Della Libertà
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Anteprima del libro
Della Libertà - Samuele Chiappa
BENIGNI
LA MAI LIBERTÀ
I
Ogni qualvolta penso di essere libero mi rendo conto di come effimera e dissolvente sia la libertà. Rinchiusa, prigioniera, schiava di un mondo che è,
che è stato e che sarà, anche senza di me.
Ogni qualvolta penso di essere libero mi accorgo di quanti vorrebbero ciò che io ho e loro non hanno, di ciò che io desidero e loro non riuscirebbero nemmeno ad immaginare, di ciò che spesso abbiamo e contempliamo come normalità
, ma che per altri significa sacrificio o impossibilità.
Un uomo senza né braccia né gambe prostratosi a Dio lo supplicò incessantemente, giorno e notte per dieci anni, di concedergli la grazia e donargli braccia e gambe.
Un giorno vide un altro uomo che si lamentava. Chino su di una carrozzina continuava a borbottare per la sua condizione di tetraplegia in seguito ad un incidente automobilistico. Era un grande attore e quell’attimo di inattenzione fece tacere il suo talento, provocando un buco enorme di dolore, sfinimento, un drammatico epilogo di una vita colma e florida.
L’uomo senza né braccia né gambe invidiava l’uomo in carrozzina: infatti il secondo aveva un mezzo per potersi spostare, aveva un agente personale che lo accudiva, anche se veniva continuamente ricoperto di insulti e brutture.
L’uomo senza né braccia né gambe si sentiva schiavo della sua natura, e avrebbe molto voluto essere l’uomo in carrozzina, leggermente più libero di lui.
L’uomo sulla carrozzina ricordava bene il suo passato, le feste, i trofei, gli amici e la famiglia, che dopo l’incidente svanirono nel nulla.
Un terzo uomo si avvicinò all’uomo in carrozzina, camminava ma non era né libero né felice. Questo soffriva di una particolare conseguenza di alcune cure chemioterapiche, che avevano distrutto le sue ossa. Poteva camminare, poteva andare in bicicletta, ma non poteva correre. Avrebbe voluto molto correre, ma la sua malattia non glielo permetteva: avrebbe rischiato di restare su di una sedia a rotelle.
I tre uomini vivevano la loro condizione come una schiavitù in un corpo che non rispecchiava le loro aspirazioni, i loro progetti, le loro necessità.
Nessuno dei tre uomini era libero e nessuno dei tre era felice.
Un gatto trasandato, scappato da un gattile, vide i tre uomini che, chini su di loro, rimpiangevano la loro condizione: schiavi di una condizione che non apparteneva loro.
Questo avrebbe voluto tanto volare, vedendo dal gattile ogni anno, per due volte, gli uccelli che scendevano a sud o salivano a nord seguendo le stagioni. Il movimento leggiadro, il cinguettio innocuo, il canto di speranza e felicità che gli uccelli potevano portare sulla terra, fecero innescare quella voglia irrefrenabile del gatto di essere come loro.
Quel gatto avrebbe voluto tanto volare.
A loro volta gli uccelli, dall’alto, videro i tre uomini rinchiusi nel loro dolore ed il gatto che li osservava scrupoloso e interessato al loro essere.
In ogni viaggio, gli uccelli, potevano vedere ogni oceano della Terra, ogni lago o fiume, apprezzando con occhi gioiosi la bellezza dell’acqua, purificante, dolce o salata, blu come il cielo e limpida come la neve di montagna.
Vedendo i delfini ed i pesci, gli squali e le balene giocare nel mare blu, volevano tanto nuotare e si sentivano schiavi della loro condizione: infatti ogni volta che si bagnavano le ali facevano fatica a riprendere il volo.
Gli uccelli avrebbero voluto tanto nuotare ma non potevano e questo li immergeva in una condizione di forte tristezza: si aggiunsero dunque ai tre uomini ed al gatto per confortarsi gli uni gli altri nel loro dolore.
I pesci d’acqua dolce, d’altro canto, osservavano con ammirazione i serpenti che attraversavano i loro fiumi: questi potevano strisciare sulla terra e nuotare nell’acqua, sopravvivendo in entrambi gli ambienti.
I pesci avrebbero voluto molto strisciare come i serpenti, ma ogni volta che uscivano dall’acqua rischiavano la vita, ed anche loro non si sentivano liberi, e con gli uccelli, il gatto ed i tre uomini si misero a rinnegare la propria natura.
Noi siamo l’uomo senza né braccia né gambe, quello in carrozzina che aveva tutto e ora nulla, quello che voleva correre. Noi siamo il gatto e gli uccelli che avrebbero voluto nuotare come i pesci nel mare. Noi siamo quei pesci che avrebbero voluto strisciare ma la natura non glielo ha permesso.
Spesso valutiamo il grado di libertà in base a ciò che possiamo e non possiamo fare, mettendo sempre a confronto la nostra condizione con quella altrui.
La vera libertà risiede nell’ammirazione del creato e nell’amare incessantemente la propria vita, apprezzando ciò che ci è stato donato. Il rischio è di rinunciare alla vita per abbracciarsi in un canto di dolore: rinunciare alla libertà per rinchiudersi nel tranquillo e protetto recinto di autocommiserazione.
MA SIAMO DAVVERO LIBERI?
II
"E se scoprissimo che non siamo e non saremo mai liberi?
Nasco dove, quando e come non decido io,
con un corpo e una sessualità che non decido.
Mi si affacciano molte opportunità, ma non tutte.
Sembra che possiamo e potremmo solo scegliere e decidere nel canale ove siamo inseriti"
La nostra libertà è ostacolata da ciò che ci precede, che ci contraddistingue e che ci segue. Il destino non esiste, ma esiste un canale immaginario nel quale possiamo decidere dove andare, come agire. È come se la carreggiata dove siamo inseriti sia già predefinita e non una strada che abbiamo scelto di proposito: siamo liberi all’interno di quel parametro predefinito di agire, ma non possiamo scegliere un’altra strada. Siamo liberi di decidere se seguire la corsia corretta, di andare contromano o di salire sul marciapiede. Abbiamo la possibilità anche di fermarci, accostandoci dove ci pare, sostare in mezzo alla strada o in luoghi proibiti dal codice stradale. Ma vi sono dei fattori che caratterizzano la strada in cui ci troviamo sin da piccoli, sin dal primo pianto,