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Mio cugino è un bastardo
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E-book149 pagine3 ore

Mio cugino è un bastardo

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Info su questo ebook

Nicola, diciannovenne di spiccato talento creativo ma senza prospettive è iscritto alla facoltà di economia, che affronta come un castigo impostogli da sua madre, collezionista d'arte eccentrica ma severa. Non le ha mai rivelato di essere bisessuale. Si nasconde dietro un velo di falsa cortesia come gli altri membri della sua famiglia altoborghese disunita in cui vige la convinzione che non sia necessario comunicare i propri sentimenti, soprattutto quando si tratta di soprassedere sulle cose importanti pur di salvare la faccia.
Dovrà ricredersi quando i suoi zii, assentandosi per la notte del loro anniversario, gli chiedono di passarla in compagnia di Samuel, suo cugino diciassettenne, che è disperato perché è appena stato lasciato dalla fidanzata storica. Non sapendo come confortarlo, in cerca di un tipo di legame che non ha mai avuto con un membro della sua famiglia, gli confessa di essere bisessuale. La reazione del cuginetto è quello che non si sarebbe mai aspettato.

Presenza di scene erotiche MM
LinguaItaliano
EditoreB.Blake
Data di uscita9 giu 2017
ISBN9788871631714
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    Anteprima del libro

    Mio cugino è un bastardo - B.Blake

    me

    Capitolo 1

    L’icona sul monitor lampeggiava segnalando l’arrivo della mia risposta. Ero curioso, abbandonai il sito d’incontri che stavo scorrendo ed aprii la finestrella.

    Sbagli a non voler fare coming-out. Non credi che sia importante che la tua famiglia ti conosca per quello che sei?

    Mi mordicchiai l’unghia del pollice guardando il monitor. Carly92 a volte sembrava avere tutte le risposte e mi urtava ammettere quanto la sentissi vicina. In teoria. È più facile confidarsi con gli sconosciuti. Parlarsi da grandi distanze, attraverso una tastiera, ti dà l’impressione che la loro opinione non importi sul serio. Tanto non li incontrerai mai.

    Per noi bisessuali non è necessario.— digitai – "e comunque, non lo direi neanche se fossi gay. Non sono fatti loro, non capirebbero. Se serve solo a peggiorare la mia situazione in casa perché dovrei farlo?"

    Ipocrita.

    Solo una parola. Chiusi la chat e tornai sul sito. Scorsi il mio profilo. Nicola, diciannove anni. La mia foto a figura intera ritraeva un ragazzo alto 1,84 cm, capelli castani a spazzola, occhi scuri e un fisico normale, scolpito fino agli anni del liceo in cui stavo nella squadra di nuoto. Da quando studiavo economia all’università non avevo più tempo per allenarmi, anche perché non è che abbia mai avuto la passione per lo sport. Il nuoto era una fissa di mia madre, come ogni cosa che prima mi piaceva e poi, grazie alle sue intrusioni, al suo sostegno, al suo tifo sfegatato, sono giunto a odiare e rifuggire.

    Carly92 non lo capiva, anche se ne avevamo parlato spesso. Diceva che avrei dovuto confrontarmi con mia madre, raccontarle tutto e lo avrei fatto, sul serio, avessi avuto un’altra madre. Per la ragazza delle notifiche lampeggianti, il fatto che non abbia mai sentito il bisogno che la mia famiglia si impicciasse nella mia vita sentimentale, equivaleva a mentire a me stesso. Non riusciva a concepire che mi stava bene perché fin da piccolo ero stato abituato così.

    I miei genitori non si scambiano effusioni in pubblico e come io rispettavo la loro privacy loro rispettavano la mia.

    Non era ipocrisia. Era un fatto pratico. Ero sempre attento a non farmi beccare in atteggiamenti intimi con qualcuno, maschio o femmina che fosse.

    Mia madre infatti non mi chiedeva mai se e quali delle amiche che venivano a casa fossero mie fidanzate. Semplicemente non se ne parlava e a me stava benissimo così.

    Se aspetti ancora a dirglielo sarà peggio. Si sentiranno traditi perché non glielo avevi detto prima.

    Mi chiesi se forse, nonostante le sue belle parole, anche lei non fosse un’ipocrita che si nascondeva dietro la tastiera. Stavo per scriverglielo quando squillò il cellulare.

    Quella sera di luglio mi chiamò mia zia Elisabetta, la sorella minore di mia madre, per chiedermi se potevo passare la notte da loro. Era l’anniversario suo e dello zio e dovevano andare a cena in un agriturismo. Avrebbero anche dormito fuori, ma non voleva lasciare da solo mio cugino Samuel, che era appena stato piantato dalla ragazza e frequentava la quarta liceo. A dire il vero, la rottura era stata uno shock per tutti in famiglia. Samuel e Anna, Anna e Samuel. Entrambi belli come dei modelli da rivista. Uniti come due uccellini inseparabili sullo stesso trespolo, tutti gorgheggi e piume colorate.

    Sebbene avessero più o meno la stessa presenza, mia zia era più attraente di mia madre. Aveva lineamenti meno severi e un carattere più solare. Sorridere spesso aiutava, credo. Samuel poi aveva avuto la fortuna di ereditare da suo padre quegli occhi verde scuro dal taglio particolare. Normale che molte ragazze della scuola avessero una cotta per lui, ma lui era fedele solo ad Anna. Stavano insieme dalla prima media. La coppietta tanto perfetta che sembrava inconcepibile. Si mandavano sms tutto il tempo, si scrivevano dediche con giuramenti di amore eterno sui diari di scuola. Se non gli avevo mai chiesto l’amicizia sui social era proprio perché avrei visto solo smancerie che mi avrebbero dato sui nervi.

    Sul muro del bagno a casa mia c’era ancora il cuore con le loro iniziali che lui aveva disegnato col pennarello nero a tredici anni. Bastava spostare l’armadietto dei medicinali, anche se probabilmente ero l’unico a saperlo. Non che a mia madre avrebbe dato troppo fastidio, poiché colleziona opere d’arte. Conoscendola, si sarebbe limitata a commentare qualcosa sulla mano immatura dell’artista. Sorrisi al pensiero, mentre raggiungevo a piedi la villetta di mia zia, che era a pochi isolati da casa mia, in un altro quartiere meno centrale e più residenziale. Avevo un po’ di apprensione. All’improvviso capii che avrei passato la notte con mio cugino senza che nemmeno lo conoscessi. Samuel e Anna vivevano talmente in simbiosi che come cugini io e lui non avevamo mai avuto un gran rapporto.

    Capitolo 2

    «Ehi, Nico!» mi salutò mio zio vedendomi arrivare. Aveva appena tirato fuori la macchina dal garage e stava armeggiando col cancello.

    «Ciao, zio. Come sei elegante! Vi si prospetta una bella serata.»

    Mio zio Carlo, con le mani sui fianchi, mi rivolse un mezzo sorriso.

    «Grazie che sei venuto. Samuel è… con noi fa il duro ma si vede che è totalmente devastato. Una cosa del genere non ce la aspettavamo proprio.» commentò scuotendo la testa.

    Che frase da funerale. Sì beh, non è che fosse morto qualcuno. Due fidanzatini si erano lasciati, che tragedia. Non è che il cuginetto forse era un po’ troppo viziato?

    «Allora io entro. Vado a… calcolare i danni.»

    «Dì alla zia che la sto aspettando in macchina. Ricordale che ho prenotato. Con quanto ci mette a prepararsi finisce che arriviamo tardi e perdiamo il tavolo.»

    Trovai zia Elisabetta in cucina. Era già tutta in ghingheri e stava controllando il contenuto del frigo. Appena mi vide entrare mi salutò con due baci sulle guance. Con tutte le mie forze cercai di non abbassare lo sguardo sulla prosperosa scollatura che esibiva il vestito elegante che le fasciava il corpo di quarantacinquenne ancora in forma. Mia madre non aveva una dotazione così. Sentendomi un po’ sciocco pensai che sorridere aiutava davvero.

    Mi fece sedere al bancone a isola della cucina mentre partiva la solita sceneggiata: Vuoiqualcosadabere, possofartiunpanino, l’aperitivo?!

    Con occhi sbarrati, come fosse questione di vita o di morte. E io dovevo recitare la mia parte: Noziastobenecosì, homangiatoacasa, ceneròpiùtardi.

    Lei si rilassò alle battute conclusive del rituale. Tirò un sospiro, guardandomi negli occhi. Il sorriso si allargò sulla sua faccia finché esplose in una risata e io non potei evitare di ridere a mia volta.

    Si grattò la nuca, io scossi la testa.

    «Sei la mia zia preferita, lo sai?»

    «Beh,» pronunciò con falsa modestia «Non è che hai tante zie.»

    «Come sta Samuel?»

    «Non mi parla. A quanto pare, ho la tendenza a dire cose che lo fanno innervosire. E tu come stai? Come sta andando l’università?»

    «Non mi piace. Che posso farci? Mia madre non si rassegna.»

    «Sai che non sei obbligato, se non vuoi. Devo ammettere che i metodi di mia sorella sono un po’ ortodossi, ma sono sicura che si preoccupi per te. Vuole solo che ti assicuri un futuro.»

    «Mi ci vedi chiuso in un ufficio a fare calcoli?»

    Sorrise, incrociando il mio sguardo.

    «La facoltà di economia è la tua punizione, finché non prenderai l’arte sul serio.»

    «È proprio questo il punto. Finché lei mi sta così addosso non riuscirò mai a comporre qualcosa di valido.»

    «Lascia perdere la musica. Sei molto più bravo a fare foto.»

    «E la sua critica è talmente feroce che mi toglie il piacere di farlo. Lei non c’è mai, poi arriva all’improvviso e crede di poter mettere a posto ogni cosa con due parole di critica. Lo odio. Non lo sopporto.»

    «Quando uscirai dal periodo della ribellione, Nico? Per quanto ancora vuoi fargliela pagare?»

    «Che cazzo, zia. Lasciami ribellare in pace!»

    Mi lanciò in faccia uno strofinaccio, ridacchiando.

    «Nico, tirati su i pantaloni che ti si vede la faccia!»

    «Scusa, ma non capisci proprio un cazzo di moda. Ah, tra l’altro, lo zio ti sta aspettando in macchina da mezz’ora. Dice di sbrigarti.»

    «Sì, sì. Allora noi andiamo. Posso fidarmi?»

    «Mi hai chiamato tu. Buon anniversario, comunque.»

    «Comunque eh… ciao Nico!»

    La zia si chiuse la porta alle spalle ed io restai immerso nel silenzio della grande cucina. Era quasi il tramonto. La luce filtrava obliqua dalle tapparelle immergendo la stanza in una tale calma che non stavo a mio agio. Mio cugino non aveva intenzione di farsi vedere ma sapevo dove trovarlo.

    Invece di salire le scale che portavano al primo piano per raggiungere camera sua, aprii la porta dello scantinato, accesi la luce e scesi di sotto. Samuel, in maglietta e pantaloncini era buttato a pancia sotto sul divano letto aperto, davanti al televisore 42 pollici che stava appeso al muro. Il joystick in mano. Non alzò la testa dal videogioco per salutarmi.

    «Ciao Nico." mormorò senza intonazione, appena più forte del volume del televisore.

    Andai a sedermi vicino a lui, che non si spostò, era già qualcosa. Mise il gioco in pausa e si alzò a sedere sul letto.

    «Che stai facendo?»

    «Assassin’s Creed. Scusa se i miei ti hanno fatto venire. Non c’era nessun bisogno. Vorrei andare avanti col gioco se non ti dispiace. Puoi fare quello che vuoi.»

    Ok… che stronzo. Ti insegnerei io un paio di cosette…

    Cercando di sfoderare tutta la pazienza che avevo per non rispondergli male, ricordai che era stato lasciato da Anna appena tre giorni prima. Per lui era una tragedia. Forse era meglio lasciarlo perdere. Comunque tra poco sarebbe stata ora di cena. Potevo tenermi impegnato cucinando qualcosa, magari seguire un programma alla tv in cucina, tanto per ammazzare il tempo. Per il momento, adocchiai una vecchia chitarra appoggiata al muro.

    «Ti dà fastidio se suono qualcosa?»

    «Fai pure.»

    Il mobile accostato al muro era praticamente una bacheca. Era pieno di cornici di fotografie. Tutte di Samuel e Anna. In posa, sorridenti, imbronciati, con gli occhiali da sole. Sembravano felici. La chitarra stava lì vicino. La presi e mi sedetti sull’enorme divano letto, appoggiando la schiena contro il muro, tenendomi un po’ distante dalle gambe di Samuel. Cominciai con qualche arpeggio.

    «Inutile, è tutta scordata.»

    «…Eh?»

    «Senti, Sam. Non te l’ho ancora detto. Mi dispiace per come sono andate le cose tra

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