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Introduzione alla filosofia delle emozioni
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E-book249 pagine3 ore

Introduzione alla filosofia delle emozioni

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Info su questo ebook

Il saggio si articola in tre sezioni tematiche, dedicate rispettivamente alla dimensione espressiva, fenomenologica e pratica delle emozioni. Ciascuna sezione presenta il contributo di un autore le cui scoperte e intuizioni continuano a dettare l’agenda del dibattito contemporaneo: il grande naturalista britannico Charles Darwin e i filosofi pragmatisti americani William James e John Dewey. A partire da qui, il testo si concentra sull’evoluzione degli studi negli ultimi sessant’anni e ricostruisce orientamenti e prospettive che hanno segnato l’emergere della filosofia delle emozioni come ambito di ricerca specifico e multidisciplinare.
LinguaItaliano
Data di uscita27 giu 2022
ISBN9788849140071
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    Anteprima del libro

    Introduzione alla filosofia delle emozioni - Pia Campeggiani

    Il saggio si articola in tre sezioni tematiche, dedicate rispettivamente alla dimensione espressiva, fenomenologica e pratica delle emozioni. Ciascuna sezione presenta il contributo di un autore le cui scoperte e intuizioni continuano a dettare l’agenda del dibattito contemporaneo: il grande naturalista britannico Charles Darwin e i filosofi pragmatisti americani William James e John Dewey. A partire da qui, il testo si concentra sull’evoluzione degli studi negli ultimi sessant’anni e ricostruisce orientamenti e prospettive che hanno segnato l’emergere della filosofia delle emozioni come ambito di ricerca specifico e multidisciplinare.

    Pia Campeggiani è ricercatrice di Filosofia morale all’Università di Bologna. È stata EURIAS Fellow presso l’Università di Uppsala e ha lavorato all’Institut d’Études Avancées di Parigi. Si occupa di filosofia delle emozioni e di psicologia morale. È autrice della monografia Le ragioni dell’ira. Potere e riconoscimento nell’antica Grecia (2013).

    Syllabus

    Direzione di collana

    Roberto Brigati (Università di Bologna)

    Comitato scientifico

    Rosa Maria Calcaterra (Università di Roma Tre), Raffaella Campaner (Università di Bologna), Pia Campeggiani (Università di Bologna), Carlo Gentili (Università di Bologna), Giovanni Giorgini (Università di Bologna), Massimo Mazzotti (University of California at Berkeley), Stefano Oliverio (Università Federico II di Napoli)

    Questo volume è stato sottoposto a procedura di peer-review.

    Copyright © 2021, Biblioteca Clueb

    ISBN 978-88-491-4007-1

    Biblioteca Clueb

    via Marsala, 31 – 40126 Bologna

    info@bibliotecaclueb.it – www.bibliotecaclueb.it

    Frontespizio

    Pia Campeggiani

    Introduzione alla filosofia delle emozioni

    Biblioteca-CLUEB_logoSN8_CMYK.jpg

    Prefazione

    Questo libro, come suggerisce il suo titolo, propone un’introduzione alla filosofia delle emozioni. Offre, per la prima volta in lingua italiana, una ricognizione complessiva dei principali orientamenti filosofici e psicologici che animano la ricerca contemporanea in materia, discutendo altresì, a integrazione dei differenti approcci teorici, i risultati più rilevanti che sono stati raggiunti nell’ambito delle scienze cognitive.

    In anni recenti, il mercato editoriale italiano ha dimostrato un certo interesse per il tema delle emozioni. Per quanto riguarda gli studi storici, ad esempio, sono stati tradotti i lavori di Jan Plamper (2012) e Barbara Rosenwein (2015); di taglio prevalentemente storico o storico-filosofico sono anche il saggio dello psicologo Keith Oatley (2004), Menin (2019) e l’antologia a cura di Baggio, Caruana, Parravicini, Viola (2020). Quella di Caruana, Viola (2018) è un’agile ma accurata introduzione al dibattito contemporaneo sulle emozioni nelle scienze cognitive. Per le neuroscienze, le traduzioni dei lavori di Antonio Damasio (1994, 1999, 2003) e Joseph LeDoux (1996) sono accessibili anche a un pubblico non specialista.

    A differenza di questi contributi, il presente lavoro propone un’analisi specificamente filosofica, sostenuta da un esame dell’evidenza empirica ottenuta nell’ambito delle scienze cognitive. La complessità del fenomeno delle emozioni richiede l’adozione di molteplici metodologie di ricerca e l’elaborazione di ipotesi e spiegazioni che sappiano integrare le intuizioni e le scoperte di studiose e studiosi impegnati nell’indagine dei processi affettivi e cognitivi a partire da prospettive differenti. Questo libro affronta dunque problemi filosofici, ma ambisce a rispettare e valorizzare il carattere multidisciplinare del dibattito contemporaneo, descrivendone in modo sistematico e quanto più possibile accurato le differenti articolazioni. D’altra parte, la sua vocazione è didattica e introduttiva e non ha pretese di esaustività: la scelta di quali aspetti e tradizioni privilegiare nella trattazione risponde all’esigenza di offrire uno strumento che consenta a chi legge di acquisire familiarità con i problemi affrontati e di proseguire lo studio e la ricerca in modo autonomo.

    Il saggio si concentra sull’evoluzione degli studi negli ultimi sessant’anni e ricostruisce orientamenti e prospettive che hanno segnato l’emergere della filosofia delle emozioni come ambito di ricerca specifico e costitutivamente multidisciplinare. A un capitolo introduttivo, che presenta il problema della definizione delle emozioni, seguono tre sezioni tematiche, dedicate rispettivamente alla loro dimensione espressiva, fenomenologica e pratica. Ogni sezione si apre con la presentazione del contributo di un autore le cui riflessioni continuano a dettare l’agenda del dibattito contemporaneo. A partire da Charles Darwin per Espressione, William James per Esperienza e John Dewey per Azione, si sviluppa così un percorso volto a illustrare come le intuizioni di questi protagonisti sono tuttora oggetto di rielaborazione e discussione. Espressione include la trattazione di posizioni evoluzioniste e universaliste e, come contraltare critico, del costruzionismo. Esperienza presenta la teoria somatica delle emozioni di Damasio e introduce il tema del rapporto tra emozioni e valori, discutendo le proposte che sono state avanzate nell’ambito della tradizione cognitivista e di quella percettualista. Azione, infine, presenta le teorie filosofiche più esplicitamente orientate a valorizzare la dimensione motivazionale delle emozioni e include l’illustrazione dei nuovi approcci ispirati alla cosiddetta 4E cognition, con speciale attenzione per la corrente enattivista. Ciascuna sezione si conclude con l’approfondimento di un tema particolarmente significativo su cui misurare la tenuta delle teorie che sono state discusse: la capacità di riconoscere e comprendere le emozioni degli altri (Dibattito I), il rapporto tra stati affettivi e decisioni razionali (Dibattito II) e quello tra emozioni e immaginazione (Dibattito III). In appendice, infine, una bibliografia ragionata raduna i titoli principali e più recenti utili per proseguire lo studio in modo autonomo (Approfondimenti). Questa scelta ha reso possibile ridurre al minimo il numero delle note con l’auspicio di rendere la lettura più scorrevole. Nel corpo principale del testo compaiono comunque i riferimenti primari e ciascuno dei Dibattiti è già corredato della bibliografia di approfondimento.

    Introduzione alla filosofia delle emozioni è principalmente rivolto a studenti e studentesse di livello universitario, ma nondimeno è pensato per chiunque desideri intraprendere lo studio delle emozioni e necessiti di una guida aggiornata al panorama delle ricerche filosofiche contemporanee.

    *

    Ove non altrimenti specificato, le traduzioni in italiano sono mie.

    Ho utilizzato il carattere corsivo per enfatizzare parole o espressioni particolarmente significative e per riferirmi, in senso tecnico, a vocaboli (per es., il termine emozione) e nozioni (per es., la nozione di prototipo). Il maiuscoletto indica concetti e categorie (per es., la categoria di gioco) e le virgolette doppie alte, infine, sono riservate all’illustrazione del significato semantico di termini o perifrasi (per es., l’accezione di tumulto) o all’indicazione che un determinato termine è utilizzato con riserva.

    Il materiale presentato in questo libro è inedito. Dibattito III. Le emozioni per chi non esiste propone tesi che ho già sostenuto in Campeggiani (2020).

    Ringraziamenti

    Sono fortunata e sono molte le persone che devo ringraziare per avermi aiutata, a vario titolo, nella stesura di questo libro. Sono grata a Giacomo Campeggiani, Sonia Gherardi, Ida Campeggiani e Luca D’Onghia. Ringrazio Jean-Alexandre Perras e Vincenzo Reale. Roberto Brigati, Marta Caravà, Giuliano Pancaldi, Andrea Panzavolta, Matteo Santarelli, Andrea Scarantino e Fabrice Teroni hanno letto il manoscritto o alcune sue parti e i loro commenti sono stati utilissimi. Fabrice, in particolare, è stato un interlocutore disponibile e generoso. Marco Viola si è offerto di leggere criticamente l’intero manoscritto e mi è stato di grande aiuto. Resto naturalmente la sola responsabile di eventuali inesattezze ed errori. Grazie, infine, al mio amico Roberto Brigati per avermi invitata a scrivere questo libro per la sua collana. Quello che so delle emozioni, e come studiarle, me lo ha insegnato Douglas Cairns: questo libro è per lui.

    Introduzione

    1. Definire le emozioni

    Il termine emozione è entrato nella lingua italiana come adattamento del francese émotion (derivato di émouvoir, dal latino motio) intorno alla metà del Seicento. Passarono altri cent’anni prima che il suo significato, dall’accezione generica di tumulto e sollevamento, si specializzasse in quella oggi prevalente di reazione o stato affettivo; e ci vollero circa tre secoli perché i puristi della lingua cessassero di osteggiarne l’uso¹. Ancora nel 1905, nel Dizionario moderno, Alfredo Panzini dà voce a una certa perplessità circa i derivati emozionare ed emozionante: «neologismi di manifesta provenienza francese […]. Commuovere e commozione indicano una sensazione più profonda e nobile e perciò si spiega l’uso di tale neologismo, benché non manchino locuzioni molte e varie in nostra lingua per rendere la parola émotionner»². Persino più esplicita la disapprovazione del Rigutini-Cappuccini per il sostantivo emozione: «ripeterò col Tommaseo che di queste emozioni ce n’è da fare un terremoto… È dunque, si può affermare con ogni certezza, uno di quei gallicismi, dai quali si guarderà sempre chiunque, distinguendo l’uso dall’abuso, vorrà parlare e scrivere italianamente»³.

    È piuttosto sorprendente pensare che un termine che oggi è d’uso così comune sia comparso soltanto da poco nella storia della nostra lingua⁴. Ma ancora più sorprendente è riflettere sul fatto che, nonostante le emozioni siano ormai ovunque, dalla tastiera emoji dei telefoni cellulari ai laboratori di neuroscienze, dai film di animazione della Pixar alla ricerca accademica in filosofia, psicologia, antropologia, sociologia, economia e numerosissime altre discipline, non esiste una definizione condivisa di emozione perché non vi è accordo su che cosa un’emozione, in effetti, sia. Un buon punto di partenza per farsi strada nel panorama contemporaneo della ricerca sulle emozioni è proprio l’analisi delle ragioni di questo disaccordo.

    Tante teorie, altrettante definizioni

    Odissea, canto ventesimo. Odisseo giace disteso, coperto da un mantello, nell’atrio della reggia di Itaca, dove ha fatto ritorno, travestito da mendicante, dopo vent’anni di assenza. Il suo regno e Penelope sono assediati dai Proci, che banchettano e festeggiano con le ancelle, ignari della vendetta che sta per abbattersi su di loro. Odisseo,

    meditando la strage dei pretendenti in cuore, / giaceva desto. E dalle stanze le donne / uscivano, quelle che sempre coi pretendenti si univano, / una all’altra augurando riso e piacere. / Nel petto di lui si gonfiava il furore; / molto era incerto nell’anima e in cuore, / se avventarsi a un tratto e dar morte a tutte, / o ancora lasciar che facessero coi pretendenti l’amore / per l’ultima volta; il cuore gli latrava di dentro. / Come una cagna, che i teneri cuccioli bada, / se non riconosce l’uomo, latra e si tien pronta a combattere, / così dentro latrava il suo cuore, sdegnato dalle azioni malvage. / Ma, comprimendo il petto, rimproverava il cuore: / Sopporta, cuore: più atroce pena subisti / il giorno che l’indomabile pazzo Ciclope mangiava / i miei compagni gagliardi, e tu subisti, fin che l’astuzia / ti liberò da quell’antro, che già di morire credevi. / Così diceva, nel petto rimproverando il suo cuore; / e fermo nell’obbedienza restava il cuore costante, / tenacemente; ma lui si voltava da una parte e dall’altra (Od. XX, 5-24; trad. R. Calzecchi Onesti).

    Leggendo questi versi, molti filosofi delle emozioni decostruirebbero la narrazione identificando alcuni aspetti salienti dell’esperienza emotiva di Odisseo. La percezione di uno stimolo (le risate delle ancelle traditrici) infiamma l’ira dell’eroe. Il pensiero dell’insulto e dell’ingiustizia, dei Proci che insidiano Penelope e dilapidano i suoi beni, si accompagna a potenti alterazioni fisiche, descritte da Omero per mezzo di suggestive metafore che alludono alle sensazioni provate da Odisseo: il desiderio di rivalsa gli si gonfia in petto, il furore della collera abbaia come una cagna. Odisseo sta per cedere alla brama di vendetta, sente l’impulso di avventarsi sulle donne per ucciderle, ma sa di dover aspettare. Ricorda a se stesso come in passato abbia saputo sopportare pene ancora più atroci e domina la propria collera.

    Percezioni, pensieri, sintomi fisici e sensazioni, desideri, impulsi ad agire, modulazione di ricordi e aspettative: in quale di questi aspetti – si chiederebbe il filosofo – consiste l’emozione di Odisseo? Ve n’è uno più importante degli altri, senza il quale l’emozione non sarebbe tale? O forse l’emozione è costituita dall’integrazione di tutti questi elementi? Differenti teorie propongono differenti definizioni a seconda di quale componente ritengano essenziale perché si possa parlare di emozione. Per esempio, alcuni privilegiano le sensazioni soggettive come elemento distintivo delle emozioni, mentre altri ne identificano il tratto caratterizzante nella relazione che esse intrattengono con i valori, cioè nel processo di valutazione delle circostanze che le hanno elicitate; altri ancora, invece, definiscono le emozioni nei termini della spinta motivazionale a intraprendere determinate condotte d’azione⁵.

    Avremo modo di passare in rassegna le varie proposte che animano il dibattito contemporaneo e di valutarne i punti di forza e di debolezza. Prima di cominciare, però, c’è una questione preliminare che è bene mettere a fuoco e che riguarda l’opportunità stessa di intraprendere la ricerca di una definizione di emozione.

    La categorizzazione non è cosa da prendere alla leggera

    Secondo la prospettiva tradizionale, una categoria è definita da un insieme di proprietà che sono condivise da ciascuno dei suoi membri e che ciascuno dei membri possiede per ragioni intrinseche. Di conseguenza, dobbiamo essere pronti ad ammettere x come membro della categoria C se e solo se x presenta le caratteristiche essenziali e definitorie di C. Il riconoscimento, da parte nostra, di tali caratteristiche è irrilevante per quanto riguarda l’esistenza della categoria, la quale è oggettivamente presente nel mondo in virtù delle proprietà connaturate ai suoi membri. A prima vista, tutto ciò sembra piuttosto ovvio; ma, ci ha avvertiti George Lakoff, «la categorizzazione non è cosa da prendere alla leggera» (Lakoff, 1987, 5).

    Il primo a rendersi conto che la visione tradizionale è altamente problematica è stato Ludwig Wittgenstein. Nelle Ricerche filosofiche, pubblicate postume nel 1953, introduce infatti la nozione di somiglianze di famiglia, osservando che categorie quali, per esempio, quella di gioco, lungi dall’essere definite da un insieme di proprietà condivise da ciascun membro, includono elementi che si somigliano in una grande varietà di modi. Prendiamo, per esempio, gli scacchi, il poker, la pallavolo e i giochi di ruolo dei bambini: non tutti sono giochi di strategia, né di squadra; a poker si compete per la vittoria, mentre spesso, nei giochi di ruolo, i bambini non vincono né perdono; a volte si gioca per divertimento, altre per sport o per professione; e così via. Inoltre, non solo la categoria di gioco non è definita dal possesso, da parte dei suoi membri, di una collezione specifica di caratteristiche, ma i suoi confini sono elastici: essa può infatti estendersi per includere nuovi giochi, a patto che questi presentino opportune somiglianze con gli elementi che già sono inclusi come membri. Così è avvenuto, per esempio, con i numeri: interi, razionali, reali, complessi, e così via.

    Non esistono confini naturali per le categorie e, nella gran parte dei casi, la questione non si può porre nei termini dell’alternativa dentro o fuori⁶: è grazie alla ricerca pioneristica della psicologa cognitiva Eleanor Rosch che abbiamo oggi a disposizione una prospettiva teorica d’insieme, supportata da sostanziale evidenza sperimentale, circa il problema della categorizzazione. Rosch ha avuto il merito di identificare e illustrare due fenomeni che sarebbe impossibile spiegare sulla base dell’approccio classico alle categorie: in primo luogo, se fosse vero che le categorie sono definite dall’insieme di proprietà condivise dai loro membri, ciascun membro dovrebbe esemplificare la propria categoria di appartenenza al pari di tutti gli altri. Invece non è così: introducendo la nozione di prototipi, Rosch ha mostrato come vi siano esempi migliori e peggiori dei membri di una categoria. Per esempio, per la maggior parte degli abitanti del Nord America i passerotti e i pettirossi sono più rappresentativi della categoria uccelli di quanto non lo siano i pinguini o gli emù (Rosch, 1975). Alcuni tipi di frutta, come le mele e le pere, sono esempi prototipici della categoria. Le ciliegie sono un buon esempio, mentre la noce di cocco non è particolarmente rappresentativa. La categoria di frutta ha una struttura interna, poiché il suo meccanismo di inclusione funziona per gradi, non per identificazione di un insieme stabile di proprietà caratterizzanti e conseguente esclusione degli elementi che non posseggono tali proprietà. Inoltre, la categoria di frutta non è delimitata da confini netti e precisi e si confonde con categorie limitrofe, come quella di verdura. Così, se dal punto di vista botanico la zucchina è un frutto, da quello pratico e contestuale (cioè a tavola) somiglia per noi più all’insalata o agli spinaci che alle arance.

    In secondo luogo, come ha osservato Rosch, se i membri di una categoria possedessero l’insieme di proprietà che ne determina il diritto d’appartenenza in modo intrinseco, oggettivo e indipendente da chi opera la suddivisione in categorie, nessuna caratteristica fisica, psicologica, sociale o culturale di quest’ultimo dovrebbe interferire con la specificazione di tali proprietà. Rosch ha mostrato come, invece, un ruolo funzionale ed epistemologico determinante nella formazione delle categorie sia giocato da una molteplicità di fattori, inclusi la neurofisiologia, le capacità e le possibilità sensorimotorie e la facilità di processing cognitivo in termini mnemonici, di apprendimento, riconoscimento e comunicazione (per es., Rosch, 1978). Di conseguenza, gli attributi che percepiamo come caratterizzanti del livello base delle nostre categorie concettuali, pur sembrandoci inerenti alla realtà esterna, di fatto emergono dal modo in cui con essa interagiamo: dai nostri programmi motori, dalle nostre capacità e possibilità visive, dalle nostre priorità culturali e dai nostri scopi⁷.

    Un eccellente esempio di come siano le capacità biologiche e le esperienze fisiche e culturali degli esseri umani a determinare le proprietà di certe categorie è offerto dai risultati delle ricerche di Brent Berlin e Paul Kay. Nel 1969, i due pubblicarono un libro, Basic color terms, in cui illustravano due sorprendenti scoperte. La prima era che, sebbene esistano significative variazioni di vocabolario tra una lingua e l’altra per quanto riguarda il lessico dei colori, vi sono modi più naturali di altri di suddividere lo spettro cromatico. Nonostante le differenze culturali e indipendentemente dalla terminologia a disposizione, parlanti di lingue diverse compiono scelte affini quando si tratta di scegliere la tonalità più rappresentativa all’interno di una certa area cromatica. I colori focali sono gli esempi migliori di ciascuna tonalità e a essi sono associati quelli che Berlin e Kay chiamarono

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