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Il ruolo della relazione d’aiuto per gestire le situazioni di stress in ambito lavorativo
Il ruolo della relazione d’aiuto per gestire le situazioni di stress in ambito lavorativo
Il ruolo della relazione d’aiuto per gestire le situazioni di stress in ambito lavorativo
E-book483 pagine6 ore

Il ruolo della relazione d’aiuto per gestire le situazioni di stress in ambito lavorativo

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Info su questo ebook

Lo stress si collega ai meccanismi di attacco, fuga, difesa e può essere funzionale o disfunzionale.

Positivo e motivante il primo, negativo e demotivante il secondo. Quest’ultimo implica anche somatizzazioni e malattie e può distruggere la vita!

La mente, continuo risultato esperienziale e di natura, è un’entità sostanzialmente metafisica, che si nutre, modificandosi, di pensieri, scelte, comportamenti, esperienze e stati emotivi. È il luogo dove si forma l’idea di sé e del mondo ed è condizionata dalla comunicazione con se stessi, dalle relazioni e dagli eventi.

La comunicazione ha potenziali implicazioni coi meccanismi di stress e può orientare la persona verso soluzioni positive o distruttive.

Come gestire lo stress, sia in termini di prevenzione che di intervento, è un tema che riguarda l’imprenditore per avere un’azienda più efficiente, chi lavora per avere una maggiore qualità della vita e l’uomo della strada per avere una migliore idea di sé.

La relazione d’aiuto può supportare il manager nelle scelte di leadership, le funzioni gestionali in quelle organizzative e può facilitare in ognuno l’accesso allo stress positivo.

L’elaborato, pur dedicato al lavoro, è utile a tutti.
LinguaItaliano
Data di uscita11 nov 2019
ISBN9788831638302
Il ruolo della relazione d’aiuto per gestire le situazioni di stress in ambito lavorativo

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    Anteprima del libro

    Il ruolo della relazione d’aiuto per gestire le situazioni di stress in ambito lavorativo - Alberto Gomato

    EINSTEIN

    Presentazione

    Quando ho conosciuto il dott. Alberto Gomato, in sede d’esame, mi ha colpito  il suo modo di comunicare.

    Ho osservato in Lui una tensione emotiva, ma nello stesso tempo misurata, di chi si sente pronto a gestire le domande che gli verranno poste senza troppo imbarazzo.

    Nel suo modo di rispondere c’era qualcosa di più dello studente che ha studiato.  Quel discente dimostrava una consapevolezza della materia che andava oltre la semplice esposizione delle teorie o dei concetti che aveva incontrato nella preparazione del corso di Psicologia del lavoro e delle organizzazioni.

    Mi stupì il fatto che uno studente del corso di Psicoeconomia, per quanto ormai con i capelli grigi, potesse possedere una tale padronanza della materia, legata più a una visione dinamica che statica della stessa. Insomma, poiché rispose esaurientemente a tutte le domande che gli vennero poste e aggiunse del suo, il 30 che gli assegnai, fu più che meritato.

    Il Dottor Gomato mi contattò poi qualche giorno dopo e, nel richiedermi l’autorizzazione alla tesi, mi disse di voler realizzare un elaborato mirato ad approfondire il ruolo della relazione d’aiuto per la gestione dello stress in ambito lavorativo.

    Quel signore, che dimostrava entusiasmi che generalmente si ritiene essere più propri di altre età, si poneva un obiettivo e agiva dimostrando coerenza per realizzarlo. 

    Ne risultò un lavoro approfondito che, nel suo insieme, rispondeva appieno alle finalità che lo studente si era prefissato.

    Quando mi interpellò per chiedermi se potevo scrivere una presentazione del suo lavoro, perché aveva intenzione di pubblicarlo, ho accolto la sua richiesta.

    La selezione degli argomenti trattati nei primi due capitoli e il loro sviluppo, possono essere visti in un’ottica di introduzione al terzo, dedicato alla gestione dello stress nell’ambito lavorativo e alla motivazione. Ci troviamo di fronte a una sorta di guida che offre strumenti per la crescita personale. Interessante risulta l’analisi dei meccanismi della comunicazione intra e interpersonale, con un’attenzione ai possibili sbilanciamenti che possono sfociare in aspetti anche psicopatologici. La domanda che si pone Gomato è come intervenire sulla persona al fine di attivare efficaci interventi correttivi.

    Si tratta, a parere di Gomato, di porre la questione in termini di prevenzione e di eventuale intervento successivo per la gestione del disagio, dove la stessa non risultasse sufficiente, è questa un’intuizione che porta ulteriore valore aggiunto al lavoro dell’autore.

    A colui che si appresta a leggere il testo, posso dire che si troverà a confrontarsi con linguaggi sia discorsivi che tecnici e potrà sentire il desiderio di tornare su cose già lette, al fine di meglio comprendere tutte le sfaccettature dell’elaborato. Il lavoro di Alberto Gomato merita tutta l’attenzione di una lettura approfondita perché può aiutare il lavoratore, portatore del disagio, a riscoprire in sé un livello cognitivo e di competenza adeguati per mettere in campo le tecniche di gestione dello stress.

    Prof.ssa Daniela Bosetto

    Docente Università degli studi e-Campus

    Prefazione

    Il pregio e il difetto dell’elaborato che vengo a proporvi è che il testo, seppur riveduto e corretto è quello di una mia tesi di laurea.

    Pregio perché non si danno per scontati i materiali teorici che si possono padroneggiare oggi nell’ambito delle relazioni d’aiuto, ma se ne descrivono, mediante la presentazione di molti autori, le fasi di consolidamento, mettendo in evidenza anche alcuni elementi di dibattito fra i vari ricercatori.

    Difetto, se così lo si vuole considerare, è nel meccanismo di costruzione di una tesi universitaria, per il quale lo scrivente non può riportare idee o concetti propri, ma deve ricostruire, usando teorie e parole altrui, quanto gli interessa dimostrare. Ciò non esime, ovviamente, la possibilità di commentare o di sintetizzare, come ampiamente avviene, ma obbliga a percorsi meno fluidi di ciò che sarebbe se si usassero solo delle sintesi. I riferimenti virgolettati e le note di fondo pagina, ne sono un esempio.

    Il pregio indicato, se la tesi è approfondita, consente di offrire molto materiale alla riflessione e per la crescita culturale e, insieme, essendo in questo caso una tesi dedicata al ruolo delle relazioni d’aiuto, di presentare le loro dinamicità e molti degli elementi che ne contraddistinguono le caratteristiche e il dato valoriale.

    Quindi, l’elaborato che ci si troverà a leggere, è formato dalla tesi, presentata nella sua integrità anche se opportunamente riveduta e corretta.

    La rivisitazione deriva dal fatto che alle finalità di ricerca proprie di un elaborato universitario si sono andate a sovrapporre anche quelle di diffusione a un pubblico più vasto che può essere, o non, già immerso nella materia e al quale possono interessare delle conoscenze specifiche più avanzate.

    Nel corpo tesi, il lettore esperto, può trovare l’occasione per rivedere parti teoriche a lui già note, ma può anche scoprire passaggi teorici poco conosciuti, contenuti soprattutto nei primi due capitoli.

    Altresì può, con la lettura del terzo capitolo, trovare importanti spunti per riconsiderare tecniche operative o puntualizzarle meglio, essendo lo stesso finalizzato oltre che a descriverne il ruolo, a rendere l’idea di come possa essere strutturata una relazione d’aiuto.

    Il lettore che avesse voglia di imparare o che fosse solo curioso, può trovare giovamento dagli elementi culturali dei quali l’elaborato è disseminato e, come personalmente auspico, scoprire in sé stimoli nuovi di miglioramento e di crescita.

    Essendo il focus della tesi il ruolo delle relazioni d’aiuto in ambito lavorativo per la gestione dello stress, un ulteriore pregio dell’elaborato proposto deriva, dal taglio operativo che contraddistingue il terzo capitolo e che, soprattutto per la parte che si interessa di prevenzione, può fornire a coloro che in ambito aziendale si interessano di organizzazione aziendale e di gestione del personale, strumenti importanti per facilitare un approccio ottimale al tema.

    Poiché nella tesi, per pervenire alla descrizione delle relazioni d’aiuto, sono state presentate alcune delle principali scuole che agiscono nello scenario attuale, in modo da soddisfare l’elemento cognitivo complessivo che fosse utile a comprendere su quali elementi le stesse si basano e poiché mi interesso direttamente di relazioni d’aiuto, sono stato combattuto se aggiungere un’appendice integrativa che, si interessasse in maniera più specifica delle Discipline Analogiche benemegliane (DAB) che utilizzo direttamente, con riferimento particolare a: comunicazione analogica, tipologie analogiche, intelligenza emotiva, coscienza e suoi conflitti.

    Ho ritenuto però che gli spazi dedicati alle stesse, all’interno di un discorso complessivo fatto di equilibri funzionali a uno scopo, siano sufficienti e che, salvo il ritornare in altro lavoro su quei concetti, che per me andrebbero ulteriormente promossi, non era il caso di fare ciò.

    Ho quindi lasciato le cose come sono e mi riservo di tornare sugli argomenti indicati, in modo da arricchire quanto ho già scritto sia con questo elaborato, sia nel mio precedente, richiamato nella tesi e in bibliografia, per fornire a chi si interessa della materia, quanto di nuovo è stato nel frattempo intuito e verificato.

    La mia esperienza cognitiva e operativa nel campo delle relazioni d’aiuto in qualità di Analogista, mi porta ad affermare che le stesse, proprio perché si interessano in maniera specifica delle energie che vengono generate e movimentate dai meccanismi emozionali propri di ognuno di noi e, pur spiegandole sia dal punto di vista delle cause che degli effetti, poco intervengono nelle spiegazioni psicologiche più proprie del mondo della psicologia dinamica, della psicoterapia e della psicologia in genere.

    Infatti, se è vero che, come tra l’altro descrivo in maniera molto approfondita nella tesi, non è da oggi che ci si interessa delle relazioni conscio inconscio e ci si interroga su cosa siano l’intelligenza emotiva, la coscienza, la motivazione e la consapevolezza, con le DAB si è fatto un vero e proprio salto quantico e si è approdati, si badi bene, partendo più dall’applicazione di un metodo comunicazionale che da costruzioni teoriche, a definire in modo originale e avanzato quelle relazioni.

    La stessa intelligenza emotiva, della quale ad esempio parlo nella tesi utilizzando la ricchezza e l’originalità intuitiva di un autore come Daniel Goleman, assume un rilievo nuovo che porta a conclusioni di molto differenti da quelle pur validissime dell’autore citato.

    Va detto che moltissime delle intuizioni provenienti dal mondo della psicologia come da quello accademico vengono accolte, seppur reinterpretate, anche in ambito DAB. Ma il loro è un utilizzo strumentale e non finalistico, in quanto il vero strumento finalistico è quello dell’ipnosi applicata secondo le tecniche benemegliane e il fine è la ricostruzione di equilibri emozionali mediante un loro riorientamento energetico.

    Quando parliamo di ipnosi, noi Analogisti, non intendiamo dire che qualcuno, l’operatore, si sostituisce a qualcun altro, il cliente, per prendere possesso, anche se temporaneamente, del timone che lo governa. L’azione dell’analogista favorisce il riemergere di tensioni emotive già presenti nell’individuo, le quali, in virtù del suo vissuto, fungono già da strumento ipnotizzante, per quanto inconsapevole.

    L’Analogista si rivolge direttamente e in maniera privilegiata all’inconscio della persona e, collaborando con lui, predispone un percorso che possa sciogliere energeticamente le situazioni opprimenti della realtà che, seppur legate ad avvenimenti del passato, agiscono nel presente proprio in virtù dei meccanismi energetici emozionali presenti in ognuno di noi.

    Infatti, in noi, le esperienze emotive del passato tendono a costruire dei ponti analogici ipnotici con il presente e portano la persona a vivere all’interno di un problema che spesso neanche sa di avere, facendole assumere ruoli comportamentali e maschere che non la soddisfano e la fanno spesso sentire incapace di agire per come vorrebbe, se non sfortunata o condannata dal destino, generando sensazioni frustranti se va bene e organi bersaglio e malattie importanti, fino al lasciarsi andare all’idea della morte, se va male.

    Ma, si badi bene, tutto ciò può avvenire in persone considerate sane e apparentemente in equilibrio, le quali lavorano e agiscono in un perenne conflitto con le cose della vita, con se stesse o con il destino e in alcuni casi possono, supportate anche da culture adatte o adattate allo scopo, demandare al fato negativo o a entità superiori le redini di un’esistenza troppo spesso accompagnata da stati anche profondi di infelicità.

    Il superamento dell’infelicità e il recupero della regia della propria vita, sono il tema centrale delle DAB, nelle quali, perciò, non si parla di malattia e di cura ma, semplicemente, di riequilibrio emozionale e personale. Di persona motivata che vive il benessere e non i malesseri, come condizione preminente della propria esistenza, ovvero, di persona nella quale sono stati sciolti gli opprimenti condizionamenti ipnotici che la governavano.

    Se un gestore del personale si chiedesse: cosa c’entra tutto ciò con il mio lavoro, la risposta sarebbe agevole.

    Al di là che anche lui è una persona e, quindi, non è scevro dai meccanismi dell’infelicità, lo stesso sa bene che diverso è avere a che fare con collaboratori che non agiscono sotto stress e, quindi, non alterano i sistemi relazionali che servono al funzionamento ottimale dell’area operativa della quale si occupa, dall’avere a che fare con soggetti che hanno insoddisfazioni anche profonde e le calano, nel loro agire quotidiano, sia rispetto alle relazioni interpersonali, sia rispetto a quelle con le attività a loro affidate, creando disfunzionalità a volte molto difficili da gestire.

    Anche se accennato nel terzo capitolo della tesi, ad esempio, un approfondimento sui ruoli e sulle personalità analogiche predisposte allo svolgimento ottimale di quelli, è uno degli argomenti che avrei inserito in appendice. La corretta attribuzione dei ruoli, come scritto nella tesi, può portare a collocazioni ottimali e a risultati gestionali più avanzati di quelli attuali, ad avere più collaboratori attivi e propositivi, che si sentono a loro agio nel ruolo affidato e, quindi, a un’azienda più produttiva, più efficiente e, in definitiva, più sana e potenzialmente più efficace. Come scritto mi riservo di presentare tale approfondimento in un lavoro successivo essendo quello presente già sufficientemente ampio.

    Come considerazione finale aggiungo che questo lavoro può essere utile anche a chi è già Analogista o lo vuole diventare. Ciò, perché può trovare orizzonti cognitivi e nozioni spesso non considerate in ambito DAB, ma che possono risultare utili a una maggiore comprensione dei fenomeni che affronta o vuole affrontare nel quotidiano.

    Alberto Gomato

    Introduzione

    Nell’ambito scientifico che si interessa dello sviluppo della personalità e che studia i vari aspetti genetici, biologici, psichici, relazionali e intrapsichici che concorrono alla formazione dell’idea di sé, sono dati ormai acquisiti che nella nostra mente coesistono due istanze interagenti fra loro, quella emozionale e quella cognitiva, che entrambe concorrono a formare i processi inconsci e che, insieme, partecipano alla formazione della coscienza.

    Altri dati acquisiti sono che più è alto il carico emozionale legato a un’esperienza, maggiore sarà la capacità della stessa di fissarsi nella memoria e che le emozioni non sono tutte uguali. Infatti, per quelle più istintuali, legate alla sopravvivenza o alla conservazione della specie, l’arousal, ovvero la risposta fisiologica di attivazione organismica, è rapidissima e arriva molto prima che le parti cerebrali legate all’elaborazione spaziale e cognitiva dei pericoli possano intervenire.

    A titolo di esempio riporto un’esperienza personale, che rende l’idea di ciò che ho appena evidenziato.

    L’esempio riguarda un fatto di oltre venti anni fa e che, nonostante la mente sia ricostruttiva, per le parti salienti mi è rimasto in memoria come fosse appena accaduto e, il farlo riemergere, anche se per un brevissimo attimo, mi ha riportato alle sensazioni vissute allora.

    Mi trovavo in città, era notte fonda e camminavo per raggiungere la mia abitazione. D’improvviso, a circa duecento metri davanti al mio cammino, vedo un gruppo di cani randagi che rovistava intorno a dei rifiuti. Immediatamente mi blocco, sento dei brividi sulla schiena, i peli drizzarsi e le tempie pulsare.

    Intanto, osservo.

    I cani, evidentemente attirati da qualche odore, continuano a rovistare.

    Valuto: potrei cambiare strada, ma allungherei troppo! Osservo ancora. Sono molto presi dal lavoro di ricerca e, forse, mangiano anche. Rischio?

    Alla fine decido: rischio!

    Per mantenere il massimo della distanza e non dare troppo nell’occhio, mi avvicino dal lato strada opposto al loro e, seminascosto dalle auto parcheggiate, cammino lentamente. Ad un tratto, quando li avevo ormai raggiunti e quasi superati, uno di loro alza la testa e mi fissa. È un attimo, mi si gela il sangue nelle vene.

    Ho paura, non cammino più, non riesco! Quasi non respiro…

    Quando ha chinato la testa per tornare alla sua occupazione, ho ricominciato a respirare e, ripreso il mio percorso, prima lentamente e poi con passo rapido, fino a correre, sono sparito. Il tutto senza evitare di guardarmi più di una volta alle spalle. 

    Una volta tornato alla tranquillità ho pensato: è andata bene e meno male che erano attratti più da ciò che c’era nelle immondizie che da me!

    Se l’esempio appena riportato riguarda il meccanismo della paura, quelli subito sotto, che rilevo direttamente dalle mie esperienze, riguardano altri aspetti del comportamento condizionato dall’emotività che in questa fase mi limito a riportare e che nel prosieguo troveranno, anche se indirettamente, risposte e che possono essere considerati di dipendenza.1

    Si pensi alla spesa al supermercato, per la quale è noto che vi sono specifiche ricerche su come sistemare gli scaffali in modo da stimolare acquisti non previsti o promuovere il prodotto a margine di guadagno più alto.

    Bene!

    Credo sia capitato a chiunque di entrare in un supermercato avendo a mente ciò che si vuole acquistare, o muniti di una lista spese da effettuare e trovarsi all’uscita con il carrello che, anche se non pieno, contiene prodotti non previsti.

    A me è successo!

    Un particolare che ho notato relativamente ai prodotti alimentari, è che, se entro a stomaco pieno, pur tendendo sempre a deviare, devio poco dal programma acquisti originario. Se entro a stomaco vuoto, ogni prodotto tra quelli a me graditi, quando lo incontro, stimola la fantasia, mi fa aumentare la salivazione, immaginando magari il momento e la forma del consumo e, quindi, il tasso di deviazione rispetto ai proponimenti risulta molto maggiore.

    Si pensi altresì alle modalità, tempi compresi, di risposta a un messaggio telefonico.

    Ciò che ho notato è che se sono impegnato in qualche attività e arriva un messaggio, la tendenza è di andare subito a leggere e, una volta letto, di rispondere immediatamente. Se non lo faccio e continuo a fare ciò che stavo facendo, il pensiero va al messaggio che è arrivato e, finché non vado a vedere, ogni tanto torna su quello, nonostante io cerchi di concentrarmi su ciò che mi sta impegnando. In ogni caso, una volta letto, soprattutto se il contenuto non risulta puramente informativo e, quindi, mi coinvolge emotivamente, la tendenza è di rispondere immediatamente. Solo applicando il controllo cosciente riesco a soprassedere o procrastinare.

    Ma non sempre!

    Questi esempi, riguardano emozioni istintuali legate alla sopravvivenza2 e alla necessità di tenere sotto controllo una determinata situazione e sono lì a dimostrare che emozione e cognizione, quando presenti entrambe, incidono sulla lettura della realtà, sulle reazioni a quella, sugli stimoli, sui comportamenti, sul pensiero, sulle motivazioni e sulle azioni.

    Ulteriori aspetti che incidono sull’idea di sé, riguardano la formazione delle esperienze emotive e cognitive della prima infanzia.

    A queste, per la massima parte, concorrono le figure principali di accudimento, genitori in primis, e al bambino vanno a trasferirsi le sensazioni di sicurezza o insicurezza relazionale dei quali l’adulto è portatore e con esse le emozioni di gioia, paura, ansia, tristezza, rabbia, ecc., connesse a quelle sensazioni. Nel corso della vita, in quel bambino, che diventerà prima fanciullo e poi adulto, tali emozioni tenderanno a riproporsi, tout-court, quando accadrà un evento atto a richiamarle. Ciò può creare scompiglio nella mente cognitiva, che, soprattutto in assenza di ricordi, può non comprendere cosa stia accadendo, o non lo fa appieno. Infatti, a titolo di esempio, può accadere che ci si ritrovi a vivere emozioni positive quali la gioia, o negative quali l’ansia, senza sapere perché o in maniera eccessiva rispetto all’evento del momento.3 Allo stesso modo si può vivere con distacco e, quindi, apparentemente senza emozioni, un evento che dovrebbe invece crearne4.

    Quindi, l’ambiente affettivo, il clima di accoglimento e la personalità degli adulti, in generale, ma soprattutto quelli significativi, trasferiscono nella persona, per come li interpreta, un sistema di sicurezze-insicurezze che tende a permanere per tutta l’esistenza in termini di autostima-disistima, incide sulla visione sicura-insicura verso sé, verso le modalità di intervento sull’ambiente e verso i pericoli che da questo possono derivare.5

    Di più, avviene anche che, se la persona ha appreso una routine comportamentale affettiva, o reattiva rispetto a quella, tenderà sempre a ripeterla, sino a che, nel caso la stessa risulti alla stessa disfunzionale, non impari a riconoscerla e a modificarla.6

    Ciò implica che dall’evolversi dei processi istintuali ed esperienziali che incidono sulla memoria e sull’apprendimento, essendo gli stessi, tranne che, per la parte cognitiva, quelli della primissima infanzia7, un mix di emozione-cognizione, deriva il formarsi di convinzioni, credenze, atteggiamenti, modi di vedere, ecc., che mediano la realtà, conducendo a una sua lettura individuale e a comportamenti conseguenti, che, parafrasando Carl Gustav Jung, risultano condizionati dall’inconscio della persona sia per le componenti individuali che per quelle collettive.

    Infatti, proprio perché il sé ha tratti sia soggettivi che collettivi, l’individuo ha un’esistenza sociale che ne condiziona convinzioni, atteggiamenti, comportamenti, emotività e pensiero e, in base alle motivazioni che riesce a stimolare, fornisce le spinte che lo proiettano verso le situazioni della vita, o da queste lo fanno ritrarre.

    Da ciò deriva che la persona adotta un insieme di comportamenti e strategie, che si presentano come una serie di tentativi che la possono sostenere o annientare nel suo sforzo di sopravvivenza.

    Tali comportamenti e strategie sono basati sull’attacco, la fuga e la difesa, e, anch’essi, in estrema sintesi, tendono a soddisfare gli istinti primordiali di sopravvivenza e di riproduzione della specie.

    Le tracce mnemoniche su quanto avviene, soprattutto quelle implicite8, tendono ad essere più persistenti nel caso di eventi negativi e meno persistenti in caso di eventi positivi. Si pensa che, proprio ai fini della soddisfazione degli istinti primordiali appena richiamati, ciò sia legato alla necessità di evitare il più possibile le situazioni spiacevoli o pericolose e che, quindi, queste debbano venire alla mente nel modo più immediato possibile.9

    L’arousal, può anche essere visto come un aspetto dello stress, il quale ultimo ha un duplice effetto sui meccanismi mnestici: potenzia la memoria quando è all’interno di parametri fisiologici di attivazione dell’organismo, la depotenzia fino a comprometterla, quando supera detti parametri.

    Da tutto quanto sopra: quando l’individuo nei suoi tentativi risulta a se stesso vincente, sarà portato a prediligere atteggiamenti di attacco o che comunque ostentano sicurezza; il contrario se si considera perdente. Al contempo, tende ad adottare procedure di adattamento passivo, attivo, o una loro combinazione, le difese, appunto, per adeguare se stesso alle difficoltà ambientali, o per modificare l’ambiente a suo vantaggio, in modo che lo stesso diventi una difesa.

    La valutazione sulle possibilità di riuscita, miscela spesso inconsapevole fra processi consci e inconsci, risulta fondamentale.

    L’uomo che si considera vincente è portatore di autostima, quello che si considera perdente è portatore di disistima e, poiché si può essere sia perdenti che vincenti, i meccanismi di difesa tendono a mediare tra le due realtà, per poter ridurre le sconfitte e il loro peso, e aumentare le vittorie. 

    In questo senso, autostima e disistima sono tendenze, atteggiamenti con i quali la persona si confronta con la sua realtà e dalle quali trae le aspettative positive o negative sulle sue possibilità di successo.

    Nei loro dinamismi autostima e disistima si confrontano nella mente dell’individuo e possono alternarsi nella dimensione maggioritaria o minoritaria, pur avendo acquisito la persona una tendenza nel privilegiare una di esse rispetto all’altra.

    I percorsi di vita si presentano infatti come un’arena nella quale ciò che è stato vero fino a ieri non è detto possa considerarsi tale anche per l’oggi o per il domani e, quindi, le sorprese possono essere innumerevoli e di segno alterno.

    Nella persona coesistono, quindi, una dimensione consapevole, cosciente, che è quella che gli permette di adottare valutazioni di sé o dell’ambiente che lo circonda, e una dimensione inconscia, la quale, pur rimanendo nell’ombra, trasferisce all’individuo la sapienza del passato, confrontata dinamicamente con quella situazionale del presente e, fungendo da stimolatore all’azione, o da freno, ne condiziona, in base alle aspettative, le scelte migliori sul comportamento da adottare.

    Migliori è diverso da ottime e, spesso, soprattutto nelle fasi in cui l’individuo è sottoposto a situazioni ad alto rilievo emotivo, le scelte migliori possono addirittura essere deleterie per la persona stessa. Accade infatti che le sollecitazioni dell’ambiente possano essere vissute come eccessive, che si abbiano effetti di travolgimento che rafforzano paure o ansie, e che, chi le sta vivendo, si senta bloccato e incapace di trovare con autonomia opportune vie di uscita.

    Nel gergo attuale si tende, al di fuori del concetto di patologia, a parlare di stress.

    Lo stress, in base a come incide sulle capacità di recupero dell’organismo, può essere sia positivo che negativo. Il primo viene detto eustress e si ha quando l’arousal, ovvero l’attivazione fisiologica di risposta a una sollecitazione, si disattiva quando la stessa viene meno. Al distress, ovvero lo stress negativo, si accompagna un arousal maggiore o ripetuto, e si ha quando l’attivazione fisiologica rimane, nonostante non ci sia più la fonte che l’aveva generata.

    Gli ambiti della vita nei quali la persona si confronta con il mondo esterno e dai quali deriva la propria idea di sé, espressi sinteticamente, appartengono alla sfera degli affetti, della sessualità e dell’autorealizzazione; includendo quest’ultima: il lavoro, gli hobbies, le modalità di gestione del tempo, il modo di alimentarsi e di accudirsi, ecc..

    È evidente che da ogni settore tra quelli indicati possono venire soddisfazioni e insoddisfazioni, derivare aspettative, sopraggiungere delusioni e che ogni avvenimento può confermare l’idea di chi o cosa si è, o negarla. Aspetti questi che, giocoforza, stimolano l’arousal, ovvero lo stress e vanno a incidere sui meccanismi di autostima e disistima.

    Gli effetti di questo processo, nel caso di arousal eccessivo, cioè negativo, possono portare a disturbi dell’emotività e del comportamento, a disistima e a depressione, così come possono portare all’attacco prima funzionale e poi organico di organi bersaglio o a forme di rabbia rivolte o verso l’esterno, o verso se stessi, o in entrambe le direzioni.

    Se è agevole comprendere che il legislatore, salvo il prevedere alcuni istituti giuridici legati alle forme di convivenza fra partner, o alle relazioni genitori figli,  non possa regolamentare, tranne che per i casi di abuso sulla persona, il sistema di relazioni sociali private di tipo affettivo o sentimentale e, quindi, non possa intervenire sulle fonti di stress negativo che dagli affetti possono derivare, sarebbe meno comprensibile che non provasse a intervenire nell’ambito dei rapporti di lavoro.

    Generalmente, il lavoro si presenta con strutture organizzative che regolano attività, modalità del loro svolgimento, sistemi relazionali verticali e orizzontali, predisposizioni di carriere, mansionari, livelli salariali ecc. ed è, con le opportunità e i vincoli che presenta alla persona, sia possibile fonte auto-realizzativa, che di distress.

    Se si considera il periodo storico della Repubblica italiana, il legislatore aveva inizialmente a disposizione una norma del codice civile del 1942, l’art. 208710; negli anni ’50 ha predisposto due norme fondamentali, una di prevenzione infortuni, il DPR 547/55, e,  un’altra di igiene industriale, il DPR 303/1956; ha poi previsto con l’art. 9 della legge 300/197011,  poteri di controllo e di promozione inerenti la salute e la sicurezza sul lavoro; poi, con due interventi successivi, il DLGS 626/1994 e il DLGS 81/2008, ha regolato ulteriormente la materia, modificando ruoli e condizioni di intervento dei lavoratori, passando da un modello, quello del 1970, più di carattere contrattuale, a uno, dal 1994 in poi, più partecipativo. Infatti ha previsto per i lavoratori una rappresentanza specifica in materia di sicurezza sul lavoro, la quale gode di specifiche attribuzioni; ha obbligato il Datore di Lavoro oltre che alla predisposizione di un Documento di Valutazione dei Rischi, contenente sia la situazione in essere che i miglioramenti da realizzare, a fornire al Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza adeguata informazione e formazione sui rischi relativi agli ambienti di lavoro e alle attività produttive in essi svolte, a consultarlo tempestivamente e preventivamente sui rischi emergenti da nuove attività, a riunirsi periodicamente con lui, prevedendo la partecipazione alla riunione del Medico Competente e del Responsabile aziendale del Servizio di Prevenzione e Protezione. 12

    Pur non essendo necessario approfondire ulteriormente, va detto che, allo stesso modo delle tecniche di valutazione dei rischi che hanno goduto delle nuove conoscenze venute dal mondo scientifico e della ricerca, anche la definizione dei rischi lavorativi, riconosciuti come tali, ha goduto delle nuove conoscenze.

    Negli anni di cui si tratta è mutato anche il concetto di salute, che se prima era definibile come assenza di malattia, dal secondo dopoguerra del secolo scorso ad oggi, è stato definito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità: "uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non semplice assenza di malattia o di infermità". 13

    Viene da sé che il legislatore che si interessa di salute e sicurezza, includa nel novero dei rischi derivanti dall’attività lavorativa anche i rischi psicosociali.14

    Il rischio stress lavoro correlato, è un rischio psicosociale previsto dal legislatore del nostro paese che si interessa di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, la cui valutazione è obbligatoria dal 2010. 15

    La valutazione di tale rischio, come da linee guida INAIL16, è divisa in due fasi, la prima considera parametri aziendali oggettivi e non coinvolge direttamente i lavoratori. La seconda, attivata solo se l’esito della prima è positivo, coinvolge i lavoratori per verificare con loro le criticità tecniche, organizzative, relazionali e comunicazionali presenti in azienda, al fine di predisporre idonei processi migliorativi, con lo scopo di ridurre o eliminare il rischio.

    Scopo della norma, quindi, è evitare l’esposizione dei lavoratori a un fenomeno strisciante che comporta alterazioni degli equilibri mentali e fisici della persona, minando le sue capacità relazionali e amplificandone paure e ansie.

    Ovviamente il mondo del lavoro è più variegato di quello sopra descritto e pone problemi che vanno oltre gli aspetti della sicurezza, per come presentati.

    Vi è un mercato del lavoro, regolato in parte dalla legge e in parte dai contratti collettivi. Vi sono specifiche legislazioni che regolano le forme contrattuali possibili e cercano di intervenire sui meccanismi di accesso e di uscita dal mercato lavorativo. Vi sono i problemi legati alla disoccupazione e alle caratteristiche dell’occupabilità, collettiva e individuale. Vi sono le regole comportamentali alle quali attenersi. Vi sono problematiche legate all’assistenza e alla previdenza.

    C’è il lavoro autonomo e quello artigianale. C’è il rischio d’impresa che spesso ricade su soggetti che non hanno la cultura o i mezzi economici e finanziari per affrontarlo, ecc.. Aspetti questi che, a determinate condizioni, possono avere effetti stressogeni anche notevoli. Si pensi ai suicidi di imprenditori che hanno ceduto a fenomeni depressivi perché, pur avendo attività redditizie, si sono trovati a vivere forti problematiche di liquidità a causa dei ritardi nei pagamenti da parte dei debitori e che, per questo, si sono trovati anch’essi in condizioni di insolvenza e di forte condizionamento allo stress.

    Su quest’ultimo, se nella sua accezione positiva è considerato lo stimolo del problem solving, della costruzione dell’adattamento attivo, la fonte della creatività e fortemente motivante, allo stress negativo si associano gli atteggiamenti passivi, la demotivazione, gli atti di ribellione, la depressione e le malattie fisiche.

    Le forme passive di adattamento possono esprimere qualità diverse che, nelle condizioni migliori, portano a forme lievi di asocialità, timidezza e difficoltà in ambito relazionale, determinate da chiusure di vario tipo, ma non impediscono alla persona di proiettarsi verso un futuro potenzialmente positivo. È però possibile che, o per eventi che lo possono acutizzare, o per il ripetersi di eventi ad alto valore stressogeno, il distress porti la persona, quando non adotta comportamenti asociali di carattere aggressivo o violento, a utilizzare delle forme estreme di adattamento passivo, che la portano a chiudersi completamente in se stessa, bloccando i suoi contatti col mondo, o nascondendosi dietro sintomi di vario tipo.

    Lo stress negativo è, cioè, un mostro da evitare!

    In questo elaborato, ritenendolo non necessario e salvo qualche accenno, evito di entrare nel merito delle tecniche oggettive e soggettive di valutazione del rischio stress lavoro correlato. Qui dico solo che il burnout, rischio psicosociale legato al lavoro, la cui principale caratteristica, oltre a fenomeni di esaurimento emotivo e di diminuzione dell’autostima, è la depersonalizzazione,17 ha come base condizioni di stress eccessivo e prolungato nel tempo. Nel caso del mobbing, altro rischio psicosociale che può derivare dall’ambito lavorativo, al quale si collega l’aspetto persecutorio ai danni del mobbizzato, la frustrazione che si trasferisce e crea sofferenze anche ai cari più diretti, può portare al fenomeno del cosiddetto doppio mobbing.18  Quest’ultimo si ha quando il lavoratore che subisce gli effetti dell’esposizione a situazioni stressogene, può trasferire i suoi disagi anche all’ambito familiare e, se la famiglia può inizialmente comprendere le sue difficoltà, quando la situazione si prolunga oltre limite o diventa eccessivamente gravosa, può anche arrivare a isolare essa stessa la persona e ad assumere atteggiamenti giustificatori nei confronti del mobber.

    Come si vede, la discussione sul fenomeno dello stress ci introduce direttamente ai meccanismi mentali che portano la persona a identificare un’idea di sé e le sue capacità di affrontare le difficoltà della vita.

    Si sa che il mondo mentale è altamente variegato e che, dall’inizio del dibattito psicodinamico, le interpretazioni sul sé e il suo formarsi sono state le più svariate e, tuttora, nonostante gli enormi passi in avanti compiuti, tale dibattito è lontano dal ritenersi esaurito.

    Nell’elaborato si è scelto un percorso che, partendo da autori importanti del periodo di Vienna a cavallo fra il XVIII° e il XIX° secolo, mette alla base le conoscenze acquisite dagli stessi, per proporre, anche tramite autori più moderni e che appartengono a discipline differenti, un approccio che aiuti a identificare i meccanismi intrapsichici e biologici che possono minare l’integrità del sé e l’idea dello stesso per come si forma nella persona. Oltre a ciò, proprio in virtù degli aspetti dinamici determinati dal fenomeno della plasticità, che il sé e la sua idea possono avere, si promuove, descrivendone le caratteristiche, il valore delle relazioni d’aiuto, con riferimento particolare a quelle consulenziali, che possono essere di vario tipo.19

    Infatti, dipendendo lo stress dalla relazione persona-ambiente, se è vero che le sue fonti derivano dalle sollecitazioni esterne, è anche vero che non tutti gli individui rispondono allo stesso modo allo stesso tipo di sollecitazione. Ciò perché ognuno ha un suo background emozionale e cognitivo e può assegnare significati differenti allo stesso stimolo.

    Un contesto può essere di agio per qualcuno e di disagio per qualcun altro. Lo stesso significato attribuito a un evento, o a una serie di eventi, può assumere caratteri differenti. E ciò deriva da innumerevoli fattori che ci riportano al come la persona reagisce in termini di autostima-disistima agli stimoli e al come colloca il suo sé rispetto a questi.

    Ecco che, quindi, se la persona ne sente la necessità, o comunque ritiene di aver bisogno di un supporto esterno, può essere coadiuvata da una relazione d’aiuto che fornisca strumenti di lettura ambientale atti a modificare l’attribuzione di caratteri ai contesti e ai significati e che, senza sostituirsi alla titolarità di scelta, consenta alla stessa di padroneggiare meglio le difficoltà e, nel migliore dei casi, di trasformarle in opportunità.

    L’elaborato che propongo è suddiviso in tre parti organizzate per capitoli20, delle quali faccio qui una brevissima sintesi che non esaurisce gli argomenti trattati, in quanto si limita a rappresentarne la traccia principale e delle quali le prime due, finalizzate a definire chi e cosa sia l’animale uomo, rappresentano un’ampia introduzione agli argomenti sviluppati nella terza, dedicata in modo più specifico alla comunicazione e alle relazioni d’aiuto. Quindi:

    - la prima parte si interessa delle origini del dibattito psicodinamico, della relazione conscio-inconscio e del ruolo dei meccanismi di difesa, mettendo in evidenza pregi e difetti degli stessi, andando a definirli anche come meccanismi di offesa.

    - la seconda parte, vuole rispondere alla domanda di cosa sia il sé e di come lo stesso può evolvere. Presenta quindi alcuni contributi interessanti, sulla rete psicosomatica21, sull’intelligenza emotiva, sul valore delle credenze, sul pensiero positivo, sul cervello emotivo, sui neuroni specchio, sulla plasticità e sul dinamismo sinaptico.

    - la terza parte, presenta la realtà

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