Più scuola, per tutte e tutti
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Questo libro propone di cambiare direzione, e di lavorare per attuare un compito che la Costituzione affida alla Repubblica: rimuovere gli ostacoli che limitano la libertà e l’uguaglianza dei cittadini e garantire così lo sviluppo della persona umana e la partecipazione dei lavoratori alla vita del Paese.
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Anteprima del libro
Più scuola, per tutte e tutti - Maria Chiara Acciarini
Bue
Il libro
Della scuola del nostro Paese spesso e volentieri si parla male: sarebbe fonte di spreco e causa di tutti i problemi giovanili, a cominciare dalla disoccupazione. Negli ultimi dieci anni sono state compiute scelte politiche basate su due obiettivi: il risparmio delle risorse (anzitutto umane) e l’impoverimento culturale del sistema. Si è cercato di eliminare le esperienze più significative della scuola primaria, si sono ridotte le materie nella scuola superiore e le ore di laboratorio negli istituti tecnici. Si è dato per scontato l’appiattimento del sistema educativo sulle richieste del mercato del lavoro, senza ottenere, peraltro, risultati apprezzabili neppure da questo punto di vista.
Questo libro propone di cambiare direzione, e di lavorare per attuare un compito che la Costituzione affida alla Repubblica: rimuovere gli ostacoli che limitano la libertà e l’uguaglianza dei cittadini e garantire così lo sviluppo della persona umana e la partecipazione dei lavoratori alla vita del Paese.
Le autrici
Maria Chiara Acciarini, già insegnante e preside nella scuola superiore, si occupa di politica, scuola e diritto allo studio da circa trent’anni. È stata parlamentare e sottosegretaria al Ministero della famiglia durante il II Governo Prodi; ha fatto parte della segreteria Cgil Scuola di Torino.
Alba Sasso, già insegnante, presidente nazionale del Cidi e componente del Consiglio nazionale Pubblica istruzione. Impegnata nella Commissione cultura della Camera per due legislature, e assessora con delega al Diritto allo studio e alla formazione nella Giunta regionale pugliese presieduta da Nichi Vendola.
Indice
Premessa
I. 2001-2019. Venti anni di riforme contro
II. Fili rossi
III. Il percorso fra i banchi
IV. Tanti ostacoli da rimuovere
V. E adesso che fare?
Appendice
I livelli di istruzione nella Isced 2011 e nell’ordinamento italiano
A Luciana Franzinetti Pecchioli
«Un Paese che distrugge la sua scuola non lo fa mai solo per soldi, perché le risorse mancano, o i costi sono eccessivi.
Un Paese che demolisce l’istruzione è già governato da quelli
che dalla diffusione del sapere hanno solo da perdere»
Italo Calvino
Premessa
Perché ancora un libro sulla scuola, oggi? In un momento in cui il Governo parla solo, e male, di migrazioni, di manovre economiche, di politica fiscale, di età pensionabile? E fa della scuola il terreno di una nuova arrogante egemonia capace di autorizzare qualsiasi abuso e qualsiasi strampalata iniziativa. Dalla censura per un’insegnante che ha avuto l’ardire di rispettare le opinioni dei suoi alunni e alunne alla penosa proposta di promozione per chi dona il sangue. Mentre l’opinione pubblica sembra concentrata sulle politiche di natura assistenziale, coltivando al tempo stesso la speranza di interventi salvifici che riescano a rilanciare in qualche modo lo sviluppo nel nostro Paese.
Eppure, se si volesse davvero guardare al futuro, anche, ma non solo, dal punto di vista economico, proprio alla scuola – e più in generale alla formazione – sarebbe necessario dedicare grande attenzione, nella ricerca condivisa dei cambiamenti da realizzare e dei risultati da raggiungere.
Perché la scuola non è un semplice canale verso il mercato del lavoro. E oggi non è più neanche questo. Perciò richiede altro. Richiede un’idea di società in cui l’istruzione abbia un ruolo di primo piano nella costruzione di un sistema economico e sociale equo e sostenibile.
Occorre un progetto in cui ci si proponga di affrontare le disuguaglianze, ormai inaccettabili, nella distribuzione del reddito. In cui si cerchi di coniugare la ricerca del benessere diffuso con il rispetto dell’ambiente. In cui l’innovazione non sia uno spauracchio, ma un’opportunità.
Solo se si lavora a un progetto di società che parli di libertà e di uguaglianza la scuola può essere uno strumento di democrazia, anzi essere essa stessa democrazia.
Altrimenti in una società sempre più frammentata, ingiusta, spaventata, la scuola sarà costretta a inseguire le mode, a rispondere a confuse e contraddittorie sollecitazioni, a insegnare mestieri e professioni che spesso non esistono più al momento del famoso ingresso nel mercato del lavoro
.
Finora il nostro sistema d’istruzione ha in qualche modo tenuto. Ma è ormai esposto al grave rischio di essere considerato un costo da tagliare più che un investimento da valorizzare.
La scuola deve cambiare, certo. In primo luogo per contribuire alla costruzione di una società che persegua l’affermazione dei diritti di cittadinanza, la qualità dello sviluppo, l’inclusione e la coesione sociale.
Questo libro non ha certo la presunzione di affrontare tutta la complessità di questo cambiamento. Ma vuole provare ad avviare la discussione sui binari giusti.
I. 2001-2019. Venti anni
di riforme contro
Il ciclo di governo della ministra Moratti
Il bilancio del ciclo di governo della scuola della ministra Moratti (2001-06) non è stato certo dei più felici.
Dietro le scelte di quegli anni c’era l’idea, rivelatasi poi illusoria e inefficace, del potersi affidare al mercato
per affrontare e risolvere i temi della qualità e dell’efficacia della scuola e dell’università.
L’effetto di quella ricetta sul terreno dell’istruzione fu drammatico. Il tasso di dispersione rimase ancora altissimo, e non solo nel Sud. Il dato rilevato a fine 2005 nell’ultraliberista Lombardia ci parla del 20% nel primo anno della scuola secondaria superiore, mentre nei professionali (che avevano attivato la sperimentazione del secondo canale, quello della formazione professionale) fu del 52% nei corsi ordinari, del 48% in quelli sperimentali.
Ma la proposta della privatizzazione dei servizi essenziali (istruzione, sanità), sostenuta in Europa dalla direttiva Bolkestein, non era destinata in quella fase a passare. L’idea che ognuno a seconda dei soldi che ha si compra istruzione e sanità, mentre per gli altri interviene lo Stato con una scuola minima e una sanità minima, non poteva essere accettata né funzionare – e non funzionò –, anche per l’opposizione decisa e forte della scuola in primo luogo, ma in particolar modo dei sindacati e dei partiti del centro sinistra.
Innanzitutto, perché non erano possibili intese con questa visione del mondo, che crea diseguaglianze e mette in discussione la possibilità di conciliare libertà individuali e diritti costituzionali.
Giuseppe Fioroni e la tecnica del cacciavite
Nel 2006, la vittoria del centro sinistra prodiano portò al dicastero dell’istruzione Giuseppe Fioroni.
La parola d’ordine del movimento contro la riforma Moratti del sistema scolastico, durante l’intero quinquennio precedente, era stata quella dell’abrogazione
.
Fioroni decise invece di attivare la tecnica del cosiddetto cacciavite
. «Il nostro obiettivo – sosteneva – è una scuola di qualità e pubblica, una scuola di tutti e per tutti. Abbiamo una missione, che è quella di non lasciare indietro nessuno. Se ci sono stati o se ci sono rischi di ritornare all’antico, se ci sono elementi nella riforma in cui si è distrutto parte del sistema formativo pubblico, a noi spetta il dovere di ricostruirlo». E continuava: «Non penso a un’abrogazione totale della legge: interverrò con la strategia del cacciavite
, cambiando, pezzo per pezzo, ciò che non va». A iniziare dalle controverse questioni del tutor e del portfolio, dell’anticipo, dell’innalzamento dell’obbligo scolastico, della sperimentazione del secondo ciclo, della licealizzazione degli istituti tecnici, del doppio canale, dell’esame di Stato, del precariato. Aggiungeva, quindi, Fioroni: «Non ho nessuna ambizione di elaborare l’ennesima riforma complessiva del sistema, a cui legare il mio nome. Il mio proposito è diverso. Il mio metodo è un altro». Ovvero l’ascolto di chi la scuola la vive e la fa concretamente: i docenti, i dirigenti scolastici, gli studenti, le famiglie.
I primi atti di questa politica furono l’abolizione della figura del tutor nella scuola elementare, l’eliminazione dell’anticipo a cinque anni, sempre per la scuola elementare, l’obbligo di istruzione portato a sedici anni. E soprattutto fu smontata l’idea morattiana della licealizzazione dell’intera scuola secondaria superiore (gli otto licei). Si ripropose e si valorizzò al contrario il percorso degli istituti tecnici e dei professionali, si proposero i poli tecnico-professionali, strutturati sul territorio in stretto collegamento col mondo del lavoro, con la formazione professionale, con l’università e la ricerca. Infine si istituirono gli istituti tecnici superiori, percorsi post-secondari di alta formazione, di pari dignità rispetto ai percorsi universitari.
Fioroni intervenne anche sul mai risolto problema delle assunzioni degli insegnanti. Nello stesso 2006 lanciò un piano triennale di assunzioni per eliminare le graduatorie che, da permanenti, divennero quindi a esaurimento. Così spiegava in un’intervista:
Purtroppo con la caduta del Governo Prodi si bloccò tutto e le graduatorie, di