Displaced - Fuori dal sistema
Di Elisa Rolfo
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Displaced - Fuori dal sistema - Elisa Rolfo
SOMMARIO
Ringraziamenti
Prologo
Dodici anni dopo. I Guerriglieri
La terza stella
La sfida
Il tradimento
La vendetta
La realtà
DISPLACED
Elisa Rolfo
ISBN | 9788831608343
Prima edizione digitale: 2019
© Tutti i diritti riservati all’Autore
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Via Marco Biagi 6, 73100 Lecce
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Questo libro è un’opera di fantasia. Personaggi e situazioni sono invenzioni dell’autore e hanno il solo scopo di rendere realistica la narrazione. Qualsiasi analogia o riferimento a fatti, eventi, luoghi e persone, vive o scomparse, è da ritenersi puramente casuale.
"Noi non siamo displaced person.
Una patria ce l’avevamo, e un’altra ce la costruiremo.
È davanti a noi, non dietro."
Primo Levi
da Se non ora quando?
Ringraziamenti
Prima di tutti, ringrazio te che hai letto fino alla fine, per il tempo dedicato, sperando sia stato piacevole.
Un ringraziamento particolare ai miei cari amici Ornella Bernardi, Stefano Carnicelli e Sabrina Ercole Bidetti, per la prima lettura e i consigli.
Grazie anche a tutti coloro che ci sono stati, con il loro incoraggiamento e appoggio.
Infine, la riconoscenza maggiore va alla mia editor Mara Pantanella, per l’aiuto prezioso e per l’opportunità.
Prologo
Era quasi l’alba quando richiuse il portatile. Aveva trascorso la notte collegato al web, a dare un’ultima controllata al sito, che tutto fosse in ordine. Fuori dalle grandi finestre il cielo si tingeva di rosa; era bello il cielo della sua città, mai però come quell’altro, lontano e presente, da poterne ammirare nella mente ogni sfumatura. Laggiù, sull’isola, c’era sempre il sole. Il cielo perfettamente azzurro e il verde della natura mai avevano conosciuto inverno. I colori del paradiso, da restarci incantati, da non poter credere che tanta bellezza fosse capace di ospitare l’inferno. Il momento più magico era il tramonto, quando il sole si poteva fissare, mentre si coricava all’orizzonte, e il mare era velluto. Per un attimo, talvolta riusciva pure a scordarsi dove si trovava, ma era solo un attimo.
Laggiù si conviveva con la morte, ogni giorno, ogni ora, ogni minuto. I cadaveri si ammucchiavano sulla spiaggia soffice, senza sporcarla. Si moriva e non si versava una sola goccia di sangue.
I pochi che erano tornati avevano voluto dimenticare, lui soltanto aveva scelto di ricordare. E raccontare. Forse perché raccontare era il suo mestiere. Fino ad ora aveva sempre scritto di avvenimenti accaduti ad altri, mentre questa volta aveva dovuto usare la prima persona, fare di se stesso il soggetto e l’oggetto della narrazione. Mai aveva scritto con tanta frenesia. Man mano che le dita battevano sui tasti, sempre più veloci, e le parole si formavano nella luce azzurra del monitor, il macigno che gravava sullo stomaco, anziché sgretolarsi, si faceva sempre più pesante. Aveva pubblicato la sua testimonianza online, poi il successo lo aveva portato alla realizzazione anche di un romanzo stampato su carta, ma il suo pubblico preferito restava quello del web. Nulla eguagliava la forza e la velocità di Internet, tutto poteva essere diffuso e condiviso in tempo reale, con milioni di persone, come ad averle accanto, infrangendo i limiti del dove e del quando. Nonostante lo padroneggiasse alla perfezione da sempre, quel mezzo continuava ad affascinarlo.
Ed era giunto il successo, quello vero, che regala la gloria, che dura per sempre. I media se lo contendevano, le donne cadevano ai suoi piedi e nessuno mai aveva osato contraddirlo o muovergli una sola critica. Era intoccabile come la verità. Il suo seguito era cresciuto a velocità sorprendente, presto era diventato una star, un idolo, un personaggio importante e rispettato. I suoi seguaci erano un gruppo forte e per lui sarebbero stati pronti a morire. Ufficialmente non aveva detrattori, né nemici. Eppure, sapeva che esistevano, percepiva la loro presenza subdola e nascosta, qualcosa che lo spiava dal buio, attendendo la luce favorevole per colpirlo. Sentiva che prima o poi sarebbe accaduto. Era come se la sorte, che lo aveva preso per mano e guidato negli eventi, gli stesse sussurrando, sempre più insistentemente, che era finita, che non si può vincere per sempre. Ultimamente aveva preso l’abitudine di guardarsi le spalle, di fare attenzione a ogni ombra.
Guardò l’ora, doveva sbrigarsi, tra non molto attendeva la visita di due tra i suoi più fedeli seguaci e cari amici, nonché esperti collaboratori che come nessun altro sapevano sostenerlo, oltre a fare da tramite tra lui e il suo sterminato pubblico. Il primo raggio di sole attraversò il vetro, colpendogli gli occhi arrossati dalla lunga veglia. Fu l’ultima cosa che vide, un abbaglio. Poi il soffitto crollò e i contorni delle cose sfocarono velocemente, finché tutto fu soltanto nero.
Dodici anni dopo. I Guerriglieri
Non avrei dovuto mettere l’orologio. Il tempo scorre più lentamente se si continua a guardare l’ora e io non smetto di fissare le lancette, che restano inesorabilmente ferme. Un’occhiata alla piccola coda di clienti che si sta formando, uno sguardo disperato che vuol dire Andatevene, vi prego, spostatevi da un’altra parte
, ma che nessuno nota. Forse, se mi concentro nel modo giusto, posso scansarli con la forza della mente, qualcuno dice che funziona, se ci si crede davvero. Peccato sia indispensabile una dose massiccia di fiducia nelle proprie doti; troppo arduo tentare di procurarmela al momento. Allora mi rifugio nell’unica soluzione possibile, imponendomi di assumere l’atteggiamento stoico delle situazioni insostenibili, convincermi che la vita non sia altro che il qui e ora e che non esista alternativa possibile, nulla al di fuori dello scorrere monotono dei prodotti sul nastro, del battere scontrini, contare soldi, respirare sudore e profumi troppo forti mescolati all’odore dei cibi e dei detersivi. Ascolto lamentele senza controbattere, in fondo una voce non è che aria. Rallento se protestano, accelero se qualcuno sbuffa, stufo dell’attesa. La bigiotteria tintinna, le catene d’oro finto spuntano sotto i colletti sudati. Spiego a un’anziana donna che non posso proprio lasciare la mia postazione per andare ad aiutarla a riporre la spesa in auto. Riesco a farlo senza sbottare, lei non si convince del tutto e continua a scuotere il capo stizzita, ma desiste. Eseguo tutto come un automa, finché la calca si placa e posso nuovamente respirare, liberando la mente dal momento presente, lasciando che divaghi finalmente nella direzione che anela, tornando a pensare alla sola cosa che mi preme davvero.
«Allora, com’è andata? – Sussurra Ester, sporgendosi un poco sulla sedia.
È una ragazza minuta ma energica e sorride spesso, caratteristica rara in questo posto, dove lo squallore intorno si riflette nei volti di chi ci lavora e di molti clienti. Occupa la cassa a fianco alla mia ed è l’unica con cui abbia preso una certa confidenza; l’unica, qui dentro, a conoscere un po’ di fatti miei, nonostante ci lavori, a periodi alterni, ormai da tre anni.
«Credo piuttosto bene, – rispondo a voce bassissima, in modo che il sorvegliante che passeggia tra le postazioni non ci senta parlare – ma solo questa sera saprò il risultato. Se faccio una corsa dovrei riuscire ad andare a vedere alla fine del turno.
Ester sorride, mostrandomi le dita incrociate.
L’esame di ieri. Una di quelle prove il cui esito può cambiarti la vita all’istante, oppure lasciarla tale e quale per chissà quanto ancora. Non oso considerare la seconda opzione. Mai ho posseduto una collocazione nel mondo, un luogo che sia mio, né persone che possa davvero chiamare amici. Vengo dalla polvere della periferia e qui sono sempre rimasto, tra i mestieri più degradanti e le serate al bar di Hector, l’unico locale che frequenti; è squallido, ma almeno non mi ci sento fuori posto. L’appartenenza a un gruppo cambierebbe le cose. Avrei qualcuno su cui contare, gente dalla mia parte, sempre, comunque vada. E qualcosa in cui credere al di là di me stesso, qualcosa di tangibile e concreto. Invidio chi ha un idolo da seguire. Solo chi è più forte diventa un idolo, chi riesce a rompere la normalità e a distinguersi. Bisogna avere talento, essere bravi in qualcosa. Essere un punto di riferimento per un gruppo di seguaci che si riconoscano nel tuo pensiero o nella tua arte.
Solo il Governo può riconoscere e nominare un idolo; quanto poi questo diventi importante dipende dal numero di sostenitori e dalla reputazione. Sono musicisti, attori, scrittori o scienziati; quale sia il settore, ciò che conta è l’abilità superiore e, soprattutto, il carisma. Devono saper trascinare le masse. Il prestigio e la fama possono crescere nel tempo, ma si può anche cadere in disgrazia, se si perde consenso. Più un idolo acquisisce importanza, più i suoi seguaci sono rispettati, non hanno difficoltà a ottenere un buon lavoro e a piazzarsi ai piani alti. Chi segue un idolo fa parte di un gruppo che dispone di una propria sede, di un leader e di un’organizzazione; i membri condividono idee e stile di vita, hanno un’appartenenza e una garanzia di tutela.
Chi non segue nessuno è un displaced, uno sfigato, senza un posto dove stare, incapace di vivere in società. Io sono un displaced, il mio nome vale zero. La mia presenza equivale alla mia assenza, entrambe non vengono notate. Eppure, io un idolo ce l’ho, uno dei migliori: Norman Zarco, il grande scrittore e reporter di guerra. Ho letto tutti i suoi libri, i suoi interventi sui giornali e nel web, conosco a menadito ogni intervista rilasciata.
Norman è sempre stato un bravo giornalista, ma la fama è arrivata in seguito alla prigionia a Bahar, un’isola nel mezzo dell’oceano, dove impazzava una violenta guerra civile che si trascinava da anni senza sosta, senza una soluzione. Arrivato per seguire da vicino le fasi del conflitto e realizzare un reportage esclusivo, era stato catturato dai ribelli insorti contro il governo centrale, insieme ad altri reporter, membri di organizzazioni non governative, oltre a individui dal ruolo ambiguo, parte di quell’umanità indefinita che popola il sottobosco di ogni guerra. Aveva vissuto sei mesi con la morte a fianco; la violenza e l’orrore erano naturali, sull’isola di Bahar, come il sorgere del sole, come le onde che si rompevano sulla spiaggia bianchissima. I compagni cadevano, lui resisteva, consapevole che ogni giorno, ogni ora o minuto, avrebbe potuto essergli fatale. Finché la sorte l’aveva preso per mano trascinandolo fuori dall’inferno, con pochissimi altri.
Al ritorno aveva raccontato la sua esperienza prima su Internet, poi anche in forma di romanzo, oltre che in svariati articoli e interviste. Forte della convinzione che l’unico modo di dare un senso a tutto ciò che di terribile aveva sperimentato sulla propria pelle fosse quello di fare il possibile affinché non potesse più accadere ad altri, aveva testimoniato e scritto, cercando nelle sue vicende moniti e riflessioni che potessero essere universalmente validi. E ci era riuscito.
Norman Zarco è entrato nella mia vita con la forza delle parole e non se n’è mai andato; nel suo pensiero riconosco il mio, nelle sue idee trovo ogni risposta. Darei qualsiasi cosa per potergli stringere la mano, una volta soltanto. Ma Norman è morto. Una mattina di primavera di dodici anni fa, qualcuno gli ha sparato alla testa e poi è sparito. L’assassino non è mai stato trovato. Una serie infinita di indagini, improbabili piste da seguire, rivelazioni che tornavano al mittente, aspettando che l’opinione pubblica si voltasse altrove, poi il nulla. Il gruppo dei seguaci di Zarco è riuscito a resistere, restando fedele al proprio idolo e portandone avanti la memoria; il loro leader, il professor Xavier Randall, è ancora oggi tra le personalità più temute e rispettate, il suo nome sostituisce quello di Norman. Ma entrare a farne parte non è facile, sono una comunità chiusa e diffidente ed è rarissimo che includano nuovi membri. Mi chiedo spesso come sarebbe avere qualcuno da seguire, un porto sicuro dove tornare, una certezza a cui aggrapparsi. I più fortunati riescono a conoscere il proprio idolo, a ottenere un contatto diretto, a parlargli, almeno una volta. Io posso soltanto guardare il cielo, e allora è come se Norman non se ne fosse mai andato. Gli parlo in silenzio, con la mente, e in quei dialoghi immaginari non mi sento abbandonato, trovo le forze per affrontare le giornate da solo.
Un idolo non più in vita continua a essere considerato tale finché permane il suo prestigio e continua a richiamare seguaci. Norman non c’è più, ma la forza delle sue idee resta, anzi, dopo la sua morte, la sua popolarità è aumentata e i suoi seguaci possono contare su un’approvazione pressoché universale. Far parte di quel gruppo è tutto ciò che desidero, da sempre. So che potrei cercarmi qualcun altro, trovare una sistemazione migliore e godere di più rispetto, ma non m’importa. Il mio posto è tra il seguito di Norman, e da nessun’altra parte.
E poi, quel giorno è arrivato. Non ci credevo, ho letto e riletto l’annuncio su quella pagina web fino ad avere gli occhi storti. Il capo dei seguaci di Norman Zarco, il professor Randall, ha deciso di indire una selezione per