Un eccitante distrazione: Harmony Destiny
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Il magnate alberghiero Max Kendrick si rivela una eccitante distrazione per Layla, peccato che il fratello gemello di Max sia l'uomo che ha sedotto la futura sposa! Ora Emma deve scegliere se tradire il fratello o abbandonarsi tra le braccia di un uomo che rappresenta un provocante frutto proibito. E che sa essere davvero molto convincente.
Disponibile in eBook dal 20 gennaio 2021
Barbara Dunlop
Tra le autrici più note e amate dal pubblico italiano.
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Un eccitante distrazione - Barbara Dunlop
successivo.
1
Se avessi potuto scegliermi una sorella, quella sarebbe stata Brooklyn. Mi faceva ridere. Meglio ancora, mi faceva ragionare. E quando le cose si mettevano male, come spesso accadeva, lei si sdraiava di fianco a me sul mio piumone di seta blu e mi ascoltava per ore. Sapeva quando la soluzione migliore era il gelato e quando la tequila.
Per di più era intelligente. Tutti dieci fin dalle elementari.
Io ero un tipo da otto più, ma ero bravissima a fare la treccia alla francese che a Brooklyn piaceva un sacco.
Aveva lunghi capelli biondi e bellissimi occhi azzurri. Ed era abbronzata. Lo eravamo entrambe. Lo siamo sempre state.
Quando eravamo bambine trascorrevamo le estati sulla spiaggia del lago Washington. Abbiamo attraversato insieme la fase altalena e scivolo, per poi approdare, una volta cresciute, agli sgabelli dei bar dove facevamo gli occhi dolci ai ragazzi carini per farci offrire dei frappè.
Ed entro un paio di settimane Brooklyn avrebbe sposato mio fratello maggiore, James.
«Riesco a vedere il Golden State Bridge» disse Sophie Crush dal sedile anteriore del taxi.
Io ero sul sedile posteriore, schiacciata tra Brooklyn e Nat Remington.
«Secondo voi vedremo qualcosa dalle nostre stanze?» chiese Nat.
«Io voglio la vista sulla SPA» disse Brooklyn. «Da dentro la SPA, voglio dire.»
«La sposa ha parlato!» esclamai.
Immaginai un energico massaggio. Ne avevo fatto uno, una volta.
Era stato un paradiso in cui non vedevo l'ora di tornare.
«Pedicure» disse Sophie.
«Trattamenti per il viso» replicò Nat.
«Voglio sedermi nella sauna» disse Brooklyn.
«Sento già i pori che si dilatano» dichiarai io.
La sauna era un'ottima idea. E anche i trattamenti per il viso. Io ero la damigella d'onore e volevo essere stupenda.
Diversamente da altre spose più egoiste, Brooklyn aveva scelto dei bellissimi abiti per le damigelle. Erano leggeri e lunghi fino al ginocchio, con lo scollo a cuore senza spalline e corpetti aderenti di chiffon azzurro.
Era difficile abbinare i miei capelli rosso rame, ma fortunatamente i due colori stavano bene insieme. Perché per una ventiseienne single, un matrimonio era il posto ideale per conoscere nuovi ragazzi.
Il taxi si fermò vicino a una porta girevole che dava sulla hall. Su una colonna di marmo, un'iscrizione dorata recitava The Archway Hotel and Spa.
Tre uomini in impeccabili giacche ci aprirono le portiere.
«Benvenuta all'Archway» disse uno di loro rivolto a Brooklyn, soffermandosi con lo sguardo sui suoi occhi del colore del mare prima di spostarlo su di me.
Aveva un sorriso cordiale. Era carino, ma non avevo intenzione di farmelo piacere, anche se aveva occhi incantevoli. Non che avessi qualcosa contro i valletti. Per quanto ne sapevo stava lavorando lì per pagarsi il dottorato. Non sono snob. Insegno matematica al liceo, e di certo non è il lavoro più prestigioso del mondo. Sono aperta a incontrare gente di ogni estrazione sociale.
Brooklyn lo superò e lui mi porse la mano. La strinsi.
Era forte, decisamente abbronzata. Forse era un surfista.
«Ci occuperemo noi dei bagagli» disse, tenendo lo sguardo fisso sul mio un po' più a lungo del normale.
Impiegai un istante per capire che stava aspettando la mancia.
Per poco non mi misi a ridere. Cercai cinque dollari nella borsetta e glieli porsi. Quello era un weekend spendi-e-spandi, mi ricordai. Capitava una volta nella vita di aggiudicarsi la cognata perfetta.
«Potremmo andare a uno spettacolo di ballerini esotici» suggerì Nat.
Brooklyn fece una smorfia. «Io passo.»
«Calma, calma» disse Sophie. «Dopotutto, cosa pensi che stia facendo adesso James con i ragazzi?»
«Credi che James sia a uno spettacolo di ballerini esotici?» chiese Brooklyn mentre dirigevamo verso la reception.
«Ballerine» precisò Sophie.
Non riuscivo a immaginarmi James a uno spogliarello. Non era il tipo.
Sul volto di Brooklyn spuntò un'espressione strana, come se pensasse che era possibile, anche se quell'idea era ridicola.
«Fate il check-in?» ci chiese la donna dietro al bancone.
«Abbiamo prenotato a nome Christie» rispose Nat, tirando fuori dalla borsa una copia della prenotazione.
Mi rivolsi a Brooklyn sottovoce: «Non sarai preoccupata per James, vero?».
Brooklyn aggrottò la fronte e alzò le spalle. Poi si avviò verso il bancone. «Le serve la mia carta di credito?»
«Me ne serve soltanto una per il check-in» disse la donna. «Al momento del check-out potrete dividervi il totale.»
Mi spostai in modo tale da trovarmi di fianco a Brooklyn.
«Non assisterà a uno spogliarello» sussurrai, chiedendomi perché mai fosse preoccupata del comportamento di James.
James, quello del master in economia, quello che aveva ottenuto un lavoro in una delle società di consulenza più prestigiose di Seattle, quello che formulava frasi di senso compiuto e che proteggeva i suoi account sui social media come se fossero codici di lancio nucleari, di certo non sarebbe entrato in uno strip club. Non riuscivo a immaginarmelo rischiare che qualcuno gli scattasse una foto in un posto del genere... anche se avesse avuto voglia di vedere delle donne nude. E lui non ne aveva voglia, perché in tutto il paese non c'era una donna più bella di Brooklyn.
Brooklyn era fashion buyer per una catena di boutique di Seattle. Ma sarebbe potuta essere una stella del cinema o una top model. «Qualcosa non va?» le domandai.
Lei si voltò e sorrise. «Cosa potrebbe andare storto?»
Nei suoi occhi c'era qualcosa di strano. Solo che non riuscivo a capire cosa. «James ha combinato qualcosa?» le chiesi.
«No.»
«Sei arrabbiata con lui?»
«No.»
«E allora...?»
«Niente.» Brooklyn sorrise di nuovo. «È perfetto. James è perfetto. E io sto per prendere un appuntamento alla SPA.» Allungò una mano verso la brochure sul bancone.
«Posso aiutarla io» si offrì l'impiegata mentre restituiva a Nat la carta di credito.
«Qualcosa con l'aromaterapia» dichiarò Brooklyn.
La nonchalance di Brooklyn non mi convinceva del tutto, ma pensai alle pietre calde premute sulla mia schiena ricoperta di olio e decisi che tutto il resto avrebbe potuto aspettare.
Dopo un massaggio, una sauna, una doccia ed essermi vestita, vidi Sophie seduta al bar dell'hotel. Un trio jazz stava suonando in un angolo e delle candele illuminavano i tavoli in vetro smerigliato. Indossavo un abito da cocktail color argento ed ero felice mentre mi sedevo sullo sgabello di fianco a Sophie.
«Che stai bevendo?» chiesi.
«Vodka martini.»
Arrivò il barista, un altro ragazzo carino. «Cosa le porto?»
«Ne prenderò uno anch'io» dissi indicando il bicchiere di Sophie.
Dall'altra parte della sala apparve un profilo bellissimo che mi distrasse. Un abito dal taglio perfetto avvolgeva un corpo straordinariamente scolpito. Si voltò, e così vidi il suo volto per intero. Sembrava appena uscito dalla copertina di una rivista.
Si accorse che lo stavo guardando, ma non sorrise. Mi sentii comunque arrossire.
Lo sconosciuto si voltò e continuò a camminare come se i nostri sguardi non si fossero mai incrociati. E magari era proprio così. Forse non mi aveva affatto guardata. Forse era solo la fervida immaginazione che di recente si impossessava della mia mente quando vedevo un ragazzo attraente.
Il mese prima avevo letto una statistica secondo la quale il sessantasette per cento delle donne incontrava il proprio marito prima di diplomarsi al college. Quindi facevo già parte del restante trentatré per cento. Se lo si sommava al ventuno per cento delle donne che non si erano mai sposate, avevo ben poche speranze. Avevo il dodici per cento di possibilità di incontrare l'uomo giusto.
«Terra chiama Layla» disse Sophie.
Mi diedi una scossa mentale. «Brooklyn è già scesa?» mi informai, concentrandomi sul qui e ora.
Io e Brooklyn dividevamo la stanza, mentre Sophie e Nat stavano insieme al piano superiore. Nelle camere c'erano vasche da bagno enormi, docce a vapore e letti da favola.
«Non l'ho ancora vista» rispose Sophie.
Mi guardai attorno e non la vidi neanch'io. «Ho otto cuscini» rivelai a Sophie.
«Li hai contati?»
«Li ho contati.»
«Hai estratto la radice quadrata?» mi provocò, sorridendo.
«Se ci aggiungiamo il cuscino dorato, la radice quadrata è tre. Pensavo di applicare la formula quadratica, ma...»
«Layla.» Sentii la voce allegra di Brooklyn nelle orecchie e il suo braccio attorno alle mie spalle. «Credevo che non saresti più uscita dalla doccia.»
«Quella doccia è fantastica.»
«Cosa state bevendo?» Brooklyn sembrava troppo allegra.
«Vodka martini» rispose Sophie. «Tu?»
«Mi sono presa un Sunburst Bramble nella hall. Ma non ve lo consiglio.»
Indossava un abito corto e scollato color malva con una gonna a ruota. I sandali alla schiava con il tacco erano viola e argento. Era elegante e alla moda.
Come per magia apparve il barista. «Il Sunburst Bramble non è stato di suo gradimento?» chiese a Brooklyn, avendo ovviamente sentito il commento. «Permette che glielo sostituisca con qualcos'altro?»
«Dice davvero?» replicò Brooklyn. «È molto carino da parte sua.» Il barman le fece scivolare davanti il menu dei cocktail. «Scelga lei» gli disse, muovendo in modo seducente i capelli. «Qualcosa di più dolce, magari con le fragole o un po' di whisky.»
Alzai mentalmente gli occhi al cielo. Questa era la Brooklyn che ci faceva ottenere frappé gratis. Solo che quella Brooklyn non era fidanzata e non stava per sposarsi.
«Quanti drink hai bevuto?» le domandai.
«Solo quello. Però sto per berne un altro.»
Mi ripromisi di smetterla di preoccuparmi. Era di buonumore, ed era grandioso. Era il suo weekend, dopotutto. Non sapevo perché mi stessi facendo dei problemi.
«Vado in bagno» annunciò Brooklyn. «Quando arriva il mio drink tenetemelo da parte.»
Mi voltai per risponderle: «Sarà fatto».
Vidi tre uomini diversi seguire Brooklyn con lo sguardo. Con lei era sempre così. Non sapevo nemmeno se ci facesse caso.
«Credo che Nat voglia davvero vedere lo spettacolo di ballerini esotici» annunciò Sophie.
Riportai l'attenzione su di lei. «Impossibile.»
Nat era la più moralista di noi quattro. In pratica era James, in versione femminile. Era una bibliotecaria nel vero senso della parola.
«Credo sia pronta a uscire dal guscio.»
«Sarebbe divertente» dissi, e ne ero davvero convinta.
Il fidanzato storico di Nat l'aveva lasciata qualche mese prima. Da allora non era uscita con nessuno. L'abbandono di Henry era stato un duro colpo per la sua autostima.
Nat portava gli occhiali. Ma erano occhiali carini, e sulle guance aveva delle lentiggini adorabili. Non era affascinante come Brooklyn, ma aveva un sorriso straordinario.
«Sta rimorchiando un tipo adesso.» Sophie inclinò la testa.
Mi voltai per seguire lo sguardo di Sophie. In effetti Nat era seduta a un tavolo d'angolo: con la testa china parlava con un ragazzo. Non era il mio tipo ma dopotutto io non ero Nat.
Ci fu un boato sopra di noi. D'istinto mi abbassai con l'adrenalina alle stelle. La stanza si fece improvvisamente buia riempiendosi di grida acute da parte dei presenti.
Tornò il silenzio.
«Accidenti.» Strizzai gli occhi per mettere a fuoco.
«Cos'è stato?» chiese Sophie nell'oscurità.
«Si è rotto qualcosa.»
I miei occhi si abituarono e riuscii a vedere le candele, piccoli puntini di luce sui tavoli che illuminavano i volti che gli stavano accanto.
«È solo un'interruzione di corrente.» Era la voce del barista. «Ogni tanto capita. Restate sedute e godetevi l'atmosfera. Sono sicuro che la luce tornerà presto.»
«Se non altro abbiamo già i nostri drink» sospirò Sophie.
«Chissà se Brooklyn riuscirà a trovarci.» Mi guardai attorno, ma non riuscivo a vedere molto con la luce delle candele.
«Ehi ragazze.» Era Nat, che si appollaiò sullo sgabello di fianco a Sophie.
«Che fine ha fatto quel tipo?» le chiese Sophie.
«Quando è andata via la luce ha urlato come una ragazzina.»
«Che peccato» dissi. A volte mi chiedevo se al mondo fosse rimasto un uomo decente.
«Non esattamente il tipo che ti salverebbe da un orso» osservò Sophie.
La voce di Nat era divertita. «Chi ha bisogno di essere salvato da un orso?»
«Potrei andare in campeggio» replicò Sophie.
«Tu?» esclamò Nat.
Direttrice di un ristorante stellato su un grattacielo del centro, Sophie non era decisamente tipo da vita all'aperto.
«Be', forse tu» disse Sophie.
Nat era nota per il tempo che trascorreva all'aria aperta... se non altro nel suo giardino sul tetto.
«E poi non è decisamente il mio tipo.» Nat lanciò un rapido sguardo oltre la sua spalla.
Solo allora mi resi conto che dopo appena cinque minuti mi stavo chiedendo se quell'uomo poteva essere quello giusto per Nat.
Nat che incontrava l'amore della sua vita durante un weekend a San Francisco per festeggiare il matrimonio di Brooklyn... romantico.
Eravamo tutte nubili. Be', Brooklyn non sarebbe rimasta nubile a lungo. Invece Sophie, Nat e io non eravamo state molto fortunate