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La principessa e il giullare
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La principessa e il giullare
E-book301 pagine4 ore

La principessa e il giullare

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Info su questo ebook

Cole Masterson è un impostore.
Falso. Fasullo. Bugiardo. È il terribile giullare della Westbrook High, e io sono la principessa viziata.
Gli altri non conoscono il vero Cole, non come lo conosco io. Per anni si è comportato con me come un estraneo, fingendo di essere uno di loro. E io spero disperatamente che torni a vedermi.
Finché non si è trasferito nella stanza in fondo al corridoio. Adesso, non c’è via di fuga dal suo sguardo smeraldo e arrabbiato né da quel sorrisetto perverso e sexy.

Gwendolyn Rhodes fa parte dell’élite ricca.
Privilegiata. Fortunata. Viziata.
Fuori dalla mia portata.
Poco importa ciò che faccio per adattarmi, gli altri mi vedranno sempre come il figlio della domestica. Ho provato a dimenticarla... ad andare avanti con la mia vita.
Ma ho permesso che i suoi giochetti mi ritrascinassero dentro. È andato tutto a monte nell’attimo in cui mi sono avvicinato a lei.
Mi ha sconvolto i pensieri, ma io ho cambiato le regole.
Non aveva intenzione di scommettere il suo cuore.
Mentre io faccio sul serio.
LinguaItaliano
Data di uscita5 ott 2022
ISBN9791220704182
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    Anteprima del libro

    La principessa e il giullare - A.D. McCammon

    1

    GWEN

    Presente


    Mia sta ancora ciarlando quando l’autista imbocca il vialetto di casa. Dal momento in cui ci siamo messe in macchina non ha smesso di vantarsi del ragazzo che ha incontrato al concerto di Billie Eilish, tanto che il breve viaggio di ritorno da Nashville mi è parso infinito. Lei è proprio quel genere di ragazza: bionda, alta, magra, abbronzata. Il tipo che rende invisibili alla popolazione maschile le ragazze come me, se si ritrovano accanto una come lei.

    Tuttavia, diversamente dalla maggior parte delle ragazze che conosco, Mia fa sempre in modo che i ragazzi si accorgano di me.

    «Lei è Gwen, la mia migliore amica. Non è bellissima?»

    È una delle tante ragioni per cui le voglio così bene. La prima volta che mi ha presentata in quel modo sono rimasta sbalordita. E anche un po’ imbarazzata.

    In un certo senso, è come se fosse una prova: capisce se i ragazzi che frequenta sono meritevoli del suo tempo valutando come trattano me. In ogni caso, di certo non mi interessa catturare l’attenzione di qualche playboy che neanche ricorderà il mio nome alla fine della conversazione.

    C’è solo un ragazzo di cui mi interessa essere al centro dell’attenzione e ci sono zero possibilità che accada. Non mi vede – non mi vede per davvero – da anni. Il suo sguardo lascia trapelare solo freddo disprezzo nei miei confronti. E forse me lo merito. Dopotutto, sono la stronza che gli ha spezzato il cuore. Non mi permetterà mai più di avvicinarmi.

    «Pronto?» dice Mia, «Terra chiama Gwen.»

    Quando incontro il suo sguardo, arriccia le labbra infastidita. «Che c’è?»

    «Non hai ascoltato una singola parola di quello che ho detto,» dice con uno sbuffo. «E sei stata con gli occhi incollati al cellulare per quasi tutta la serata. Stai aspettando una chiamata di vitale importanza, per caso?»

    Abbasso lo sguardo sull’iPhone che tengo stretto in mano, lo schermo retroilluminato si prende gioco di me con l’assenza di notifiche. Non ricevo un messaggio da parte sua da settimane. Non saprei dire se mi ha sgamata e se semplicemente si sia stancato. È una fortuna nella sfortuna. Qualsiasi cosa stesse accadendo tra di noi, doveva rallentare, e io sono troppo debole per mettere una fine a ciò che avevo cominciato.

    «Ehm, scusa.» Metto il cellulare in borsa e le rivolgo un sorriso dispiaciuto. «Devo essermi distratta un attimo.»

    «Si tratta di un ragazzo di cui non mi hai parlato?»

    Scuoto la testa, il cuore mi si stringe nel petto. Non sa nulla delle settimane trascorse a messaggiare con un certo ragazzo. È un segreto che sono determinata a portarmi nella tomba. È troppo patetico. Per nessuna ragione al mondo lo ammetterei ad alta voce. «Certo che no.»

    Più single di così non si potrebbe. Niente ragazzi, neanche un appuntamento da anni. Ne ho avuto solo uno. Ma nessuno ne è a conoscenza. La mia vita sentimentale – o la mancanza di essa – è tragica.

    Mia inclina la testa, impietosita. «Lo sai che è così perché i ragazzi sono intimiditi da te, vero?»

    Lo dice in buona fede, ma il suo bisogno di farmi stare meglio rende solo più chiara l’evidenza. Non è che penso di essere brutta. Ma sono quel tipo di ragazza che si sente dire hai davvero un bel viso, o saresti uno schianto se perdessi qualche chilo. Per gli standard della società, sono troppo formosa per essere bella. È una questione con cui convivo da sempre. Perfino mia madre mi fa sentire insicura riguardo al mio peso, comprando di continuo cibo salutare e facendo commenti sulle mie abitudini alimentari. Che non sono diverse da quelle di Mia. Eppure, lei è una perfetta taglia 38, mentre io una 48.

    Non è semplice imparare ad amarsi, specialmente quando tutto e tutti ti dicono che non dovresti. Mi ci sono voluti anni per guardare lo specchio senza odiare ciò che vedo. Ci sto ancora lavorando, ma ne ho fatta di strada dai giorni dei disordini alimentari.

    L’autista sta parcheggiando davanti la porta di casa mia quando scoppio a ridere. «Dici un sacco di cavolate, ma lo apprezzo.»

    «Smettila,» mi rimprovera Mia, dandomi un buffetto sul braccio. «La metà dei ragazzi della Westbrook High si metterebbe in fila per uscire con te, se pensassero di avere una possibilità. Cory vuole il tuo numero dal primo anno. Il problema è che tu sei troppo esigente.»

    Non ha tutti i torti. Ma non è una mia scelta. Non si può comandare il cuore, e il mio appartiene già a qualcuno. Anche se quel qualcuno ha smesso di rivendicarlo.

    «Voler uscire con una persona con cui sostenere una conversazione intelligente non è chiedere troppo,» la prendo in giro. «Cory è dolce, ma credo che abbia ricevuto parecchi colpi in testa.»

    Cory è uno di quei personaggi che si vedono nei film per adolescenti. Carino e dolce, ma stupido da morire. Non riesco neanche a immaginare di cosa mai potremmo parlare. Non abbiamo assolutamente nulla in comune.

    Ma mentirei se dicessi di non averci mai pensato, perlomeno durante i momenti particolarmente difficili in cui ero stufa dei miei costanti patemi d’animo.

    «Chi se ne frega se non è un abile conversatore? Per quello ci sono le amiche. Ci sono tanti altri modi di usare la bocca.» Mia ride di fronte al mio imbarazzo, mentre l’autista si lascia sfuggire una risata soffocata.

    Con il volto in fiamme, gli rivolgo un’occhiata. Sta guardando il cellulare, provando disperatamente a fingere di non ascoltare ciò che stiamo dicendo.

    «Okay, ehm,» sibilo piano. «Non voglio che la sua bocca finisca troppo vicina a me.»

    «Come ti pare.» Mia fa spallucce e alza gli occhi al cielo. «Non deve essere per forza Cory, ma non potrai restare una verginella per sempre.»

    Il senso di colpa mi attanaglia lo stomaco. Mia era una fiera studentessa del secondo anno quando ha perso la verginità, è stata la prima del nostro gruppo di amici. Non ha idea che io abbia perso la mia un anno prima con il ragazzo di cui ero innamorata. Se avessi ammesso di aver fatto sesso, avrebbe voluto sapere con chi. E dirglielo avrebbe portato ad altre domande a cui non ho intenzione di rispondere. Per quanto mi faccia male nascondere qualcosa di così importante alla mia migliore amica, è più semplice continuare a farle credere questa bugia creata da un’omissione.

    Mi sgancio la cintura di sicurezza e mi avvicino per darle un rapido abbraccio. «E con questo, io entro a casa.»

    Lei ridacchia. «Ciao. Chiamami domani.»

    Mia si è trasferita a Westbrook all’inizio del secondo anno e mi aveva subito proclamata sua amica del cuore. Come se all’epoca sapesse quanto disperatamente avessi bisogno di una nuova amica. Avevo appena perso quello che era stato il mio miglior amico per quasi dieci anni, e avevo il cuore a pezzi. Non so che cosa avrei fatto senza di lei, negli ultimi due anni.

    Uscendo dall’auto, diretta verso casa, mi sento esausta. In casa regnano il buio e il silenzio. La maggior parte dei genitori sarebbe in apprensione all’idea che la propria figlia vada a un concerto in centro a Nashville, ma non è poi così sorprendente che i miei non siano qui a salutarmi o ad assicurarsi che sia tornata sana e salva.

    Mia madre dirige la sua scuola di danza classica, sempre a Nashville. È quella la sua vera creatura, il suo orgoglio e la sua gioia. E mio padre è un avvocato nel settore dello spettacolo. Non smette mai di lavorare, dico sul serio.

    Mi sfilo le scarpe in fondo alle scale e inizio a salirle, arrivo in cima con passi fiacchi, sono la promessa di una doccia calda e della comodità del mio letto a guidarmi.

    Quando entro in camera mi sto già togliendo i vestiti sporchi, puntando dritta alla doccia. L’acqua bollente scioglie via in modo meraviglioso tutto il sudiciume che ho addosso dopo essere stata in mezzo a una folla e, dopo dieci minuti, mi avvolgo il corpo stanco in un asciugamano.

    Non mi resta neanche abbastanza energia per preoccuparmi di mettere il pigiama, quindi filo a letto. Quando entro in camera, una figura in ombra sopra il materasso cattura il mio sguardo, e il cuore mi piomba nello stomaco. Mi raggelo, ma la paura che mi stringe la gola mi impedisce di gridare e fuggire.

    L’ombra si muove, sento un click e a quel punto la lampada illumina la stanza. Sbatto le ciglia in attesa che la vista si adegui all’oscurità, il panico aumenta quando finalmente riesco a osservare bene che cosa, o chi, c’è sul mio letto.

    «Bentornata a casa, Principessa

    Sembra molto a suo agio, tutto spaparanzato con le braccia dietro la testa e le gambe incrociate. Ha i bottoni della camicia sbottonati, il che gli mette in mostra il petto nudo e l’addome. I capelli biondi sono arruffati in un modo che lo fa apparire malsanamente bello. Indossa dei jeans a vita bassa, da cui fa capolino la fascia superiore dei boxer Calvin Klein.

    È un’immagine che ho visualizzato un’infinità di volte, prima, e per un breve istante mi chiedo se sia tutto un sogno. Finché non noto il luccichio di perfidia nei suoi occhi smeraldo, mentre le labbra gli si incurvano in un ghigno malefico.

    Non è un sogno, è un incubo.

    Oh Dio, sa che ero io.

    Un panico gelido mi inonda le vene, mi lambicco il cervello in cerca di una scusa plausibile per quello che ho fatto. Volevo soltanto parlargli, senza il solito scambio di colpi bassi che sembra essere la nostra unica forma di comunicazione in questi giorni. Volevo avere una vera conversazione. Sì, l’ho ingannato. Ma non avevo intenzione di tendergli una trappola.

    «Cole?» Il terrore nella mia voce è palpabile, perciò mi schiarisco la gola e, fingendo calma indifferenza davanti alla sua presenza, continuo: «Che cavolo ci fai a casa mia?»

    «Tecnicamente, è casa nostra.» La risposta educata cela un tono sinistro, che mi avverte delle sue perfide intenzioni.

    Comincio a tremare e combatto i brividi dati dalla paura. «Non vivi più qui da due anni, Cole.»

    Mi sembra passata una vita, più che altro; i quasi dieci anni che abbiamo trascorso insieme non sono altro che un ricordo evanescente a cui mi aggrappo disperata.

    Provo a ricordare l’ultima volta in cui siamo stati insieme in camera mia. Abbiamo riso? Mi ha abbracciata? Mi ha detto che mi amava? Io ho ricambiato?

    Ma l’unico ricordo che riesco a riportare alla mente è quello che vorrei dimenticare per sempre. La notte in cui gli ho fatto credere di non volerlo. La notte che lo ha cambiato. Quando ho perso il suo amore e ho guadagnato il suo odio.

    «Un’anima straziata e un cuore a pezzi non vanno bene per me.»

    «Vero.» Si stiracchia come un gatto ozioso, si mette a sedere e, fissandomi con il suo sguardo duro, posa i piedi a terra. «E so che questa cosa ti ha dilaniata. Ma la buona notizia è che sono tornato. Mi sono trasferito in fondo al corridoio.»

    Si mette in piedi e io indietreggio istintivamente, scuotendo la testa per protestare. «È una bugia. Ho parlato con mamma questa mattina. Non mi ha detto nulla a proposito del tuo trasferimento.»

    «Già… Ho chiesto a Nina e Mark di farti una sorpresa.» La sua risatina malvagia mi impedisce di muovermi mentre si avvicina, il calore del suo corpo piomba sulla mia pelle scoperta nell’attimo in cui mi invade lo spazio vitale. «Sorpresa

    La sua vicinanza mi rende ben consapevole del fatto che la sola cosa a coprirmi è un piccolo asciugamano floreale e mi affretto a incrociare le braccia sul petto. «Esci dalla mia stanza.»

    Cole deride il mio debole tentativo di risultare severa. «Non c’è bisogno di fare la modesta, con me. Ho avuto modo di apprezzare il tuo piccolo striptease quando sei entrata.» Sento la pelle bruciare dall’imbarazzo; Cole allarga le labbra in un gran sorriso e con un dito mi sfiora una guancia che si sta facendo rossa. «Non fare la timida. Non è che non ti abbia mai vista prima, Principessa. In realtà, non c’è un solo centimetro di questo corpo seducente che non abbia toccato o assaggiato.»

    Chiudo gli occhi al tocco delle sue dita sul collo, sulla clavicola e sulla spalla. È passato tanto tempo dall’ultima volta in cui l’ho sentito e mi godo il momento. Una volta, lui era mio… il mio tutto.

    Quando riapro gli occhi, noto che risentimento e malizia sono svaniti dallo sguardo di Cole. Sono stati rimpiazzati da un vortice di desiderio e tristezza. Mi osserva aggrottando le sopracciglia. Si avvicina come se stesse per baciarmi, mozzandomi il fiato, ma le sue labbra schivano le mie e mi si posano invece su una tempia.

    «Sarà davvero divertente giocare con te,» mi sussurra all’orecchio.

    Quando si allontana, sul volto vedo comparirgli un sorrisetto maledettamente sensuale. Mi divora con lo sguardo, poi gira i tacchi e lascia la stanza. La sua risata riecheggia per tutto il corridoio.

    2

    COLE

    Sei anni


    I capelli mi oscillano al vento, l’erba e gli alberi si confondono mentre percorriamo la strada. Chiudo gli occhi e fingo di trovarmi su una delle montagne russe su cui mio padre prometteva sempre di portami quando sarei diventato grande. L’ennesima promessa che non è riuscito a mantenere.

    «Cole Masterson, non sei un cane,» si lamenta mamma, tirandomi un lembo della camicia. «Togli subito la testa dal finestrino.»

    Mi rimetto a sedere e, imbronciato, incrocio le braccia. «Ma ho caldissimo.»

    Mamma mi rivolge uno sguardo severo, poi torna a concentrarsi sulla strada. «Sopravviverai. Ai miei tempi le auto neanche avevano l’aria condizionata.»

    Alzo gli occhi al cielo sbuffando. L’aria condizionata della nostra macchina non funziona da mesi. In primavera non è stato un problema, ma viaggiare con i finestrini abbassati non dà sollievo dalla calura estiva. Mi sembra che il sole mi stia bruciando la pelle.

    «Siamo arrivati?» mi lamento, dimenandomi sul sedile.

    Mamma sospira. «Un po’ di pazienza, piccolino. È proprio lì in fondo.»

    Oggi ci trasferiremo nella nostra nuova casa. Mamma dice che è molto carina e che adorerò la nuova scuola. Ma lei sostiene sempre che sia tutto fantastico anche quando la situazione è davvero brutta. Non voglio vivere con degli sconosciuti. Ce la siamo cavata bene noi due da soli.

    Mamma era così triste quando abbiamo perso casa nostra, dopo la morte di papà. Ma io credo che sia divertente trasferirsi da un posto all’altro. A volte ci tocca dormire in macchina, ed è un po’ come fare campeggio. Lei si preoccupa troppo, dice che ho bisogno di organizzazione e sicurezza, qualsiasi cosa significhi.

    «Non voglio vivere con una femmina,» borbotto.

    «Non comportarti così. Gwendolyn ti piacerà. E poi ti farà bene avere un’amica della tua età, a scuola.»

    «Che schifo, mamma. Non farò amicizia con una femmina. Hanno i pidocchi.»

    «Un giorno cambierai idea sulle ragazze,» risponde, ridendo sotto i baffi. «In ogni caso, farai meglio a comportarti come si deve. Il tuo papà era amico dei Rhodes. Sono davvero gentili ad accoglierci.»

    «Ma pensavo che avessi detto che stavi andando a lavorare per loro! Non ci stanno facendo un favore se te lo devi guadagnare.»

    «Ci aiutiamo a vicenda. Un giorno capirai l’importanza di lavorare per ottenere ciò che vuoi. Le cose belle non arrivano facilmente né gratis, piccolino.»

    Me lo ha già detto centinaia di volte. Però penso che non ci farebbe male avere qualcosa con più facilità o gratis, una volta tanto. Era ciò che voleva papà per noi, ma è stato tutto così difficile per mamma da quando lui non c’è più. Vorrei solo poterla aiutare in qualche modo.

    «Papà diceva che una brava donna come te non dovrebbe lavorare così tanto, che il suo lavoro era prendersi cura di te. Da quando se n’è andato, sono io l’uomo della famiglia. Forse il signore e la signora Rhodes mi permetteranno di lavorare al tuo posto.»

    Mamma posa il suo sguardo triste su di me e con mano tremante afferra il plettro che porto legato intorno al collo con un laccio. Il plettro fortunato di papà. Sentirmi parlare di lui la turba sempre.

    «Sei davvero dolce, amore mio.» Si schiarisce la gola e torna a concentrarsi sulla strada, si asciuga una lacrima che le riga la guancia. «Ma ci saranno tantissime occasioni in cui dovrai fare l’uomo. Hai solo sei anni e temo che le leggi vietino il lavoro minorile.»

    «Non lo saprebbe nessuno,» protesto. «Possono pagarmi in nero.»

    Non capisco il reale significato dell’espressione, ma un paio di posti si erano offerti di pagarla così. Quando le ho chiesto cosa volesse dire, mi ha spiegato che volevano lavorasse per loro senza che il governo lo sapesse. Non capisco perché al governo importi per chi lavori mamma.

    Si lascia sfuggire una risata. «Saresti comunque troppo impegnato con la scuola.»

    Sbuffo, odio il pensiero di dover tornare a scuola. «Ho quasi sette anni, lo sai.»

    «Te l’ho già detto che hanno anche una piscina?» chiede mamma, ignorandomi completamente.

    Riesce a distrarmi e mi sollevo di scatto. «Davvero?»

    Quest’estate non ho nuotato per nulla. Uno dei motel in cui siamo stati aveva la piscina, ma l’acqua era verde e puzzava come una palude.

    «Mh-mh,» mormora in risposta. «E… eccoci.» Mette la freccia ed entra in un vialetto.

    Spalanco gli occhi alla vista della casa. È gigantesca. La casa più grande che abbia mai visto. «Oh, mio Dio, non mi avevi detto che ci stavamo trasferendo in un castello.»

    Mamma ridacchia. «Assomiglia un po’ a un castello, vero?» Trae un respiro profondo mentre parcheggia, e mi sorride. «Sei pronto a cominciare la nostra nuova avventura?»

    Annuisco impaziente, mi slaccio la cintura e mi fiondo fuori dalla macchina. Mamma prende alcune borse dai sedili posteriori e poi, mano nella mano, ci dirigiamo alla porta. Una volta arrivati davanti, una donna la apre e ci saluta con un gran sorriso.

    «Ciao, Lydia.» Mi irrigidisco notando che mi osserva. «E tu devi essere il piccolo Nicolas.»

    «Cole,» la correggo.

    Mamma mi ha chiamato Nicolas come mio padre, ma mi chiamano tutti Cole.

    Mi stringe le spalle, come a ricordarmi di comportarmi bene.

    «Ti chiedo scusa, Cole. Sono davvero felice di conoscerti. Io sono Nina.» Mi porge la mano come se fossi un adulto, e la stringo nell’attimo in cui un uomo arriva alle sue spalle. «E lui è mio marito, Mark.»

    «Ciao, piccolino.»

    «Non sono piccolo,» ribatto, stringendo anche la sua mano. «Ero il ragazzo più alto della mia classe, l’anno scorso. E il dottore ha detto a mamma che ho battuto otto record già quando ero nella sua pancia. Un giorno sarò più alto di te.»

    Mark ridacchia e prende la borsa di mamma. «Tu e Gwen ve la intenderete alla grande. Entriamo e vediamo se riusciamo a trovarla.»

    Io e mamma entriamo dietro di loro e i nostri passi riecheggiano nel grande spazio. Il pavimento risplende, le pareti sono bianche e c’è una grande cosa di metallo appesa all’alto soffitto sopra di noi. Sono stato in alcuni hotel in centro con mamma, quando stava cercando lavoro. Erano grandi e belli, come questo palazzo, ma non ci siamo mai rimasti a lungo. Bastava che mi vedessero una volta perché la mandassero via. È difficile credere che vivremo qui. Solo l’ingresso è più grande della maggior parte delle stanze in cui ho vissuto.

    «Gwen, tesoro,» chiama Nina in direzione della lunga scalinata, in cerca della figlia. «Vieni giù, per favore. Ci sono Lydia e Cole.»

    Dopo pochi secondi, una bambina con i capelli scuri e una corona in testa, e con indosso un vaporoso abito rosa, comincia a scendere le scale. A quanto pare nel castello vive una principessa in carne e ossa.

    Quando mi si avvicina, le sue labbra si allargano in un sorriso e avverto una strana sensazione allo stomaco.

    Indietreggio.

    «Gwen,» dice sua madre, mettendole una mano sulla spalla e facendola avvicinare a me, «lui è Cole, il figlio di Lydia.»

    «Ciao,» fa lei esitante, sollevando la mano per salutarmi.

    Dal momento che non reagisco, mamma mi dà una gomitata. «Non essere scortese, figliolo.»

    «Ciao,» borbotto, porgendole la mano come hanno fatto i suoi genitori con me.

    Lei arrossisce ed esita. Per farla finita, le afferro la mano e la stringo. Il contatto mi sconvolge, come quando trascino i piedi sul tappeto e do la scossa a mia madre. Mi ritraggo in fretta e mi pulisco il palmo sui pantaloncini.

    «Gwen, perché non fai vedere la casa a Cole mentre noi aiutiamo Lydia con il trasloco?» suggerisce Nina.

    Guardo mamma con occhi spalancati, implorandola di salvarmi. Lei stringe i suoi, poi rivolge un gran sorriso a Nina e Gwen. «Ottima idea.»

    Mi dà una pacca sulla testa e si allontana con Nina e Mark, lasciandomi solo con Gwen, che si mordicchia il labbro e mi osserva, le guance rosa le diventano sempre più rosse mentre oscilla da un piede all’altro. «Ti piacciono i popcorn?»

    Aggrotto la fronte davanti a quella strana domanda. «Che cosa?»

    «Nella sala cinema abbiamo una macchina per i popcorn,» mi

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