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Riscontri. Rivista di Cultura e di Attualità: N. 2 (MAGGIO-AGOSTO 2019)
Riscontri. Rivista di Cultura e di Attualità: N. 2 (MAGGIO-AGOSTO 2019)
Riscontri. Rivista di Cultura e di Attualità: N. 2 (MAGGIO-AGOSTO 2019)
E-book503 pagine3 ore

Riscontri. Rivista di Cultura e di Attualità: N. 2 (MAGGIO-AGOSTO 2019)

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Info su questo ebook

Fondata nel 1979 da Mario Gabriele Giordano, “Riscontri”, la Rivista che Mario Pomilio ebbe a definire “bella e severa”, ha sempre conservato la sua fondamentale connotazione così originariamente definita nell’Editoriale programmatico: «la fede in una cultura che non sia strumento in rapporto a fini prestabiliti, ma coscienza critica della realtà; non filiazione di precostituite ideologie, ma matrice di fatti e di comportamenti anche etici e politici: che insomma proceda e operi nel vivo della comunità civile non per dogmi ma per riscontri».

Sommario: Ettore Barra, Il businness dell’Istruzione, Guido Tossani, Storia e poesia nella visione tassiana dell’Islam, Roberta Rosselli, Ettore Romagnoli traduttore. L’incontro con Orazio, Francesca Taranto, Filone e Paolo: Giudei, Cristiani e Pagani. Due momenti difficili dell’incontro, Mario Sanseverino, Confessare gli italiani in età moderna. Studi, bilanci e nuove prospettive di ricerca, Lorenzo Spurio, Attività e delirio sull’isola. Una lettura de Il signore delle mosche di William Golding, Giovanni R. Galaffu, Spartacus, le curiosità di un’epica. Un film reso immortale dalla storia e dalla sua storia, Mirko Mondillo, Wallace tra Freud, Hoffmann e Wittgenstein. La coesistenza di discorsi della certezza e qualità del perturbante in All that, Carlo Crescitelli, Colonizzatori o eroi? La positiva sfida umana nascosta nella volontà di potenza dei profili salgariani, Francesco D’Episcopo, Resistere per esistere, Sabrina Carpentieri, Il buco divora anima. Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino, Dario Rivarossa, L’arca di Umberto Saba. Sempre a rischio di naufragio, Valentina Domenici, Blade Runner 1971. Il Prequel, La vita e il genio di Philip K. Dick raccontati da sua moglie Tessa, Francesco D’Episcopo, Il Carteggio Fortini-Giudici. Politica e religione nel confronto tra poeti, Dario Rivarossa, Dai diamanti non nasce niente, da Flora nascono i fior
LinguaItaliano
Data di uscita15 ago 2019
ISBN9788834171042
Riscontri. Rivista di Cultura e di Attualità: N. 2 (MAGGIO-AGOSTO 2019)

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    Riscontri. Rivista di Cultura e di Attualità - AA.VV.

    Riscontri

    RISCONTRI. RIVISTA DI CULTURA E DI ATTUALITÀ

    N. 2 (MAGGIO-AGOSTO 2019)

    Tutti i diritti di riproduzione e traduzione

    sono riservati

    Revisione del testo a cura di

    Lorena Caccamo

    sito : servizieditorialiloreca.wordpress.com

    email : loreservizieditoriali@gmail.com

    Responsabile : Ettore Barra

    Registrazione presso il Tribunale di Avellino, n. 2 del 15/03/2018

    Amazon Media EU S.à.r.l. (AMEU), 5 rue Plaetis, L-2338 Luxembourg

    Anno XLI (Nuova Serie II) - N. 2, MAGGIO-AGOSTO 2019

    Periodicità: quadrimestrale

    email: direttore.riscontri@gmail.com

    sito: www.riscontri.net

    UUID: 27d6594e-bf78-11e9-8bfe-1166c27e52f1

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    IL BUSINESS DELL’ISTRUZIONE

    STORIA E POESIA NELLA VISIONE TASSIANA DELL’ISLAM

    ETTORE ROMAGNOLI TRADUTTORE. L’incontro con Orazio

    FILONE E PAOLO GIUDEI, CRISTIANI E PAGANI. Due momenti difficili dell’incontro

    CONFESSARE GLI ITALIANI IN ETÀ MODERNA. Studi, bilanci e nuove prospettive di ricerca

    CATTIVITÀ E DELIRIO SULL’ISOLA. Una lettura de Il signore delle mosche di William Golding

    SPARTACUS LE CURIOSITÀ DI UN’EPICA. Un film reso immortale dalla storia e dalla sua storia

    WALLACE TRA FREUD, HOFFMANN E WITTGENSTEIN. La coesistenza di discorsi della certezza e qualità del perturbante in All That

    COLONIZZATORI O EROI? La positiva sfida umana nascosta nella volontà di potenza dei profili salgariani

    RESISTERE PER ESISTERE

    IL BUCO DIVORA ANIMA. Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino

    L’ARCA DI UMBERTO SABA, SEMPRE A RISCHIO DI NAUFRAGIO

    BLADE RUNNER 1971, IL PREQUEL. La vita e il genio di Philip K. Dick raccontati da sua moglie Tessa

    IL CARTEGGIO FORTINI-GIUDICI. Politica e religione nel confronto tra poeti

    DAI DIAMANTI NON NASCE NIENTE, DA FLORA NASCONO I FIOR

    Note

    IL BUSINESS DELL’ISTRUZIONE

    Nel sistema clientelare dell’ormai lontana prima Repubblica si era soliti non negare mai un posto alle Poste. Un principio che concepiva la pubblica amministrazione come uno spazio indefinito di posti da assegnare a seconda del numero – effettivamente esorbitante – di clienti.

    Nonostante il passare del tempo, certi principi, lungi dall’estinguersi, si rafforzano e si modernizzano. Molti eventi degli ultimi decenni fanno temere che ora l’istituzione al centro delle nuove speculazioni sia proprio la scuola. Questo perché, al netto dei modesti stipendi e del discredito sociale, l’insegnamento appare a molti – più o meno a torto – l’ultimo miraggio dell’agognato posto pubblico. Si calcola che attualmente l’Italia vanti circa un milione di aspiranti docenti, un’occasione forse troppo ghiotta per resistere alla tentazione di fare dell’insegnamento un prodotto di consumo.

    Questo potrebbe spiegare, almeno in parte, la miriade di riforme e di controriforme dei criteri di accesso all’insegnamento. Dal vecchio sistema di abilitazione al TFA, dall’eliminazione del TFA ad una nuova abilitazione post-concorso, con tanto di modifiche in itinere dei famigerati cfu. Ovvero i crediti formativi necessari per accedere ad una determinata cattedra, infausta innovazione introdotta con la laurea triennale, che avrebbe dovuto misurare le famose competenze senza tenere conto del fatto che un esame di 12 crediti conseguiti presso una tale Università può anche equivalere, per carico di studio, ad uno di 6 cfu di un’altra Università. È un fatto ancora recente, infatti, la cosiddetta riforma dei 24 cfu (che prevede insegnamenti di psicologia, antropologia e didattica) con la quale sono state di fatto invalidate – dal giorno alla notte – tutte le lauree. Infatti, un aspirante docente, laureatosi in matematica nel 2016, per fare un esempio, come avrebbe mai potuto inserire nel suo percorso di studi simili insegnamenti? Eppure, quell’aspirante docente, per partecipare al prossimo concorso, dovrà tornare sui libri e – soprattutto – pagare diverse centinaia di euro per l’iscrizione ad un’università (pubblica o, tendenzialmente, privata). I test che dovrà affrontare saranno però, in buona parte dei casi, a dir poco semplificati, in modo da garantirne a tutti il superamento. Constatazione, questa, che potrebbe indurre a riflettere sull’effettiva natura dell’operazione 24 cfu.

    A questa spesa, obbligatoria, se ne aggiungono anche di facoltative, con grande varietà di master, di corsi di aggiornamento, di certificati linguistici e informatici, persino di disperate – quanto costose – abilitazioni conseguite all’estero. Tutti titoli ottenuti, spesso, secondo i medesimi criteri prima accennati. Tutti, ovviamente, in grado di garantire punti e decimali da vantare in graduatoria, in una sorta di guerra tra poveri dove – di fatto – chi più spende ha più possibilità di farcela. In un settore dove presto inizierà a scarseggiare la materia prima, dato il crollo demografico ormai accettato come inevitabile – se non talvolta addirittura auspicato e agevolato – dall’attuale classe dirigente. Quindi, se prima non si negava a nessuno il posto alle Poste, è un dato di fatto che quello scolastico – nonostante gli sforzi e gli investimenti – sarà negato a molti.

    Una preparazione post-laurea virtualmente infinta (finalizzata ad assimilare, come avrebbe detto Giovanni Gentile, «brevi cenni dell’Universo») e poi destinata, paradossalmente, a diventare un’arma spuntata nelle mani delle più aggiornate teorie pedagogiche, che hanno individuato nel professore tradizionale l’origine di tutti i mali scolastici. Egli, infatti, di stampo gentiliano, si ostina con le sue lezioni frontali a inoculare nei suoi annoiati studenti nozioni astratte, invece di rassegnarsi ad un ruolo di tecnico di laboratorio. Dove, invece, sono i ragazzi a diventare protagonisti della materia formulando ipotesi nel tentativo di trovare un metodo di ricerca (che, in realtà, esiste già) adatto al conseguimento di misteriose competenze. Per queste ultime sembra si intendano capacità pratiche, utili nella vita di tutti i giorni, da contrapporre all’astrattezza della formazione classica. Infatti, quale competenza può mai derivare dallo studio del latino, o della Divina Commedia? Ed ecco dimostrata, in modo tanto brutale quanto fallace, la loro inutilità, da parte – si badi bene – non del cosiddetto uomo della strada ma di chi decide sul futuro dell’istruzione italiana.

    Il tutto, inevitabilmente, condito dall’illusione della tecnologia come panacea di tutti i mali. Con la promessa messianica di una scuola 3.0, piena di computer e di tablet di ogni tipo, che tra le altre cose fa a pugni con i progressivi ed inesorabili tagli all’istruzione che ignorano anche problematiche più urgenti, come la messa in sicurezza dei sempre più fatiscenti edifici scolastici. D’altro canto, una scuola informatizzata che però cade a pezzi è la dimostrazione plastica di un fallimento, da tempo annunciato, da pensatori del calibro del compianto Giorgio Israel (come nel magistrale Chi sono i nemici della scienza? Riflessioni su un disastro educativo e culturale e documenti di malascienza, Lindau, 2008). Fallimento, per altro, non del tutto ascrivibile agli strutturali problemi di finanziamento visto che la Scuola italiana, quando era tra le migliori al mondo, era già tra le più povere. Quando la politica era meno invasiva e la pedagogia meno ideologizzata verso la sperimentazione continua e un’acritica esterofilia.

    Il risultato più immediato di tutto ciò non può essere altro che il caos totale, sia per i discenti (se è ancora lecito chiamarli così) sia per i docenti. Con riforme e decreti, per quanto riguarda questi ultimi, che mostrano fin da subito tutta la loro fragilità sul piano legale, tanto da far pensare talvolta che siano pensati apposta per essere ribaltati in tribunale. Alimentando così anche l’immenso corto(circuito) giudiziario, fatto di ricorsi e di sentenze che si susseguono negli anni con alterni risultati, nel quale sguazzano fior di avvocati e di sindacati. Un’opposizione, questa, poco efficace perché limitata alla barricata contro il decreto del momento, senza pervenire mai ad una visione d’insieme che contesti l’opportunità di questo perenne riformare. Sempre così immediato ed urgente da non potersi mai concedere il lusso di un vero dibattito pubblico. Sempre, altro aspetto di dubbia legalità, dal valore retroattivo, in modo da garantirsi l’impatto più devastante possibile.

    Il rischio peggiore riguarda, però, la selezione della futura classe docente che – con questi presupposti – rischia di essere la peggiore di sempre. Composta, da un lato, da persone del tutto disinteressate ai temi dell’istruzione, convinte magari di poter insegnare limitandosi ad organizzare unità didattiche con tanti acronimi e scarsi contenuti. Dall’altro, invece, persone preparate e portate per l’insegnamento, ma con la schiena spezzata dal compromesso. Col rischio di un notevole ridimensionamento del numero di quegli insegnanti che oggi, spesso contro tutto e tutti, portano avanti una didattica di valore che è anche garanzia della tenuta democratica di un Paese.

    Ettore Barra

    STORIA E POESIA NELLA VISIONE TASSIANA DELL’ISLAM

    Il tema di tutta la vita

    Il primo approccio del Tasso con la poesia cavalleresca risale al 1560 circa, quando, all’età di sedici anni, si trovava a Venezia insieme al padre Bernardo e lì compose Il primo libro del Gerusalemme, che in centodieci ottave trattava tutta la materia poi svolta nei primi tre canti della Gerusalemme liberata.

    Nel 1562, sempre a Venezia, il Tassino (così era allora chiamato per distinguerlo dal padre, come oggi si direbbe Tasso junior) pubblicò il Rinaldo, che narra le imprese dell’omonimo giovane cavaliere errante, desideroso di gloria e di onore per amore di Clarice.

    L’idea di un poema eroico interamente dedicato alla prima Crociata si ritiene sia nata nella mente del Tasso intorno al 1562, allorché egli studiava legge a Padova. L’opera fu ripresa fra il 1564 e il 1565, continuato nel 1574 e terminata, col titolo Il Goffredo, nel 1575. Il poema, così intitolato, fu nello stesso anno parzialmente pubblicato a Venezia a cura di Celio Malespini e per intero a Parma nel 1581 da Angelo Ingegneri, con l’attuale titolo di Gerusalemme liberata.

    Il tema della liberazione della città santa fu veramente per il Tasso il pensiero e l’assillo di tutta la sua vita. Dopo che nel 1581 fu pubblicata l’edizione definitiva del poema, comparvero

    altri scritti in versi e in prosa […] complementari rispetto ad esso [che] rappresentano, via via, esperienze artistiche minori, messe a frutto anche nella compagine dell’opera maggiore, o approfondimenti, critici e morali, di problemi intorno a cui la lunga e complessa elaborazione del poema lo spingeva a riflettere[1].

    Apparvero nel 1576 l’Allegoria della Liberata, nel 1585 l’Apologia in difesa della Gerusalemme liberata e nel 1593 la Gerusalemme conquistata,nella quale ultima opera «assistiamo […] alla pietosa fatica del letterato, che riprende in mano la prima e appassionata opera della sua giovinezza, e la corregge e la rielabora coll’intento di renderla meglio conforme alle pretese dei dotti e dei teorici»[2]. La precoce e lunghissima fedeltà del Tasso alla tematica della liberazione del Santo Sepolcro è il senso stesso della sua esistenza di uomo e di artista, che trovò nella Crociata quelle motivazioni letterarie, estetiche, storiche e religiose, che fecero della Gerusalemme liberata l’unica opera che «abbia veramente contato per tutta la vita»[3].

    Perché la Crociata

    L’idea di un poema eroico sulla prima Crociata s’accese nella mente del giovane poeta […] sollecitata dalla minaccia turca incombente sui mari veneziani e dalle inquietudini che essa diffondeva per l’Europa cristiana, divisa dalle contese militari e religiose. Questa situazione storica aveva assunto per il giovane Tassino gravità drammatica in seguito all’assalto piratesco dei Turchi alla sua città nativa, dal quale la sorella Cornelia era quasi miracolosamente scampata. La fantasia ardente del giovanissimo poeta, alimentata dalle letture storiche delle imprese dei crociati e dal ricordo commosso della visita fatta da fanciullo alla tomba di Urbano II[4] nel monastero di Cava dei Tirreni, si esalta in un sogno di eroica conquista che unisce i guerrieri cristiani in una vasta corale impresa, che si celebra in un’atmosfera di luci sfavillanti e di suoni trionfali[5].

    La propensione verso il mondo eroico dei cavalieri non fu solo un’inclinazione sentimentale, un gusto fantasioso dell’immaginazione. Tutta la personalità del Tasso ne fu coinvolta e, se l’amore per la narrazione di carattere epico era, per così dire, l’essenza stessa della sua ispirazione, egli non accettò di abbandonarsi passivamente al corso fantastico dei suoi sogni e, riflettendo sui modi e gli strumenti espressivi del genere poetico tanto a lui congeniale, elaborò la sua poetica. La riflessione tassiana sulla poesia epica precede la conclusione della Gerusalemme liberata, anche se continuò in tempi successivi: i Discorsi dell’arte poetica sono del 1564 (furono pubblicati, peraltro, nel 1587) e dunque, dal punto di vista strettamente cronologico, sembrano un programma o progetto di futura poesia più che una riflessione critica su una poesia già realizzata. Ma non la sequenza temporale della riflessione e della poesia è per noi motivo di interesse, quanto la corrispondenza e coerenza di questi due aspetti della personalità dell’artista: come il Tasso sentiva, così pensava e arte e pensiero compongono un’individualità assolutamente compatta e univoca.

    Muovendo dal concetto aristotelico dell’arte come imitazione del vero, il Tasso sostenne che solo la narrazione di argomento storico desse verosimiglianza alle vicende fantastiche: «dovendo l’epico cercare in ogni parte il verisimile (presupongo questo come principio notissimo), non è verisimile ch’una azione illustre, quali sono quelle del poema eroico, non sia stata scritta e passata alla memoria de’ posteri con l’aiuto d’alcuna istoria»[6].

    La scelta della materia storica, avente un certo grado di verità, non rimuove dal poema epico l’invenzione meravigliosa o fantastica o soprannaturale:

    attribuisca il poeta alcune operazioni, che di gran lunga eccedono il poter de gli uomini, a Dio, a gli angioli suoi, a’ demoni o a coloro a’ quali da Dio o da’ demoni è concessa questa podestà, quali sono i santi, i maghi e le fate. Queste opere, se per se stesse saranno considerate, maravigliose parranno, anzi miracoli sono chiamati nel comune uso di parlare. Queste medesime, se si avrà riguardo alla virtù e alla potenza di chi l’ha operate, verisimili saranno giudicate […]. Ma di questo modo di congiungere il verisimile co ’l maraviglioso privi sono que’ poemi ne’ quali le deità de’ gentili sono introdotte, sì come all’incontra comodissimamente se ne possono valere que’ poeti che fondano la lor poesia sovra la nostra religione. Questa sola ragione, a mio giudicio, conclude che l’argumento de l’epico debba esser tratto da istoria non gentile, ma cristiana od ebrea[7].

    Se interpretiamo il Tasso della Gerusalemme liberata alla luce del pensiero del Tasso di questo Discorso, la scelta della prima Crociata come argomento del suo poema è un riscontro puntualissimo del suo a priori estetico: l’argomento è strettamente storico, con dosaggio accurato di verità e di fantasia, tratto dalla storia cristiana e l’interferenza del divino in alcune operazioni che di gran lunga eccedono il poter de gli uominiè, per una coscienza cristiana, del tutto accettabile perché inerente alla sfera del miracoloso. La poesia del Tasso risulta, dunque, strutturata sulla sapiente applicazione dei suoi canoni estetici e sull’uso poetico di un passato storicamente controllato e verificato, posti al servizio di uno sconfinato talento d’immaginazione e di linguaggio.

    Il Tasso ed il suo tempo

    Ma la scoperta di un grado così alto di interna coerenza non può essere destinato a isolare il poeta dalla sua epoca e, se mai, può dimostrare la naturalezza e spontaneità di una poesia che mai sotto nessun aspetto, né quello della tematica né quello della corrispondenza con i presupposti estetici, devia dalla sua stella polare. L’aver sentito così intimamente e profondamente il passato non ha fatto del Tasso un poeta della nostalgia, anzi la sua poesia è «singolarmente rappresentativa di un’epoca storica o almeno di alcuni suoi aspetti fondamentali, unanimemente individuati»[8].

    L’epoca così acutamente sentita e rappresentata dal Tasso è quella della seconda metà del Cinquecento, densa di conflitti religiosi, riformata e controriformata, eretica e ortodossa, nella quale le religioni distinsero e divisero i popoli, che a causa di esse combatterono guerre sanguinose.

    Nel 1563 si chiuse il Concilio di Trento, che riformò la chiesa cattolica

    in modi e forme che possono essere diversamente interpretati e valutati; l’età moderna vide nascere un’identità cattolica, nella quale, accanto a marcati aspetti di conformismo […], si ritrovano elementi di radicale e sostanziale novità, riconducibili, almeno in parte, a una specifica antropologia cristiana[9].

    Nel 1571 la Lega Santa, in guerra contro i Turchi, riportò una grande vittoria navale nelle acque di Lepanto sulla flotta di Mehmet Alì Pascià, imponendo all’avanzata turca nel Mediterraneo una forte, anche se non decisiva, battuta d’arresto.

    Forti e vicine erano, perciò, le circostanze d’ordine religioso e politico-militare che potevano attualizzare un evento antico come la prima Crociata e Lepanto più del Concilio pareva dover riproporre il tema della tutela armata della cristianità, anche perché i nemici di oggi erano i nemici di allora. Se, tuttavia, cercassimo nella Gerusalemme liberata cenni evidenti o diretti dell’attuale guerra contro i Turchi, la ricerca non darebbe risultato non solo perché quando accadde Lepanto (1571) il poema era già stato lungamente elaborato (fu terminato, come detto, nel 1575), ma soprattutto perché il tema del conflitto fra Cristiani e Musulmani era così profondamente e da così gran tempo radicato nell’animo del Tasso, che nessun evento che lo richiamasse o lo rinnovasse poteva produrre un surplus di ispirazione o di poesia. Possiamo pensare che Lepanto abbia fatto parte del clima dell’epoca tassiana e che il ricordo delle Crociate sia naturalmente riemerso nella nuova condizione di pericolo per l’Occidente cristiano, ma l’ispirazione poetica e la tensione religiosa del Tasso erano già consolidate e avevano la loro sede storica, ideale e poetica nel passato. Certo,

    i progressi dei Turchi, riproponendo alle coscienze il problema della necessità di una nuova Crociata, facevano naturalmente rivolgere il pensiero all’antica e più gloriosa: precedenti letterari non mancavano, tra l’altro la Cristiade di Marco Girolamo Vida; i tempi in generale consigliavano argomenti religiosi[10].

    Ma la nostalgia, che è il sentimento di un passato migliore, al quale si vorrebbe vanamente

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