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Un viaggio nella mente
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E-book414 pagine5 ore

Un viaggio nella mente

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Info su questo ebook

Tutti noi abbiamo a disposizione una mente, eppure il modo di usarla è molto diverso da persona a persona, così come diversi sono i risultati che ciascuno consegue per mezzo di essa.

È come dire che ciascuno è dotato di un paio di mani, ma ben pochi di noi sanno, ad esempio, manipolare magistralmente un mazzo di carte come un prestigiatore professionista.

Siamo certi di utilizzare la mente al meglio delle sue capacità? O stiamo perdendo molte opportunità? Stiamo rischiando di cadere nel disagio e nella sofferenza, magari senza rendercene conto?

Questo libro si propone di descrivere le sorprendenti caratteristiche della nostra mente, affinché ciascuno possa imparare modi diversi e più funzionali di usarla e lasciarsene usare, allo scopo di aumentare il nostro benessere personale e la qualità della nostra vita.

Perché se la mente sta bene e funziona bene, posso stare bene anche se qualcosa va male, ma se la mente sta male e non funziona al meglio, sto male anche se tutto va bene.

Per questo è opportuno conoscere davvero la nostra psiche.

E dunque potrebbe essere un'ottima idea quella di fare un bel viaggio nella mente…
LinguaItaliano
Data di uscita7 nov 2023
ISBN9791221416015
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    Un viaggio nella mente - Massimo Cotichella

    PERCHÉ FARE UN VIAGGIO NELLA MENTE

    Questo testo vuole essere un’opera divulgativa sulla natura e sul funzionamento della mente.

    Il suo contenuto si basa sui riscontri della letteratura in materia e sull’esperienza clinica e umana maturata dall’autore.

    Benché venga adottata una prospettiva volutamente ampia, non vi sono pretese di esaustività o completezza di argomentazioni; dato l’ambito di cui stiamo parlando, del resto, ci vorrebbe ben più di un libro anche solo per avvicinarsi ad un risultato soddisfacente sotto questo punto di vista.

    Lo scopo è quello di avvicinare il lettore al mondo della psiche e delle sue sorprendenti caratteristiche in un modo semplice, divertente e potenzialmente utile (o, quantomeno, queste sono le buone intenzioni di partenza).

    Dopo questo viaggio nella mente (o forse già durante) ciascuno saprà sicuramente cosa fare di conseguenza: aspettare la pubblicazione di una eventuale seconda puntata, approfondire in proprio determinati argomenti, dibattere con gli amici sui temi più interessanti, dedicarsi alla coltivazione dell’iperico strisciante o usare il testo come spessore per pareggiare le gambe di un tavolo (operazione, quest’ultima, che risulterà più complessa da effettuare con l’edizione e-book); è anche possibile attuare più opzioni al contempo e pure aggiungerne altre, dando libero sfogo alla fantasia.

    Ma una interessante domanda preventiva potrebbe riguardare il perché ci si dovrebbe impegnare in un viaggio di questo tipo.

    In questa epoca esistono una moltitudine di apparecchi, dispositivi e attrezzature che abbiamo imparato ad usare per i nostri scopi quotidiani, senza necessariamente sapere come funzionano, perché funzionano e a volte senza nemmeno comprendere cosa siano esattamente: quanti di noi guidano un’automobile pur non avendo una profonda conoscenza dei motori a quattro tempi, del sistema ABS o del perché un airbag esploda al momento giusto senza, tendenzialmente, fare esplodere anche i passeggeri?

    Potremmo paragonare la mente ad uno di questi strumenti e notare che si tratta di un dispositivo piuttosto fondamentale per affrontare la vita nel modo in cui la conosciamo; penso che su questo punto dovremmo essere tutti abbastanza allineati, considerando semplicemente la difficoltà di immaginare di essere vivi senza però avere una mente a disposizione.

    Possiamo anche affermare di essere in grado di usare lo strumento mente perché di fatto lo facciamo da prima di nascere, in modo spontaneo; sempre in virtù di questo utilizzo naturale e pluriennale, molti potrebbero anche sostenere, con buone motivazioni, di essere perfettamente a conoscenza di cosa sia la mente e di come sfruttarla opportunamente per i propri scopi.

    Ma la mia esperienza professionale mi ha invece fatto pensare che le cose non stiano proprio così…

    Si potrebbe pure sostenere che, nel caso ci mancasse qualche informazione specifica sull’argomento, non sarebbe un problema ai nostri giorni reperirla facilmente e a basso costo nel giro di un tempo limitato; anzi, dato che siamo una razza curiosa ed interessata a quello che succede attorno a noi, non fatico a credere che molti sappiano già un sacco di cose sulla mente.

    Sovente accade, quando approfondisco un aspetto della vita mentale nel corso di un colloquio, che il mio interlocutore o interlocutrice del momento mi citi questo o quel libro, quel tale film o uno specifico autore, che hanno ampiamente disquisito proprio su quell’argomento di cui sto parlando; di certo mi è successo più spesso che una cliente mi suggerisse un buon libro sulla mente piuttosto che il contrario: è stato scritto moltissimo sull’argomento e molto di questo materiale è piuttosto buono e potenzialmente utile.

    Tuttavia, come spesso accade ai giorni nostri, il problema vero non è tanto trovare le informazioni, quanto selezionarle e riuscire a sistematizzarle in modo che siano utilizzabili per i nostri scopi.

    Se un tempo infatti era complicato anche solo arrivare a poter consultare un testo scritto (tralasciando il non trascurabile aspetto di essere poi in grado di leggerlo) oggi, almeno in molti Paesi, non occorre nemmeno alzarsi dalla sedia per avere a disposizione quasi tutto lo scibile riportato in forma intellegibile.

    Il problema della selezione si pone immediatamente non solo nel senso di focalizzarsi sugli argomenti ritenuti di interesse, ma anche di escludere le informazioni del tutto false o quantomeno distorte e tendenziose (fake news) che qualcuno provvede a diffondere per la propria convenienza, quale che essa sia.

    Non meno pericoloso, per chi desideri informarsi su questa o quella materia, è il fenomeno dei media surge, ovvero l’impennata di notizie circolanti nei mezzi di divulgazione, relativamente ad un fenomeno che sia al centro dell’attenzione mediatica in un dato periodo, come è avvenuto per esempio all’inizio della pandemia di Covid-19.

    In tali condizioni, anche in assenza di intenti ingannevoli o addirittura delinquenziali, è spesso sufficiente l’ansia di recepire e ritrasmettere le informazioni per creare un dannoso effetto di telefono senza fili in cui il dato di partenza Carlo fuma la pipa può facilmente trasformarsi in La foresta è in fiamme alla fine della catena.

    E tutto questo, senza considerare la componente di incertezza apportata da un sano ed inevitabile confronto scientifico su questioni che si aprono a diverse letture, come accade in particolare in psicologia.

    Tanto per fare un esempio storico, psicoanalisi e comportamentismo delle origini sono modelli psicologici che non si riescono certo a conciliare con facilità, eppure sono stati a lungo e contemporaneamente considerati (magari dalle rispettive cerchie di sostenitori) del tutto autorevoli e fondati.

    Se riusciamo infine ad operare una accurata raccolta di informazioni, che presentino una buona base di riscontri empirici e un certo grado di accordo fra gli specialisti del settore, ci si pone in rapida successione l’aspetto della loro sistematizzazione all’interno di una struttura esplicativa che risulti per quanto possibile coerente.

    In senso generale questo significa che, se per ipotesi conoscessi il funzionamento della memoria e, separatamente, il funzionamento delle emozioni, non saprei ancora se e come queste due componenti possano interagire fra loro, a meno di poter utilizzare un meta modello di riferimento.

    Faccio anche presente che con la suddetta ipotesi sto semplificando di molto il problema.

    Intanto il numero di componenti, di costrutti psicologici cui si fa riferimento parlando della mente è incredibilmente elevato: la classica tripartizione in cognitivo, affettivo, comportamentale, che tende ad abbracciare il mondo della psicologia individuale, diventa immediatamente insufficiente non appena si inizia a scendere nei dettagli del funzionamento mentale.

    Inoltre ciascun costrutto è spesso a sua volta molto più complesso e articolato di quanto la sua definizione maggiormente diffusa e socialmente condivisa possa far pensare.

    La memoria ad esempio è ben lontana dal presentarsi come una struttura monolitica, ma è facile distinguere in questo ambito ulteriori sotto componenti: memoria di lavoro, a lungo termine, procedurale e così via.

    Questo libro vuole quindi proporre una certa modalità di selezione e sistematizzazione delle informazioni sulla mente, un certo quadro logico sul tema, per coloro che siano attratti o quanto meno interessati da tale branca della conoscenza.

    Certo, come abbiamo detto, non si tratta di uno strumento esaustivo, tuttavia può rappresentare un primo passo (oppure un elemento di confronto con altri approcci già intrapresi) nell’esplorazione dell’incredibilmente affascinante universo del mentale.

    Per completezza, vale forse la pena di citare un terzo ordine di problemi (oltre alla selezione e sistematizzazione delle informazioni) legato alla questione dell’approfondimento delle nostre conoscenze, ovvero quello relativo alla comprensione delle informazioni stesse.

    Secondo i dati Unesco del 2015, nel mondo l’85% della popolazione sopra i 15 anni è in grado di leggere e di scrivere, ovvero è alfabetizzata nel senso classico del termine.

    Ciascuno può avere una sua opinione personale riguardo a questo dato; personalmente ritengo quantomeno perfettibile un equilibrio globale in cui la nostra razza, da un lato, progetta esplorazioni su Marte e dall’altro non riesce ancora a fornire le basi per l’accesso alla cultura umana a 757 milioni di persone.

    Il tutto appare ancora più grave considerando che il 63% di questa fascia di popolazione risulta essere di genere femminile.

    Come se ciò non bastasse, oltretutto, è ormai ben noto che una certa parte di coloro che risultano alfabetizzati, pur potendo tecnicamente leggere un testo, non riescono in realtà ad interpretarne correttamente il significato e quindi ad utilizzarne i contenuti per la propria personale convenienza.

    Tale analfabetismo funzionale è un fenomeno forse ancora più pericoloso per la società e probabilmente più soggetto a sfuggire alla giusta attenzione che meriterebbe.

    Forse infatti tutti sono convinti che sarebbe opportuno insegnare a leggere e a scrivere ad una persona analfabeta, ma meno semplice potrebbe risultare la valutazione dell’impatto prodotto dall’analfabetismo funzionale.

    Come considerare, come accorgersi di coloro che solo in linea teorica sono indipendenti, nell’usufruire della cultura e della conoscenza messe a disposizione dalla società in cui vivono?

    Le conseguenze negative del fenomeno non si limitano alla sfera individuale, ma inevitabilmente si traspongono a quella sociale, provocando un calo del prodotto interno lordo della comunità.

    Questa forma di analfabetismo è molto meno circoscritta ai Paesi in via di sviluppo dell’analfabetismo classico ed è quantitativamente piuttosto rilevante: alcuni dati, relativi ad esempio all’Europa, parlano di percentuali di popolazione che viaggiano dall’8% dei Paesi più virtuosi al 40% e oltre di quelli meno attenti al problema (o meno capaci di contrastarlo).

    Il totale (benché non vi sia ancora una definizione operativa universalmente condivisa del processo) potrebbe aggirarsi attorno agli 80 milioni di persone nella sola Europa.

    Ovviamente, tanto nel caso dell’analfabetismo classico che in quello funzionale, un testo su un argomento complesso e strutturato non è per definizione uno strumento adeguato all’incremento delle competenze, che deve invece essere promosso da un consapevole ed organizzato intervento sociale.

    Anche questo libro dunque, per quanto votato alla semplicità ed alla divulgazione, non può essere utile a questo livello.

    Ma anche ammesso (e non concesso) che si sia in grado di comprendere la natura delle informazioni disponibili su un certo argomento o su un certo dispositivo, magari anche già opportunamente selezionate ed organizzate, vi è da considerare un ultimo aspetto che riguarda l’uso efficiente del dispositivo stesso, sulla base di tali informazioni.

    Vi sono casi in cui in realtà non abbiamo difficoltà ad utilizzare uno strumento in modi sufficientemente efficienti e sono i casi in cui l’uso del dispositivo è di fatto affidato a terzi, ritenuti competenti in materia.

    Ad esempio, anche se non conosco bene la differenza tra un motore ad elica ed uno a turbina, probabilmente non avrò problemi a realizzare l’obiettivo di spostarmi da Amsterdam a Dar es Salaam, perché mi è sufficiente sapere come acquistare il biglietto, dove si trova l’aeroporto ed evitare di portare con me due scatole di fuochi artificiali per festeggiare il capodanno nel Serengeti, onde non fare innervosire gli agenti della sicurezza aeroportuale.

    Con la mente però ci si pone un problema non trascurabile: posto che esistano esperti dell’argomento cui rivolgersi, nessuno di loro potrà mai usare la nostra mente al posto nostro.

    Nonostante tutti i preziosi consigli che ci verranno suggeriti, l’atto pratico della loro applicazione è tutto nelle nostre mani.

    Ne consegue che, se non conosco bene il funzionamento della mente e non sviluppo opportune capacità di utilizzarla, tenderò ad aumentare la probabilità di non riuscire a gestire brillantemente le situazioni che si presentano nella vita, evitando le condizioni sgradite e individuando quelle apprezzabili.

    A seconda della imprevedibile interazione delle variabili in gioco, le conseguenze di una scarsa dimestichezza con questo strumento potranno essere lievi, serie o addirittura serissime; potrei magari faticare molto ottenendo solo risultati esigui, oppure potrei non riuscire a cogliere tutte le opportunità di miglioramento e di sviluppo che possono presentarsi.

    Potrei inoltre risultare più vulnerabile e a rischio in certe altre circostanze.

    Mi troverei cioè a muovermi come un vecchio cavallo zoppo sulla sabbia bagnata, anziché scivolare elegantemente sulle onde, come un giovane delfino entusiasta e curioso.

    Affermo dunque che conoscere la mente è fatto propedeutico al suo utilizzo efficiente e che, usando la mente in modo efficiente, possiamo massimizzare il grado di benessere e di soddisfazione nella nostra vita.

    Concludo chiosando che è dunque opportuno, per tutti, essere esperti della mente.

    Attenzione: non sto sostenendo che tutti dobbiamo diventare psicologi, psichiatri o sciamani e imparare a memoria l’elenco dei neurotrasmettitori e le connessioni fra i nuclei basali e la corteccia cerebrale (aspetti che migliorerebbero la nostra cultura in materia, ma non necessariamente la nostra capacità di usare la mente in modo adeguato).

    Sostengo piuttosto che sarebbe un gran bene che tutti conoscessimo per quanto possibile come funziona la mente in generale e la nostra in particolare, perché credo che questo ci consentirebbe di vivere molto, molto, molto meglio.

    Se poi arriviamo anche a comprendere, almeno in parte, le evoluzioni delle menti di coloro che abbiamo vicini o con i quali abbiamo a che fare, allora siamo probabilmente destinati ad ottime prestazioni; doveva pensarla così anche Sun Tzu nel suo Sun–tzu Ping–fa (meglio noto come L’arte della guerra), quando affermava che:

    "Conoscere l’altro e te stesso, cento battaglie senza rischi.

    Non conoscere l’altro e conoscere sé stessi, a volte vittoria, a volte sconfitta.

    Non conoscere l’altro né sé stessi, ogni battaglia è un rischio certo."

    Dunque non sto dicendo niente di nuovo, nulla che non sia stato già attentamente valutato in precedenza.

    Tuttavia, il fatto che un principio potenzialmente utile sia stato espresso anche molte volte, non è garanzia della sua efficace applicazione nella vita quotidiana.

    Quello che rilevo, invece, è che ci troviamo a vivere in un mondo complesso, immersi in miriadi di stimoli fra loro contraddittori che quasi sempre non possono semplicemente essere soddisfatti contemporaneamente e spesso nemmeno possono essere singolarmente considerati in modo appropriato, perché non ci sono né il tempo né le risorse per farlo.

    Questa situazione (a mio avviso emersa da uno sviluppo socio-culturale prorompente, ma disordinato e mal gestito) genera una buona dose di stress e una costante incertezza, enfatizzando la naturale imprevedibilità degli eventi (anche se sovente a fronte di una apparente stabilità del nostro stile di vita).

    Nella difficoltà di districarsi in un quadro articolato e mutevole, la nostra reazione agli eventi è spesso automatica e stereotipica, piuttosto che strategicamente efficace; le nostre scelte vengono a volte dettate più dalle condizioni preesistenti e da una fragile speranza, piuttosto che da una competente analisi dei fatti.

    Inoltre, la nostra già delicata esperienza personale si incontra e si scontra continuamente con le esigenze altrettanto articolate e contraddittorie degli altri, in un effetto cumulativo che può creare ancora più confusione e difficoltà.

    Non parliamo poi della possibilità che un avvenimento traumatico (un lutto, una separazione, il fallimento di un azienda o altro) arrivi imprevisto ad appesantire la nostra situazione, rischiando di trascinarci in un baratro di sofferenza da cui riemergere è ancora più difficile.

    A volte, quasi sempre quando arriviamo a queste condizioni estreme di disagio, qualcuno si decide (o viene esortato da altri) a chiedere aiuto, cercando di trovare qualche strumento di sostegno; è a questo punto che può capitare anche a me, psicologo libero professionista, di essere chiamato in causa: difficilmente infatti ci muoviamo prima che le cose risultino pressoché drammatiche o quantomeno fortemente cronicizzate.

    È illuminante a questo proposito la frase di un mio conoscente cinquantenne, che dopo un percorso psicologico affermò: Sono grato per questo trattamento che mi ha aiutato molto ad affrontare i miei problemi… ma quanto sarebbe stato più utile se lo avessi fatto a vent’anni, quando non sapevo di averne bisogno!.

    Invece è proprio questo il mio semplice, quasi banale suggerimento: occupiamoci di noi quando abbiamo ancora energie e risorse sufficienti (e spesso la concomitante e ingenua idea di non avere bisogno di nulla), prima di venire depauperati dalle circostanze avverse della vita.

    Sostengo dunque la promozione di una profonda cultura del benessere personale, che non può prescindere da una altrettanto approfondita cultura della mente e del mondo mentale.

    Perché, se è difficile stare bene quando le circostanze ambientali sono sfavorevoli e la salute fisiologica è precaria, è del tutto impossibile stare bene se la mente non sta bene, perché in ultima analisi è la mente a segnalarci il grado del benessere percepito.

    È vero che il benessere, lo stare bene, riguarda gli ambiti fisiologico, psicologico e sociale, come ci racconta il WHO (1946); tuttavia una mente che sta bene può mitigare gli effetti di problemi fisiologici e sociali, oltre ad aiutare attivamente nella ricerca di nuove soluzioni, mentre una mente che non ha equilibrio conduce alla sofferenza, anche quando il corpo ed il contesto sono in condizioni soddisfacenti.

    Dato che questo strumento (la mente) è di fatto a disposizione di tutti noi, il problema non sta nell’approvvigionamento del prodotto ma nel conoscere e nell’interpretare le istruzioni per l’uso del prodotto stesso, in modo da riuscire a promuovere gli eventuali cambiamenti necessari.

    Tali cambiamenti possono essere resi desiderabili da una situazione di emergenza traumatica, ma possono anche nascere all’interno di una condizione stabile, magari non del tutto negativa, ma nemmeno del tutto soddisfacente per noi, per uno sviluppo ricco e armonico, per la nostra felicità.

    Tuttavia dobbiamo anche essere abbastanza onesti da capire che qui non stiamo montando un mobiletto scandinavo seguendo le relative istruzioni, sintetizzabili in sei figure interculturalmente comprensibili (anche se qualcuno di noi ha già le sue difficoltà nel montaggio del suddetto mobiletto!).

    Qui stiamo parlando di un complesso sistema organico che ha richiesto millenni e millenni per essere messo a punto dall’evoluzione: non ci sta sintetizzato in sei figure e probabilmente nemmeno in seimila figure, quindi possiamo tranquillamente ammettere di non capire certe cose di noi stessi senza vergognarci troppo.

    Nell’approcciare la mente non dobbiamo mai scordare la sua complessità.

    Inoltre l’uso appropriato di questo dispositivo, come accade per tutti gli strumenti piuttosto articolati, non può nascere solo acquisendo una serie di informazioni specifiche, per quanto corrette.

    La conoscenza teorica dovrà essere accompagnata da una padronanza pratica che si può acquisire solo attraverso una serie di esperienze situate e strutturanti, che lascino emergere e costruiscano progressivamente una personalità competente, articolata, resiliente ed equilibrata, nonostante gli inevitabili errori ed incidenti di percorso.

    E anche quelli fra di noi che oggi vivono uno stato di buon benessere generale, forse saranno piacevolmente incuriositi dall’approfondire temi che spesso sfuggono alla nostra consapevolezza; tali temi potrebbero essere utili sia per evitare, o ridurre, gli effetti di un possibile trauma futuro, sia per godere ancora meglio di quello che già abbiamo a disposizione e delle opportunità che si presentano nella nostra vita.

    Ecco i motivi per cui, secondo me, è opportuno fare un viaggio nella mente.

    Questo testo quindi vuole essere una sorta di guida per i turisti della mente, per coloro che vogliano prendere qualche informazione sul luogo che intendono visitare.

    Esso non pretende invece di assumere posizioni filosofiche o politiche (anche se ovviamente dietro c’è, inevitabilmente, la prospettiva di chi scrive).

    Non sarebbe male, oltre a rilassarsi un po’ con la lettura (che è già un obiettivo soddisfacente), arrivare alla fine del libro con qualche novità appresa, qualche convinzione confermata, qualche curiosità da soddisfare e, soprattutto, una buona dose di dubbi.

    No, non sono sadico (nessuno ad oggi mi ha formalmente diagnosticato tale, quanto meno).

    Semplicemente ritengo che il dubbio epistemologico sia un motore fondamentale, al quale non dovremmo mai rinunciare nella misura in cui esso spinga all’esplorazione, al confronto, alla critica attenta e pacata, all’avvincente ricerca di ciò che manca, di ciò che si desidera, di ciò che ci porta entusiasmo e divertimento.

    Perché, se viviamo in questa dimensione, l’obiettivo è già raggiunto prima ancora di partire.

    Buon viaggio

    P.S.: se qualcuno volesse scambiare con il sottoscritto impressioni, opinioni, ipotesi e quant’altro, prometto che tenterò di rispondere a tutti (quelli educati e garbati) con pochissimo ritardo.

    (Ovviamente il concetto di pochissimo ritardo è un personale costrutto della mente di ciascuno…)

    massimo.cotichella@libero.it

    PARTE PRIMA: BREVE STORIA DELLA MENTE

    1. Prima della mente: la vita

    Qualora volessimo raccogliere informazioni strutturate su un fenomeno complesso per noi sconosciuto, è possibile procedere in molti modi diversi.

    Ad esempio ci si potrebbe rivolgere ad un esperto o a qualcuno che riteniamo ne sappia più di noi sull’argomento, come quando chiediamo al nostro medico come mai non riusciamo a prendere sonno di sera (magari dimenticando di citare la nostra passione per lo stinco di maiale al forno) oppure domandiamo alla nostra amica dove ha comprato quei fantastici calzettoni leopardati; magari provvediamo anche in modo autonomo a reperire informazioni tramite internet, libri, riviste specializzate e così via.

    A seconda del grado di interesse e necessità, acquisiremo una certa quantità di dati che reputiamo sufficiente per i nostri scopi.

    Ad esempio, scopriamo che in una città vicina, proprio domani, avrà luogo la mostra di un artista da noi particolarmente apprezzato e decidiamo di andare a visitarla, coinvolgendo gli amici e approfittandone per una cena fuori casa in compagnia.

    Potremmo allora avere bisogno di informazioni come quelle che seguono:

    1. Quanto dista la città da noi?

    2. Vi sono mezzi pubblici che la raggiungono?

    3. Con che orari?

    4. Quanto dista la mostra dalla stazione ferroviaria?

    5. E vicino a quest’ultima c’è qualche ristorante con buone recensioni?

    6. Che tempo farà domani da quelle parti?

    7. Ma dai, c’è anche un fiume proprio in centro per una passeggiata serale…

    Si tratta di una serie di notizie che potremmo definire trasversali o sincroniche, che compongono cioè una sorta di fotografia della città in questo preciso scorcio temporale.

    Per il nostro piacevole pomeriggio potrebbero essere più che sufficienti: arriviamo con il treno delle 16.45 alla stazione centrale, che è proprio nel centro storico, per poi spostarci di un paio di chilometri (una passeggiata di mezz’oretta) e arrivare alla mostra comodamente per le 17.30 circa.

    Dopo un paio d’ore interessanti trascorse ad ammirare decine di opere d’arte, potremo cenare nel ristorantino etiope che abbiamo individuato proprio sul tragitto tra la stazione e la location della mostra; dopo cena ci concediamo ancora una bella passeggiata digestiva sul lungo fiume, tanto abbiamo portato con noi sufficienti scorte di spray antizanzare, nel caso i noiosi insetti fossero nei paraggi (le previsioni, infatti, parlano di una giornata piuttosto afosa).

    Infine, tutti a casa con il treno delle 23.30.

    Tuttavia, la stessa lista di informazioni che ci ha supportato così bene nella nostra breve vacanza, potrebbe non essere adeguata nel caso gli obiettivi del nostro viaggio non siano ludici e leggeri ma invece piuttosto articolati, ad esempio l’apertura di una attività di ristorazione in franchising.

    I dati fin qui raccolti dipingono l’ambiente di interesse in modo piatto, privo di profondità, con una semplice somma di fatti che accadono insieme in un dato momento, specificatamente orientati ad un obiettivo di rapida realizzazione (la serata con gli amici).

    Per comprendere meglio la realtà a volte è opportuno osservarla anche (non in alternativa) da un punto di vista diacronico e longitudinale, non trascurando cioè la prospettiva di evoluzione storica e la posizione relativa di un dato fenomeno nel contesto; questo approccio consente infatti un maggior grado di conoscenza, permettendo di tentare qualche proiezione per il futuro non completamente campata in aria.

    Proviamo allora ad integrare le informazioni precedenti sulla base del nuovo obiettivo:

    1. Quanto dista la città da noi?

    (e quanto dista da altri centri abitati dei dintorni, che potrebbero rappresentare un bacino di utenza per la nuova attività che stiamo pensando di intraprendere?)

    2. Vi sono mezzi pubblici che la raggiungono?

    (e in generale, com’è la rete dei trasporti? Si tratta di una zona che sta investendo in infrastrutture o è invece una regione che si sta progressivamente spopolando?)

    3. Con che orari?

    (è una città viva e popolosa in qualunque momento o devo puntare, ad esempio, sulla ristorazione in pausa pranzo perché si riempie di pendolari di giorno, ma si svuota di notte?)

    4. Quanto dista la mostra dalla stazione ferroviaria?

    (più in generale, quanto spesso vi sono mostre ed eventi di questo tipo, che attirano visitatori? è una città che investe sul turismo e sulle manifestazioni pubbliche, oppure la mostra è stata organizzata proprio lì solo perché l’artista è originario di quelle parti?)

    5. Vi si trovano locali caratteristici dove consumare una piacevole cena in compagnia?

    (ovvero, quanta concorrenza trovo, di che tipo? Vi sono molti ristoranti etnici, oppure prevale la cucina locale? Quanti locali enogastronomici sono stati aperti nell’ultimo anno? Quanti hanno chiuso?)

    6. Che tempo farà domani da quelle parti?

    (e com’è il tempo durante tutto l’anno? C’è un clima gradevole che invita alla vita fuori di casa o è meglio puntare ad un punto di ristoro dentro un centro commerciale?)

    7. Ma dai, c’è anche un fiume proprio in centro per una passeggiata serale…

    (si tratta di un corso d’acqua ben tenuto, ricco di strutture che invitano al passeggio, o è un inevitabile punto di scarico delle numerose industrie presenti in città? È meglio aprire il locale vicino al fiume o starne decisamente alla larga?)

    È facile notare come il nuovo set di informazioni risulti molto più utile (e probabilmente non è ancora sufficiente) allo scopo di attuare una efficace strategia per il nostro obiettivo.

    Occorre cioè capire come la città è evoluta negli ultimi anni, come vive e si muove durante le stagioni, quali sono le sue vocazioni, quali le sue aspirazioni.

    Se essa punta sull’industrializzazione è probabile che d’estate si svuoti mentre, se si presenta come un centro turistico, dovremo considerare l’ipotesi di poter fare buoni affari solo nel periodo delle vacanze di massa.

    Se è un posto che si sta spopolando potremmo essere tentati di abbandonare il progetto, ma se veniamo a conoscenza che c’è una pro loco molto attiva, che sta portando avanti iniziative di riqualificazione nell’area, potremmo invece decidere di puntare ad essere fra i primi a sfruttare l’occasione.

    Se è una città cosmopolita potremmo osare proporre cucina etnica di tendenza, ma in caso contrario occorrerà comprendere bene i gusti gastronomici della popolazione locale e così via discorrendo…

    Trasliamo ora lo stesso discorso verso quelli che sono gli scopi di questo testo.

    Forse qualche passaggio di questa prima parte potrà risultare un po’ più ostico ad una prima lettura, ma confido che le cose appariranno più chiare avanzando nei vari capitoli.

    Iniziamo affermando che, essendo lo scopo in gioco quello di diventare esperti della mente, sarebbe limitativo e anche fuorviante procedere senza inquadrare il discorso in una visione prospettica, che permetta di seguire le traiettorie di sviluppo della mente attraverso quel fenomeno misterioso e meraviglioso che è la vita.

    Detta in altri termini, l’affermazione potrebbe suonare così: per comprendere meglio la mente bisogna guardare alla vita, perché è la vita che ha fatto emergere la mente.

    Se devo essere del tutto sincero, sono anche abbastanza convinto che esista parimenti una connessione, una continuità che lega anche il prima della vita con il dopo che la vita ha avuto inizio: il lunghissimo percorso che parte fin dalle origini del tempo stesso, in qualche insondabile maniera, credo sia in intima relazione con tutto quanto è avvenuto dopo.

    Penso anche, tuttavia, che sia opportuno semplificare il discorso e limitarci a dare un’occhiata all’indietro risalendo solo al momento in cui le creature organiche hanno per così dire visto la luce (anche se all’inizio pare proprio che non avessero occhi per vedere).

    Il nostro gesto avrebbe trovato l’approvazione del buon Guglielmo da Ockham, monaco francescano vissuto tra il XIII ed il XIV secolo, fautore, come è noto, dell’idea secondo la quale è bene eliminare tutti gli enti inutili e superflui nella spiegazione di una realtà, riducendola così alla sua forma più semplice e immediata.

    Ma anche dopo aver applicato tale principio, noto come principio di parsimonia, e dato al nostro problema una vigorosa rasoiata, rimaniamo comunque con in mano un argomento piuttosto spinoso che riguarda il concetto stesso di vita.

    Filosofi, pensatori, biologi, fisici e molte altre figure hanno affrontato il dibattito sulla vita, ma questo è tutt’ora tutt’altro che chiuso, sia a livello scientifico che non scientifico.

    Possiamo sintetizzare le tematiche basilari del discorso sulla vita in due aspetti: la definizione ed il significato.

    Per quanto riguarda il campo della definizione, esso dovrebbe rispondere a domande quali: chi è vivo e cosa non lo è? E chi è vivo lo è da quale momento? E fino a quale momento?

    Potremmo forse trovare una ampia convergenza di opinione sul fatto che un cammello sia vivo e un pezzo di carbone no (convergenza ampia, ma magari non totale) tuttavia, ampliando la casistica, i contorni del problema appaiono più sfumati, meno univoci.

    Inoltre, finché si tratta di decidere se fare entrare o meno i virus e i retrovirus nel mega tabellone di Linneo, (naturalista svedese del XVIII secolo che introdusse una famosa tassonomia degli esseri viventi) forse possiamo tranquillamente lasciare la scelta agli addetti ai lavori, seguendo poi con un’occhiata distratta al giornale le decisioni finali in merito; ma quando si parla di stabilire se la morula sia già viva oppure no o quali parametri debbano essere considerati per dichiarare morta una persona, le cose si fanno più delicate…

    L’unico spiraglio che ci appare quale comune denominatore della vita sta nel fatto che gli organismi viventi, almeno sulla Terra, sembrano condividere una chimica basata sul carbonio e dipendente dall’acqua (Cleland e Chyba, 2002).

    Questi autori (ibid.), non

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