Come una bussola senza il suo Nord
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Nella clinica fa amicizia con altre ragazze ricoverate per vari altri disturbi – anoressia, depressione, disturbi della personalità – e insieme creano le Disorders Girls, una sorta di “ragazze interrotte”, disregolate come bussole che hanno perso il loro nord. Scarlet, McKenna, Cara, Winnie, Zelda iniziano a conoscersi e a crescere insieme per il periodo in cui sono costrette ad affrontare ognuna il proprio disturbo sotto la guida di psicologi, infermieri e sotto psicofarmaci. Scoprono il valore dell’amicizia, dell’ascolto, del confronto, della fiducia reciproca, e soprattutto del coraggio per farsi aiutare, tra segreti, amori che nascono improvvisi, retroscena inaspettati e storie di vita che affiorano dal passato.
Fino a quando un evento imprevisto sconvolge l’apparente quiete faticosamente raggiunta dalle ragazze, che dovranno ancora una volta sopravvivere e affrontare una vita che richiede coraggio e consapevolezza. Ognuna avrà qualcosa da imparare dalle altre e dalle dure prove della vita.
Prefazione di Francesca Barra
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Anteprima del libro
Come una bussola senza il suo Nord - Veronica Satti
Veronica Satti
COME UNA BUSSOLA
SENZA IL SUO NORD
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), sono riservati.
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ISBN 978-88-6155-869-4
Proprietà letteraria riservata
© Giraldi Editore, 2021
Edizione digitale realizzata da Fotoincisa BiCo
Immagine di copertina di La Key Art
Questo è per te, è tuo.
Il privilegio del dolore che si trasforma.
Della tua fragilità hai fatto la tua più grande forza.
Prefazione
di Francesca Barra
Non guardo spesso i messaggi che Instagram filtra nella casella altro
, ma un giorno mi sono incuriosita dalla richiesta di una certa Veronica. L’ho letta attentamente attratta dalla gentilezza con cui entrava, in punta di piedi, nel mio social. Lo ammetto, non sapevo assolutamente chi fosse, quale fosse il suo percorso personale e professionale, chi fosse suo padre (l’iconico Bobby Solo), la sua ostinata e altrettanto talentuosa mamma Mimma, quale fosse la sua storia.
Mi aveva raccontato – dandomi del lei – che fosse appassionata alla scrittura e mi chiedeva dei consigli. E non c’è niente di più fragile e potente al tempo stesso, di chi condivide un progetto in fase embrionale che tu hai realizzato.
Così abbiamo iniziato a scriverci e incuriosita ho messo insieme alcuni tasselli che hanno composto una parte (quella più esposta) del vissuto di quest’anima bella e complessa.
Non l’ho guardata al GF, non so cos’abbia combinato, se sia stata amata o contestata nei salotti in cui viene invitata. Ma sapete cosa vi dico? Meglio. Perché io Veronica l’ho conosciuta attraverso un sogno e la sua penna. Non ho pregiudizi e informazioni che possano condizionare la mia idea su di lei.
Veronica è un battere e levare insieme, è diretta e delicata, se ti scrive ti chiede scusa, si infiamma e si demoralizza nello stesso messaggio. Sembra aver vissuto cento vite e improvvisamente mostra la fragilità dei suoi anni, che potrebbero essere pochi, giusti, tanti, al tempo stesso. Ti resta appiccicata suo malgrado, le vuoi bene e non di certo perché ti fa compassione e la cosa più sorprendente è che lei sembra esserne stupita.
C’è una frase che mi piace moltissimo che dice più o meno: Amami quando non me lo merito perché sarà quello il momento in cui avrò bisogno di te
.
Il fine ultimo di Veronica è limpido, non ci gira intorno: essere amata per ciò che è, anche quando ti sembrerà che l’amore da solo non basti a guarire le sue ferite.
Ciò che è viene definito da zone d’ombra, che non tutti riescono ad esplorare. Veronica non mi ha fatta sentire un’estranea, mi ha coinvolta, mi ha spiegato il suo e quel mondo del tutto inesplorato che sta risucchiando sempre più persone, soprattutto fra i giovanissimi. Per questo saranno preziose queste pagine in cui si racconta un male che è quasi un tabù nel nostro Paese: l’autolesionismo. Veronica non racconta solo l’autolesionismo ma tutte quelle che vengono definite malattie invisibili
perché vuole combattere lo stigma, perché lei le vive. Perché tutto ciò che non si conosce e non si sa affrontare, fa paura. E quando hai paura ti tieni alla larga dal problema, lo ignori, fingi che non esista, che non ti appartenga, che coinvolga gente che non ha le tue certezze
, la tua famiglia tradizionale, forse perfino la tua forza. Meglio tenerlo a distanza, quasi come se fosse contagioso e forse può esserlo, come stiamo purtroppo vedendo su diversi social. Ma questo accade soprattutto perché non si parla delle conseguenze più gravi, del sottobosco in cui si perdono tanti autolesionisti. Una realtà, come leggeremo anche in queste pagine.
Veronica, senza falsi vittimismi, prova a raccontare e a scardinare il muro della disinformazione per aiutare altre persone a farsi curare, a sentirsi meno sole, forse a rimuovere la convinzione che sia una piega della propria esistenza impossibile da stirare, da guarire dunque.
C’è un dolore fisico che per qualcuno sembra essere la cura e la distrazione da un altro dolore, più sommerso e impalpabile. E spesso, come accade ai protagonisti del libro e com’è accaduto a Veronica, si finisce in una clinica. Si rischia la vita. Ma c’è anche una tendenza, quasi una moda rischiosa ignorata da genitori e insegnanti, che riguarda le ragazze più giovani che sui social, come TikTok, si infliggono ferite sugli zigomi per mostrare di aver pianto. È la declinazione del mostrarsi ad ogni costo, ricevere consensi, ottenere compassione e commenti positivi perché anche le belle piangono
, soffrono ed è, il loro, un invito a fare rete, a mentire per acciuffare un like in più. Spiegano come si fa, quasi fossimo davanti ad un tutorial di trucco e non a ferite che possono lesionare la tua pelle.
È per i casi più gravi e per quelli che non lo sembrano, ma in realtà contengono diversi pericoli, che come non mai è urgente conoscere, prevenire, ma anche indicare, alle persone che amano chi si fa del male, la via migliore per curare.
Non deve essere stato semplice per Veronica dare vita a dei personaggi che sono la traduzione delle sue esperienze, ma è con questo spirito che bisogna leggere il romanzo e scegliere il modo migliore per affrontare l’argomento. Farlo, senza più voltarsi dall’altra parte.
Francesca Barra
Giornalista e scrittrice
Apro gli occhi, questa è la terza volta per me che vedo il dottor Claymore in filtro distorsione.
Ciao Scarlet, bentornata
.
Già, sono nuovamente qua: soffitto bianco, pareti bianche, comodino bianco, letto bianco e davanti a me una figura bianca, e no non sono in paradiso, sono all’inferno, ancora.
Una settimana prima
Giro su Facebook senza pensare a nulla se non al fatto che non me ne frega un cazzo di vedere la foto di due persone semi sconosciute del paesino che frequentavo d’estate, intente a esprimere la loro gioia nell’annunciarci che presto diventeranno genitori. Lei, la classica ragazzina di vent’anni wannabe Rihanna
; lui, il classico ragazzo che si fa pestare di botte allo stadio per poi raccontare che ha steso quattro ragazzi, cazzate. Lei non riuscirà a non drogarsi in gravidanza e tra tre anni avrà un figlio con un altro, lui spacciatore del ridente paesello con precedenti penali da ridere ma che si sente Pablo Escobar solo perché ha visto due puntate di Narcos.
Penso solo che mi sto violentando il cervello guardando questa immondizia, ma scorro il wall di FB e ad un certo punto eccolo lì. Un video di mio padre, con mia sorella, sono felici e lui dice: Sono qua con la mia amata figlia al mare e niente mi rende più felice
. Sono undici anni che non vuole vedermi, ne avevo otto quando mi ha abbandonata senza motivo sotto casa, di notte, lasciandomi un bel 50 in mano e dicendomi che non ci saremmo mai più visti.
Oggi ho diciannove anni.
In tutti questi anni l’ho odiato. Mio papà non è una persona comune, o, meglio, è il lavoro che fa a non esserlo. È il frontman di una famosissima heavy rock band degli anni ’80, gli Stay Alone, tutti lo conoscono, è leggenda.
Caos
Una mattina mi sveglio intorno alle due del pomeriggio, routine, sono frastornata dalla sera prima: che dire, un cristallo di MDMA nella mia bottiglietta d’acqua, un cuoricino rosa (una pasticca con scritto sopra Love a forma di cuore per l’appunto), sì la metilenediossimetanfetamina, la droga dell’amore, per una che odia tutti come me è perfetta quella merda.
Avete presente le classiche scene dei film dove il personaggio si sveglia dopo una sbronza, bava sul cuscino, capelli appiccicati alla faccia e l’idea di un pessimo odore, che cerca di prendere il telefono cellulare?
Beh quella è la realtà. Ho venti chiamate senza risposta e quasi quaranta messaggi da sconosciuti e amici. In quel momento penso che sia successo qualcosa a qualche mio amico; il mondo che avevo deciso di vivere è così, dove la vita, se così la vogliamo chiamare, può anche solo trasformarsi in un fugace sguardo su tutti gli errori che stai commettendo. Riesco a mettere a fuoco e leggo i primi messaggi partendo dai numeri salvati in rubrica, leggo:
"Sei su tutti i giornali, tuo padre ha rilasciato un’intervista dove dichiara che sei una mangiasoldi".
Scorro e leggo un altro messaggio, questa volta da un numero sconosciuto:
"Ciao Scarlet, in merito alle dichiarazioni lasciate da tuo padre vorremmo farti alcune domande per