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Francesco: La Chiesa tra ideologia teocon e «ospedale da campo»
Francesco: La Chiesa tra ideologia teocon e «ospedale da campo»
Francesco: La Chiesa tra ideologia teocon e «ospedale da campo»
E-book421 pagine3 ore

Francesco: La Chiesa tra ideologia teocon e «ospedale da campo»

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Info su questo ebook

Quando Jorge Mario Bergoglio diviene papa Francesco, il 13 marzo 2013, l’eredità ecclesiale che si trova di fronte non è solo quella degli scandali del clero e della corruzione dei costumi. È anche una eredità ideologica consolidatasi nel mondo cattolico dopo la caduta del comunismo. Si tratta del modello «americano» fondato sul connubio tra battaglie etiche contro la secolarizzazione (cultural wars) e identificazione del cattolicesimo con il capitalismo e lo «spirito» americano. Intellettuali come Michael Novak, George Weigel, Richard John Neuhaus, Robert Sirico elaborano, a partire dagli anni ’80 questa sintesi attraverso una rilettura, fortemente deformata, della Centesimus annus di Giovanni Paolo II. Con ciò divengono, negli anni ’90, gli opinion makers della Chiesa negli USA e in Europa. Il mondo cattolico, affascinato in precedenza dal marxismo, si ritrova in un modello ecclesiale e politico liberalconservatore. Una tendenza che diviene teocon, dopo l’11 settembre 2001 e l’avvento delle teologie politiche manichee, per trasformarsi poi nel teopopulismo contemporaneo. L’avvento del Papa latinoamericano provoca la crisi di questa prospettiva e la conseguente reazione con la minaccia dello «scisma americano». È il dramma della Chiesa odierna, profondamente divisa al proprio interno. Il volume analizza la stagione dei Catholic Neoconservative e quella della Chiesa di Francesco immaginata come un «ospedale da campo» per un mondo in frantumi, due prospettive profondamente diverse che segnano la coscienza cattolica contemporanea.
LinguaItaliano
EditoreJaca Book
Data di uscita2 mar 2021
ISBN9788816802728
Francesco: La Chiesa tra ideologia teocon e «ospedale da campo»
Autore

Massimo Borghesi

Massimo Borghesi è professore ordinario di Filosofia morale presso il Dipartimento di Filosofia, Scienze Sociali, Umane e della Formazione, dell'Università di Perugia. Con Jaca Book ha pubblicato: Jorge Mario Bergoglio. Una biografia intellettuale. Dialettica e mistica (2017, ult. ed. 2021); Romano Guardini. Antinomia della vita e conoscenza affettiva (2018); Ateismo e modernità. Il dibattito nel pensiero cattolico italo-francese (2019).

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    Anteprima del libro

    Francesco - Massimo Borghesi

    Massimo Borghesi

    FRANCESCO

    LA CHIESA TRA IDEOLOGIA TEOCON

    E OSPEDALE DA CAMPO

    © 2021

    Editoriale Jaca Book Srl, Milano

    tutti i diritti riservati

    Prima edizione italiana

    febbraio 2021

    Redazione Jaca Book

    Impaginazione Elisabetta Gioanola

    eISBN 978-88-16-80272-8

    Editoriale Jaca Book

    via Frua 11, 20146 Milano, tel. 02/48561520

    libreria@jacabook.it; www.jacabook.it

    Seguici su

    Al piccolo gruppo di amici con i quali, in questi anni,

    abbiamo condiviso una grande battaglia ideale.

    A Lucio Brunelli, Rocco Buttiglione, Guzmán Carriquiry Lecour,

    Emilce Cuda, Rodrigo Guerra López, Austen Ivereigh,

    Alver Metalli, Andrea Monda, Andrea Tornielli

    INDICE

    Introduzione: Oltre il modello teologico-politico. La Chiesa mobile di Francesco

    1. LA CADUTA DEL COMUNISMO E L’EGEMONIA DELL’AMERICANISMO CATTOLICO

    1.1.La Chiesa dopo la caduta del comunismo

    1.2.Dall’antimoderno al modernismo liberal-conservatore: il cattocapitalismo di Michael Novak

    1.3.Il Catholic Neoconservative Movement e la lettura della Centesimus annus come rottura

    1.4.David Schindler e la critica teologica ai neoconservatori

    1.5.Prima l’America. I neoconservatori contro Giovanni Paolo II e Benedetto XVI

    1.6.I teocon e l’alleanza con la Chiesa. Il caso italiano

    2. IL PONTIFICATO DI FRANCESCO NELLA CRISI DELLA GLOBALIZZAZIONE

    2.1.Agenda etica e capitalismo nella Evangelii gaudium. La reazione teocon e neotradizionalista

    2.2.Una tecnocrazia senz’anima. La questione ecologica nella Laudato si’

    2.3.La polarità contro la polarizzazione. Fratelli tutti, una nuova Pacem in terris

    2.4.I grandi Americani. Un rinnovato dialogo tra Chiesa e Stati Uniti

    3. CHIESA IN USCITA E OSPEDALE DA CAMPO. IL VOLTO MISSIONARIO DELLA FEDE

    3.1.Fuori dal centro. Verso le periferie del mondo e dell’esistenza

    3.2.Evangelizzazione e promozione umana. La Evangelii nuntiandi del grande Paolo VI e la fine della cristianità

    3.3.La via della Misericordia. La teologia della tenerezza e la dialettica del grande e del piccolo

    Conclusione: La crisi del teopopulismo, l’America, il futuro della Chiesa

    Introduzione

    OLTRE IL MODELLO TEOLOGICO-POLITICO. LA CHIESA MOBILE DI FRANCESCO

    La sera di venerdì 27 marzo 2020, nel pieno dell’epidemia Covid-19 che ogni giorno miete drammaticamente le sue vittime, si svolge a Roma una scena che i telespettatori di tutto il mondo non dimenticheranno. Un Papa solo, di fronte a una piazza San Pietro deserta e battuta dalla pioggia, prega Dio per tutta l’umanità. Il silenzio intorno a lui è surreale. Dietro al Papa c’è l’icona di Maria Salus Populi Romani, conservata a S. Maria Maggiore, e il crocifisso ligneo di S. Marcello che, secondo la tradizione, avrebbe salvato i romani durante la peste del ’500. Il Papa implora il Signore di non abbandonare il mondo alla paura. L’esordio, potente, recita:

    «Venuta la sera» (Mc 4,35). Così inizia il Vangelo che abbiamo ascoltato. Da settimane sembra che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo trovati impauriti e smarriti. Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti. Come quei discepoli, che parlano a una sola voce e nell’angoscia dicono: «Siamo perduti» (v. 38)¹.

    Le immagini del Papa solo nella piazza San Pietro deserta fanno il giro del mondo. Rendono evidente, più di ogni possibile descrizione, la tragedia dell’umanità piagata e piegata dall’epidemia. Come ha scritto Campi:

    Le immagini di papa Francesco che celebra messa da solo, in una piazza San Pietro buia, desolata e battuta dalla pioggia, sono state trasmesse ovunque. A qualcuno è parso come il ritiro dal mondo della fede e delle religioni organizzate: un fatto talmente inedito e grandioso da acuire lo smarrimento universale, non solo quello dei credenti. Ma in quelle immagini, in effetti sconcertanti, molti hanno invece visto un messaggio di speranza, un segnale potente. In un mondo toccato in profondità dalla secolarizzazione, reso quasi spiritualmente sterile da quest’ultima, peraltro nemmeno capace di garantire un tranquillo pluralismo delle credenze improntato ad una laica e illuministica tolleranza, la figura solitaria del pontefice che invoca salvezza per tutti ha suggerito pensieri meno sconfortanti: da un lato, il riscatto necessario della cultura religiosa su quella secolare (che di fronte al dramma ultimo della morte non riesce nemmeno ad essere consolatoria); dall’altro un invito alla comunanza e alla condivisione, rivolto al mondo e da quest’ultimo largamente recepito, al di là delle diversità di fedi e credenze².

    Il gesto del Papa è potente e rappresenta, dal punto di vista simbolico, uno dei punti più alti del pontificato, destinato a rimanere impresso nella memoria. Nondimeno proprio quella solitudine viene a rivestire, in alcuni articoli della stampa, un significato totalmente diverso. Il Papa sarebbe solo perché lontano dalla Chiesa e dal mondo. Solo perché il suo pontificato volgerebbe al termine, privo ormai di afflato ideale, bloccato nel suo disegno utopico di riformare la Chiesa. È quanto afferma, con evidente soddisfazione, lo storico Roberto de Mattei, presidente della Fondazione Lepanto, direttore di «Corrispondenza romana» e discepolo ideale di Plinio Corrêa de Oliveira, il cattolico tradizionalista brasiliano fondatore dell’associazione Tradizione, Famiglia e Proprietà.

    D’altra parte piazza San Pietro è vuota, e né le immagini televisive di papa Francesco, né i suoi libri e interviste attirano più l’opinione pubblica. Il coronavirus ha dato il colpo di grazia al suo pontificato, già in crisi. Quale che sia l’origine del virus, questa è stata una delle sue principali conseguenze. Per usare una metafora, il pontificato di Francesco mi sembra clinicamente estinto³.

    Se il giudizio di de Mattei, noto per il suo volume contro il Concilio Vaticano II, è scontato, meno ovvio è quello, precedente, di Alberto Melloni, illustre storico della scuola bolognese di Giuseppe Alberigo e collaboratore del «Corriere della Sera». In un articolo dei primi di agosto, L’inizio della fine del papato di Francesco, Melloni collega l’ideale fine del pontificato con il diffondersi della pandemia.

    Per Francesco la svolta simbolica è stata la drammatica icona del papa solus, davanti a un mondo vuoto la piovosa sera del Covid-19. […] Con quella ostensione della sua solitudine istituzionale del marzo è iniziata la fase finale di questo papato: fase che potrebbe durare dieci anni o più; e si distinguerà ancor più il giorno in cui dovesse venir meno Benedetto XVI. Nella fase finale del papato non è che il papa conti poco o perda potere: semplicemente è il momento in cui il futuro della chiesa (e del conclave) passa definitivamente al corpo invisibile e globale della chiesa. Quello che non ha ancora deciso se il vigore apostolico di Francesco deve diventare uno stile cristiano o se è meglio riposare nella mediocrità e nelle nostalgie⁴.

    La cosa significativa dell’articolo di Melloni è che non vengono indicati con chiarezza i motivi del declino. E, tuttavia, essi sono intuibili e documentano l’insoddisfazione di un certo orientamento progressista, tanto cattolico quanto laico, verso il pontificato. «È affiorata – scrive Melloni – anche una tensione crescente attorno al papato, che durante la pandemia ha oscillato su diversi punti: anche da parte di ambienti che erano stati simpatetici e di persone che ne erano state lodatori o adulatori. Come se non aver fatto presto quel che loro premeva fosse un torto»⁵. Se il fronte conservatore e tradizionalista non è mai venuto meno, nella sua offensiva contro il Papa, la crisi del sostegno progressista è cosa più recente. I limiti posti al Sinodo sull’Amazzonia, sulla possibilità di ordinare sacerdoti degli uomini sposati, e quelli verso l’episcopato tedesco orientato favorevolmente all’idea del sacerdozio femminile, non sono piaciuti. Francesco sarebbe arretrato di fronte ai tradizionalisti e ciò appare imperdonabile. In qualche modo accreditano questa immagine anche commentatori laici come Massimo Franco e Marco Marzano.

    Nel suo volume L’enigma Bergoglio. La parabola di un pontificato, Franco suggerisce l’idea di un «papa enigmatico»⁶, «magistrale nel destrutturare una Chiesa già in crisi, probabilmente meno abile nel costruirne un’altra»⁷. Anche Franco esordisce e conclude con l’immagine della «piazza San Pietro deserta e battuta dalla pioggia di marzo»⁸. Commentando il volume di Franco, Marzano, autore a sua volta del testo La Chiesa immobile. Francesco e la rivoluzione mancata⁹, perviene a rimettere in discussione la sua lettura del papato offerta in precedenza: quella di una Chiesa immobile, ferma nella voluta oscillazione gesuitica tra tradizione e riforme. Non vi sarebbe, in ciò, alcuna strategia da parte del Papa. «Io, al pari di altri, ho sempre immaginato che tutte queste mosse apparentemente contraddittorie, questi continui andirivieni, corrispondessero ad un sottile disegno strategico, a una finezza politica squisitamente gesuitica volta a tentare di conciliare l’inconciliabile e a tener alto il consenso delle tante frazioni in cui è divisa la Chiesa. Leggendo il bel libro di Massimo Franco, L’enigma Bergoglio. La parabola di un papato (Solferino), mi è venuto più di qualche dubbio sulla validità di questa ipotesi interpretativa. Al termine della lettura ho dovuto ammettere a me stesso che quel procedere per avanzate e retromarce, quell’illudere i fans delle riforme per poi deluderli clamorosamente potrebbe anche non essere solo o tanto il riflesso di un’accorta strategia, ma più semplicemente il sintomo della totale assenza di una strategia, del procedere a tentoni da parte di un uomo divenuto inaspettatamente pontefice a quasi ottant’anni, probabilmente privo di un qualunque progetto di riforma della Chiesa e assai incerto e balbettante non solo sui grandi temi teologico-politici, ma anche sul modo in cui gestire l’ordinaria amministrazione della Chiesa. È questo che emerge con nitore negli undici densi capitoli del libro di Franco»¹⁰. Per Marzano, Francesco sarebbe, quindi, un Papa privo di un disegno riformatore, un conservatore nonostante la patina di progressismo immaginata dai media¹¹. Le oscillazioni e le ritrattazioni di Marzano sulla «strategia» papale, così come le esitazioni di Franco di fronte al «papa enigmatico» documentano, peraltro, come ambedue trascurino del tutto la dimensione del pensiero e della formazione intellettuale di Bergoglio, condizioni imprescindibili per poter delineare il disegno riformatore del Papa latinoamericano. Prova a colmare la lacuna p. Antonio Spadaro, il direttore de «La Civiltà Cattolica» in un lungo articolo del settembre 2020, Il governo di Francesco. È ancora attiva la spinta propulsiva del pontificato?, che costituisce una chiara risposta alle domande sollevate da Melloni¹². Gli interlocutori del testo sono, idealmente, i critici di sinistra del pontificato, coloro che immaginano una ideologia del cambiamento, da parte di Francesco, che non esiste.

    La riforma sarebbe un’ideologia dal vago carattere zelota. Ed essa sì – come tutte le ideologie – avrebbe da temere dalla mancanza di supporters. Sarebbe alla mercé della disillusione dei circoli di coloro che hanno in mente un’agenda da realizzare. La riforma che ha in mente Francesco funziona se «svuotata» da queste logiche mondane. Essa è l’opposto dell’ideologia del cambiamento. La spinta propulsiva del pontificato non è la capacità di fare cose o di istituzionalizzare sempre e comunque il cambiamento, ma di discernere tempi e momenti di uno svuotamento perché la missione faccia trasparire meglio Cristo. È il discernimento stesso la «struttura sistematica» della riforma, che si concretizza in un ordine istituzionale¹³.

    Per Spadaro «Si comprende così che la domanda su quale sia il programma di papa Francesco non ha senso. Il Papa non ha idee preconfezionate da applicare al reale, né un piano ideologico di riforme prêt-à-porter, ma avanza sulla base di un’esperienza spirituale e di preghiera che condivide passo passo nel dialogo, nella consultazione, nella risposta concreta alla situazione umana vulnerabile. Francesco crea le condizioni strutturali di un dialogo reale e aperto, non preconfezionato e studiato a tavolino strategicamente»¹⁴. Nella strada seguita da Francesco «non c’è una road map soltanto teorica: il cammino si apre camminando. Dunque, il suo progetto è, in realtà, un’esperienza spirituale vissuta, che prende forma per gradi e che si traduce in termini concreti, in azione. Non un piano che fa riferimento a idee e concetti che egli aspira a realizzare, ma un vissuto che fa riferimento a tempi, luoghi e persone, secondo un’espressione tipica di Ignazio; dunque, non ad astrazioni ideologiche, a uno sguardo teorico sulle cose. Per cui quella visione interiore non si impone sulla storia cercando di organizzarla secondo le proprie coordinate, ma dialoga con la realtà, si inserisce nella storia – a volte paludata o fangosa – degli uomini e della Chiesa, si svolge nel tempo»¹⁵.

    La risposta di p. Spadaro, uno dei più accreditati interpreti del Papa, a Melloni si attiene, quindi, a quello spirito del discernimento e al «pensiero aperto» che sono caratteristici della metodologia di Francesco. L’errore di Melloni e di altri sarebbe di aver immaginato un papato riformatore secondo uno schema prefissato, lontano dalla realtà effettuale di papa Francesco. La lettura di Spadaro, attenta nel sottolineare le modalità di esercizio del potere da parte del gesuita Bergoglio, diviene oggetto di analisi critica da parte del vaticanista de «Il Foglio», Matteo Matzuzzi, secondo il quale «Tutto vero, però il primo a dire che alla base del pontificato – come è logico che sia – c’è un programma è stato il Papa nell’esortazione del 2013 Evangelii gaudium, al n. 21 […] Insomma, un programma c’era e c’è e non si tratta tanto di tematizzare una sorta di opposizione tra conversione spirituale, pastorale e strutturale: le cose vanno di pari passo»¹⁶. La precisazione di Matzuzzi è volta a mostrare i limiti di quel programma così come il titolo dell’articolo lascia intendere: Il tramonto di un papato. Non è il solo. Sempre su «Il Foglio» un esponente del cattolicesimo di sinistra, Daniele Menozzi, allievo di Giuseppe Alberigo, appare anche lui non persuaso delle argomentazioni di Spadaro: «Eppure l’articolo del direttore della rivista dei gesuiti italiani non scioglie un dubbio. Il fatto stesso che venga posta una domanda sulla spinta propulsiva del pontificato non rappresenta l’espressione retorica di un’incertezza di fondo sulla effettiva incisività delle misure adottate dal Papa? Il dubbio è rafforzato se si guarda alla risposta sotto il profilo della politica ecclesiastica. Spadaro sostiene che la linea riformistica di Bergoglio gli consente di evitare gli scogli delle doppie richieste di progressisti e conservatori. Una rivendicazione di centralità che difficilmente assume chi tiene con sicurezza le briglie dell’innovazione»¹⁷. Menozzi, così come Melloni e Matzuzzi, suggeriscono così l’idea che il pontificato di Francesco, bloccato da indecisioni e inadeguata valutazione delle persone, volga idealmente verso la fine. Dal papato non ci si possono attendere novità sostanziali. È il dubbio anche di Aldo Cazzullo, firma del «Corriere», nel suo C’è un cardinale a Parigi? Dubbi su un Papa che resta grande¹⁸.

    Tra l’agosto e l’ottobre 2020 opinionisti provenienti da fronti ideali opposti si dimostrano, pertanto, concordi nel giudizio su un papato alla fine. Una sintonia sospetta che solleva inevitabilmente la domanda: «perché?». Perché ora, di fronte allo spettacolo di piazza San Pietro vuota dove la solitudine del Papa si dimostrava capace di abbracciare il mondo intero, commentatori, di sinistra e di destra, ne decretano la fine? Le motivazioni addotte sono diverse, a tratti opposte. Là dove gli uni vedono i condizionamenti della tradizione gli altri colgono solo l’esitazione del progressista che ha timore di perdere consenso. Eppure queste motivazioni non appaiono sufficienti per decretare il declino di Francesco che dimostra, al presente, piena lungimiranza, chiarezza di giudizi, volontà riformatrice¹⁹. C’è dell’altro e questo altro ha a che fare, nell’agosto-ottobre 2020, con la certezza non confessata della rielezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti. La sua sconfitta, nelle elezioni del 3 novembre, appariva remota e il successo di Joe Biden difficilmente pronosticabile. Questa sensazione spiega, probabilmente la percezione diffusa che, con il secondo mandato del presidente americano, la stella di Bergoglio fosse alla fine. Nei quattro anni del suo mandato Trump ha infatti rappresentato, agli occhi di milioni di cattolici, negli USA e fuori, una sorta di anti-Francesco. Per questo l’idea di una sua presidenza per altri quattro anni veniva automaticamente associata a quella dell’oblio del Papa²⁰. Ciò è stato possibile perché Trump ha costituito per molti cattolici non solo un politico, apprezzabile o meno per le sue idee, ma un vero e proprio defensor fidei in alternativa al vescovo di Roma. Per ampi settori della Chiesa americana il nuovo Costantino risiedeva nella Casa Bianca, a Washington. In tal modo la figura del Presidente, che già è oggetto privilegiato della religione civile americana, è divenuto il protagonista di un modello teologico-politico opposto al cattolicesimo latino-americano del vescovo di Roma. L’investitura di Trump, durante le elezioni, è avvenuta non ad opera di un papa ma di un anti-papa, l’arcivescovo Carlo Maria Viganò, ex nunzio pontificio negli Stati Uniti, il principale avversario di Francesco nel fronte tradizionalista, con molte entrature nella Chiesa americana. La sue due Lettere al Presidente, del 7 giugno e del 25 ottobre 2020, rappresentano un esempio unico, a tratti delirante, del manicheismo teologico-politico circolante in alcuni settori ecclesiastici²¹. Se nella prima lettera si parla del formarsi di due schieramenti biblici, «i figli della luce e i figli delle tenebre», il primo incarnato da Trump e il secondo dal deep state e dalla deep church globalista, è nella seconda lettera, quella di ottobre prossima alle elezioni, che il tono apocalittico raggiunge il suo acme. In essa Trump diviene il kathèkon paolino, il «potere che frena» la potenza del male, quella potenza che troverebbe espressione nel Papa romano dipinto come una sorta di anti-Cristo.

    Nella Sacra Scrittura, San Paolo ci parla di «colui che si oppone» alla manifestazione del mistero dell’iniquità, il kathèkon (2Tess 2, 6-7). In ambito religioso, questo ostacolo è la Chiesa e in particolare il Papato; in ambito politico, è chi impedisce l’instaurazione del Nuovo Ordine Mondiale. Come ormai è evidente, colui che occupa la Sede di Pietro, fin dall’inizio ha tradito il proprio ruolo, per difendere e promuovere l’ideologia globalista, assecondando l’agenda della deep church, che lo ha scelto dal suo grembo. Signor Presidente, Ella ha chiaramente affermato di voler difendere la Nazione – One Nation under God, le libertà fondamentali, i valori non negoziabili oggi negati e combattuti. È Lei, Caro Presidente, «colui che si oppone» al deep state, all’assalto finale dei figli delle tenebre. Per questo occorre che tutte le persone di buona volontà si persuadano dell’importanza epocale delle imminenti elezioni: non tanto per questo o quel punto del programma politico, quanto piuttosto perché è l’ispirazione generale della Sua azione che meglio incarna – in questo particolare contesto storico – quel mondo, quel nostro mondo, che si vorrebbe cancellare a colpi di lockdown. Il Suo avversario è anche il nostro: è il Nemico del genere umano, colui che è «omicida sin dal principio» (Gv 8, 44). Attorno a Lei si riuniscono con fiducia e coraggio coloro che La considerano l’ultimo presidio contro la dittatura mondiale. L’alternativa è votare un personaggio manovrato dal deep state, gravemente compromesso in scandali e corruzione, che farà agli Stati Uniti ciò che Jorge Mario Bergoglio sta facendo alla Chiesa²².

    Viganò, il no-global della reazione, l’apocalittico della contro-rivoluzione, è un personaggio estremo, degno dei romanzi di Umberto Eco e di Dan Brown, il quale, dopo il suo rifiuto del Concilio Vaticano II e le sue critiche a Benedetto XVI, è divenuto la controfigura di mons. Lefebvre, al punto da risultare inservibile anche per il fronte anti-Francesco²³. Per due anni tuttavia, dal 26 agosto 2018 quando pubblica il dossier sugli scandali sessuali del cardinale Theodore Edgar McCarrick accusando Francesco e i vertici della Chiesa di aver coperto la vicenda, è apparso, incredibilmente, come il potente moralizzatore della Chiesa, al punto da chiedere le dimissioni del Papa²⁴. Il credito che ha ricevuto nel clero e tra i cattolici statunitensi ha una sua spiegazione solo se si tiene presente il quadro ideologico che permea tanta parte del cattolicesimo americano. Quello delle culture wars, dei cristiani combattenti nel tempo finale – i figli della luce contro i figli delle tenebre –, del manicheismo religioso e politico. Come ogni modello teologico politico anche questo può interrogarsi solo di fronte a una débâcle, a una sconfitta. In questo caso quella di Trump. È indubbio, infatti, che «lo scisma americano», di cui ha trattato Nicolas Senèze in un suo fortunato volume, abbia trovato proprio in Trump il suo punto di forza²⁵. La sconfitta del presidente repubblicano coincide, da questo punto di vista, non con l’avvento del nuovo salvatore, il democratico Joe Biden, ma con la fine dell’illusione del Costantino antiromano. Come bene ha scritto Melloni all’indomani del risultato elettorale:

    C’era una dimensione storicamente inedita del trumpismo ed era il suo tentativo di dividere la chiesa cattolica. Produrre nel cattolicesimo lo scisma che ha già diviso il mondo protestante, dove si è formata una corrente di chiese evangelicali (per distinguerle dalle chiese evangeliche, che sono di tradizione luterana). L’amministrazione Trump voleva creare un cattolicesimo cattolicale in tre modi. In primo luogo sfruttando il risentimento contro Francesco di un tradizionalismo integrista che ha trovato in un ex nunzio come monsignor Carlo Maria Viganò una voce invasata e irresponsabile. In secondo luogo finanziando il coordinamento e la presenza nel web di giornalisti mercenari, di miserabili sedicenti ratzingeriani (Ratzinger li avrebbe incineriti con due citazioni) e con loro creare quel rumore bianco che in 0,57 secondi offre 163mila siti a chi cerca papa Francesco eretico. In terzo luogo mandando come suo apocrisario a Roma, Steve Bannon, il quale, ingannando perfino la segreteria di Stato, aveva dato il nome del documento del Vaticano sulla libertà di coscienza odiato dai lefebvriani (Dignitatis humanae) a un centro studi per ammiratori del sovranismo e del razzismo²⁶.

    La svolta elettorale americana assume così un significato che trascende il giudizio politico. È un dato che non è sfuggito ai commentatori più attenti. Tra essi Maria Antonietta Calabrò, la quale giustamente ha fatto osservare come:

    Nel corso delle settimane, la questione cattolica per i Dem è rimasta sotto traccia. Ma non è solo per la sua fede personale che la vittoria di Biden, libera Papa Francesco da un possibile scacco matto, ipotizzabile invece in caso di vittoria di Trump. Per motivi geopolitici e per motivi interni alla Chiesa Cattolica, riporta il Trono del mondo in qualche modo in sincrono con l’Altare. E quindi in qualche modo eviterà le forti tensioni che si ebbero alla fine del pontificato di Ratzinger con l’elezione di Obama e negli anni della presidenza Trump per Francesco. Chi non ricorda le iniziative sovraniste di Steve Bannon? L’alleanza con i cardinali conservatori (a cominciare dal cardinale Burke), mano a mano arginate dopo l’uscita dalla Casa Bianca fino al recente arresto in relazione a reati finanziari relativi alla costruzione del Muro antimigranti con il Messico? L’alleanza in Italia con Matteo Salvini, il politico con la maglietta Il mio papa è Benedetto? Il voto cattolico (26 per cento della popolazione) è stato decisivo per le vittorie di Obama, ma negli ultimi anni negli Stati Uniti si è sempre più polarizzato: perché spostarsi a destra per un cattolico americano ha significato anche prendere le distanze dal Pontificato di Francesco. La propaganda dell’ex Nunzio monsignor Carlo Maria Viganò ha martellato per oltre due anni, dall’agosto 2018, contro il Papa, di cui ha chiesto più volte le dimissioni. Viganò ha indetto preghiere per la rielezione di Trump e ha ottenuto il pubblico appoggio di Trump in persona. Mentre con una mossa senza precedenti il Segretario di Stato Mike Pompeo a fine settembre ha accusato il Vaticano di immoralità per i suoi accordi diplomatici con la Cina in materia di scelta dei vescovi. Questo processo adesso, con la vittoria di Biden, si è interrotto²⁷.

    La «svolta» americana libera il Papa dal peso dell’imperatore e consente, indirettamente, di dare maggior respiro al suo disegno, quello che appariva opaco quando il destino delle urne sembrava giocare a favore di Trump. Non risolve, tuttavia, il problema di quel blocco cattolico conservatore, in molti casi tradizionalista, che reagisce di fronte a un mondo sempre più insicuro trincerandosi in una posizione di difesa. Come scrive Faggioli:

    La storia del cattolicesimo americano oggi è inseparabile dalla polarizzazione delle identità politiche: la situazione di spaccatura radicale all’interno della chiesa americana è destinata a continuare. L’elezione di Biden fa guadagnare tempo prezioso mentre Francesco è ancora papa, ma il dissenso sovversivo di cattolici finanziati dalle elite finanziarie contro il radicalismo evangelico di Francesco e il cattolicesimo di Biden non scomparirà il giorno dell’inaugurazione. Il ruolo di monsignor Viganò, ex nunzio apostolico a Washington, come vate del trumpismo cattolico (riconosciuto in pubblico da Trump stesso) verrà a un certo punto assunto da qualcun altro²⁸.

    Il dissenso, per quanto indebolito, rimane. La sua rimozione richiede una molteplicità di condizioni. Non ultima la comprensione della sua natura peculiare e della genealogia dei suoi concetti. Nel 2017 p. Spadaro e Marcelo Figueroa avevano provato a fotografare il fenomeno mostrandone le affinità con il settarismo protestante²⁹. Le reazioni, tra cui quella di George Weigel, una delle menti del pensiero teocon, non si fanno attendere³⁰. Il cattolicesimo peculiare americano si pone su una lunghezza d’onda diversa rispetto al pontificato, sembra non possedere le antenne per intercettarlo e comprenderlo.

    Gli Stati Uniti, un tempo terra di approdo degli emigrati cattolici italiani, irlandesi, polacchi, sono divenuti col tempo culla di un cattolicesimo peculiare. Una fede che accentua la dimensione morale del cristianesimo, a scapito di quella profetica. Interconnessa al capitalismo che permea la cultura di Oltreoceano. In competizione con un protestantesimo evangelicale nazionalista, razzista, proselitistico, omofobo. Non casualmente Civiltà cattolica, quindicinale dei gesuiti molto vicino a papa Francesco, ha messo in guardia da un ecumenismo dell’odio – quasi un jihadismo cristiano – che unisce le frange più tradizionaliste del cattolicesimo e del protestantesimo. Nei lunghi anni di Giovanni Paolo II, poi, con il collante dell’anticomunismo, molti vescovi hanno virato a destra, identificando, in una costante culture war, la fede cattolica con l’ideologia pro life o il rifiuto delle nozze gay, e lasciando in secondo piano le aperture alla società e alla modernità del Concilio vaticano II. Infine, negli ultimi anni, ha preso forza, parallelamente all’elezione di Donald Trump, al rinascere di antiche pulsioni nazionaliste e razziste, negli Stati Uniti come in Europa, un nuovo oltranzismo. Un nuovo integralismo medievalista in conflitto con la vecchia scuola neo-conservatrice per la supremazia all’interno del cattolicesimo americano conservatore, nell’analisi di Massimo Faggioli, storico italiano del cristianesimo trapiantato negli Stati Uniti. Ha preso corpo, insomma, un cattolicesimo quasi separato. Tollerato prima che venisse eletto Jorge Mario Bergoglio, adesso in odore di eresia. E pronto allo scisma³¹.

    Secondo Scaramuzzi «Papa Francesco non ha provocato, ma ha semplicemente portato alla luce, lo scontro in seno alla cattolicità. Prima di lui, il Concilio vaticano II (1962-1965) aveva registrato il distacco, a destra, della faglia lefebvriana. Il movimento tellurico ha ripreso ora perché il pontefice argentino torna a quel Concilio un po’ trascurato dai predecessori. Perché annuncia un cattolicesimo che non si concepisce principalmente come morale, che non mira primariamente a fare proseliti tra i non credenti, a rimbrottare i fedeli sui loro costumi sessuali, a fare alleanze politiche in difesa dei valori non negoziabili, ma apre le porte della Chiesa agli irregolari, ai lontani, dialoga con le persone di altre fedi. Non sposa acriticamente la modernità, ma orienta la Chiesa a un atteggiamento di non belligeranza verso di essa, addirittura di porosità, quella che ha permesso al cristianesimo di evolvere e, al contempo, di rimanere attuale, di fecondare la cultura del proprio tempo senza sottomettervisi. Jorge Mario Bergoglio tenta di tradurre il messaggio cristiano nei termini culturali dell’umanità odierna, come i missionari gesuiti del Seicento e del Settecento facevano quando diffondevano il cattolicesimo in America Latina o in Giappone e Cina»³².

    Perché la prospettiva del Papa non viene compresa? Perché viene liquidata come modernista, progressista, addirittura eretica? Che cos’è che non funziona più nel pensiero cattolico contemporaneo dal momento che non riesce più a tradurre il messaggio del Concilio nell’ora presente? Nel caso americano per capire la coupure, la rottura, occorre partire dalla storica sentenza «Roe versus Wade», con cui la Corte suprema degli Stati Uniti legittima nel 1973 il diritto di aborto, e dalle reazioni e dalle trasformazioni del cattolicesimo americano durante la presidenza di Ronald Reagan (1980-1989)³³. È allora, con la corrente dei Neoconservative promossa da intellettuali cattolici come Michael Novak, George Weigel, Richard Neuhaus, Robert Sirico, che prende forma l’orientamento dei teconservatori. Una corrente importante che, a partire dagli anni ’90, diverrà egemone nel mondo cattolico statunitense, al punto da definire i due pilastri di una nuova Weltanshauung: piena conciliazione tra cattolicesimo e capitalismo e cultural wars sul terreno etico. Sorge il cattocapitalismo, nuova forma dell’«americanismo cattolico» dominato dall’esigenza di una piena compenetrazione tra la fede e l’ethos americano³⁴. L’orientamento politico viene a condizionare quello religioso.

    Questo cambiamento politico è anche teologico. Su un fondo di naturalismo-tomista tradotto nei termini della bioetica contemporanea, la morale condiziona sempre più il discorso dogmatico e spirituale del cattolicesimo negli Stati Uniti. Allo stesso tempo, in ragione dell’influenza che i cardinali americani esercitano in Vaticano dall’elezione di Giovanni Paolo II, la dottrina sociale della Chiesa romana ha assunto un innegabile stile liberale, impresso dal filosofo dei diritti dell’uomo e militante pro-life George Weigel³⁵.

    Questo orientamento tende poi a radicalizzarsi, nella forma di un manicheismo militante, dopo le stragi dell’11 settembre 2001 e le guerre occidentali contro i Paesi islamici pienamente approvate dai pensatori teocon contro lo stesso Giovanni Paolo II. Guerra ed economia dividono i papi dai teocon i quali, però, non desistono dal loro progetto di orientamento del mondo ecclesiale. Vi riescono, al punto da produrre una vera e propria metamorfosi del cattolicesimo che da missionario e aperto al dialogo diventa identitario e conflittuale, da sociale diventa efficientista e imprenditoriale, da comunitario diventa individualista e burocratico, da pacifico si fa bellicoso, da cattolico e universalista diviene occidentalista. Questa trasformazione, fattasi evidente e molto marcata dopo l’11 settembre, è colta lucidamente da un acuto analista, il vaticanista Lucio Brunelli.

    Un nuovo genere di cristiani s’aggira per l’Europa. Sono i cristianisti. Ne circolano varie specie, alcuni indossano la tonaca, altri giacca e cravatta. C’è la versione aristocratica e quella scapigliata. Ma in comune tutti i cristianisti hanno il piglio del cattolico da combattimento. Basta chiacchiere ecumeniche, occorre un’identità forte. Si sentono minoranza. In politica stanno di preferenza col centrodestra, in economia sono ultraliberisti, a livello internazionale, ferventi americanisti. E fin qui di anticonformismo non sembrerebbe essercene molto. Ma la vera novità dei cristianisti non è la scelta dello schieramento. È il pathos che ci mettono. Lo spirito di militanza. E soprattutto la forte motivazione ideologico-religiosa. Dalla teologia dell’unicità di Cristo Salvatore discende senza dubbi un atteggiamento belligerante verso l’Islam. Dalla critica ortodossa del pelagianesimo viene l’accusa sprezzante a quei cristiani che si dedicano prevalentemente alle iniziative sociali in favore degli ultimi. Dalla denuncia dell’irenismo teologico si arriva all’entusiasmo (non solo approvazione, ma entusiasmo) per le spedizioni militari alleate. Tutte queste caratteristiche sono l’essenza del perfetto cristianista. Fenomeno nuovo, senza dubbio, almeno relativamente agli ultimi anni. Minoritario ma non quanto si crede, perché si innesta (estremizzandole) in tendenze dottrinali e politiche che trovano spazio anche in alcuni settori della gerarchia ecclesiastica. Il vero punto di lontananza con i cristianisti non è una differenza di vedute politiche. È questo uso del cristianesimo come un vessillo ideologico³⁶.

    Brunelli utilizzava, in modo intelligente, la distinzione tra cristiani e cristianisti che il filosofo francese Rémi Brague aveva impiegato nel suo volume Europe, la voie romaine. In esso Brague scriveva:

    Nell’ambito religioso, la fede non produce effetti che là dove essa resta fede, e non calcolo. La civiltà dell’Europa cristiana è stata costruita da gente il cui

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