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Ultimo Infinito. Viaggio nel mistero
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E-book231 pagine3 ore

Ultimo Infinito. Viaggio nel mistero

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Info su questo ebook

Un uomo si ritrova dentro un'astronave, che vaga nell'ignoto, senza sapere la meta. Non sapendo neanche il motivo del perché di questa missione. Cosa si nasconde in questo viaggio misterioso? Cosa c'è oltre le stelle? Un viaggio tra l'ignoto di un futuro misterioso e un passato fatto di ricordi. Prima o poi la vita stessa deciderà di viaggiare dentro noi stessi e non viceversa, per portarci là, dove tutto ha un senso.
LinguaItaliano
Data di uscita12 mag 2022
ISBN9791221402728
Ultimo Infinito. Viaggio nel mistero

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    Anteprima del libro

    Ultimo Infinito. Viaggio nel mistero - Charles Vas

    Risveglio

    Guardo il soffitto come faccio ormai da anni. Rimango sospeso coi pensieri, ho perso il conto ormai dei giorni, dei mesi, degli anni. L'orologio sopra il comodino a destra segna le 7.35, ho poca voglia di alzarmi. Parlo con me stesso;

    Alzati André.

    Magari avessi una finestra in cui perdermi ma vivo in un luogo in cui non esiste nessun sole, nessun cielo da osservare. Ho una grande voglia di caffè e questo mi dà la forza di alzarmi. A piedi scalzi vado a fare la solita pisciatina. Trovo gradevole osservare la propria urina, cercando di calcolare la quantità di alcol ingerito la sera prima. Prima del caffè, vado a controllare il computer di bordo. Niente di nuovo, solo il vuoto dello schermo e il suo buio di uno spazio diventato così vuoto che non mi fa più effetto. Nessun messaggio in arrivo. Ho perso tutte le comunicazioni con il pianeta Terra e non ricordo più nulla. Perdo molto del mio tempo a rileggere i soliti antichi messaggi e ad ascoltare i vecchi vocali del mio passato amore. Ormai li so a memoria. La sua voce, il suo ridere, il modo in cui mi raccontava la vita sulla Terra mi danno la forza di andare avanti. Mi rendevo conto di essere esistito come essere umano, non ero come sembro oggi, un ologramma. Sinceramente non saprei come comportarmi se dovessi tornare, non riuscirei più a vivere sulla Terra. E questo ormai il mio mondo, questa immensa scatola di metallo, così grande da rendermi piccolo quanto una formica. Ho paura più del passato che del futuro. A volte, nel mio parlare da solo, mi chiedo se esista veramente il futuro. Questo è un vagare nell'infinito, nel suo ultimo stadio. Scrivo il mio diario di bordo da talmente tanti anni che, ormai, non ne conosco neanche più l'infinità dei numeri di pagine. Per tutti gli Dei, se potessi mi eliminerei come faccio con i trita rifiuti. Con chi mi sfogo, se non con me stesso o con il caro computer con cui ho dialoghi filosofici sulla vita. Spesso mi affido ad infinite partite a scacchi anche se, ultimamente, sono divenute degli incontri quasi banali con mosse rifatte migliaia di volte. Dove devo andare in questo viaggio non saprei dirlo, non lo ricordo più. Durante l'ultimo blackout, avvenuto anni fa, presi un colpo di corrente mentre riparavo il quadro elettrico. Persi i sensi e quando mi svegliai persi la memoria. Non ricordavo più né il perché mi trovassi in quella scatola galleggiante nello spazio né dove fossi diretto. Tentai di capire il progetto di viaggio ma non ricordando la password non potei entrare nel file. Cercai di persuadere il computer a darmi i codici d’accesso ma non ci riuscì mai, sempre la solita risposta Password.

    Cerco di immaginare di essere dentro un teatro per spiegare questo mio vagare ma non saprei come e cosa raccontarvi, so che mi comprenderete, questa vita è strana. Ora mentre bevo il caffè, mi trasformo in un direttore orchestra e faccio partire la sinfonia nove del compositore Antonin Dvorak. Alzo il volume, il suono abbraccia l'intera astronave. Venite con me, vi accompagno, ve la voglio mostrare. La forma è rettangolare con lunghi corridoi che utilizzo anche per correrci intorno. Misurandola è 1900 metri di lunghezza e larga 800 metri. In testa c'è un enorme vetrata che guarda verso l’esterno come il parabrezza di un’auto anche se molto più grande. Ho una sedia enorme che gira e rigira. Non vi dico quante volte l’abbia fatta girare in tutti questi anni. Lì ho tutti i comandi di controllo. In un’altra stanza c’è la cucina con tutto l'occorrente. Attraversando un corridoio, sulle pareti di destra, trovate solo vetrate antisfondamento che guardano all’esterno; inutile che guardiate, non vedrete nulla di interessante, solo nero e lucine che sembrano stelle così lontane da far credere di guardare un loro riflesso di molti secoli fa. Sulla sinistra di questo corridoio, invece, c’è la stanza del fitness. E molto piccola, vi è solo una cyclette, tra l’altro anche un po' vecchiotta. Vi ricordo che sono qui da anni e anni. Non ricordo più nemmeno da quando. Riprendiamo il nostro viaggio su questo corridoio, non abbiate paura, venite. Qui c'è la sala biblioteca dove mi rilasso su di una poltrona gigantesca, non fate caso ai tanti bicchieri sporchi, a volte mi addormento ubriaco e non ho la forza di lavarli tutti anche perché son capaci di esser lì da settimane. Dio Santo quel bicchiere ha cambiato colore. Qui mi fumo un sigaro, leggo, mi guardo un film, ovviamente film di molti anni fa. Vedete quell'immagine ferma sul monitor? E del film che ho visto l'altro giorno di John Wayne, dal titolo Hatari Lì sulla destra, la solita vetrata, sulla sinistra una gigantesca libreria con oltre 5000 libri. Naturalmente non li ho ancora letti tutti. Riprendiamo a camminare sul corridoio, lo so è lungo; infatti, è quasi due chilometri di lunghezza. Qui c'è la mia camera da letto, non fate caso al disordine, la stanza è molto piccola. Sul comodino ci sono due libri Non lasciarmi di Kazuo Ishiguro e Furore di John Steinbeck. Tengo, poi un diario dove scrivo di tutto, uso ancora la penna. Non voglio perdere l’abitudine di scrivere a mano. Riprendiamo il nostro cammino, eccoci alla stanza che io chiamo Dei ricordi dove riascolto gli oltre 120 vocali che la mia donna mi mandava dalla Terra e i 200 videomessaggi che si trovano in quel monitor, compreso le foto del pianeta. Da oltre cinque anni, purtroppo, non mi arriva più nulla. Da quando ci fu quel guasto al quadro elettrico ho perso tutti i contatti con la Terra. All'inizio ero disperato, sull'orlo della pazzia ma poi mi sono rassegnato a questa vita da eremita. Non mi aspetto nulla, anzi spero di non incontrare nessuno durante il mio vagare nell'infinito. Forse, se un giorno incontrerò qualcuno, sarà un Dio dell'Olimpo, magari Zeus, chi lo sa. Il silenzio anima quella malinconia che più di ogni altro non ti lascia solo, fa da mediatore con te stesso, a volte ti lusinga anche, ti accoglie tra le sue braccia invisibili dove anche il buio ha la sua luce più profonda. Dio Santo, se dovessi tornare indietro, vorrei essere un colore qualsiasi per sentire quel brivido che si prova a finire vicino ad un altro, semplicemente per contribuire ad abbellire il mondo. Ma quale mondo, sono qui su di un’astronave che vaga in un infinito senza una meta precisa. Non mi ricordo più nulla, devo riordinare i pensieri, rischio di perdermi tra queste pareti di metallo. Sì, ok, devo continuare a pensare. Solo quando penso posso ritenermi veramente libero. Quando parlo, invece posso trovare dei nemici. Probabilmente solo quando ascolto gli altri posso diventare come un angelo ma è solo quando sogno che posso avere il tutto in una volta sola. Tempo addietro mi avevano definito visionario e diciamocelo chiaramente, dare del visionario all’amico di lettere e parole è come dare del folle ad un calzolaio e ad un droghiere. Questo è un periodo in cui scrivo di questo infinito viaggio. Mi prudono pure le dita delle mani. Vedo la tastiera consumata dal formicolio di dover poi, scrivere un qualcosa a mano. Scrivo a penna innumerevoli frasi da incollarsi tra loro come una dolce danza che lentamente aumenta il suo disperdersi, tanto da non poterne più riconoscere le lettere. A volte ho la sensazione di scrivere spinto da un alone di vento che mi accompagna in un viaggio senza meta. Spero non mi venga voglia di scrivere alla Dea della follia, una stella di un lontano mondo che si fa beffa degli individui. Quando arriva, per farla danzare, mi tocca farla entrare nelle infinite storie, poi devo scrivere anche al Dio infinito. Dovete sapere che il Dio dell’infinito e la Dea della follia sono legati da un segreto. Il mio intento è scoprirlo. Mi tocca, infatti, scrivere di folletti, d’illusionisti, di streghe, di folli, di santi e fanti. Il problema è che non mi sopportano più, pensano che non abbia rispetto verso di loro, perché entro e rubo i loro sogni solo per far danzare il Dio dell’infinito e la Dea della follia. Dovrebbero ringraziarmi, invece, in fondo do voce scritta ai loro pensieri. Per questo, a turno vengono a domandarmi com’è il mondo fuori. Gli rispondo sempre la stessa frase;

    Il mondo fuori brucia sempre, sono fiamme senza fuoco. Dov’ero rimasto...ah sì la mia astronave dispersa negli spazi siderali dell’universo, questa come dicevo prima è la mia camera da letto. Devo ammettere che su quel letto ci si sta da Dio, magari sorseggiando una bevanda che produco io stesso in laboratorio. Andiamoci nel mio laboratorio, attenti, però, perché potrete trovare Schizzo, un piccolo animaletto recuperato da un’astronave aliena alla deriva. Non ricordo quando la incontrai, al suo interno non c’era nessun essere vivente, solo questo animaletto simpatico, con un unico orecchio in cima alla testa e una boccuccia simile a quella delle scimmie. Ha solo due gambe anche se dovrebbe averne quattro, lo trovai così, purtroppo senza zampe anteriori ma in seguito riuscì a ricostruirgliele. Con delle barre in alluminio, infatti, creai per lui arti finti senza dita. All’inizio fu difficoltoso farlo muovere ma poi, con dell’allenamento e usando come complice il cibo, iniziò a camminare, un po' storto ma ci riuscì. Nel mio mega laboratorio grazie ai cianobatteri ricreo l’ambiente terrestre, ossigeno, coltivazione e tutto ciò che mi aiuta a ricreare le stesse caratteristiche di vita che si trovano sulla Terra. Qui c’è la zona frutta dove potrete trovare fragole, uva, pere e delle bellissime prugne. Gli agrumi invece sono là in fondo. Sulla destra potrete trovare le coltivazioni di varie verdure, insalata valeriana, zucchine, pomodori e patate. In questa grande stanza, invece, coltivo fagioli, lenticchie e fave. Seguitemi, in questa grande zona troverete pure il grano, che poi trasformerò in farina dentro quel macchinario. Non mi manca nulla, neppure il tempo, diciamo che ho il modo di pensare a ieri e solo a quello che è stato. Dio Santo non saprei dove sto andando su questa astronave. Sono stanco, scusatemi ma vado nella mia sala biblioteca, ho voglia di sdraiarmi sulla mia mega poltrona, se volete siete liberi di seguirmi, potrete sedervi per terra. Posso darvi da bere solo acqua, però il whisky è mio, scusate la mia poca cordialità. Non sapete che dirmi, siete ammutoliti, comprendo il vostro silenzio. Aveva ragione Quinzo IV consigliere della Roma imperiale di Augusto quando disse;

    A voi l’acqua a me il vino, a voi la morte a me la vita.

    Luoghi destinati ad essere

    dove in principio

    c'era l'essenza.

    Dove in principio

    c'era l'oblio dell'esser

    Il Primo Viaggio

    Non vi sono mai venuti dei dubbi sulla vita? A me sempre. Da quando vivo dentro questa scatola, ne sono, praticamente circondato. L’ultimo che mi assilla è quello di chiedermi se sono realmente un essere umano oppure un qualcosa di trapiantato. Potrei essere, persino un esperimento. Quante parole, quanti pensieri vaganti in questo cielo nero senza tempeste né arcobaleni. Per questo quando lo guardo preferisco dipingerlo con piccole gocce di lacrime ad olio, senza aceto né sale. Stille di solo speranza che magicamente trasformo in stelle luccicanti. Non saprei cosa raccontarvi, sono perso nei pensieri. A volte li immagino come tante strisce bianche che all’orizzonte trapassano questa nave accarezzandomi dolcemente. Linee candide e sottili ove angeli senza ali danzano su pattini d’argento e mi girano intorno. Adoro queste creature celesti che sorridendo mi mostrano la via. Mi ricorda quando vivevo sulla Terra, di quella volta in cui feci il mio primo viaggio di lavoro. Quando entravo nella fatidica stanza bianca avevo sempre un po' di brividi. Soprattutto quando trovavo quella maledetta chiave sulla scrivania; Un oggetto particolare e di forma tonda con una filettatura a forchetta un po' curva. Ricordo bene quel periodo dell’anno. Ero ancora acerbo, un piccolo giovincello, appena patentato, fui obbligato a fare la patente. Improvvisamente, dall'uomo delle lettere ero passato all'uomo delle favole pronto, mio malgrado, ad intraprendere la prima trasferta nel mondo, quello che non si vede, e nel quale fai fatica a distaccarti. Era giunto, purtroppo, il momento di rompere il ghiaccio e di prendere le distanze dagli affetti più cari. I giorni passavano inesorabili. Ogni mattina, in ufficio, trovavo le solite cose: un Pc, un telefono, un block notes, una penna blu, una rossa e una matita. Spesso ingannavo il Dio del tempo rompendo la punta che poi rifacevo con il coltello che tenevo nel cassetto. Coltello che usavo anche per sbucciare la frutta che mi portavo appresso. Mi ci tagliavo, spesso le unghie delle mani e a volte, persino dei piedi con quell’arnese che poi mi divertivo a lanciare contro il cerchio di compensato, che in precedenza, avevo accuratamente appeso alla parete di fronte. Strana vero, questa mia abitudine di tagliarmi le unghie dei piedi con il coltello? Suvvia, che è quella faccia! Non vi mangio mica! Non dovete avere paura! Datemi retta, provateci. E una vera libidine, ve lo assicuro! Osservate bene! Ora vi mostro come si fa! Vedete? Prima mi tolgo la scarpa, poi appoggio il piede sul bordo della scrivania e Zac!! Un bel taglio, deciso e netto! Il pezzettino dell'unghietta, poi lo potrete collocare dove più vi piace, io ad esempio, lo lancio nel cestino, meraviglioso non credete? Per me lo è, lo era allora e lo è anche adesso. Ogni tanto mi capita tagliare un po' troppo. A volte, infatti, mi si stacca un pezzo di pelle con una goccia di sangue che urla dalla disperazione per il solo fatto di trovarsi ancora attaccata al mio corpo mentre fuoriesce dal suo mondo chiuso. Chiuso ero anch’io in quella stanza del cazzo. Uscito dalla scuola di preparazione me lo avevano detto;

    Ora devi solo fare la patente e aspettare il tuo primo viaggio, tieniti pronto e nell’attesa, esercitati nella guida, girando per la città.

    Dopo un po' di tempo, una mattina mi sono ritrovato quella fottuta chiave sulla scrivania. Era giunto il momento di partire, finalmente! La sua forma tonda a forchetta apriva una stanza segreta all’interno della quale, su un tavolo completamente vuoto, c’era una busta sigillata con tutte le informazioni del caso, destinazione, scopo della missione e tutte le istruzioni per portarla a termine con successo. Alla scuola, in principio ci insegnavano a leggere le lettere (sostituite poi nel tempo dalle e-mail) per poterne capire meglio il senso in ogni sua sfumatura. Successivamente ti facevano diventare l'uomo delle favole e per finire il commesso viaggiatore. Avevo imparato tutto, almeno lo speravo. Mi saliva l'adrenalina, puttana Eva era il mio primo viaggio! La busta era grande, con dentro altre piccole buste. Ognuna aveva un suo perché. Bisognava memorizzarne tutto il contenuto scritto, numeri di telefoni, indirizzi, nomi. Dovevi imparare a memoria ogni cosa. A volte passavi diverse ore in quella stanza per ricordare tutto. Di solito ti consegnavano un'altra busta con al suo interno, uno strano oggetto da trasportare. Avrebbe potuto essere una specie di chiavetta usb anche se non ne aveva l'aria. Non aveva, infatti, né entrate e neppure uscite. Sembrava, piuttosto un circuito di alta tecnologia, di piccole dimensioni, di quelli che si chiudono dentro un contenitore trasparente di plastica gommosa. In una terza busta, inserivano, poi una chiave d'auto, un biglietto recante la scritta Ford e una targhetta con il numero di targa. Strana come targa d'automobile AA001 e due lettere finali identiche La partenza era fissata per il mese successivo. La procedura era lineare e semplice da eseguire. Dopo aver memorizzato il tutto, il cartaceo finiva nella macchinetta trita carte posta sotto la scrivania. In pochi minuti, ciò che avevo letto era distrutto. Rimaneva solo nella mia mente. Era fondamentale ricordarsi tutto. Le uniche cose che tenevo tra le mani era lo strano aggeggio, una carta bancomat con un codice che avevo memorizzato (34433) e le chiavi dell'auto. Ricordare il numero di quel bancomat non era semplice, rischiavi di invertire il 3 con il 4 e viceversa. Bastardi! Siccome non mi fidavo, quella targa era troppo semplice per non essere notata. Decisi allora, di nascondere al meglio ciò che mi era stato consegnato. Non potevo certo tenerlo in tasca e nemmeno metterlo nella piccola valigia che mi sarei preparato, con il minimo indispensabile. L'auto era parcheggiata a Milano in Viale Murillo. Chi di voi conosce Milano sa dov'è ma per chi non lo sapesse e un grande vialone con un lungo spiazzo centrale sul quale, da anni, vengono abbandonati mezzi di ogni genere, auto, camper e furgoni anche lasciati lì da anni. In quel periodo in particolare notai, tra le tante, persino una lancia Fulvia di colore blu con targa anni 60. Tutto era pronto. Partii, dunque, con destinazione San Sebastian sulla costa Iberica della regione Basca, sul confine tra Spagna e Francia. Il tragitto che avrei dovuto compiere era già delineato: Milano-Ventimiglia con destinazione Perpignan, un tratto di circa 600 km. Prima tappa il Principato di Andorra, dove avrei potuto trovare un posto per lavarmi e riposare sperando di ricordarne l’indirizzo e la persona di riferimento. Puttana Eva mica era facile ricordarsi tutto. Un solo errore e mi sarei perso. A Perpignan trascorsi la notte in una stazione di servizio. C'era un vento pazzesco. Impossibile stare fuori dall'auto. Non riuscii a riposare come si deve. Avevo, infatti sempre un occhio chiuso ed uno aperto. Pensavo che lor signori, volessero mettermi alla prova. Per essere il mio primo viaggio, infatti, non avrebbero potuto darmi qualcosa di più delicato. La mattina seguente il sole scottava da poterci fare la carne alla brace. Lo sbalzo di temperatura tra il giorno e la notte era da record. Perpignan, che nome del cazzo! Mi svegliai di colpo, quel maledetto cane non la smetteva di abbaiare. Un caffè veloce e ripartì, destinazione il Principato di Andorra, in un luogo ben definito. Durante il viaggio continuai a ripetermi il tutto con ordine, compreso ciò che avrei trovato a San Sebastian. Alla caffetteria mi ritrovai, persino, a sussurrarne ogni dettaglio tanto che un uomo dei presenti iniziò a guardarmi come se fossi un matto. Poco prima di arrivare al Principato di Andorra trovai davanti a me, una lunga fila indiana di auto e in fondo alla discesa, un posto di blocco. Non fermavano nessuno, facevano solo proseguire a passo d'uomo. Tra doganieri spagnoli, francesi c’erano anche alcuni individui in borghese. Porca la miseria, vuoi vedere che aspettano questa cazzo di targa. Le mie paure erano fondate. Giunto al posto di blocco, infatti, mi intimarono subito di accostare e di entrare in un furgone con i vetri oscurati in cui mi fecero togliere tutti i vestiti. Azzarola! Mica facile spogliarsi davanti a tre uomini che ti guardano. Addosso, per fortuna, non avevo nulla di particolare. Purtroppo per me, però nelle mie scarpe il metal detector trovò immediatamente qualcosa di sospetto ed

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