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Tutta la neve del cielo
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E-book307 pagine3 ore

Tutta la neve del cielo

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Info su questo ebook

Dall’autrice del bestseller Tutta la pioggia del cielo

Patrick Morgan ha un chiodo fisso: le donne. Le ama, le insegue e loro, di solito, si fanno raggiungere senza problemi. Fino a che non compare di nuovo lei, Julia Williams, ex compagna di liceo e ora caporedattore della rivista «Talking», per la quale Patrick lavora. I due condividono un passato burrascoso. Non sono rimasti in buoni rapporti dopo aver trascorso una notte insieme. E mentre lei si vendica umiliandolo in tutti i modi immaginabili, Patrick si accorge di desiderare la donna che Julia è diventata. Fino al punto da escogitare l’impossibile per averla. Ma è davvero l’unica cosa che gli interessa o le sue intenzioni sono mosse da un sentimento più tenero? E, soprattutto, Julia capirà che è il momento di sotterrare l’ascia di guerra?
Il suo cuore è protetto da un muro, per evitare complicazioni sentimentali che potrebbero ferirla ancora. Ma forse adesso c’è qualcuno disposto a tutto pur di provare ad abbattere quella parete e farle tornare la voglia di rischiare...

Un’autrice da oltre 50.000 copie

Una storia d’amore che promette fuochi d’artificio

«Un libro romanticissimo, l’ho adorato dall’inizio alla fine. La scrittura ironica e scorrevole della Contini unita alla trama romantica fa di questo libro una piccola perla. Non vedo l’ora di leggere gli altri.»

«Un piccolo gioiello, ben scritto e appassionante, con protagonisti originali e ben caratterizzati. Lettura assolutamente consigliata!» 

«Spesso durante la lettura di queste pagine ho davvero riso di gusto.»

Angela Contini
è nata in Germania ma è italianissima. Vive in un piccolo paesino con il marito e il figlio. Ama guardare serie TV, ascoltare musica e preparare dolci. La Newton Compton ha pubblicato Tutta la pioggia del cielo, Tutte le stelle del cielo, Tutto l'infinito del cielo, Tutte le nuvole del cielo, Tutti i colori del cielo e la Hunted Series.
LinguaItaliano
Data di uscita8 ott 2019
ISBN9788822738554
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    Anteprima del libro

    Tutta la neve del cielo - Angela Contini

    Capitolo 1

    Julia

    Anno scolastico 2005/2006

    Ogni giorno la stessa storia. Mi chiedo perché sono costretta a farlo. Guardarsi allo specchio, in fondo, serve davvero a qualcosa? Posso vestirmi senza farlo, fantasticare su come vorrei essere ed evitare l’incontro con la mia immagine reale. Il confronto di una diciassettenne con lo specchio è piuttosto sopravvalutato. D’altra parte, lo so già che quello che vedrò non mi piacerà affatto, perché infierire, allora?

    Chi, specchiandosi, non vorrebbe vedere un viso bellissimo, un corpo senza difetti, un sorriso da spot da dentifricio? Io, Julia Williams, non sono tutto questo. Io sono quella che al mattino si alza e sembra avere fatto a pugni col cuscino per tutta la notte e, ad avere la meglio, è stato il cuscino. Io sono quella che: «Dio mio, ma hai visto che capelli?». Come dar loro torto? A ricoprirmi la testa, un brutto riccio crespo, poco domabile, più somigliante agli aculei di un istrice che a dei capelli. Sono quella che, se piove, meglio andare in giro con un casco.

    Io sono quella che non si limita a uno o due brufoletti. Io sono quella che o bubboni o peste nera.

    Io sono quella a cui gli specchi dei camerini dei negozi di abbigliamento fanno paura più del trovarsi faccia a faccia con un terrorista. Almeno il terrorista non solo ti fa fuori subito ma ti evita il confronto con il tuo essere alta all’incirca un metro e sessantatré, una misura su cui è distribuita una massa grassa equivalente a una taglia quarantasei (facciamo qualcosina in più).

    Io sono quella che no, non si accompagna alle proprie simili. Piuttosto preferisco umiliare la mia figura accanto a una stangona alta un metro e settantacinque, dal capello liscio perfetto, dalla pelle perfetta, dal sorriso perfetto che dovrebbe essere quantomeno stronza per poter riequilibrare l’universo e, invece, è la migliore delle migliori amiche.

    Non si può avere tutto dalla vita. È una regola. E io la rispetto alla lettera.

    A parte questo, sono una ragazza serena. Non è che mi faccia poi tante fisime per il mio aspetto. Okay, non sono una top model, ma non me la passo peggio di tante altre. Più o meno.

    Diciamo che, se non fosse per il mio corpo, il mio viso e questi diciassette anni, in cui ho continuato a raccogliere delusioni, potrei addirittura considerarmi una ragazza felice.

    Almeno ho la soddisfazione di prendere voti alti a scuola. Alti. Altissimi. Il concetto di secchiona, applicato a me, assume tutto un altro significato. Sono dipendente dai libri. Forse perché nascondono bene chi sono. Infatti, un libro non ti giudicherà mai.

    Ho un sogno: diventare una giornalista. Magari dirigere un giornale. Raccontare le storie degli altri ed evitare di far conoscere la mia. Che poi non è che sia tutto questo granché.

    Ho una famiglia normale, anche troppo. Una madre insegnante che insiste perché da grande studi medicina, ma grazie, anche no. Un padre che lavora all’ufficio immigrazione, un uomo piuttosto taciturno, ma la sua è solo timidezza, sotto sotto infatti è un Mick Jagger mancato.

    E poi ho un fratello più grande di due anni, Samuel. Una testa di cavolo che ve la raccomando. Lui, sangue del mio sangue, mi chiama amorevolmente: Palletta di lardo brufolosa. È una fortuna che io non ci fossi quando è nato, altrimenti lo avrei soffocato nel sonno, anche se, da che mi ricordo, da piccolo non era così stronzo.

    Temo che parecchi ragazzini tendano a diventare meschini quando crescono, tranne uno. Il ragazzo che ha avuto il coraggio di invitarmi al ballo di fine anno della scuola, Patrick Morgan, di un anno più grande. Bello, bellissimo. Solo se ci penso mi sento morire d’amore.

    Tutte le volte che mi fissava a scuola, pensavo lo facesse per meditare il modo più rapido per liberare la comunità dalla mia fastidiosa presenza, e invece no, è probabile che io gli piaccia.

    Altrimenti perché, proprio lui, Patrick Morgan, il più corteggiato della scuola, quello per cui ho speso sospiri e sospiri dal primo anno di liceo, avrebbe invitato proprio me, la più sfigata della scuola, al ballo di fine anno? Avanti, perché?

    Non voglio chiedermelo più. Non mi importa. Ciò che conta è che lo abbia fatto.

    Il ballo. Chi avrebbe mai pensato che sarebbe toccato anche a me parteciparvi. Già mi immaginavo a casa, fra un biscotto Oreo e un bastoncino di liquirizia, a rimuginare su come sarebbe stato, con mio fratello che mi avrebbe preso in giro da qui all’eternità. E invece…

    Non bisogna mai smettere di credere ai sogni.

    Jessica, la stangona alta un metro e settantacinque, mi ha costretta a fare shopping prima del grande evento. Così ora mi ritrovo con un abito che, se fosse stato per me, non avrei indossato neanche morta, ma lei dice che in questo modo faccio la mia porca figura e Patrick sbaverà come un cammello.

    Adoro quando Jessica mente. So che lo fa per il mio bene e per questo la apprezzo, anche perché per quanto possa sembrare stupido, alla fine mi convinco sempre di quello che dice.

    Alle sette e trenta di sera, mezz’ora prima dell’arrivo di Patrick, ammiro allo specchio la mia figura poco longilinea e molto formosa, strizzata in un tubino nero (che dovrebbe sfinare), su un paio di scarpe décolleté dal tacco vertiginoso.

    Spero di non cadere, spero di non cadere, spero di non cadere, continuo a ripetermi in maniera incessante.

    Patrick arriva puntuale come mi aspettavo. È stupendo nel suo smoking nero. I capelli castano chiaro sono lisciati all’indietro e un ciuffo ribelle ricade di lato coprendogli una parte della fronte. I suoi occhi chiari si posano su di me, mentre lo raggiungo alla porta con passo indeciso. Doveva essere leggero.

    La sua bocca esordisce con un: «Sei bellissima, stasera». E io ci credo. Ci credo davvero per la prima volta.

    «Anche tu», gli dico. Come sottolineare l’ovvio.

    «Andiamo?», mi invita porgendomi il braccio.

    Mia madre ci blocca. «Una foto per immortalare questo storico giorno, ragazzi».

    «Mamma no, per favore», la prego. Odio fare le foto. Non sono fotogenica. Sono di quelle che hanno la sfortuna di apparire inguardabili in ogni foto che fanno, come se ci fossero forze sconosciute a trasformarmi in un Hulk in miniatura a ogni scatto. Sembro sempre più grassa, più bassa e più simile a un quadro di Picasso. Ma mia madre non mi ascolta e ha già scattato un numero imprecisato di foto, che ritraggono me mentre cerco di sfuggirle. Mi mostra l’unica foto decente, sventolando la fotocamera per aria, proprio mentre io e Patrick stiamo uscendo di casa.

    «Non vuoi vedere la foto?», mi chiede lui cercando di trattenermi.

    «Non ci penso proprio. Vengo uno schifo nelle foto». Dovrei limitare il mio essere sincera, almeno in sua presenza.

    «Non ci credo», ribatte lui. Com’è ottimista questo ragazzo. «Ne vorrei una copia, se è possibile».

    «Stai scherzando?»

    «Perché dovrei?»

    «Non lo so, in effetti. Perché dovresti?». Perché non sono il tipo di ragazza di cui si vuole conservare il ricordo? Ma stavolta non glielo dico. Lo tengo per me.

    «Allora aspetto la mia copia».

    Non commento più. Salgo sulla sua macchina, un’utilitaria che guidata da lui ha la stessa attrattiva di una Ferrari Testa Rossa e ci avviamo verso la nostra scuola. Stasera Montpelier sembra profumare di vita nuova, o forse sono solo io a sentirmi diversa.

    La palestra della scuola è stracolma di studenti, professori, palloncini colorati e ormoni apparentemente invisibili. E di tutta la mia ansia, che da sola basterebbe a riempirla. Ci stanno guardando tutti, davvero tutti. I ragazzi ridacchiano fra loro. Le ragazze fanno altrettanto. Posso giurare di aver visto persino qualche professore ridere sotto i baffi. Per quanto possa apparire dura e menefreghista, ammetto di sentirmi a disagio. Non nego che il mio più grande desiderio in questo momento sia sotterrarmi.

    All’improvviso mi sento nuda, esposta come un insetto su un vetrino. Io, il mio riccio crespo e i miei rotolini di ciccia. Mai come oggi sento queste caratteristiche urlare contro la mia psiche che sta incassando diversi colpi.

    Poi appare Jessica. Altissima, magrissima, bellissima, al braccio del suo accompagnatore. Sembra avere tutto questa ragazza, tranne il biondo naturale dei miei capelli che lei avrebbe voluto al posto del suo castano. Glielo cederei volentieri per tutto il resto.

    Mi saluta. Saluta Patrick e ci invita a buttarci nella mischia. Lo facciamo e miracolo! Contro ogni previsione riesco a divertirmi. Fino a quando Patrick non mi invita ad appartarci. Allora comincio a sudare di brutto. Ho addosso un deodorante ascellare che non dovrebbe far sentire il mio palese imbarazzo che, il più delle volte, si manifesta con uno sgradevole odore, ma quando Patrick mi accompagna alla sua macchina, mentre la apre, non posso fare altro che annusarmi per capire che livello di disagio ho raggiunto e se il deodorante funziona sul serio.

    Lui si volta giusto un paio di secondi dopo. Gli sorrido mentre il cuore mi batte forte nel petto. Se mi avesse vista mentre mi annusavo un’ascella avrei potuto dire addio alla mia dignità e al mio orgoglio.

    «Ti va di venire a casa mia? Saremo da soli». Lo dice come se volesse avvertirmi o come se volesse lasciarmi la possibilità di scelta. «La mia famiglia è in vacanza a Bennington, da alcuni amici».

    «E tu perché non ci sei andato?», gli chiedo per fare un po’ di conversazione che mi distragga.

    «C’era il ballo e… volevo andarci a tutti i costi. Con te».

    «Oh».

    Patrick sorride a mezza bocca. È il sorriso di un mascalzone che sa esattamente quello che vuole e, adesso, per qualche misterioso e inspiegabile motivo, sembra volere me.

    Mia madre mi ha sempre detto che non dovrei seguire un ragazzo in nessun posto che non sia affollato, e dubito che casa sua lo sia. Quindi cosa sto facendo? Non credo mi stia portando lì per bere il latte e biscotti del dopo cena, quello che serve per dormire meglio.

    Forse dovrei smetterla di berlo anche io. Dopotutto ho diciassette anni. Non ho ancora la patente, okay, ma a questa età la maggior parte delle mie amiche possono dirsi donne. Io, a parte il sesso inequivocabile, posso definirmi tale?

    E poi, sono davvero sicura che lui voglia fare quello e non mi stia portando a casa sua per… che ne so… bere davvero latte e biscotti?

    Non facciamo in tempo a entrare in casa che Patrick mi si spalma addosso come il burro d’arachidi su una fetta di pane. Mi bacia senza neanche darmi il tempo di respirare. Cavolo! Questo è il mio primo bacio, ma lui non dovrà saperlo mai. mai!

    Fingo di sapere cosa sto facendo. In fondo mica serve una laurea in ingegneria per un bacio. So benissimo come si fa. Ho visto la scena del bacio in Top Gun un sacco di volte.

    Però le gambe mi tremano. Temo che le ginocchia non reggeranno e si piegheranno. È come se sentissi tremare anche la pelle. Il cuore è un tamburo impazzito e credo mi stia per venire il mal di pancia. Non sarebbe una cosa carina.

    Quando mi accompagna in quella che sembra essere la sua stanza e mi fa sedere sul letto, sento l’impulso di scappare. Non sono pronta per questo, mi dico. O forse sì? La prima volta non si è mai veramente pronti.

    «Julia, io… tu… sei davvero… insomma, tu mi piaci un sacco. Sei uno splendore». Patrick sa cosa dire, come dirlo e quando dirlo. Mi conquista persino balbettando. Un timido sorriso si affaccia sulle mie labbra. Il sorriso di una ragazzina che riceve il suo primo, vero complimento, quello tanto sognato, quello tanto aspettato. Quel complimento che tanto pensi non ti ricapiterà mai più e che, se è accaduto, è stato per puro caso, o per puro miracolo. E allora lo cogli, come un fiore appena sbocciato e lo tieni stretto al cuore o lo metti ad appassire tra i ricordi di un diario di scuola, fra quelli più belli, lì dove nessuno potrà toccarlo.

    «Sei arrossita», continua Patrick, mentre gioca con una ciocca dei miei capelli.

    «Io…». Io? Non ti bloccare sul più bello, idiota.

    «Sei più carina quando arrossisci».

    «Non prendermi in giro».

    «Non ti sto prendendo in giro».

    «Non ti credo». Mi stringo nelle spalle con un sorrisetto e sbatto le ciglia. Scherziamo? Sto davvero facendo la Betty Boop della situazione? Sento un paio di neuroni uscirmi dalle orecchie e gettarsi di sotto suicidandosi.

    «Ti sto dicendo la verità. Ti preferisco a molte».

    «Perché?», gli domando e sbatto le ciglia. Betty Boop esci da questo corpo!

    «Perché sei intelligente, sei sveglia, non ami apparire a tutti i costi…», su questo non ci sono dubbi, «e so che vuoi studiare giornalismo. Anche io, sai?»

    «Sul serio?», domando incredula. Possibile che abbiamo tante cose in comune? Lui annuisce. E ignoro di proposito che questo sia il discorso più stupido fra due esseri umani, con lui che elenca i miei pregi e io che squittisco un davvero? a ogni sua affermazione. Okay, è l’uomo della mia vita. Non ho bisogno di altre conferme. Non credo di volere più scappare.

    «Ti dispiace che ti abbia portata qui?». Sembra a disagio mentre me lo chiede. «Volevo restare da solo con te e chiederti se vuoi… se vuoi essere la mia ragazza». Avanti dai! Un minimo più originale, ce la puoi fare. Ma in fondo mi importa poi così tanto?

    Oggi è una data storica. Ha fatto bene mia madre a farci quelle foto. Le mostreremo ai nostri figli fra qualche anno. Ne metteremo una sulla mensola del camino e ci ricorderemo di questo magnifico giorno. Sarà il mio inno ai cliché.

    Devo raccontare cosa è successo dopo? Devo dire che le nostre labbra si sono incontrate, quasi impacciate, le sue mani si sono intrufolate in posti del mio corpo che non vedo nemmeno quando mi faccio la doccia? Muovo i primi passi verso quel cavolo di romantico sentimento che smuove le masse. Quel sentimento che fa girare il mondo, che fa sognare la gente, la fa sperare, la fa perdere e poi ritrovare, la fa impazzire e rinsavire, la fa urlare e sussurrare, pregare e piangere e ridere e…

    Ma questo è ancora solo il primo passo e, per me, è ancora meglio: è la prima volta.

    Il ricordo più bello, quello che mi accompagnerà per sempre, quello che, nella vita, sarà impossibile dimenticare, un po’ come quando impari a scrivere o a leggere. Il ricordo che è sempre vivo, anche dopo anni e anni…

    Per fortuna che aveva il preservativo.

    Capitolo 2

    Julia

    Quindici anni dopo

    Ah! Che bello svegliarsi la mattina e sentire che va tutto bene. Esattamente come avresti sempre voluto. Esattamente come speravi che andasse. È meraviglioso.

    È così che mi sveglio da molto, molto tempo ormai. E pensare che questo stato di profondo benessere nasce da uno stato di profondo malessere. Com’è strana la vita, a volte: quindici anni dopo, tutto è cambiato. La storia è cambiata. Non è più la stessa di sempre.

    L’appuntamento con lo specchio non mi spaventa più, anzi, lo attendo con piacere, perché quello che vedrò, lo so, mi piacerà molto. Esattamente quanto piace agli altri.

    Lo incontro poco dopo, il mio nemico di una volta, ora compagno fedele e sincero di mille viaggi. Lo guardo. Mi guarda. Sorrido a quello che riflette. Una giovane donna con un corpo perfetto, tonico, ottenuto grazie alla palestra e alle lezioni di pilates, che continuo tuttora. Per abbottonare i jeans non devo più trattenere l’aria fino a morire, o sdraiarmi sul letto e poi sentire la chiusura dei pantaloni perforarmi il diaframma non appena mi rimetto seduta.

    Mi passo le mani tra i lunghi capelli biondi, lisci, frutto di numerose e costanti sedute dal parrucchiere. Mi trucco sapientemente come mi ha insegnato la make-up artist di Charlize. A proposito, dovrei telefonarle per chiederle come se la passa. L’ultima intervista che abbiamo fatto, in cui mi raccontava del suo nuovo film, l’ha molto apprezzata.

    Oltre ai jeans indosso un maglioncino che lascia scoperta una spalla. Non vedo l’ora che sia di nuovo estate per scoprire un po’ di pelle.

    Il Vermont non è il massimo in inverno. Fa sempre troppo freddo.

    Sono arrivata solo ieri sera e, devo ammetterlo, è stato piuttosto strano. Manco da Montpelier da quasi dieci anni, se non consideriamo quando sono tornata per le feste comandate e il compleanno dei miei. Non più di tre volte all’anno comunque. Ora che sono in pensione, mamma e papà si sono trasferiti in Florida. Il caldo è un toccasana per i reumatismi di mio padre. Mia madre non lo ama particolarmente, ma per il bene di mio padre ha ceduto alla richiesta di lui di trasferirsi.

    La casa di Montpelier è rimasta a mio fratello Sam che si è sposato circa tre anni fa e ha smesso di chiamarmi palletta di lardo brufolosa. Ha anche una figlia, adesso. Sua moglie una volta era una figa da sballo. Ora ha messo su parecchi chili a causa della gravidanza, che non ha ancora perso nonostante sia passato più di un anno dalla nascita della pargola.

    Dice che è talmente felice che non riesce a smettere di mangiare. Per fortuna già domani mi trasferisco nel mio nuovo appartamento, perché casa di mio fratello è quasi invivibile. La piccola piagnucola in continuazione. Sembra un disco rotto. È un cucciolo dolce, ma per dieci minuti. Questo è il mio limite massimo di sopportazione. Una volta ero molto più tollerante, lo riconosco.

    Il disordine regna sovrano in questa dimora. Abiti, scarpe, pannolini e cibo sparsi ovunque. Pranzi e cene sono un disastro. Per due giorni di fila, da quando sono arrivata, ho dovuto preparare da sola i miei pasti, per rispettare la mia dieta. Ho fatto incredibili sacrifici per raggiungere certi risultati. Non posso sgarrare solo perché mia cognata continua a presentarmi a tavola intingoli unti e piatti ipercalorici. Non nego che potranno essere buoni. Una volta mi abbuffavo solo di quella roba. Adesso è diverso. Adesso io sono diversa.

    Osservo per l’ultima volta la mia immagine riflessa nello specchio della mia vecchia camera. Per un attimo rivedo la ragazzina in sovrappeso con mille speranze e altrettanti sogni che sono stati umiliati, distrutti, calpestati da un ragazzo al quale ho dato troppa, troppa fiducia e troppo altro ancora. Ma il passato non fa più male e mi ha reso quella che sono, quindi non tutto il male viene per nuocere.

    Indosso una giacca di panno nero corta, che sta da dio con i jeans. Scendo di sotto. Sam è al lavoro. Mia cognata sta già preparando il pranzo mentre la piccola sonnecchia nel suo box.

    «Ehi, ben svegliata». Jessica mi accoglie con un sorriso gioviale sulle labbra. Già, ho scordato questo importante particolare: la moglie di mio fratello è la mia vecchia migliore amica Jessica, Miss Stangona, che è sempre più alta di me, ma anche molto

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