiese esistenti nel territorio dello Stato. Resistenze che documentavano la sopravvivenza di posizioni gallicane, febroniane, giurisdizionaliste e che talvolta trovavano complicità, manifesta o dissimulata, nell’episcopato, come dimostra la singolare vicenda dell’intervento del governo bavarese su Gasparri per una formulazione del canone sui nunzi corrispondente ai suoi desideri [21] .

    In ogni caso il testo del can. 267, così come promulgato, suggerisce due considerazioni. Innanzitutto se, come si è visto, il nunzio deve vigilare perché nella vita delle Chiese particolari non si verifichino abusi in materia disciplinare dovrà necessariamente valutare le diverse situazioni alla luce delle disposizioni del Codice, che, dunque, anche sotto questo profilo può legittimamente considerarsi la direttiva fondamentale dell’azione del nunzio.

    Ma questo non impedisce di avvertire che il canone è formulato in modo tanto generico da lasciare largamente indefiniti i compiti del nunzio nei confronti delle Chiese particolari e le modalità del loro concreto esercizio. Non hanno, infatti, trovato accoglienza i desiderata di quei vescovi che auspicavano una precisa enunciazione di « officium, iurisdictio et iura Nuntiorum» [22] .

    Ne consegue che nelle sue relazioni con le Chiese particolari e, quindi con l’episcopato del Paese, il nunzio non trovava nel Codice prescrizioni in grado di orientarne l’azione concreta sì che questa finiva con il dipendere totalmente o dalle istruzioni ricevute di volta in volta dalla Segreteria di Stato o dalla discrezionalità del nunzio soprattutto per quelle decisioni che dovesse assumere senza indugio.

    La questione delle relazioni con l’episcopato risultava poi particolarmente complessa in quei Paesi in cui, come in Germania, i vescovi avevano dato vita alla conferenza episcopale [23] , un organismo non contemplato del Codice che ammetteva assemblee episcopali di carattere non conciliare solo a livello di provincia ecclesiastica (can. 292)

    La Santa Sede considerava con favore le conferenze ma, a causa sia della loro «novità» sia delle rilevanti differenze esistenti tra i diversi Paesi, aveva rinunciato a regolarle con norme uniformi, tanto più che si trovava combattuta tra due diverse esigenze. Da un lato voleva evitare qualunque riconoscimento di carattere ufficiale che comportasse direttamente o indirettamente la creazione di un nuovo istituto canonico, e, di conseguenza, tendeva a qualificare queste riunioni come «private conferenze». Ma, dall’altro, non intendeva esentare questi organismi da ogni controllo e tendeva quindi ad esigere, con disposizioni riguardanti i singoli Paesi, che il legato pontifico fosse previamente informato dell’ordine del giorno e ricevesse poi i relativi verbali.

    La questione più delicata riguardava la partecipazione del nunzio alle assemblee della conferenza episcopale dal momento che spesso risultava poco gradita ai vescovi, quando non apertamente contestata, come dimostrano in modo particolarmente evidente le disavventure polacche del nunzio Ratti [24] .

    Di fronte ai nuovi e complessi problemi posti dalla conferenze episcopali, nel 1924 Pio XI autorizza uno studio approfondito di tutta la questione da parte di una Plenaria congiunta dei dicasteri interessati, esigendo, in particolare, «che sieno esaminati e determinati i rapporti fra queste Conferenze e i Rappresentanti della S. Sede (Nunzi o Delegati)» [25] .

    In questa sede non è certamente il caso di proporre una ricostruzione organica dell’ampio e approfondito dibattito che ne è seguito in seno alla Plenaria, tanto più che ebbe un esito alquanto deludente. Merita, invece, soffermarsi sul contributo di esperienza e di riflessione offerto ai lavori da Pacelli, che, insieme a pochi altri rappresentanti pontifici, viene consultato in due distinti momenti.

    5. Il nunzio e la conferenza episcopale. L’esperienza e il pensiero di Pacelli

    Il 28 marzo 1924, e quindi all’inizio dei lavori della Plenaria, Pacelli, adempiendo all’ordine di riferire «intorno alle riunioni generali, che i Vescovi della Germania sogliono tenere presso la tomba di S. Bonifacio in Fulda», inviava alla Santa Sede una dettagliata relazione da cui emergeva chiaramente la difficoltà dei rapporti con la conferenza episcopale [26] . Avverte infatti che, a sua conoscenza, il nunzio non è stato mai invitato né è mai intervenuto alle riunioni sia della conferenza di Fulda sia di quella bavarese di Frisinga, osservando che «probabilmente i Vescovi preferiscono di parlare e di discutere con una libertà, che pensano non rimarrebbe loro intiera alla presenza del Rappresentante Pontificio». Rileva anche che da molto tempo non trova più attuazione la prescrizione del regolamento della conferenza che prevede l’invio al S. Padre di un rapporto sulle deliberazioni assunte, implorando «in quanto l’argomento lo richieda le Sue istruzioni». Quanto, poi, al verbale che «il Presidente, dopo la Conferenza, suole (…) inviare alla Nunziatura», esso consente di «conoscere in qualche modo le materie trattate e le prese risoluzioni», ma in vari punti risulta «formulato talvolta in termini così vaghi e concisi, che non è sempre possibile di formarsi un’idea esatta della cosa» [27] .

    Tutto questo non impedisce a Pacelli di ritenere che le «conferenze vescovili, come quelle di Fulda e di Frisinga, sono per sé (…) utili e necessarie, massime nei tempi difficili presenti in Germania» [28] , e di considerare inopportuno qualunque autorevole intervento di carattere specifico che ne modifichi lo status giuridico. Infatti, a conclusione della relazione, avverte: «Qualora la S. Sede attuasse il Suo sapiente proposito di disciplinare le riunioni generali dei Vescovi, sarebbe, a mio umile avviso, espediente, – affine di non suscitare dissapori e difficoltà in questa Nazione, ove gli animi sono facilmente eccitabili e spesso sospettosi verso i provvedimenti che vengono da Roma, – che ciò avvenisse in termini universali, vale a dire come disposizione emanata per tutto il mondo, e non come misura particolare per le Conferenze vescovili della Germania, che sembrerebbe anzi prudente di non menzionare esplicitamente» [29] .

    Nel dicembre 1925 i primi esiti dei lavori della Plenaria vengono inviati a vari rappresentanti pontifici, chiedendo non più una relazione, ma un vero e proprio voto. Il documento elaborato da Pacelli il 21 gennaio 1926 in adesione a tale richiesta [30] si rivela di singolare interesse in quanto prospetta personali e originali valutazioni, per alcuni profili del tutto anticipatrici di quanto avverrà dopo il Concilio [31] .

    Il futuro pontefice ritiene «del tutto necessaria e conveniente» la prescrizione della bozza di regolamento generale predisposto da Gasparri, che, là dove «la Santa Sede abbia relazioni diplomatiche col Governo della nazione», impone alla conferenza di «riservare» alla stessa Santa Sede «le questioni che toccano i rapporti della Chiesa con lo Stato o la politica generale del paese», ma, al contempo, avverte che tale regola non può avere carattere assoluto. Osserva, infatti: «dovrebbe tuttavia, se non m’inganno, essere eccettuato il caso, in cui o la S. Sede domandi il parere o la cooperazione dell’Episcopato od anche in cui i relativi negoziati siano condotti dai Rev.mi Vescovi coll’intesa e secondo le istruzioni della S. Sede», come è già accaduto. E, con grande realismo e notevole sensibilità diplomatica, aggiunge «allorché […] non è possibile di giungere, nell’ordinamento dei rapporti tra Chiesa e Stato, ad un vero e proprio accordo, vale a dire ad una Convenzione concordataria, può essere opportuno per la S. Sede, affine di non compromettersi e di mantenere la piena sua libertà, di non agire direttamente, ma di ottenere, colle necessarie proteste e riserve, per mezzo dell’Episcopato miglioramenti a progetti di leggi ecclesiastiche unilaterali, la cui emanazione sia impossibile di evitare e che, d’altra parte, contengano disposizioni non in tutto positivamente accettabili» [32] .

    D’altro canto, insiste Pacelli, la riserva alla Santa Sede delle questioni riguardanti i rapporti della Chiesa con lo Stato, «parmi […] debba intendersi delle questioni di principio, ed in primo luogo della conclusione, interpretazione ed esecuzione dei Concordati. Per ciò, invero, che concerne le questioni secondarie e di dettaglio, sembra, salvo errore, che esse non siano sempre escluse dalle competenze dei Vescovi e che quindi non sia in ogni caso vietato di discuterne nelle Conferenze episcopali». E, a dimostrazione di tale assunto, propone una argomentazione di singolare attualità, in quanto essa costituisce una delle ragioni che nei più recenti concordati hanno indotto la Santa Sede a lasciare la regolamentazione specifica di determinate materie ad intese tra le conferenze episcopali e i rispettivi governi [33] . Constata, infatti, che in Germania molte materie sono regolate da «complicatissime leggi ed ordinanze» e quindi «sarebbe ben difficile, ed anzi in pratica forse impossibile, per la S. Sede di avocarne a sé la trattazione, salvo sempre […] le linee generali e le questioni di massima» [34] .

    Circa la delicata questione della partecipazione del rappresentante pontificio, in questa sede è sufficiente ricordare come, secondo Pacelli, essa «importerebbe per sé notevolissimi vantaggi» ma, d’altra parte, «si richiederebbe per tale compito che il Nunzio […] possedesse doti eccezionalissime di scienza e di prudenza, ed inoltre, per quanto riguarda la Germania, avesse una perfetta conoscenza della difficile lingua e delle complicate condizioni personali, locali, giuridiche del Paese» [35] . Ritiene, dunque, che, di norma, il rappresentante pontificio debba declinare l’invito, che peraltro è da considerarsi dovuto.

    Nel complesso, dunque, Pacelli, pur non nascondendosi problemi e difficoltà, si dimostra decisamente favorevole a una valorizzazione della conferenza, anche nelle questioni relative ai rapporti con lo Stato, che si realizzerà in misura significativa solo dopo il Vaticano II e nella politica concordataria di Giovanni Paolo II. Coerentemente a questo orientamento il futuro pontefice ritiene che, nel pieno rispetto delle prerogative della Santa Sede, si debba lasciare alla conferenza un adeguato spazio di autodeterminazione per l’assunzione delle proprie responsabilità. Di conseguenza non solo, come si è visto, considera inopportuna la partecipazione del rappresentante pontificio alle riunioni, ma non vede la necessità di una formale approvazione da parte della Santa Sede dell’ordine del giorno delle stesse [36] e ritiene sufficiente per le deliberazioni assunte un semplice nulla-osta [37] .

    6. Conclusioni

    Alla luce di quanto sopra esposto si può concludere che il Codice pio-benedettino costituisce, sotto diversi profili, un punto di riferimento ineludibile per l’azione del nunzio apostolico. Infatti, per quanto riguarda la missione politico-diplomatica, la legislazione pio-benedettina propone una efficace sintesi dei più importanti principi dello ius publicum ecclesiasticum externum e offre un quadro organico e completo di tutte le materie che ricadono sotto la competenza del legislatore canonico. E, per quanto concerne le funzioni nei confronti delle chiese particolari, consente una conoscenza agevole e completa di quella disciplina sulla cui osservanza il rappresentante pontificio è chiamato a vigilare.

    Peraltro il nunzio Pacelli non può trovare nel Codice tutte le indicazioni necessarie a un efficace e corretto svolgimento del proprio ministero [38] in quanto, come si è visto, il Codice si esprime in modo alquanto generico circa i suoi compiti riguardo alle Chiese particolari e per di più ignora la nuova realtà delle conferenze episcopali. Di conseguenza, nei rapporti con l’episcopato nel suo complesso, il nunzio, in mancanza di precise e specifiche istruzioni da parte della Santa Sede, si trova a dovere autonomamente individuare ed adottare la linea di comportamento più opportuna, come dimostrano chiaramente i due documenti di Pacelli che si sono qui presi in considerazione.


    [1] A. Rossi, La codificazione del diritto canonico. Il Motu Proprio di Pio X "De legibus Ecclesiae in unum redigendis ", Tip. Bizzoni, Pavia 1905, p. 17. Dello stesso avviso erano diversi canonisti italiani e francesi, come mette in luce M. Falco, Introduzione allo studio del "Codex iuris canonici ", Bocca, Torino 1925, ora a cura di G. Feliciani, Il mulino, Bologna 1992, p. 100.

    [2] Vedi J.B. Sägmüller, Die formelle Seite der Neukodifikation des kanonischen Rechts, in «Theologische Quartalschrift», LXXXVII, 1905, p. 403; cfr. F. Ruffini, La codificazione del diritto ecclesiastico, in Studi di diritto romano, di diritto moderno e di storia del diritto pubblicati in onore di Vittorio Scialoja, II, Hoepli, Milano 1905, pp. 378 ss.

    [3] M. Falco, Introduzione, cit., pp. 397-398; cfr. A. Knecht, Das neue kirchliche Gesetzbuch, K.J. Trubner, Strassbourg 1918, pp. 46-47; A. Boudinhon Le nouveau Code de droit canonique, in «Revue du clergé français», XXIII, 1917, tom. 93, p. 12; H. Henrici, Das Gesetzbuch der katholischen Kirche, Helbing & Lichtenhahn, Basel 1918, p.

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