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La Possibilità di Essere Felici
La Possibilità di Essere Felici
La Possibilità di Essere Felici
E-book129 pagine2 ore

La Possibilità di Essere Felici

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Info su questo ebook

La storia di un'esistenza capovolta da una diagnosi, in cui tutto quello che sembrava doversi risolvere pare solo complicarsi, come in un trattato sulla teoria del caos.
Una certa confidenza con le catastrofi, consente alla protagonista di non perdere del tutto la testa e di vivere le fasi della malattia anche con stupore e divertimento, raccontando con calore e da un punto di vista originale la sua nuova realtà, perché anche le storie più tristi hanno un lato comico.
 
LinguaItaliano
Data di uscita26 apr 2018
ISBN9788893372541
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    Anteprima del libro

    La Possibilità di Essere Felici - Susi Brescia

    sa.

    1

    Viaggiò tutta la vita intorno a un tavolo, senza per altro combinare un cavolo. Brunella Gasperini

    Ai saldi ho comprato un maglioncino di cachemire del mio colore preferito, che è esattamente il punto in cui si incontrano il rosso e il viola, è molto aderente, da indossare con un bel reggiseno, comprato ai saldi pure lui. Faccio la mia figura. Solo che ora non so più se potrò indossarlo, non l’ho ancora mai messo. Devo operarmi alla mammella sinistra e nel giro di qualche settimana rischio di perdere la simmetria del seno. Un sotto-giacca, così l’aveva definito la commessa. Mi stava bene, anzi ho pure pensato che avrei dovuto perdere ancora un chilo prima di metterlo, così avrei potuto indossarlo anche senza giacca. Ora non ho più intenzione di dimagrire.

    Non ho neppure intenzione di rinunciarci però, è solo che voglio pensare a qualcosa che mi faccia compagnia in queste ore di attesa prima di incontrare il chirurgo o l’oncologo o il chirurgo oncologo, non ho capito bene.

    Per raccontare questa storia ho bisogno di partire da lontano, se no finisco presto e non so come far passar il tempo. Non voglio raccontare una storia lacrimosa, che poi lo so come vanno a finire queste cose, e quindi forse dovrei raccontare la storia partendo da un'altra parte del corpo, ma se facessi così non potrei parlare del mio maglione di cachemire e di come mi impensierisce non poterlo mettere, avrei dovuto comprarlo quando l’ho visto la prima volta, non ai saldi. Così adesso avrei ricordi di me, del mio maglione di cachemire e del mio seno simmetrico. Che poi il problema non è neppure la simmetria del seno, formulo questo pensiero profondo; ma la salute. Eh, però, se proprio dovevo ammalarmi potevo mettere un po’ di mesi il mio maglione di cachemire. Tanto poi, mi ammalavo lo stesso. Io comunque non mi sento malata neppure un po’. Cioè sono un po’ tramortita, quella sensazione di un Tir che ti viene addosso, avete presente? Che poi tante volte hai letto svogliatamente storie così. Ecco vorrei scrivere proprio una storia come tante. Ho bisogno di partire dal mio maglione di cachemire. Ha ancora l’etichetta. E’ bellissimo. Non potete capire quanto è bello, anzi, lo potete capire. Ora però devo pensare alla mia storia, deve essere abbastanza lunga da non darmi il tempo di fissare il vuoto nell’attesa del chirurgo. O dell’oncologo. Del chirurgo oncologo. Non so, ancora non ho capito.

    Una storia scacciapensieri, in cui i guai non arrivano e se arrivano si risolvono. Come in un cartone animato Disney, in una serie Tv di quelle che tutti hanno visto ma si vergognano di dirlo, del tipo Gilmore Girls. Mi vergognavo pure io prima di decidere di scrivere una storia come questa. Ora posso fare coming out. L’ho vista, tardi perché è stato la scorsa estate, perché la trasmettevano a tutte le ore e perché era rassicurante. L’ho detto. Se non l’avete ancora vista non fatelo, io mi sono ammalata più o meno mentre la vedevo, facendo un rapido, approssimativo, calcolo.

    Comunque la chiave del successo della serie, che io ho visto naturalmente al solo scopo di comprendere la natura del fenomeno, è il mondo incantato (per chi non ci ha vissuto) della provincia. Che come tutte le province, ma ovvio, si trova poco lontano da New York e dalle scuole e dalle Università più importanti del mondo, ma a distanza di sicurezza da una nonna milionaria (il che può tornare utile) che dà del tu ai potenti della terra che, guarda il caso, sono più o meno tutti suoi vicini di casa, o amici di scuola divenuti star di Hollywood, almeno. Mentre la mamma e la figlia, fighe stratosferiche come tutte noi che veniamo dalla provincia, sono personcine semplici che schifano il lusso ma che, malgrado loro, paiono inseguite dalla fortuna, poverette.

    Non è difficile capire il fenomeno, è il mondo che tutte vorrebbero. Una volta capito il fenomeno, ho continuato a vederla.

    Madonna è insopportabile questa qui, quanto parla…, mi diceva senza alzare gli occhi dal monitor il mio fidanzato, io facevo finta di nulla, come se non stesse parlando con me, che infatti non è che stessi proprio guardando la tv, era accesa…

    Ah, sì, hai ragione, rispondevo distrattamente, ma che vuoi, sarà la doppiatrice.

    No no, sono i dialoghi che sono troppo fitti, pieni di parole sceme, è insopportabile.

    Effettivamente Lorelai è insopportabile ma graziosa con quei suoi golfini pervinca intonati ai suoi occhi. Graziosamente odiosa, lei e il suo metabolismo che le consente di mangiare tutto il giorno senza ingrassare e poi mangia senza neppure sapere cucinare.

    Hai ragione, è insopportabile.

    Così cambiavo canale, ma lei tornava, con le repliche e le repliche delle repliche; alla fine sbadatamente, svogliatamente, per puro interesse sociologico, ho visto tutta la serie.

    Ma almeno ero più forte, mi sentivo più forte, la guardavo di traverso. Ora vorrei avere una vita da serie tv in cui non accade mai nulla di veramente grave. Dove sei tu che lasci il fidanzato ricco e bello, sei tu che rifiuti la proposta di lavoro e poi sbadatamente ti ritrovi a lavorare per lo staff di Obama. Dove si sorride sempre, si resta gente semplice, a cui è capitata solo la disgrazia di una fortuna che arride ignobilmente.

    Le attese sono fatte per rendere nervosi, se no non mi verrebbero in mente cose così sceme come le Gilmore. In realtà dovrei sentirmi più ispirata da una serie come Breaking Bed. Ma di quelle serie si può parlare pure in pubblico e vederle di sera, senza far finta di non vederle. E io mi sentirei pure ispirata a questo punto dall’idea di mettere su un traffico di anfetamine nella roulotte di mia cugina, magari con lei, ma le avversità a cui si va incontro sono tante e proprio non me la sento. Soffro in questi giorni. Non ho bisogno di adrenalina.

    La storia che voglio raccontare non è adrenalinica, credo che non mi faccia bene l’adrenalina in questo momento. No, direi di no.

    Ora però devo cercare di mantenere alto l’umore, sì. Come si fa? Ah ecco, potrei parlare con mio figlio.

    Pronto?

    Uh Mà, non posso parlare ora.

    Non può parlare.

    Volevo solo sentirti, così, mi manchi…

    Mà, per favore, ti ho detto che non posso parlare

    Non è vero, io lo so che non è vero, perché non posso chiamare sempre quando non può parlare; non è che non mi voglia parlare, è che ha sempre di meglio da fare.

    Ora sì che saprei come attirare la tua attenzione, caro il mio bambino antipatico, stai attento se mi fai arrabbiare te la do io una cosa da fare e soprattutto a cui pensare, una cosa del genere: oddio la mia mamma sta morendo. Non mi stuzzicare, e comunque non sto morendo.

    Il mio figlio antipatico vive a Londra. Non è proprio piccolo, ha 25 anni.

    Gli direi: "Sai amore mio, la scorsa settimana sono andata a fare una passeggiata al policlinico per una mammografia e sono uscita un’ora dopo con un tumore. Nel frattempo ho fatto pure un’ecografia. Il giorno dopo ho fatto la biopsia, ha confermato il tumore, amore mio. Tiè.

    Invece no, sono un genitore responsabile e attento, non voglio che ti preoccupi, neanche un po’. Un poco forse sì. Ma mi trattengo.

    Va bene, ci sentiamo un’altra volta.

    E’ sempre così di fronte a qualcosa di nuovo, non sai esattamente cosa fare e cosa pensare, devi organizzarti, ma per cosa? Un intervento? Una terapia lunga ed estenuante, un addio definitivo? Devi minimizzare? (dai, un tumore al seno non è più qualcosa per cui morire in poco tempo), devi drammatizzare? (Eh però, chi può dirlo?).

    Decido di restare ferma, qui.

    Il giorno che ho fatto la mammografia e l’ecografia avevo ospiti a cena, così ho cercato di fare la disinvolta e sono andata a comprare le cose che mi mancavano, mi sono concentrata e mi sono ricordata tutto, ci ho messo tanto tempo a rintracciare quello che cercavo, mi sono persa tra scaffali e corsie, però ce l’ho fatta. Poi ho pagato, ho ringraziato e sono uscita, lasciando la busta con la spesa vicino alla cassa. Sono stata inseguita quasi fino al portone di casa, mi chiamavano: signora, signora. Ma io non sentivo nulla.

    Appena tutto sarà alle spalle, andrò in quel piccolo supermercato dove da quella volta mi guardano con paura e spiegherò cosa mi è successo e perché sono così strana. Loro non mi conoscono, strana e distratta lo ero pure prima, forse. Ma ora ho un buon motivo per esserlo.

    Non ho la forza di dirlo alle persone a cui dovrei dirlo. Devo dirlo a mia madre. No, vi prego. Devo dirlo a mia sorella. E’ proprio necessario? Devo dirlo prima di tutto a Enrico.

    Ci siamo sentiti all’ora di pranzo e ho dovuto dirlo, fino alla sera lo sapevano, temo, tutte le persone che aveva incontrato dopo la nostra conversazione, anche altre, quelle a cui le persone che aveva incontrato lo avevano detto. Io intanto fino alla sera, avevo deciso di non dirlo a nessun altro. Non che non avessi voglia e bisogno di parlarne. In effetti ora che ci penso, no, non ne avevo voglia. A parte il fatto che non avevo voglia di rassicurare nessuno, perché è così che finisce, velo dico io; tu hai un problema, un guaio, un malanno, ma chi ti vuol bene ti guarda con lo sguardo umido e bovino e tu devi dirgli: non preoccuparti, andrà tutto bene. E non ne hai voglia.

    Quindi io decido di dirlo solo a chi proprio non posso fare a meno di non dirlo. Certo se dovessi fare la chemioterapia, non dirlo sarà un problema, che me ne frega, mi compro una parrucca rosa preventiva, nessuno si sorprenderà di vedermi con una parrucca rosa in estate.

    Mentre io immagino di passare l’estate lontano da Bari per sentire meno il caldo e sfoggiare con nonchalance la mia parrucca, mi telefonano il fratello numero uno di Enrico, poi in ordine, il numero due e numero 3 e naturalmente tutti e tre mi passano le loro mogli.

    La famiglia è una cosa bella. Certo, bellissima. Non ho niente da dirvi e se Enrico fosse qui lo strozzerei. Ma oramai è fatta quindi mi sforzo di non arrabbiarmi. Poi non arrabbiarsi per cose

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