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Per te qualunque cosa
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E-book320 pagine4 ore

Per te qualunque cosa

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Info su questo ebook

Natalie e Brooke sono amiche da sempre, e per sempre. Così diverse ma inseparabili. Natalie è tranquilla e studiosa, contenta di stare in casa a guardare vecchi film, mentre Brooke è l'anima di ogni festa, la ragazza più popolare della scuola, quella che ognuna vorrebbe essere.

Poi all'improvviso tutto cambia: in una folle notte che Natalie non riesce a ricordare e che Aidan, il ragazzo di Brooke, non riesce a dimenticare.

L'amicizia tra le due ragazze si trova a una svolta, mettendo in discussione quello che pensavano di sapere l'una dell'altra e facendo loro scoprire che cosa davvero significhi la vera amicizia.

LinguaItaliano
Data di uscita5 mag 2015
ISBN9788858934302
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    Anteprima del libro

    Per te qualunque cosa - Paige Harbison

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Anything To Have You

    Harlequin Teen

    © 2014 Paige Harbison

    Traduzione di Vera Sarzano

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    © 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5893-430-2

    www.harlequinmondadori.it

    Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così come l’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla Legge 633/1941 e successive modifiche.

    Questo ebook non potrà in alcun modo essere oggetto di scambio, commercio, prestito, rivendita, acquisto rateale o altrimenti diffuso senza il preventivo consenso scritto dell’editore. In caso di consenso, tale ebook non potrà avere alcuna forma diversa da quella in cui l’opera è stata pubblicata e le condizioni incluse alla presente dovranno essere imposte anche al fruitore successivo.

    PARTE 1

    Natalie

    1

    È più facile perdonare un nemico che un amico.

    William Blake

    Fine gennaio, ultimo anno di superiori

    Ancor prima di vederla la sentii. Senza preoccuparsi di trovarsi in un quartiere residenziale, dall’auto usciva musica a palla. Appena saltai in macchina abbassò il volume.

    «Che freddo di merda che fa!» disse Brooke mentre mi allacciavo la cintura.

    «È inverno: è normale che faccia freddo.»

    Alzò gli occhi al cielo e fece inversione nel vialetto di casa mia. «Me ne vado a vivere in California guarda, non ce la faccio più. Okay? Justin continua a non accorgersi di me, nemmeno con tutte le canottiere da zoccola che continuo a mettermi.»

    «Ma chi se ne frega di Justin? Innanzitutto ha un anno meno di noi e poi è imparentato con Reed, quindi molto probabilmente è uno spostato.»

    «Ero convinta che questo reggiseno avrebbe fatto effetto.» Ignorandomi, si sistemò il push-up. «Mi fa delle tette fantastiche, non capisco perché non sia in fissa totale, perché non sia ancora caduto ai miei piedi. Cioè, guardami, sono una strafiga niente male, e che cazzo!»

    Mi guardò con aria interrogativa e ne approfittai per osservarle gli zigomi rosa, il pesante mascara nero, i boccoli biondissimi e il pellicciotto bianco.

    Solo lei poteva permettersi una cosa del genere.

    Appena si girò nuovamente verso la strada, sospirai.

    «Be’» le dissi, «è amico di Aiden, forse ha un briciolo di... integrità morale.»

    «Ah, ah! Quel deficiente? Ma per favore.» Scosse la testa con assoluta certezza. «È solo che non abbocca all’amo.»

    Io non ne ero tanto sicura.

    «Dunque, lui non si rende conto che stai cercando di farti scopare...»

    «Voglio solo che lui voglia scoparmi, non ci farei mai niente con quello. Bleah!»

    «Okay, vuoi che lui voglia scoparti. Non credo comunque che sia giusto.»

    «Pensi che non lo sappia? Ma non ho intenzione di tradire Aiden, né di mollarlo. Ho solo bisogno di sapere che Justin mi vuole e che verrebbe con me, se potesse.»

    «Spero che tu ti renda conto di quanto sia egoistico questo atteggiamento.»

    «Non è vero.»

    «Oh sì, invece.»

    «È questione di attenzioni! Io e Aiden stiamo insieme da quanto? Un anno?»

    «Di più, ma vai avanti.»

    «Cioè, è tutto un po’... piatto. Non lo so... non voglio assolutamente rinunciare a lui. A volte, però, noi donne abbiamo bisogno anche di altre attenzioni. Cioè, dai! Siamo all’ultimo semestre dell’ultimo anno delle superiori, non ci capiterà mai più. Non dovrei far baldoria, godermi la giovinezza e tutta quella roba lì?»

    «Continuo a non capire perché tu voglia stare con lui se hai bisogno di altro.»

    «Davvero non capisci?»

    «No. Non hai nemmeno diciotto anni e sei già invischiata in una relazione che, mi sembra ovvio, non vuoi. Dico solo che...»

    «Tanto non capiresti.»

    «E già, sono scema.»

    «Mi dispiace, ma tanto non capiresti!» disse. «Non hai mai avuto nemmeno un fidanzato, Nat!»

    «Infatti, perché se mi accorgo che le cose non vanno, non continuo a uscire con qualcuno solo perché è figo o perché vorrei tanto essere innamorata.»

    «Potremmo evitare di litigare?»

    «Non stiamo litigando, stiamo... discutendo.» Ci fu un attimo di tensione, mezzo secondo, poi scoppiammo a ridere. «Dico solo che non dovresti sentirti intrappolata in una storia sbagliata. Sai benissimo che c’è la fila per te, chi potrebbe mai biasimarti se decidessi di non...»

    «È di te che dovremmo parlare, piuttosto.»

    «Di me? E perché?»

    «Perché? Perché sei una figa pazzesca con un corpo da sballo, eppure ultimamente te ne stai sempre chiusa in casa.»

    «Un corpo da sballo? Ma in che secolo vivi? E poi, scusa, adesso sono fuori, no?»

    «Lo sai che cosa intendo, Natalie. Non capisco perché fai così, non lo capirò mai. Ci sono un sacco di ragazzi che ti invitano a uscire, molti più di quanto ci si aspetterebbe visto che non parli mai con nessuno, eppure tu preferisci startene a casa da sola.»

    «Io scelgo me, Brooke!» Citai una pubblicità progresso sulle relazioni disfunzionali che ci avevano appena obbligato a guardare. Era chiaro che quel video non aveva avuto grande effetto su Brooke.

    «Stavo dicendo, e gradirei che non mi interrompessi, che stravedono tutti per te e tu li ignori, non fai mai niente. Alle feste la gente chiede di te. Quante volte vieni invitata e non ti degni nemmeno di presentarti? O addirittura rifiuti direttamente l’invito su Facebook?»

    Imboccò una via poco distante dal nostro ristorante cinese preferito e si preparò a far manovra per parcheggiare rasente al marciapiede.

    Nello specchietto retrovisore osservavo gli pneumatici. «Dove vuoi arrivare?»

    «Il punto è che... merda!» Era salita con le ruote sul bordo del marciapiede e fu costretta a ripetere la manovra, «... che lo sanno tutti quanto sei fantastica. Qualunque ragazza sana di mente approfitterebbe di questo genere di popolarità.» Spense il motore e mi fissò.

    «Non sono una fanatica delle feste e ormai la gente fa solo quello. Scusa, lo so che a te piacciono, ma di passare la serata a bere birra che sa di fogna o a tracannare acetone al lampone solo perché la mamma di qualcuno è via per il weekend proprio non mi interessa. E non mi piace nemmeno starmene seduta in una taverna, a guardare dei ragazzi col berretto di lana calato sulla fronte fumare canne, e ritrovarmi poi con qualche idiota che ci prova con me e che mi chiede subito di ripetergli come mi chiamo perché se l’è già dimenticato.»

    «Punto primo: tutti sanno come ti chiami. Comunque, da un certo punto di vista, hai ragione. A volte può essere così, lo ammetto. Ma ci sono anche serate divertenti, e allora sì che ne vale veramente la pena. Ho delle storie pazzesche da raccontarti. Va bene, tu sei felice, però se continui così non avrai nessuna follia da ricordare. Quando io sarò vecchia e raggrinzita, avrò un sacco di aneddoti spassosissimi per i miei nipotini. Non vorrei invece che tu avessi un solo, grande rimpianto: non esserti goduta la vita.»

    Scendemmo dalla macchina e interruppe il monologo in perfetto stile migliore amica che mi trascina sulla cattiva strada perché, e la cosa non mi sorprese affatto, fu distratta da un ragazzo carino che suonava la chitarra sotto una stufa a fungo.

    «Wow!»

    Avrà avuto un paio d’anni più di noi ed era vestito Urban Outfitters dalla testa ai piedi, anzi dal berretto di lana alle scarpe. A terra c’era la custodia della chitarra, aperta e piena di monetine lasciate dai passanti. Brooke si fece largo tra la piccola folla infreddolita che si era radunata intorno a lui.

    «Ma non stavi morendo di freddo un attimo fa?» le urlai prima di sbuffare e seguirla.

    Il ragazzo la fissò negli occhi, sorrise e cantò la strofa successiva solo per lei. Brooke rispose timidamente a quel sorriso, posava lo sguardo ora sui suoi occhi da cucciolo, ora sui pantaloni cachi. Cara, vecchia Brooke! Si voltò verso di me e saltellò tutta emozionata. Tirò fuori dalla borsa una banconota da venti, la lasciò cadere nella custodia malconcia e mi raggiunse camminando con il massimo contegno. Quanto avrei voluto avere una banconota da venti da gettare al vento così.

    «È un figo pazzesco, non credi?»

    Lo guardai. Era carino, ma la cosa veramente carina era che Brooke lo giudicasse un figo pazzesco. In realtà, era un tipo di bellezza non convenzionale.

    «Andiamo, signorina Casanova» la esortai prendendola sottobraccio. Brooke, per citare le parole di mio padre, era una tipa dall’innamoramento facile.

    «Grazie, splendore!» ci urlò, o per la precisione urlò a Brooke, il cantante mentre ci allontanavamo camminando contro il gelido vento invernale.

    «Era scritto che lo dovessi incontrare, vero? Non pensi che fosse destino?»

    «Quello lì? Santo cielo, Brooke!» risi. «No, no, no. Andiamo a prenderci da mangiare.»

    «E va bene, però era bellissimo. E bravissimo!»

    «Sì, era Paul McCartney in persona.»

    Sospirò, e lo sguardo vagava già altrove, pensava già ad altro. «Vorrei avere ventun anni.» Indicò le persone sedute in un bar là vicino. «Guardali. Bevono, chiacchierano, nessuna preoccupazione, niente scuola.»

    La mia migliore amica e il suo disturbo da deficit dell’attenzione. Voleva con tutte le sue forze una cosa e, due secondi dopo, ne desiderava ancor più intensamente un’altra.

    «Sì, certo. È risaputo che bere equivale a non avere il benché minimo problema.»

    «Aspetta un attimo!» disse fermandosi di botto. «Ma quello là dentro... non è Reed?»

    Ci avvicinammo e sbirciammo dalla vetrina. «Dio!» esclamai incredula. «Quale miglior dimostrazione di quello che stavo dicendo?»

    James Reed era il bad boy locale. C’era un certo non so che in lui che faceva perdere il lume della ragione anche alle ragazze apparentemente perbene. Era bello e irresistibile, quando voleva. Ma era anche uno stronzo odioso, sprezzante ed egocentrico. Ecco le frasi più pronunciate su James Reed:

    1. «Credevo di piacergli davvero!»

    2. «Un attimo prima andava tutto benissimo, poi è sparito nel nulla!»

    3. «Che vada affanculo! Dico davvero, che vada a farsi fottere!»

    4. «Che bastardo. Chissà se gli piaccio?»

    Ed ecco le frasi più pronunciate in faccia a James Reed:

    1. «Ti odio, non rivolgermi mai più la parola.»

    2. «Sei un grandissimo figlio di puttana.»

    3. «Okay, facciamolo, ma questa è davvero l’ultima volta.»

    Si potrebbe obiettare che il mio giudizio fosse poco oggettivo in quanto anch’io ero una di quelle ragazze apparentemente perbene che aveva capitolato davanti a una battuta allusiva e a due tenere fossette. Sono una ragazza intelligente, ma non abbastanza intelligente; abbastanza veloce però da riuscire a sfuggire incolume alle sue grinfie.

    «Guardalo lì, appoggiato al bancone, circondato da un branco di galline» disse Brooke. «È proprio da lui, sì. È proprio da lui.»

    Si morse le labbra, scosse la testa, ma continuò a fissarlo.

    A volte temevo che fosse a un passo dal diventare una delle tante ragazze fregate da quel tipo. Non la criticavo per gelosia o perché lo avevo frequentato. Appena avevo smesso di vederlo, già non mi capacitavo di come avessi potuto farmi abbindolare dalla sua tipica messa in scena. No, temevo veramente che Brooke potesse rimanere scottata, sentirsi umiliata. E allora sarei stata costretta a ucciderlo.

    «Ma come ha fatto... cioè, avrà dei documenti falsi?»

    «Probabilmente sì» dissi. «Chi se ne frega, è lui che commette un reato.»

    «Scommetto che potremmo entrare anche noi. Io li dimostro ventun anni, no?» Si sistemò i vestiti. «Dovremmo provarci.»

    «Io ho i leggings, la felpa e gli occhiali da vista, tanto per cominciare.»

    «Ma è perfetto! Sei... ironica. Hai la montatura in tartaruga! Ti confonderai perfettamente tra gli hipster! E potrai anche rimorchiare qualcuno, un tipo che al limite sarebbe anche carino, se non avesse i baffi a manubrio, e intanto io tirerò un bel calcio nelle palle a Reed da parte tua. Ci divertiremo!»

    «Porto gli occhiali perché senza non ci vedo, non per essere trendy. E poi non c’è bisogno di tirargli un calcio nelle palle. Sicuramente entro fine serata ci penserà qualcun altro. Dai, andiamo a ordinarci da mangiare.»

    Lasciò che facessi strada e si concentrò nuovamente su di me.

    «Però credo di aver fatto centro. È di questo che hai bisogno: di un ragazzo un po’ più grande, che condivida la tua passione per The Mamas & the Papas e che guardi i film di Hitchcock insieme a te. Ed è lì.» Indicò il bar degli hipster. «È lì che trovi i tipi così. I tipi così e qualche schifoso come Reed che, non si sa come, è riuscito a entrare.»

    «Non ho bisogno di un ragazzo con cui ascoltare musica o guardare un film.»

    Alzò gli occhi al cielo e sbuffò. «Hai ragione. Non ti serve per forza un ragazzo per queste cose, ma un fidanzato sì, Nat. O almeno un trombamico. Hai diciassette anni, sei bellissima e non hai mai fatto niente.»

    «Ssh!» mi guardai intorno.

    «Proprio così! È imbarazzante. Devi essere imbarazzata.»

    «Non sono vergine, Brooke» sussurrai.

    «È come se lo fossi. L’hai fatto solo con quell’imbecille di James Reed e tutte quelle che sono state con lui tendono a rimuovere l’accaduto, a negarlo.»

    «È vero... comunque in questo momento non sono alla ricerca di qualcuno con cui uscire. E se anche fosse, un bar di Bethesda non è il luogo ideale per incontrarlo. E poi no, dai. Se un ragazzo ha l’età per bere e vuole uscire con me è sicuramente un tipo strano. Non mi piacciono mica i pedofili.»

    «Ah ah, non ti piacciono i... dai, Natalie, si tratterebbe solo di tre o quattro anni di differenza.»

    «È lo stesso.»

    «Senti, lo so che ci tieni alla tua indipendenza, che ti piace leggere e ascoltare dischi in vinile mentre sferruzzi una sciarpa o qualunque cosa tu faccia invece di coltivare una vita sociale, però...»

    «Io non lavoro a maglia: so lavorare a maglia, è diverso.»

    «Credi davvero che in una discussione, nella quale vuoi convincere qualcuno che non hai affatto bisogno di ravvivare la tua socialità, pronunciare la frase so lavorare a maglia sia un punto a tuo favore?»

    «Ma io ce l’ho una vita sociale! Adesso sono fuori, no?»

    «Nat, io non conto e lo sai. Non è passato nemmeno un mese da quando ti ho invitato a quella festa; mi hai detto che non potevi venire perché eri occupata e allora sono venuta a casa tua per convincerti e ti ho trovato col grembiule a cucinare... non so nemmeno cosa.»

    «Coq au vin. È venuto benissimo, grazie. E come mi hai fatto notare anche tu, in inverno fa freddo. Il coq au vin è caldo.»

    «Sembri una donna di mezza età. Anzi, peggio, sembri una donna di mezza età con la sindrome da nido vuoto. Sei troppo giovane, Natalie, non puoi passare le tue serate a preparare tutti i piatti del ricettario di Julia Child.»

    Scrollai le spalle. «Che cosa vuoi che ti dica?»

    «Che nei prossimi mesi ci proverai, che farai uno sforzo. Non è solo l’ultimo anno di superiori, è anche la nostra ultima opportunità di fare qualcosa insieme. Non so dove saremo l’anno prossimo, io forse finirò in Pennsylvania, cazzo, ma quello che so con certezza è che non saremo insieme. E poi mi manca davvero la mia complice.»

    Non potevo controbattere. Era raro che Brooke si mostrasse dolce e affettuosa e quando lo faceva non era il caso di discutere.

    «E soprattutto c’è il ballo del diploma» aggiunse afferrandomi per i polsi e scuotendomi. «Il ballo, il ballo, il ballo! È dal secondo anno che non vieni più a nessun ballo o evento scolastico e, lo ammetto, quell’anno faceva davvero un po’ schifo.»

    «Brooke, mi stai invitando al ballo?» sorrisi ironica. «La mia risposta è sì. Sì, sì, sì!»

    Invece di ridere, scosse la testa. «Senti, non lo dico solo per te, per convincerti a fare tutte le esperienze degli anni del liceo. Lo dico anche per me, perché senza di te nemmeno io me li godo davvero. Per favore, esci di più, dai.»

    In fondo sapevo che aveva ragione. Avrei dovuto partecipare ai balli e a tutto il resto, ma... ma agli eventi scolastici considerati imperdibili io non mi sono mai trovata bene. All’inizio andavo anch’io alle feste, però non mi sentivo a mio agio. Ragazze che saltellano di qua e di là con un trucco pesante e top che non dovrebbero indossare visto che hanno già il bulbo tipico di chi beve troppa birra e ragazzi che esibiscono i muscoli e gonfiano il petto. Gente che si finge più ubriaca di quanto non sia in realtà, o che ha veramente bevuto troppo e fa di tutto per sembrare sobria. Tutti i discorsi la mattina dopo sono già dimenticati e se ti fai qualcuno speri che al risveglio non te ne ricorderai più. Per un brevissimo lasso di tempo non mi dispiaceva andare a quelle feste, ma poi ho preso le distanze da Reed, il mio errore, e ho visto tutto da un’altra prospettiva.

    Le cinque frasi che si sentono alle feste:

    1. «Sto malissimo.»

    2. «E lei, chi l’ha portata?»

    3. «Mi sa che adesso vomito.»

    4. «Sono troppo fatto. No, davvero, penso che mi stia per venire un infarto.»

    4a. Variante simpatica: «Rischio qualcosa se vado al pronto soccorso strafatto?».

    5. «Uffa, domani starò veramente di merda.»

    E poi una serie di squittii gioiosi che fanno a gara con i litigi strappalacrime delle coppie.

    Però mi mancava uscire con Brooke. Andando insieme a quelle feste ci divertivamo, a volte.

    «E va bene.»

    «Dici sul serio?» Si illuminò di gioia.

    «Sì, ma non devi fare come in Kiss me, che mi togli gli occhiali, mi stiri i capelli e mi fai mettere i tuoi vestiti.»

    «Certo che no.»

    «E non te ne starai lì a braccia conserte a guardare il ragazzo dei miei sogni che si accorge di quanto sono diventata bella.»

    «Okay» disse dandomi una pacca sulla spalla e spingendomi verso il ristorante.

    «Perché tanto alla fine si scoprirà che gli piacevo di più com’ero prima, quindi sarebbe solo una perdita di tempo.»

    Scosse la testa sorridendo. «Sei fortunata a essere già bellissima, perché sei davvero fuori di testa, cazzo.»

    2

    Era una di quelle giornate di freddo gelido e intenso che il mare di rosso e di rosa nel quale ero costretta a nuotare non faceva che inasprire. Lo so, di solito sono le persone tristi e rancorose a sostenere che di San Valentino non gliene importa proprio niente ma... è vero: non me ne importa proprio niente. È una festa stupida. Tra hamburger e fuochi artificiali o caramelle a forma di cuore e rose rosse scelgo sempre e comunque gli hamburger.

    Al termine delle lezioni mi sistemai a un tavolo all’aperto. Non indossavo nulla che potesse anche solo vagamente ricordare il rosa. Controllai l’ora sul telefono. La campanella era suonata da quindici minuti. Immaginavo che avrei dovuto aspettare e infatti mi ero messa le cuffie e stavo ascoltando la mia playlist di doo-wop anni Cinquanta. Sospirai e presi un sorso d’acqua dalla borraccia che avevo appena riempito.

    Qualcuno mi toccò la spalla e per poco non sputai il liquido.

    Mi voltai e vidi Aiden Macmillan, lo storico fidanzato di Brooke, il primo, vero amore del liceo, quello che tutti sognano di sposare. Il ragazzo con il quale lei sosteneva di avere una relazione piatta.

    Mi sfilai gli auricolari e gli feci spazio di fianco a me. «Aiden, ehi, scusami.»

    «Figurati. Che cosa stai ascoltando?»

    «Musica doo-wop.»

    «Ah, la tua playlist con i The Valentines.»

    «Proprio quella.»

    «Oggi va così, eh?»

    «Già, sarà stata questa festa a ispirarmi...» Gli diedi una gomitata d’intesa.

    «Cacchio...» disse. «Questa era pessima perfino per te.»

    «Ma piantala.»

    «Scherzavo, dai. Niente rose per San Valentino?»

    «Sto già soffrendo abbastanza, ti prego, non infierire.»

    «Sì, sì, lo so che lo odi però... ti ho portato una cosuccia per San Valentino.»

    All’inizio credevo che stesse scherzando. «Eh?»

    «No, davvero.» Mi diede un pacchettino. Sul biglietto c’erano due gattini abbracciati e la scritta A-mici.

    «Ah, ah, e poi sarei io quella che fa battute idiote.»

    Dentro trovai una busta di spezie, o almeno così sembrava.

    «Mia madre le usa su tutto.» Scrollò le spalle. «Boh, forse è una cosa stupida. So che adori cucinare e allora ho pensato che ti avrebbero fatto piacere. Volevo dartele così, in un giorno qualunque, ma alla fine ho deciso di regalartele per una festa che odi.»

    «È un pensiero davvero carino. E... e strano.»

    «Già, adesso me ne rendo conto anch’io.»

    Si scompigliò i capelli e guardò verso il parcheggio dove tutti si salutavano, ragazzi e macchine. «Cambiamo argomento... hai sentito che per questo fine settimana è prevista una bufera di neve?»

    «No, davvero?»

    «Sì, dicono quasi un metro.»

    «Wow. Allora dovrò tirare fuori le racchette da neve.»

    «E lo slittino.»

    «Lo slittino! Santo cielo, certo. Comunque a me piace tantissimo lo slittino, perché ci devono andare solo i bambini?»

    «Anch’io lo adoro. E comunque si tratta di un’attività piuttosto pericolosa, i bambini non dovrebbero assolutamente usarlo.»

    «Immagino che quando eri piccolo tu non abbia avuto molte occasioni di andare sullo slittino, in Texas.»

    «No. Solo quando per Natale venivo qui a trovare mia zia e invece che nuvole e freddo avevamo la fortuna di trovare la neve.»

    «E allora quasi mai, direi. È quello che mi piace meno dell’inverno. Dura molto più di quanto vorrei e spesso fa solo un freddo micidiale.»

    «Sono d’accordo. Se devo vivere in un posto dove ci sono quattro stagioni, voglio che siano stagioni vere.»

    «Giustissimo» dissi. «I miei cugini vivono in Michigan e anche se il Michigan è orribile...»

    Alle spalle di Aiden comparve Brooke e io mi zittii.

    Impeccabile come sempre, nemmeno lei si era abbassata a vestirsi in tema. Indossava dei leggings neri

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