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13 motivi per non mandare tuo/a figlio/a a scuola
13 motivi per non mandare tuo/a figlio/a a scuola
13 motivi per non mandare tuo/a figlio/a a scuola
E-book150 pagine2 ore

13 motivi per non mandare tuo/a figlio/a a scuola

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Info su questo ebook

Insegniamo a tutti i bambini e tutte le bambine del mondo, nei primi 10 anni, che non bisognerà mai fare violenza a donne, bambini, animali e piante, ai più deboli.

E avremo costruito in poco tempo un mondo veramente diverso.

Insegniamo a ognuno di loro quanto siano preziosi.

Ripetiamo loro, almeno ogni tanto, che sono quanto c'è di più importante nella nostra vita.

Fuori da quelle quattro mura squallide e quadrate, il cui unico obiettivo è un deprimente 6; fuori dai registri, cartacei o elettronici, fuori dalle circolari e dalle linee guida ministeriali, facciamogli fare quello che a scuola non è possibile.

Facciamoli correre e giocare, (ri)abituiamoli a esercitare il corpo, a suonare, a parlare le lingue, a viaggiare, a navigare, a scalare, a celebrare, a meditare, a conoscere e gestire le loro emozioni.

Che diventino cantanti e giocolieri, acrobati, equilibristi e musicisti, cuochi, artigiani, ballerini e atleti, praticanti di arti marziali, ciclisti e nuotatori, tiratori con l'arco, yogi e acroyogi, attori, pittori, fotografi, registi, scrittori, costruttori… e tutte le meraviglie che lì fuori potranno imparare.

Soltanto lì fuori.
LinguaItaliano
Data di uscita3 giu 2022
ISBN9791221403657
13 motivi per non mandare tuo/a figlio/a a scuola

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    Anteprima del libro

    13 motivi per non mandare tuo/a figlio/a a scuola - Bruno De Domenico

    CAPITOLO 1

    Worse practices (le peggiori pratiche)

    nell’educazione italiana

    Studiando alla SSIS (Scuola di Specializzazione Insegnamento scuole secondarie) m’imbattei nelle interessanti Best Practices dell’integrazione, buone pratiche dell’integrazione degli alunni disabili, descritte da Andrea Canevaro e Dario Ianes:

    1. Una forte collaborazione tra gli insegnanti. Alla base di queste buone prassi troviamo sempre una notevole collegialità, una corresponsabilizzazione e una condivisione forte delle scelte: insegnanti curricolari e di sostegno, senza distinzione se non di funzioni.

    2. Un’ idea «forte», unificante, che caratterizza la prassi. Dalla collaborazione – o forse proprio per costruire una collaborazione reale e concreta — si elabora un progetto con una sua identità marcata, distinta, inequivocabile. (…)

    3. Un’apertura all’ esterno e un utilizzo delle risorse del territorio. Si nota come queste prassi non si chiudano mai all’ interno della scuola, né si appiattiscano in una serie di azioni tecnico-riabilitative solo nel contesto del Piano Educativo Individualizzato dall’ alunno disabile. (…)

    4. Gli alunni sono i soggetti attivi della costruzione della loro conoscenza. Nelle varie prassi che abbiamo riportato non si incontrano alunni passivi, che aspettano di essere riempiti di conoscenza dai loro onniscienti insegnanti. Anzi, troviamo alunni che costruiscono le loro competenze ed elaborano attivamente — in senso costruttivistico — e consapevolmente — in senso metacognitivo — la loro conoscenza. (…)

    5. Si rompono le barriere tra ordini di scuola e tra classi. Questo aspetto va al di là di una lettura riduttiva delle varie attività di transizione-continuità-trasmissione di informazioni, che sono senz’ altro fondamentali. Troviamo infatti attività che superano le tradizionali distinzioni di classe, sezione, scuola elementare, media, ecc., integrando alunni di età diverse, livelli diversi, facendoli collaborare a un fine condiviso e strutturato.

    6. Le relazioni inclusive e solidali tra compagni di scuola con le loro varie diversità sono la trama indispensabile per tessere l’integrazione.

    7. L’apprendimento cooperativo in piccoli gruppi eterogenei. Una delle modalità didattiche più frequentemente usate, e più spesso collegata a una letteratura scientifica ormai ampiamente disponibile, è l’apprendimento cooperativo in piccolo gruppo. (…)

    8. Il laboratorio teatrale, espressivo, narrativo. Alcune volte, l’idea forte che caratterizza una buona prassi di integrazione è il teatro, la rappresentazione, i linguaggi che questa arte utilizza, da quello testuale a quello corporeo. (…)

    9. La crescita psicologica di tutti gli alunni. Nelle varie prassi c’è un’attenzione costante allo sviluppo psicologico di tutti gli alunni, che si muove — ci sembra — in due direzioni. La prima riguarda la crescita in termini di autostima, immagine di sé, autoconsapevolezza, autoregolazione e sviluppo emozionale. (…)

    10. Il Piano Educativo Individualizzato si raccorda con la programmazione di classe. Ormai gli strumenti fondamentali della programmazione individualizzata sono diventati parte integrante quotidiana delle prassi di integrazione: la lettura pedagogica della diagnosi funzionale; la valutazione educativa iniziale dell’ alunno, della classe e del contesto; il profilo dinamico funzionale; l’adattamento, la semplificazione e l’identificazione degli obiettivi della programmazione della classe; la scelta di strategie e materiali specifici, ecc. (…)

    11. Il coinvolgimento della famiglia. Alcune volte viene realizzato, con risultati positivi, anche se con difficoltà. Questa è una grande sfida per le scuole, che su questo tema dovranno essere particolarmente esigenti con gli operatori dei servizi sociosanitari. (…)

    12. La replicabilità. Gli insegnanti che hanno realizzato e descritto queste buone prassi non hanno ceduto alla tentazione dell’oscurità, del lessico criptico o della narrazione lirica. Hanno scritto semplicemente di cose fattibili (e fatte), presentando la loro cassetta degli attrezzi, con i loro vissuti e dubbi, oltre che soddisfazioni e successi. (…)

    Tratto da: Buone prassi di integrazione scolastica; Canevaro, Ianes, Erickson, p.6.

    Tra l’altro, è interessante notare come queste siano tutte belle parole che, se è tanto, nel 10% dei casi vengono messe in atto. È secondario se questo non avvenga per pigrizia degli insegnanti, per mancanza di cultura, per le difficoltà dei genitori, per la complicatezza della burocrazia e per la rigidità insita nelle procedure scolastiche.

    Al contrario, col tempo, mi sono reso conto invece di quanto fossero diffuse queste Peggiori Prassi dell’educazione, che, stavolta, riguardavano invece non solo i disabili, ma anche i normali. E, soprattutto i normali che venivano fatti diventare disabili"…

    Le peggiori prassi dell’educazione italiana

    1) Etichettare tutti in modo psichiatrico (DSA, FIL, disturbo misto dell’apprendimento scolastico, BES…), anche con definizioni che fuori dalla scuola non significherebbero e non significheranno mai niente.

    2) Chiedere ai ragazzi sempre meno di quello che possono e potranno fare: in questo modo è certo di non avere problemi con loro, coi loro genitori, coi colleghi, coi coordinatori, coi presidi, col provveditorato (Sovrintendenza) e col Ministero. Centinaia di genitori sono pronti a venire da voi o dal preside o al provveditorato per lamentarsi di un cattivo voto, di una nota, persino di un rimprovero o di qualunque affermazione, estrapolata e storpiata chissà in che modo, ma nessun genitore verrà mai a lamentarsi del fatto che suo figlio non impara niente, che ha dei voti regalati e che la scuola non gli è minimamente utile alla sua formazione umana e culturale di uomo o donna libera e indipendente.

    3) In casi gravi, far sì che l’etichettamento giunga alle sue estreme conseguenze, dichiarando il ragazzo incapace di seguire il programma normale, anche quando lo è, dandogli un sostegno e un programma differenziato, col quale il ragazzo proseguirà nel non far niente e nel credersi inetto totale, come gli è stato finora fatto credere.

    In questo modo il ragazzo andrà avanti, si fa per dire, per 5 anni. L’importante è non scontrarsi e non mettere mai in discussione le turbe psichiche di uno o di entrambi i genitori.

    4) Non sanzionare in alcun modo atti di bullismo o di prevaricazione verso disabili (veri o presunti), ragazzi vessati per motivi di genere o identità sessuale, peso, aspetto o qualunque problema fisico. Si rischia in tal modo che i genitori dei suddetti bulli, spesso bulli anch’essi, si rivolgano ad avvocati e intentino un processo per chissà quale ingiustizia commessa contro il loro pargoletto, e i giudici, che nulla sanno di cosa voglia dire stare in classe, concluderanno facilmente che la sanzione, magari non perfetta o non del tutto riuscita, decisa nell’urgenza dell’azione educativa, sia stata una prevaricazione e un abuso.

    È molto più semplice fingere di non vedere i soprusi contro i più deboli che agire contro i prepotenti e i violenti.

    5) Pensare solo a riempire la propria scuola con più ragazzi possibili, guardandosi bene dal riorientarli verso altre scuole, anche quando non dimostrino alcuna inclinazione/attitudine per l’indirizzo intrapreso.

    6) Trattare allievi e allieve in base al reddito e al potere dei loro genitori, sia rispetto al profilo disciplinare che per quello didattico.

    Non opporsi mai ai più rompipalle e ricattatori, piegarsi a ogni minaccia.

    Una preside di un liceo così si rivolse a un insegnante:

    Sa dove abitano i suoi genitori? In chissà quale via prestigiosa, quindi erano ricchi e quindi non si doveva fiatare!

    7) Assegnare e richiedere le ore di sostegno in funzione unicamente dei posti di lavoro che ne verranno fuori, e in nessun modo tenere conto della volontà, opposizione dei ragazzi quando li rifiuteranno perché realmente non ne avranno bisogno, trattati in tal caso come oppositivi, immaturi, e dicendo che non vogliono accettare le loro difficoltà. Sinistra, tv e giornali daranno manforte, blaterando continuamente della mancata assistenza su disabili veri o presunti, o in generale di classi pollaio, essendo per loro l’optimum l’assegnazione di una decina di insegnanti curricolari, più un altro o altri 2 di sostegno, per ciascun ragazzo italiano: in tal modo la piaga della disoccupazione verrebbe finalmente risolta.

    I risultati sui ragazzi, per apprendimento, autostima ed autoefficacia non si dovranno minimamente prendere in considerazione.

    8) Incentrare tutto il rapporto con gli alunni e il loro processo educativo sulle loro difficoltà (vere o presunte), o mancanze (vere o presunte), anziché sulle loro potenzialità, sul singolo episodio depressivo o attacco epilettico o di panico anziché su tutti gli altri giorni e su tutta la vita normale vissuta fino a quel momento.

    9) Opporsi il più violentemente possibile a ogni misurazione oggettiva degli apprendimenti (tipo Invalsi), urlando che questo è un soffocamento e un imbavagliamento della libertà d’insegnamento, e che non tiene conto, naturalmente, delle enormi difficoltà (vere o presunte) dei ragazzi, del disagio sociale, delle sperequazioni socio-culturali-economiche, ecc.

    10) Mettere in posti di coordinamento e dirigenza chi segue il più minuziosamente possibile le suddette regole, (oltre, ovviamente, alle imposizioni politiche, dai minuti di silenzio alla persecuzione vaccinale), e allontanare ed emarginare il più possibile chi a queste pratiche si oppone: si arriverà così a una scuola a misura di genitore psicotico e di alunno falso disabile.

    CAPITOLO 2

    Quello che nella scuola italiana è veramente criminale

    Ci sono molte cose che nella scuola italiana sono farraginose, antipatiche, talvolta apparentemente assurde, eppure sono inevitabili, in quanto si tratta di luoghi che si prendono cura di minori, bambini/e e ragazzi/e. È giusto che i loro genitori vogliano essere sicuri che questi ragazzi/e non siano in giro a drogarsi o a spacciare o a rubare o alla mercé di malintenzionati.

    Dunque, anche se antipatiche e sgradevoli, tutte le questioni burocratiche relative alle assenze, alle giustificazioni, ai ritardi, alle uscite anticipate, ai comportamenti tra di loro e con gli insegnanti, la disciplina, le note disciplinari, le sospensioni, ecc. ecc. sono inevitabili e necessarie. Possono essere antipatiche o apparire vetuste, obsolete, ma è giusto che ci sia un filo diretto tra i genitori e la scuola.

    Questo sia per quanto riguarda il rendimento, il profitto scolastico, sia per le questioni di salute, incolumità, sicurezza.

    Ci sono varie pratiche volte a garantire, semplificare e velocizzare questo rapporto, tipo i pagellini, le udienze tra insegnanti e genitori, l’orario di ricevimento, le comunicazioni sul diario, e recentemente il registro elettronico, credo ormai in (quasi) tutta Italia. Queste pratiche vengono suggellate dai collegi docenti nelle assemblee di rito, seguendo comunque input e direttive dettate dal Ministero dell’Istruzione. Alcuni collegi sono più oppositivi e ribelli a tali direttive, e restii ad applicarle; altri più conformisti, ma in ogni caso si punta al raggiungimento di determinati standard e precise prerogative in tutto il suolo nazionale.¹

    Questo, a prescindere dalla qualità o bontà di questo o quel provvedimento, ha una sua logica ineccepibile. Ogni istituzione che si prende carico dei cuccioli di una società, da sempre, deve garantire che questi siano al sicuro e protetti, anche da loro stessi.

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