Flat: Il mondo non è ciò che vi è stato raccontato o ciò in cui avete sempre creduto. Il primo vero libro sulla terra piatta
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È il 2119 e il mondo non è cambiato molto, le città non hanno reti stradali che si innalzano al di sopra dei grattacieli e non sfrecciano ovunque macchine volanti come quelle che si vedevano nei vecchi film di fantascienza del secolo passato.
Nonostante le aspettative generate dal progresso fulmineo di cui l'umanità è stata testimone nella prima metà del ventesimo secolo, la fisionomia di tutti i centri urbani più importanti, è rimasta pressoché invariata e la curva dello sviluppo scientifico e tecnologico ha subito un progressivo rallentamento fino a giungere ad un certo annoiato status quo.
Oggi come ieri, il potere trama di continuo per nascondere le sue menzogne al resto della popolazione, ma quando un geniale inventore e un imprenditore ambizioso, minacciano di svelare al mondo intero la vera natura della realtà nella quale viviamo, questo equilibrio rischia di spezzarsi per sempre.
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Anteprima del libro
Flat - Dario Morandi
1968
PRIMA PARTE
1
Malesia 2119
Il mondo non era cambiato molto negli ultimi 60 anni, le città non avevano reti stradali che si innalzavano al di sopra dei grattacieli e non c’erano ovunque macchine volanti come quelle che si vedevano nei vecchi film di fantascienza del secolo passato.
Nonostante le aspettative generate dal progresso fulmineo di cui l’umanità era stata testimone nella prima metà del ventesimo secolo, la fisionomia di tutti i centri urbani più importanti era rimasta pressoché invariata e, a esclusione del quasi totale abbattimento dell’inquinamento atmosferico creato dai vecchi e superati motori a scoppio, la curva dello sviluppo scientifico e tecnologico aveva subito un progressivo rallentamento fino a giungere a un certo annoiato status quo. Una impasse dalla quale nessuno sembrava in grado di trovare una via d’uscita credibile. Non che mancassero di quando in quando idee o proposte interessanti, ma nessuna di queste sfiorava quella genialità in grado di dare uno scossone credibile al sistema e di questo probabilmente il sistema non se ne lamentava troppo.
I programmi scolastici – obbligatori per tutti – decisi dal nuovo «Ministero dell’Istruzione Mondiale» erano stati uniformati e uguagliati per tutte le scuole; non esistevano più come un tempo diversi indirizzi di studio e le materie umanistiche erano state quasi completamente eliminate, a eccezione di qualche veloce accenno a pochi testi di letteratura contemporanea; questo naturalmente aveva determinato un livellamento verso il basso della cultura generale. Per funzionare a dovere la ormai oliata macchina governativa mondiale aveva dovuto assicurarsi un sistema di controllo efficace, capace di scongiurare la possibilità che un nuovo genio – c’era sempre la possibilità che ne nascesse uno su un milione in qualche sperduto angolo del pianeta – si facesse venire in testa la brillante idea di andarsene in giro come una scheggia impazzita a rendere pubbliche idee un po’ troppo interessanti.
Che ci fosse in questa scelta politica più di un qualche conflitto di interessi era evidente a tutti; ogni nuova scoperta scientifica, tecnologica o di qualsiasi altra natura veniva obbligatoriamente sottoposta al vaglio dell’organo competente di zona e in quella sede le nuove idee e le nuove proposte venivano accettate o bocciate. Quando venivano ritenute abbastanza valide – o non troppo valide – potevano accedere all’iter di esami, prove e controlli utili al raggiungimento della realizzazione ed eventuale commercializzazione finale. L’alternativa era lo scarto senza possibilità d’appello.
L’iniziativa privata, intesa come realizzazione in proprio di una qualsiasi invenzione tecnologicamente valida o ritenuta tale, era proibita per legge e punita con multe salate; nei casi più gravi il condannato doveva indossare il «collare elettronico» dal momento della sentenza per un tempo stabilito da giurie preposte al caso. Le galere non esistevano più da quasi trent’anni in quanto troppo dispendiose e inefficaci; a nulla erano valsi i tentativi delle società dell’epoca di nascondere la cruda verità identificando gli istituti di detenzione con eufemismi quali «Istituto di Correzione». Nella maggior parte dei casi, in realtà, non si correggeva proprio un bel niente e si usciva da quelle prigioni più arrabbiati e male intenzionati di prima, quindi meno controllabili.
Con il nuovo sistema invece, nei casi più gravi di violazione delle leggi o in caso di violazioni reiterate, il trasgressore era tenuto a indossare, senza interruzioni e ovunque si trovasse, un collare con chiusura elettronica a tempo, illuminato con diversi colori a seconda del reato commesso: dal verde chiaro per furti e appropriazione indebita fino al rosso intenso per i casi – rari – di omicidio. In questo modo tutti sapevano con quale tipo di persona si trovavano ad avere a che fare e si comportavano di conseguenza; mentre l’anellato – così venivano chiamati nel gergo popolare i cittadini giudicati in qualche modo colpevoli – era più facilmente invitato a non trasgredire più.
Va da sé che il suddetto invito non sempre era bene accetto. Dal momento dell’attivazione ogni collare era monitorato dalle autorità preposte 24 ore su 24 e ogni tentativo di rimozione anticipata era rilevato istantaneamente e punito; prolungamento della pena e cambio del colore che indicasse il persistere del comportamento scorretto e antisociale del cittadino sotto sanzione erano alcune delle misure previste.
Fortunatamente non si vedevano molti anellati in giro, il sistema provvedeva più o meno ai bisogni primari di tutti; si lavorava il giusto – mediamente venti ore settimanali per i dipendenti statali – e tutti usufruivano di un reddito minimo di base, un pasto al giorno e un alloggio modesto ma confortevole (o così almeno lo descrivevano gli scribacchini del governo)… forse è proprio vero che certe cose non cambiano mai.
Tuttavia non era proibito per legge lavorare più ore del normale per chi voleva cercare di arricchirsi e tentare di raggiungere ceti sociali più prestigiosi: non si può soffocare la naturale ambizione umana a migliorare la propria vita.
In mancanza di particolari talenti artistici o sportivi, ottenere l’approvazione e il finanziamento per qualche possibile novità scientifica o tecnologica da parte del «Ministero del Progresso e della Innovazione» era uno dei modi più efficaci per riuscire a elevarsi. In quel caso raggiungere la vetta poteva significare non solo ottenere guadagni di molto superiori al reddito base, ma la possibilità di godere di abitazioni più spaziose e signorili rispetto agli alloggi popolari, cibo più prelibato e più ricercato ma soprattutto abbondante.
Tuttavia non era per nulla facile, infatti il «Ministero del Progresso e della Innovazione» accettava una sola presentazione all’anno, previo pagamento di una cospicua tassa d’iscrizione; non tutti se la sentivano di rischiare perché era un po’ come puntare i propri risparmi su un unico biglietto della lotteria.
Di conseguenza quello stato di cose era accettato da tutti: chi non nutriva particolari ambizioni poteva sempre contare su un sostentamento minimo garantito, mentre le menti più brillanti avevano in qualche modo l’opportunità o la speranza di tentare la scalata sociale con le loro invenzioni. Il fatto che proprio quel Ministero potesse avere qualche macchia o qualche ombra era persino accettabile se proprio da lì arrivavano i finanziamenti necessari. D’altro canto non si poteva fare diversamente e per quelli che cercavano comode scorciatoie il rischio era sempre lo stesso: collare elettronico!
2
Herbert Lee è uno di quelli che ce l’ha fatta. Secondo la vecchia concezione delle Nazioni, un tempo Herbert sarebbe stato considerato un «sangue misto», per metà europeo e per metà asiatico; oggi quelle distinzioni non esistono più e il Sig. Lee è semplicemente conosciuto e famoso come lo Steve Jobs del ventiduesimo secolo.
A dirla tutta Herbert non assomigliava affatto al Sig. Jobs né in senso fisico né caratteriale e non aveva cercato il successo, la popolarità o la ricchezza spinto da chissà quali nobili ambizioni; molto più prosaicamente aveva messo a frutto l’unica qualità che aveva una mente brillante e irrequieta per soddisfare la sua fame di buon cibo e di belle donne. Purtroppo per lui però una cosa escludeva l’altra. Per quello che poteva ricordare era sempre stato goloso e obeso – ancora oggi in età adulta non capiva se fosse obeso perché goloso o viceversa – già all’età di quindici anni pesava quasi 90 chili.
Dio solo sa quanto ci avesse provato a dimagrire, ma a nulla erano serviti gli sport più massacranti o le diete più restrittive, la gola tornava sempre prepotente a esigere il suo contributo di dolci e merendine. Tanto valeva arrendersi e cercare strade alternative: se le ragazze lo respingevano per il volume del suo ventre, allora lo avrebbero cercato per il suo prestigio e per il volume del suo conto in banca.
E poi c’era sempre da considerare il fatto che sia i ticket pasto che gli assegni passati dal governo non garantivano le prelibatezze e le porzioni sufficienti a placare i morsi della sua fame insaziabile.
L’inquinamento atmosferico era stato quasi completamente debellato, i mezzi di trasporto funzionavano con motori a energia magnetica, le fabbriche producevano prodotti a impatto ambientale zero e i rifiuti erano ridotti al minimo. Si era trovata una soluzione persino al problema dei vecchi allevamenti intensivi che si era scoperto inquinavano tantissimo – più di tutti i motori a scoppio messi insieme – e consumavano gran parte delle risorse in termini di utilizzo dei terreni e dell’acqua.
Non ci si era però preoccupati con altrettanto zelo della qualità del cibo, il così detto junk-food o cibo spazzatura che si trovava ancora abbondante ed economico sia nei menù delle mense comunali che sugli scaffali dei supermercati. Seppure una buona parte degli esseri umani avesse optato per una alimentazione vegana, i sostenitori di quello stile di vita non avevano mai superato il venti per cento e la maggior parte dei consumatori non aveva voluto rinunciare ai piaceri del palato e aveva accettato di buon grado il passaggio a una dieta a base di insetti o di carne clonata.
Clonare ogni tipo di carne – persino quella di pesce – si era rivelato un business altamente redditizio. Innanzitutto se ne poteva produrre in quantità quasi infinite o almeno fino a soddisfare le richieste del mercato e, fatto ancora più importante, non si contravveniva alle nuove leggi sul controllo ambientale e sul consumo delle risorse, sia agricole che ittiche. Nessun animale veniva cresciuto in cattività per essere poi macellato e non si producevano scarti e deiezioni difficili da smaltire, semplicemente la carne veniva creata in laboratorio già pronta da impacchettare e vendere. Che poi facesse bene alla salute era tutto un altro problema.
Di sicuro il grande Herbert Lee – i detrattori preferivano utilizzare l’aggettivo grosso – non se ne preoccupava. Con una mente abbastanza sveglia si possono fare i soldi, tanti soldi – in questo il mondo non era cambiato – e con i soldi si può comprare quasi tutto, persino un fisico asciutto e in forma. Questo sì che era un sogno, l’unico rimasto irrealizzato per tutta la sua vita, ma forse finalmente le cose potevano cambiare.
Quello che non era mai riuscito a comprare era l’amore vero di una donna o lo sguardo carico di desiderio sincero e di ammirazione di una compagna. Valeva la pena correre qualche rischio per ottenere tutto questo, persino tentare qualche affare non proprio pulito con alcuni politici e scienziati corrotti all’interno del governo e del «Ministero del Progresso e della Innovazione». E poi se tutto fosse andato come previsto, avrebbe avuto accesso ai file del progetto Terraforming Mars che lo interessavano parecchio. Ma la curiosità e la troppa ambizione sono lame a doppio taglio: così come possono spianarti la strada al successo, altrettanto facilmente possono metterti nei guai.
Se qualcuno avesse detto al povero Herbert che ai tempi del liceo la secchiona della classe e sua compagna di banco, Ayumi, aveva avuto una cotta per lui e per il suo genio forse la sua storia avrebbe avuto un esito diverso. Ma lui non l’aveva mai degnata di un secondo e più approfondito sguardo, non che non fosse carina, ma proprio non sopportava quegli occhiali con le lenti spesse come fondi di bottiglia. Lui voleva di più.
3
Italia 2119
Non si può dire che Giovanni Martinez fosse un delinquente o peggio ancora un fuori legge. Sì, certo, per qualche tempo aveva dovuto indossare il collarino, ma sempre per brevi periodi e per reati minori. Avrebbe potuto anche scegliere in alternativa di pagare le multe o rinunciare al sussidio statale per qualche mese, ma quei pochi soldi che riceveva dal governo li aveva sempre spesi quasi tutti in attrezzature e integratori per lo sport, la ginnastica e il fitness; poteva quindi ben sopportare di essere un anellato pur di riuscire a mantenere la forma fisica perfetta che aveva sempre perseguito e costruito fin da ragazzino.
Si sa, chi non risica non rosica e Giovanni non si era mai illuso di poter raggiungere il benessere e la posizione sociale senza correre qualche rischio, quindi il fatto di non avere una fedina penale linda e immacolata non rappresentava più di tanto un cruccio per lui, doveva solo stare un po’ più attento degli altri per gestire i suoi affari e ricordarsi sempre della regola numero uno: ricontrollare fino alla nausea ogni minimo dettaglio.
Se le città non erano cambiate molto nella loro concezione e se la tecnologia non aveva mantenuto le promesse sperate, non altrettanto si poteva dire dell’organizzazione sociale e politica. I governi nazionali avevano fallito nella gestione della res publica e delle risorse. Stando ai resoconti storici ufficiali, guerre e malcontento avevano caratterizzato ogni società umana fin dall’inizio dei tempi e fino all’inizio del 22esimo secolo.
Il controllo dispotico imposto dal potere massonico del recente passato non aveva funzionato, non era possibile «mentire a tutti per sempre» e, per quanto sembrasse di essere sempre a un passo dal raggiungimento dell’obiettivo, la coscienza umana prendeva sempre il sopravvento e i popoli tornavano a pretendere la loro libertà e indipendenza.
Ma il potere è sempre stato più furbo di quanto si pensi, magari ottuso alla base, ma furbo. E così aveva cambiato tattica: le mosche in fondo non si catturano con l’aceto ma con lo zucchero. Non era stato difficile capire che era sufficiente soddisfare quei pochi e basilari bisogni primari per sedare qualsiasi velleità di autonomia e autogoverno. L’importante era continuare a mantenere il controllo sulla Cultura e sulla Conoscenza – quella vera – e tutto il resto avrebbe funzionato di conseguenza. Gli Uomini, impigriti da una vita «facile» e ordinaria, avrebbero più facilmente rinunciato a cercare la Coscienza di sé.
È risaputo però che il diavolo fa le pentole ma non i coperchi.
Non tutti accettavano di buon grado questo sistema globalizzato e controllato, molti pensavano che dovesse finire al più presto e il genere umano avrebbe dovuto imparare a «camminare» con le sue gambe una volta per tutte, anziché essere gestito e portato per mano come un eterno bambino smarrito.
«Questa volta facciamo il botto ragazzi, big money. È un po’ più rischioso del solito perché il cliente è piuttosto famoso – e anche piuttosto grasso – ma se lavoriamo bene come sappiamo fare e se stiamo attenti è l’occasione giusta per svoltare e trasferirci tutti quanti ai tropici.»
Giovanni Martinez ufficialmente era proprietario e gestore di una delle più rinomate palestre della città e vi lavorava anche in qualità di istruttore e personal trainer insieme alla sua squadra di assistenti e collaboratori fidati. Li aveva assunti lui personalmente in anni di scrupolosa ricerca e selezione – così richiedeva la regola