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Gli Eterni
Gli Eterni
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E-book350 pagine4 ore

Gli Eterni

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Info su questo ebook

Gli Eterni, né umani né vampiri, sono gli ultimi abitanti di una Terra morente. Davanti ad un sole che sta morendo lentamente, alcuni hanno accettato il loro destino, mentre altri sono pronti a combattere per il loro futuro. È con questo ultimatum che nasce Jean, l'ultimo Lord Eterno.

La vita di Jean cambia drasticamente dopo che il suo morso toglie la vita alla Principessa Chantelle dell'Alleanza della Nuova Europa. All'improvviso, è un uomo in fuga, che si innamora e riscopre la sua umanità.

Quando il tempo del sole è agli sgoccioli, Jean passa da disavventure manipolate ad antiche cospirazioni, ed altro ancora, mentre cerca di far pace con il suo sordido passato.

LinguaItaliano
Data di uscita16 giu 2020
ISBN9781071552513
Gli Eterni

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    Anteprima del libro

    Gli Eterni - Richard M. Ankers

    Capitolo Uno

    Indifferente

    Certe volte la fine è solo un inizio.

    Jean

    #

    La mano fredda e morta di Chantelle scivolò nella mia come ghiaccio rivestito di velluto.

    Sul balcone, Monsieur?

    Ti prego, chiamami Jean. Sai che le formalità mi fanno sentire vecchio, Principessa.

    E non lo sei? ridacchiò.

    Le riservai un’occhiataccia, stringendo gli occhi.

    Ondeggiando maestosamente, mi condusse fuori, sul balcone illuminato dalla luna, una leggera brezza smuoveva la seta viola del suo vestito e le scompigliava le fluenti ciocche corvine. Né l’orchestra né i festaioli si accorsero della nostra assenza, troppo assorbiti dai loro futili piaceri.

    Cespugli sparsi di geranio emanavano un lieve effluvio nella notte, in zaffate di profumo delizioso. La fragranza circolava nelle correnti d’aria, mischiandosi all’odore squisito di Chantelle. Lei era tutto ciò che un uomo poteva desiderare, la perfezione personificata.

    Vieni qui, l’attirai a me, incurante di occhi indiscreti. Non mi importava nient’altro, perché avrebbe dovuto interessarmi?

    Vieni qui, Principessa, mi corresse, premendo curve nascoste contro il mio corpo.

    Se avessi potuto ricordare come ci si sentiva ad essere felici, quel momento ci sarebbe andato vicino, le ciglia che sfarfallavano con modestia aumentavano la sua attrattiva.

    È bellissimo, vero, Jean?

    Non quanto te, dissi, e mi sporsi sulla balaustra. Le acque rosse del Danubio si inturgidivano circondando il perimetro del palazzo, formando una barriera naturale contro ospiti non desiderati. Era quello lo scopo preciso della loro progettazione. La Natura non aveva avuto voce al riguardo.

    Balliamo? sussurrò Chantelle, quando l’orchestra allontanò la mia attenzione dal fiume. C’era solo un tipo di musica per tali occasioni: Strauss.

    Ballammo il valzer in cerchi lenti, sulle ironiche note del Bel Danubio Blu. Dubitavo che il compositore avrebbe generato la stessa risposta al suo capolavoro, se l’avesse intitolato Rosso. Una luna piccola come una torcia splendeva da una luccicante eternità, mentre volteggiavamo sul pavimento di ebano lucido. Avrebbe potuto esserci qualcosa di meglio? Ne dubitavo. L’essere morti non impediva di apprezzare le cose più belle della vita.

    Avevo provato il meglio della vita negli ultimi cinquecento anni e, a differenza di alcuni, mi ero goduto ogni secondo. Cosa c’era da non apprezzare? Cenare con persone di un certo lignaggio, condividere sarti con re e regine, fare passeggiate gotiche senza paura, quella era la vita, o la morte, che avevo sognato. Non mi era mai mancata la luce del sole, e la giudicavo terribilmente sopravvalutata. Il sole aveva dato un tale falso senso di benessere ai vivi. Solo nella chiarezza cristallina di una luna lucente un oggetto brillava realmente. Il serpente non era una brutta bestia strisciante, ma una creatura sensuale e seducente. Il pipistrello superava di gran lunga l’uccello, perché non desiderava l’adulazione che il volatile bramava. E il lupo, ah, il lupo, che ne si poteva dire? Solo che i lupi grigi di una volta, con la luna piena a far loro da sfondo, era qualcosa di una maestosità surreale. In un mondo di piaceri scolpiti, fatto per elogiare la notte, costruito per l’esuberanza, camminavo indisturbato. Chi volevo convincere, odiavo tutto! Quanto avevo invidiato ai lupi la loro libertà, l’unica cosa che non avrei mai posseduto.

    Restiamo qui fuori sotto le stelle, Monsieur?

    Il bellissimo accento francese della mia compagna mi riportò alla realtà.

    Dimmi, Jean, cosa desideri?

    Stare con te.

    Puoi stare con me quando vuoi, ma solo una volta in questo istante.

    Posso chiudere gli occhi e immaginare questo momento ogni volta che voglio.

    Non è la stessa cosa e lo sai, mi rimproverò. Un altro battito di quelle ciglia scure portò una breve perturbazione nei suoi lucenti occhi d’ametista.

    No, probabilmente no, ma mi piacerà comunque farlo.

    Chinò la testa di lato, come se l’aiutasse a pensare. Sai, Jean, bisbigliò. Con quei lunghi capelli scuri, e quegli occhi neri e cupi, sei bello da morire. Chantelle gettò i capelli all’indietro e sorrise, l’elegante collo di porcellana invitante.

    Fu una cosa momentanea, un’urgenza incontrollabile, e le conficcai le zanne nella carne, e succhiai, e assaporai, e bevvi.

    Non so quanto mi ci volle, per saziarmi, ma non fu molto. Quando ebbi finito, il sentore metallico del suo sangue mi copriva la lingua, e lei era morta. L’avevo portata oltre il punto di non ritorno, dove lussuria Eterna e immortalità si fondevano. La mia distrazione aveva infranto l’unica legge sacrosanta della vita Eterna, il peccato originale, il collegamento proibito ad un passato di cui vergognarsi: avevo ucciso la Principessa Chantelle dell’Alleanza della Nuova Europa, unica figlia di Re Rudolph e, per la prima volta da molto tempo, andai nel panico!

    Di regola, ero imperturbabile, dopo tutto, cosa avrebbe potuto smuovermi, quando ero già morto? Ma uccidere una principessa di certo ne aveva il potere. Per cui, continuai a ballare, stringendo Chantelle, e mi spostai oltre le doppie porte fino al margine del balcone. Muovendo le nostre forme congiunte, osservavo i festeggiamenti nella sala da ballo: gli invitati alla festa ondeggiavano con l’orchestra, ignorando tutto tranne loro stessi. Mi sfuggì un sogghigno. Una volta sicuro della nostra privacy, scavalcai la ringhiera con il mio carico. Era un salto di circa dieci metri, niente che non potessi affrontare, e presto raggiunsi la sponda del fiume fiancheggiata di alberi. Stringendo Chantelle come avrebbe fatto un amante, mi assicurai di nuovo della nostra solitudine. Laddove i miei occhi Eterni non arrivavano, gli altri sensi, olfatto e udito, sopperivano. Confermarono che non c’erano altri presenti, se non io e il mio cadavere. Attesi che una nuvola opportunamente nascondesse la luna, e poi lanciai la sua forma defunta nelle acque porpora. Il corpo di Chantelle colpì la superficie con un rumore poco dignitoso, e poi sparì per gradi, i capelli corvini gli ultimi a sparire, come alghe in mare. Mi sarebbe piaciuto poter dire che mi dispiaceva vederla scomparire, ma, ad essere onesti, al massimo ero indifferente.

    Tornando sui miei passi sotto il balcone, ebbi un’improvvisa epifania: non potevo tornare da dove ero venuto. Dovevano averci visti uscire insieme sul balcone. No, mi serviva un’altra via di fuga.

    Non desiderando farmi trovare fuori da solo, notai dell’edera rampicante dall’aria robusta e, capovolgendo un comportamento parassita, mi arrampicai in cima al palazzo. Non sentii nessuna letargia, mentre mi trascinavo sopra un gargoyle particolarmente brutto sul tetto del palazzo, il sangue di Chantelle mi aveva rinvigorito.

    Avendo sempre amato particolarmente le viste spettacolari, mi presi un momento per godermi il panorama. Era incredibile! Di classe, e pieno di opulente cupole di piacere. Posizionato in modo da avere una visuale completa su montagne e fiume, il Conte di Borgogna, un intelligente gioco sul colore, dato che di certo non era di nobile lignaggio, poteva tenere il suo occhio vampiresco su mezzo mondo. Non che ci fosse più nessuno su cui tenere un occhio, ma sospettavo che fosse un po’ insicuro e che questo lo aiutasse a dormire. Gli invidiavo la casa, però. Se l’aveva costruita per se stesso, non riuscivo a ricordarlo, né ricordavo di averlo visto, ma lo dipingeva in una luce migliore di quanto sembrasse. Non sopportavo il piccoletto, per il resto.

    Vagabondai sul tetto inclinato cercando un punto da cui accedere ai saloni principali, quando mi resi conto di essere stato scoperto.

    Buona sera, Jean, venne la voce lamentosa di Sir Walter Merryweather.

    Buona sera, risposi, con aria disinvolta.

    Stai facendo una passeggiata?

    No, in effetti mi sono perso. Stavo cercando la latrina e, in qualche modo, mi sono trovato di fronte quella sbagliata.

    Hi hi, sì, certo.

    E tu?

    Noia, come sempre.

    Potresti trovarti nei guai, per aver detto una cosa del genere.

    Potrei, ma non succederà. Mi fece l’occhiolino e si toccò il naso con dito guantato di velluto verde, che si intonava alla perfezione al resto dei suoi vestiti.

    Vista incredibile.

    Sempre. Il Danubio è un fiumiciattolo impressionante. Non mi stanco mai di vederlo pulsare come la giugulare di una vergine. Ah, quei giorni felici, aggiunse, soffocando uno sbadiglio. Hai scaricato Charlotte?

    Chantelle, lo corressi. E preferirei dire che sono sfuggito al suo stucchevole zelo, per un po’, almeno. Guardai attentamente Walter, ma lui non reagì, e sospettai che il mio segreto fosse al sicuro. Vuoi tornare al ballo? chiesi.

    Non proprio. Disprezzo tutto questo mettersi in mostra. Le mie zanne sono più grandi delle tue, eccetera eccetera. Siamo davvero diventati così melodrammatici?

    Be’, è la fine del mondo, o così dicono. Tanto vale andarsene in modo plateale.

    Tanto vale, concordò. Anche se, preferirei squarciare gole umane e succhiargli l’anima.

    Immagino.

    Ah, dimentico quanto sei giovane.

    E io quanto tu sia vecchio.

    Perdere l’umanità ha segnato l’inizio del mio torpore.

    Se lo dici tu.

    Diciamo che entrambi lo troveremmo infinitamente più piacevole che bere da una sacca.

    Vero, convenni, mentre lui si alzava per spazzolare via il muschio dal suo completo.

    Bene, allora, andiamo, riuniamoci al tedio e a tutto il resto.

    Dopo di te, dissi, con un gesto della mano. Sempre impeccabile sotto pressione, sorrisi fra me e me e lo seguii giù dal tetto, attraverso una porta che non avevo nemmeno notato, verso altre note di Strauss. Non mi aspettavo di sentirmi mai più allo stesso modo, ascoltandolo. Preferivo di gran lunga Wagner, comunque.

    Merryweather mi condusse lungo un labirinto di corridoi soffocanti, il cui scopo mi sfuggiva, prima di riapparire, infine, in uno dei palchi reali che si affacciavano sulla folla danzante.

    Non ti fa venire il voltastomaco, Jean?

    Cosa?

    Tutto questo. Allargò le braccia per racchiudere l’enorme sala da ballo, incurante di chi avrebbe potuto vederlo.

    Fornisce dell’intrattenimento, dissi, scostandomi una lunga ciocca scura dagli occhi.

    Bah, intrattenimento! Abbiamo macchine che possono spostare montagne, l’abilità di creare risorse quasi infinite, e tuttavia questo è il risultato di tutti i nostri progressi, il divertimento. Merryweather batté con forza una mano guantata di velluto sul parapetto. Ero certo fosse più per effetto che per rabbia.

    Già annoiato dal damerino, nonostante i suoi improvvisi scatti di ribellione, decisi di congedarmi. Dovrei davvero trovare la principessa, prima che qualche altro galantuomo Eterno la porti via prima dell’alba.

    Ah, ti va un tuffo di mezzanotte, quindi?

    Non nuoto.

    Chi ha parlato di nuotare?

    Hmm. Alzai gli occhi. Devo proprio andare.

    Merryweather mi guardò con qualcosa di simile al sospetto, prima di toccarsi un cappello immaginario. Ero stato congedato, e non me lo feci ripetere due volte. Dopo un rapido controllo, saltai dal parapetto, e caddi per una considerevole distanza sul pavimento della sala da ballo, atterrando opportunamente ai piedi della Marchesa di Renania e un gruppetto di sue seguaci. Era un titolo pomposo per una donna pomposa, ma aveva splendide gambe.

    Signore, dissi, e feci un finto inchino.

    Ooh, Jean, sei particolarmente delizioso, stasera. Alto, bruno e bello come sempre, vedo, sbavò la Marchesa. I suoi occhi color ghiaccio luccicavano alla luce di una dozzina di candelabri.

    Come lei, Marchesa.

    Oh, Jean, sai che devi chiamarmi Portia.

    Scusami, Portia, certe volte me ne dimentico.

    Non eri con la principessa? chiese, facendo ridacchiare le sue amiche sfatte.

    Sì, ma sospetto di averla infastidita. Mi sta punendo con la sua assenza.

    È davvero una punizione?

    Mi avvicinai, per quanto ci si possa avvicinare a qualcuno vestito a strati come una zuppa inglese, e bisbigliai, Non proprio.

    Oh, Jean, sei proprio un Lord Eterno molto dispettoso.

    Potrei esserlo.

    Il luccichio nei suoi occhi era come il suo leccarsi le labbra: lascivo.

    Ti andrebbe di lasciare questo ballo noioso?

    La Marchesa si guardò intorno, come se cercasse qualcuno, prima di stringere la sua mano guantata sulla mia. Salutò frettolosamente le sue compatriote, poi mi guidò languidamente fuori dalla sala da ballo. Nessuno ci degnò di una seconda occhiata, tutti troppo presi dai loro divertimenti.

    Uscimmo attraverso le doppie porte dorate, e percorremmo un corridoio di avorio lucido. Questo mi permise di fingere ammirazione per alcuni degli affreschi più teatrali che coprivano ogni centimetro: un sicuro segno di esagerazione e cattivo gusto. Poi, uscimmo dall’ingresso di cristallo luccicante, e fummo fuori, sulla scalinata di marmo. Mettendosi in posa teatrale, la Marchesa fece un cenno ad un valletto, che le fece portare rapidamente la carrozza. Non avevo idea di cosa la trainasse, a meno che non fossero cavalli dello stesso colore della notte. Senza degnare di uno sguardo nessuno dei servitori, salì i gradini di tartaruga intarsiati, entrando nel suo boudoir mobile, e sedette dando le spalle al cocchiere. La seguii, facendo del mio meglio per non pestarle il vestito, e mi sedetti sul sedile di pelle bianco di fronte a lei.

    Sembra sia passato molto tempo, dall’ultima volta che ti ho avuto tutto per me così, tubò.

    Immagino sia quasi un secolo, risposi, sistemandomi i polsini della giacca.

    Vedo che ti rifiuti di sottometterti ai capricci degli altri, il solito ribelle. La Marchesa alzò il mento, accennando ai miei abiti neri.

    Mi conosci. Le vecchie abitudini sono dure a morire.

    So esattamente cosa intendi.

    Se la Marchesa avesse avuto intenzione di divulgare i suoi pensieri, il violento scossone della partenza glielo impedì. In un attimo di brutalità che le fece snudare le zanne, la Marchesa picchiò due volte contro la parete della carrozza e urlò ai cocchieri di non farla sobbalzare di nuovo. La crepa nel pannello, dove il suo pugno aveva colpito il legno, dimostrava qual era la portata della facciata di decoro. Come sempre, la trovavo disgustosa. Voltandosi verso di me, di nuovo angelica, continuò.

    Ti sono mancata, Jean?

    Ci siamo visti in diverse occasioni. Questo mondo costruito è troppo piccolo, perché non si incontri qualcuno per troppo tempo.

    Sai che voglio dire, ridacchiò.

    Non proprio, risposi, onestamente.

    Hm, fare il duro non funzionerà con me. Vedo oltre la tua maschera di sdegno. La luce della luna entrava attraverso il finestrino della carrozza, e dava una strana aria di follia ai suoi occhi, mentre si chinava verso di me.

    Non ci sono maschere, con me. I miei sentimenti verso questa vita non cambiano da secoli.

    Arretrata nel suo sedile, guardai la Marchesa riflettere sulle mie parole con l’aria di una bambina incapace di capire una domanda.

    Lo odi davvero così tanto? chiese.

    .

    Ma perché? Abbiamo tutto ciò che il nostro cuore desidera, e se non lo abbiamo lo creiamo.

    È proprio questo, il motivo. Guardai fuori dal finestrino il paesaggio teatrale che scorreva.

    Sei un uomo molto misterioso, ridacchiò, venendo a sedersi accanto a me. Bellissimo, vero? mi sussurrò all’orecchio.

    Forse, se ti piace che Alpi e Himalaya si mischino. È solo che preferisco gli originali.

    Non sapevo se la Marchesa mi avesse sentito, dato che la sua bocca si chiuse sul mio collo. Mi agitai sul sedile, appena sentii le pressioni gemelle, non forti abbastanza da lacerare la pelle.

    Ora, dimmi che non hai ancora sentito la mia mancanza, parole di seta coperta di miele le scivolarono fuori dalla bocca.

    Non ho ancora sentito la tua mancanza, alitai, mentre le nostre bocche si incontravano e, almeno per un po’, mi sottomisi a lei come il giocattolo che ero stato.

    Il tempo e lo spazio si fusero; sospettai che la Marchesa ne avesse manipolato uno o entrambi a proprio beneficio. Non me ne lamentai. Le sue attenzioni si provarono un sollievo sorprendente da quello che era successo al palazzo. Ero ovviamente abituato ad avere donne che si gettavano ai miei piedi per un motivo o per un altro. Tuttavia, averne due così potenti farlo nella stessa notte era una nuova esperienza. La prima nuova esperienza da più tempo di quanto volessi ricordare.

    #

    Avevo appena finito di abbottonarmi i calzoni, quando la carrozza si fermò di colpo. Spedito di testa nel corsetto della Marchesa, fui molto contrariato dal farmi trovare in quella posizione dal solerte cocchiere. Se aveva pensato fosse una cosa strana, non lo diede a vedere, mentre la Marchesa si lasciava andare ad un ringhio indecoroso dal fondo della gola. Mi separai da lei, uscii dalla carrozza, offrendo contemporaneamente la mano alla Marchesa, e osservai la nostra destinazione.

    Impressionante, Marchesa, squadrai il castello delle favole dall’alto in basso. Marmo bianco?

    Se mi chiami di nuovo Marchesa, ti strappo la lingua, sibilò. E no, in realtà è avorio levigato.

    Devono essere morti tantissimi elefanti, per il piacere di una sola persona.

    Sempre a scherzare! Comunque, mi sono un po’ stancata di vederlo, in verità. Potrei farlo rifare di giada. Penso che sembrerà sufficientemente diverso dalla norma.

    C’è qualcosa del genere? risposi.

    Fece un ghigno e mi condusse a una scala mobile; un ingresso pigro ad una vita pigra che, in qualche modo, riuscì a distrarmi dall’effetto generale del palazzo. Una raffica di servitori apparve come dal nulla, liberò la Marchesa degli eccessivi abiti esterni, poi sparì rapidamente.

    Vedo che continui a usare il pugno di ferro, in casa tua, Mar... Portia.

    Non c’è altro modo, Jean. Uso il principio per cui, se tratto tutti con la stessa mancanza di rispetto, quelli che lo meritano recepiranno il messaggio, mentre gli altri al massimo si lamenteranno. Il sogghigno zannuto che accompagnava le sue parole non mi aiutò a riconoscere i suoi metodi. Non che lei volesse.

    Posso chiedere dove siamo diretti, ora che sta per sorgere il sole? chiesi, con quanto più disinteresse potevo.

    Ma a vedere il panorama, ovviamente. Mica credevi che avessi fatto costruire questo castello solo per il valore affettivo?

    Avevo avuto l’impressione che fosse stato tuo marito, a costruire il castello.

    Gli piace pensarlo, Jean. Ma sappiamo tutti che gli uomini non hanno davvero delle idee proprie.

    Ebbi l’improvviso desiderio di far saltare la testa di Portia dal collo arrogante. La Marchesa rabbrividì, come se il mio pensiero mi fosse stato visibile negli occhi. Ma, come voleva il suo status, subito si riprese, e continuò il suo vacillante passaggio lungo i brillanti corridoi bianchi della sua casa. Camminavo dietro di lei, per lo più tenendomi sulla destra, in modo da non doverla guardare in faccia, ero già annoiato da lei, e inoltre così mi copriva l’alba. Preferivo di gran lunga che la Marchesa sperimentasse il sole per prima, se fosse sorto durante il suo tour.

    Dopo una passeggiata quasi infinita, durante la quale iniziai persino a fischiettare per comunicare la mia noia, la Marchesa si fermò davanti alle tende di velluto rosso più lunghe che avessi mai visto. Fece una pausa, si leccò le labbra, e poi le aprì con un gesto teatrale.

    Fu difficile resistere al riflesso di allontanarmi da un temuto, tragico destino, ma supponevo che anche una tale imbecille come la Marchesa non si sarebbe uccisa così prontamente, così rimasi immobile. Penso fosse stupita di vedermi ancora lì, quando altri sarebbero, e probabilmente erano, scappati.

    Allora?

    Allora cosa? risposi, non volendo far aumentare le sue manie di grandezza.

    Non è una vista bellissima? puntò il dito oltre una valle profondissima, verso qualcosa in lontananza.

    Feci un passo avanti, cercando di mantenere la nonchalance, ma non riuscii a nascondere la curiosità. C’era una specie di palazzo, difficile esserne certi, ma qualcosa di antico e abbastanza spettacolare. Di quello, ero certo.

    È Shangri-La, Jean, l’ho fatto spostare qui. Sapevo che ne avresti apprezzato la maestosità.

    Scossi la testa disgustato, voltai le spalle a quella sciocca pomposa, e mi diressi alle camere da letto. Sarebbe stata una lunga giornata, prima che potessi liberarmi di lei.

    Capitolo Due

    Confuso

    Aprii la bara elaborata della Marchesa, un ritorno ad un antico passato, anche se necessario, mi stiracchiai e poi uscii nel conforto calmante dell’oscurità. La chiusura ornata era posizionata all’interno della cavità, un tocco particolarmente intelligente, anche se non necessario, che mi impediva di chiudere dentro quella donna irritante. Optai, invece, per la discrezione, e chiusi il coperchio in silenzio. Non mi aspettavo che la Marchesa si svegliasse presto, ma non volevo correre il rischio. Mi ero sempre alzato presto, o tardi, ad ogni modo liberai il suo posto più privato.

    La donna, per quanto noiosa, aveva stile. La mera natura gigantesca della bara, grande abbastanza da contenere un letto matrimoniale e avere ancora spazio, mostrava che non era totalmente idiota.

    Come per tutti quelli della nostra razza, l’istinto ci diceva che il sole era calato. Ma, comunque, sbirciai dalle pesanti tende di velours con una certa ansia. La sera era scesa.

    La Marchesa dormiva con le finestre aperte, e assaporai l’aria di montagna, che era molto più fresca, meno piena di immobilità e morte a quelle altezze che a valle. Sotto alcuni aspetti, avrei voluto poter restare, ma sapevo che mi sarei annoiato dopo... be’, subito.

    Raccolsi i vestiti da dove li avevo gettati, e stavo per andare a cercare del sangue, quando il coperchio della bara si aprì e la Marchesa si alzò dal letto.

    Te ne vai così presto?

    Be’, nonostante il fatto che tu non abbia rivelato dove si trova il Marchese, stavo andando a cercare da bere.

    Ne vuoi così disperatamente? disse, soffocando uno sbadiglio.

    La sua mancanza di pudore mi disgustava, mentre muoveva il corpo fin troppo pieno di curve verso di me. Sì, non mi nutro da... limitai la mia spiegazione su quando avevo bevuto l’ultima volta. Non riesco a ricordarlo, in realtà. Abbastanza a lungo.

    Be’, verrò anch’io. Credo sia meglio se ti tengo d’occhio. Non vorrei che incrociassi mio marito. Potrebbe finire male per lui, e le sue ricchezze mi piacciono molto.

    Mi voltai prima che lei potesse vedere quanto la disprezzavo, e mi allontanai con convinzione, mentre lei urlava e s’infuriava cercando di vestirsi.

    Quando mi raggiunse, avevo già sentito l’odore della scorta di plasma e trovato un bel bicchiere di cristallo in cui versarlo; il sangue finto aveva sempre un sapore migliore in un utensile di qualità. La Marchesa cercò di non mostrarsi agitata da miei comportamenti, mentre entrava con malagrazia nella stanza. Il fatto che le sue gonne sventolassero dietro di lei come le penne di un pavone al vento dimostrava che, in realtà, si era affrettata. Forse temeva che la lasciassi sola.

    Vedo che l’hai trovato, Jean.

    Sì. Ne vuoi? le offrii un bicchiere, che lei prese e da cui cercò di bere senza che il sangue le macchiasse la faccia: fallì miseramente nel tentativo. Quanto ci avrebbero disprezzato i nostri antenati, se ci avessero visto bere così.

    Mi accompagnerai al Ballo di Halloween del Conte di Borgogna? la Marchesa batté le ciglia incrostate di mascara.

    Non sapevo ne avrebbe tenuto uno.

    Dà balli da tutta la settimana. È una specie di celebrazione continua per uno o l’altro.

    Non è sempre così?

    Questo in particolare è a tema Halloween.

    Ognissanti è stato più di un mese fa, o almeno credo. Ho perso la cognizione del tempo e delle vecchie celebrazioni.

    La Marchesa si chinò verso di me, per quanto le permettesse il sellino del vestito, e bisbigliò, È solo una scusa per mettersi in ghingheri. Io mi travestirò da strega. E tu?

    Da me stesso, ovviamente!

    #

    Il viaggio di ritorno al palazzo del Conte si svolse senza nessun evento particolare. Non ero dell’umore per le attenzioni della Marchesa. Il suo rifiuto ostinato di spiegare dove fosse il marito mi infastidì ancora di più.

    Mi limitai a guardare le montagne desolate scivolare fuori dai finestrini della carrozza, mentre scendevamo da chissà quale altezza a cui eravamo saliti in precedenza. Lo spostamento della casa della Marchesa senza consultazioni preventive era stata una cosa molto sgradita. Era davvero da maleducati!

    Oh, Jean, sei proprio un musone. Cosa ti passa per quella tua testa meravigliosa? Perché devi essere sempre così turbato?

    Mi piace essere turbato. Qualcuno deve fare lo sforzo.

    È proprio quello, il punto, caro ragazzo, nessuno deve fare lo sforzo.

    Per riflesso, chiusi i pugni alle sue lagne, facendo scricchiolare dolorosamente i guanti di pelle nera. Se la Marchesa se n’era accorta, non lo diede a vedere, scegliendo, invece, di guardare fuori dall’altro finestrino imitando una statua. Non mi importava, io avevo la vista migliore.

    Dopo un lasso di tempo eccessivo e sprecato, raggiungemmo la pianura e

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