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La metropolitana dentro: Epifanie di un viaggio nel sottosuolo
La metropolitana dentro: Epifanie di un viaggio nel sottosuolo
La metropolitana dentro: Epifanie di un viaggio nel sottosuolo
E-book226 pagine3 ore

La metropolitana dentro: Epifanie di un viaggio nel sottosuolo

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Info su questo ebook

Per scoprire chi siamo realmente è necessario avere il coraggio di scendere nel sottosuolo, viverci per un po’, confrontandosi con i propri fantasmi e i propri insoluti. Solo così potremo poi riemergere diversi alla luce di un nuovo giorno.

Una nostalgica badante siberiana, un insolito innamorato, un amante dei gatti e la sua strana storia di fantasmi, un architetto ossessionato dalla luna, un cane parlante, un anziano conduttore di autobus e il suo sogno segreto, lo spaesato contadino in trasferta, la scrittrice di frasi da cioccolatini, l’affascinante sconosciuta e la richiesta di un aiuto particolare.
Nove incontri causali in metropolitana diventano tappe essenziali del percorso di maturazione del protagonista. Un viaggio emozionante e vertiginoso nel sottosuolo dell’IO.

“Così la metropolitana che tanto assomiglia all’esistenza di coloro per i quali la vita è una sempre corsa nel buio, per il nostro inquieto osservatore diventa una sorta di percorso incantato dove il treno della coscienza di sé manovra verso la maturità, in una sorprendente alternanza di luci e di oscurità, di gallerie sempre gravide di attese e di stazioni da dove uscire per riprendere a vivere. Una dimensione, concreta o allegorica, dove differenziare gli altri e riconoscere sé stessi scoprendo che è la vita di tutti noi quella che corre nei due livelli, il suolo e il sottosuolo, intendendo come suolo la vita che vediamo e come sottosuolo quella che non vediamo. E se non si può individuare la parte migliore di noi “di sopra”, cioè nel livello personale, la si deve ritrovare “di sotto”, nel mondo invisibile degli altri, dove un’anonima moltitudine consuma l’esistenza in continua rincorsa e lo fa proprio come noi.”
 
LinguaItaliano
Data di uscita14 dic 2018
ISBN9788863584943
La metropolitana dentro: Epifanie di un viaggio nel sottosuolo

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    Anteprima del libro

    La metropolitana dentro - Augusto M. Funari

    L’INIZIO DEL VIAGGIO

    Oh… cosa se ne fa il sognatore della nostra vita reale?

    Dai genitori aveva ricevuto due regali straordinari: dei denti sanissimi e la sconsiderata predisposizione a sognare di continuo. E se, da un lato, poteva compiacersi della fortuna di non aver sperimentato l’ansia della sala d’attesa del dentista, illudendosi in questo modo di non essere ancora invecchiato, dall’altro iniziava a percepire di non aver utilizzato a dovere i suoi anni. Di averli, cioè, spesi alla perenne rincorsa di quelle fantasie inarrestabili che gli nascevano dentro all’improvviso, senza essere stato in grado di seguirne fino in fondo neppure una. Come se avesse sperperato quei doni inconsueti in una sorta di limbo senza compromessi in cui non si cresce mai. E ignorare di crescere, si sa, è il modo più sicuro per riscoprirsi vecchi senza averne avuto coscienza.

    Non temeva la vecchiaia di per sé. Ciò di cui aveva un autentico terrore era la fine di quell’incantevole periodo d’indolente irresponsabilità in cui si riesce a vivere senza il peso dei ricordi. Non l’età, dunque, ma la malinconia dell’età, questo temeva: la solitudine devastante di chi non ha più progetti.

    Il suo motore personale era sempre stata la curiosità, la compagna inseparabile della sua vita: la propensione a voler conoscere, a cercare di comprendere per poi verificare se alla fantasia si collegasse davvero la realtà. Un istinto che lo aveva indotto a osservare il mondo, certo, ma ad ascoltare poi solo se stesso e, per un singolare paradosso, ad agire quasi sempre senza riflettere.

    Sì, perché esiste un legame travagliato eppure indiscutibile tra l’inclinazione a osservare, a fantasticare e poi ad agire d’istinto, un legame tanto robusto quanto pericoloso. L’osservazione comporta il desiderio di sapere, ma quando ci si mette di mezzo la fantasia, ecco che il cammino verso l’irrazionalità è breve e insidioso. C’è in gioco l’ansia delle decisioni esistenziali e il rifiuto immediato ad affrontarle, c’è la tendenza a non voler prevedere quegli errori che a noi, uomini comuni che viviamo la vita sempre di corsa, potrebbero cambiare il futuro.

    Il fatto è che il mondo scivola sempre su binari differenti da quelli dei visionari di mestiere. La concretezza, oggi, è una necessità più che una qualità e lui, in una vita troppo preordinata e realistica, non era riuscito a identificarsi. Fin da adolescente era stato in grado di evitare questo disagio allontanando caparbiamente anche il fugace pensiero di quel momento in cui la sua mente avrebbe iniziato a essere occupata più dai vissuti che dai programmi.

    La vita, però, benché appaia mutevole e imprevedibile, segue sempre degli schemi prefissati che accomunano tutti gli esseri umani. Per tutti, prima o poi, arriva il momento di riflettere su come si è vissuto. Le occasioni per migliorarci ci vengono proposte di continuo, ma saperle utilizzare è una delle cose più difficili dell’esistenza.

    La capacità di ricredersi è, dunque, necessaria, ma riuscirvi è una delle estrinsecazioni più alte della nostra intelligenza. Come vedremo, fu così anche per lui e lo fu in un modo tanto singolare che vale la pena di raccontarlo.

    Da ragazzo amava passeggiare per la città senza meta soffermandosi su ogni particolare lo incuriosisse e cercando di trovarvi, tutte le volte, quel fascino coinvolgente da catturare per la propria ambizione di conoscenza estetica. Qualsiasi scenario, anche il più banale e irrilevante, poteva rivelarsi intriso di quella bellezza, fatta di niente, che vive inespressa nelle cose di tutti i giorni.

    Provava un’incontenibile pulsione a salire sui mezzi pubblici per lasciarsi scarrozzare senza una meta prefissata. Lo faceva meccanicamente, per una sorta di irresistibile automatismo che pareva, fin da subito, una ricerca di novità più che un passatempo. Spinto dalla sua connaturata curiosità esistenziale, trascorreva così ore e ore lontano da casa bighellonando, senza la percezione del tempo, in quelli che a lui apparivano come ambienti nascosti e inesplorati. Prima il bus, poi la bicicletta, la moto, il treno, l’automobile… ogni mezzo utilizzabile gli era necessario per arrivare a osservare cosa vi potesse essere al di là dei confini prestabiliti della sua realtà, quasi che, fin da allora, soffrisse l’innato rifiuto per le regole della routine quotidiana senza altro stimolo che il tentativo di appagare un irresistibile desiderio di conoscenza.

    Amava portarsi fino al limite della sua città, là dove ci sono i cartelli che ne individuano il confine, solo per vedere cosa vi fosse oltre. Conosceva bene tutti i capolinea dei bus e quale audace itinerario si dovesse seguire per arrivarvi. Attraversava con avidità la città in lungo e in largo frequentando quartieri anonimi, ma che, per lui, diventavano territori indispensabili per riuscire a far caso alle cose più piccole della vita, quelle cui nessuno dava valore.

    Erano i primi, sprovveduti viaggi di un sognatore all’esordio della sua carriera, ma a lui bastavano. Riusciva, in questo modo, a sentirsi esploratore di nuovi spazi e protagonista di un’esistenza insofferente agli schemi, libero da quegli inevitabili compromessi che la vita sociale avrebbe richiesto. Aveva imparato a trasformare le ovvietà in motivo d’interesse interiore maturando, con il tempo, la convinzione che tutto merita di essere visto e che l’emozione della bellezza può nascondersi ovunque.

    Qualsiasi cosa poteva racchiudere una seduzione segreta da rincorrere e, pensandoci bene, come potremmo dargli torto? È sufficiente sforzarsi di far caso a ciò cui non si fa mai caso per ritrovare eleganze imprevedibili in qualsiasi risvolto della vita. Occupava, così, gran parte del suo tempo e, una volta a casa, portava con sé la gratificazione di aver oltrepassato le barriere della propria esistenza, le sue personali Colonne d’Ercole, come per una sorta di maturità conquistata palmo a palmo. La meraviglia dell’incantamento era la sensazione che ossessivamente ricercava, come se la continua ricerca della bellezza fosse il rituale obbligato di una mente che desiderava restare libera.

    Gli bastava poco per sognare: un libro, una fotografia, un racconto, un film… Cercava di immaginare cosa vi potesse essere per le strade della Siberia o del Sudafrica, come fossero i colori delle aurore boreali della Lapponia o delle notti della Mongolia, che profumo avesse il mare dell’Argentina o quello della Norvegia e non potendo, a quell’età, andarvi di persona, si accontentava dei bus presi sotto casa trasferendo in quei percorsi cittadini le stesse emozioni di viaggi appassionanti e coraggiosi. Non dobbiamo, però, credere che fosse soltanto un visionario o che non avesse convinzioni energiche e coerenti perché, in realtà, di amori saldi, di quelli che, pur nascendo all’improvviso non ti abbandonano mai, ne aveva avuti tanti.

    Fin da giovanissimo, tra tutti quei luoghi sconosciuti, immaginati e favoleggiati, che transitavano di notte per la sua camera, uno in particolare s’impadroniva abitualmente della sua fantasia.

    Una città aveva magicamente conquistato la sua immaginazione come per una sorta di impulso predestinato: Parigi. Prima di vederla realmente, l’aveva immaginata a modo suo, come era solito fare. L’aveva percorsa e ripercorsa con la mente e, immaginificamente, l’aveva fatta sua fin da allora. L’amò senza averla mai vista con quel trasporto con cui, da adolescenti, si ama l’inesistente donna dei propri sogni. Capì di non provare attrazione per i luoghi celebri e omologati, quelli che la consuetudine turistica trascina a visitare. Di quel contenitore di meraviglie adolescenziali, di quella sorta di proiezione delle sue segrete fantasie inconsce avrebbe voluto comprendere le abitudini nascoste, la vita quotidiana delle persone comuni, i posti inconsueti che nessuno penserebbe di visitare. Avrebbe preferito entrare nelle stazioni più che nei musei, nei supermercati di periferia più che nelle cattedrali. Di Parigi cercava di immaginare la vita nei quartieri ignoti al turismo e come si dipanasse la routine della gente normale, quella che fa fatica a concludere la giornata e che non conta se non come numero. In che modo conducono la loro monotona esistenza coloro che, travolti dalla ripetitività, non hanno mai potuto vedere l’interno del Louvre o salire sulla Torre Eiffel, pur abitandoci a due passi da sempre? Oppure… quali sono i confini di una simile città? Cosa c’è oltre? Le vie ignorate, i sobborghi, i palazzi, i quartieri in cui la vita scivola via senza clamore… come sono?

    Non avrebbe voluto visitare Parigi, avrebbe voluto installarsi, insediarsi senza farsi considerare con lo spirito di appartenenza tipico della mentalità romantica. E quando, con lo scorrere degli anni, per una di quelle inattese combinazioni che non ci abbandonano mai se le sappiamo cogliere, la vita gli regalò l’occasione di trascorrervi lunghi periodi, vi s’immerse frequentandola ossessivamente proprio come in quelle letture giovanili con cui l’aveva attraversata con la fantasia.

    L’amò magicamente come un’amante sempre desiderata e la trattenne nel cuore come una compagna di vita sempre fedele. Fu un amore dolcissimo e passionale, fresco e impetuoso. Si ritrovò su strade a lui ben note, anche se mai percorse, riconoscendo ciò che prima aveva solo vagheggiato e che non poteva non esistere: la bellezza inutile e muta delle piccole cose della vita. Ecco, quando conobbe Parigi in questo modo, il suo modo, ne fu famelico, la divorò e ne venne ripagato con la stessa moneta emotiva. Del resto, a chi le sa guardare nel profondo, tutte le città hanno tanto da offrire, possiedono la seduzione della vita che scorre senza dar segno di sé.

    Fu proprio allora che conobbe anche la metropolitana, quella di Parigi, una delle più famose. Fu un incontro entusiasmante perché quella metropolitana viveva in lui con un personalissimo ascendente. Divenne in breve un mezzo straordinario e magico per girare la sua Parigi, un calesse mitologico per dislocarsi su dimensioni temporali e spaziali sempre differenti che si alternavano in modo frenetico e onirico al tempo stesso. Grazie a lei appagò il suo personale impulso di esplorazione urbana avvicinando in pochi minuti distanze impensabili e aprendo, a ogni fermata, sfondi nuovi e sempre diversi, gravidi della sua infantile curiosità. Da una stazione all’altra cambiavano gli scenari, i colori, gli ambienti, le strade, le persone. Del resto, una qualsiasi città scoperta a piccoli spezzoni perde, nel nostro immaginario, la dimensione strutturale riuscendo ad assumere l’aspetto di un mosaico cui ogni fermata della metro aggiunge una nuova tessera. Da ogni stazione poteva emergere nel mondo da vivere e girovagare senza una meta con la stessa avidità di stupore che provava da ragazzo: viaggiare per il piacere del viaggio e non dell’arrivo. Fu l’apoteosi della scoperta, la sublimazione di quel desiderio di esplorazione mai placato. E quale miglior complice avrebbe potuto sostenere il suo tenace rifiuto a crescere? Cosa avrebbe potuto esserci di meglio che una metropolitana tanto capillare per un viaggiatore curioso e incantato?

    Tornò spesso a Parigi percorrendola e ripercorrendola come mai avrebbe saputo fare con il proprio inconscio. La sentì intimamente sua come quegli amori che ti rodono da dentro anche se non li vivrai mai fino in fondo. E da quella di Parigi alle metropolitane di altre grandi città il passo fu breve e inevitabile: Stoccolma, Mosca, Londra, San Pietroburgo… insomma, gli anni vissuti in questo modo furono per lui un periodo magico.

    Imparato a calibrare il compromesso tra sogno e realtà, iniziò lentamente a dubitare di aver utilizzato male i suoi anni, perché, in fondo, inseguendo la sua curiosità, aveva realizzato ben poco di concreto e il rammarico di non aver seguito ogni suo singolo impulso fino in fondo iniziava a rosicchiare le sue instabili certezze. Era come rimasto a metà di un sogno. Forse avrebbe potuto abbandonarsi di più alla creatività, ma, chissà perché, non ne era stato capace. E i debiti con le fantasie irrealizzate si ripresentano sempre, inesorabilmente.

    Iniziò, con gli anni, a maturare una sorta di sentimento di colpa nei confronti della parte irrazionale di se stesso alla quale, per motivi che non gli erano ancora evidenti, non aveva saputo concedere un più ampio spazio. Per questo seguitò a sognare nuove partenze, sempre a modo suo, viaggiando solo per viaggiare alla ricerca di nuovi stimoli e di nuovi progetti. Con il passare del tempo aveva maturato la percezione di un’incompletezza personale che avrebbe voluto compensare in quel modo. E, anche in questo, non ci risulta difficile capirlo. Nulla è mai semplice come appare e dietro ogni apparente semplicità si nasconde sempre una complessità misconosciuta e attraente da scoprire. E, forse, è questo il fascino del mondo in cui vivono le persone comuni, bisogna solo saperlo cercare.

    Una svolta curiosa nella sua vita fu quando nella sua città, quella in cui viveva, costruirono una metropolitana. La cosa gli apparve impensabile, ma affascinante perché lasciava intravedere nuovi spunti di interesse e di possibili esperienze. La prima volta, dunque, che scese nel suo ventre fu per lui una sorta di rituale gravido di sacralità e di prudente trasporto. Lo fece con circospezione emotiva. Un grande amore non può essere sostituito all’improvviso nel nostro cuore, per questo non vi s’immerse come a Parigi. La sua città la conosceva bene. A cosa sarebbe servita una metropolitana tanto piccola? Eppure vi salì di frequente, poi ancora e poi sempre di più e, curiosamente, mai per necessità. Vi saliva per proseguire la ricerca inconsapevole della porzione incompiuta di se stesso. Quella stessa sensazione di annullamento degli spazi che aveva vissuto a Parigi e nelle altre città, scoperte emergendo dal sottosuolo, la riscoprì anche nella sua che, all’improvviso, gli apparve più grande. Ritrovò la percezione di dilatazione delle distanze e il piacere, tutto suo, di vivere ancora in un luogo sempre diverso, nuovo e inesplorato. Ma come? La sua città era così grande? Non riusciva a capacitarsi del senso di questa riscoperta, ma non se ne afflisse: riuscì a riassaporare il gusto dell’annullamento del tempo con l’esplorazione di cose già viste e riviste. Fu il suo modo di proseguire a sognare e a non crescere. Riassaporò incantamenti che credeva perduti e che rinnovavano, adesso, il desiderio di emozioni sconosciute. Scendeva volentieri, tutti i giorni, nelle viscere della terra per aspettare quel treno nascosto che, in fondo, gli correva dentro fin dalla giovinezza e che, di nuovo, lo avrebbe accompagnato in territori incontaminati in cui perdersi per ore e ore. Ma fu dall’osservazione delle persone e delle loro esistenze invisibili che trovò la linfa che avrebbe accresciuto l’energia della sua stessa vita fino ad arrivare alla coscienza del sé riconoscendo valori mai considerati prima. Fu la casualità esasperata di quel luogo a rivestire un ruolo magico per lui.

    Paragonare la metropolitana ad un piccolo regno del caso non è un ghiribizzo letterario. Tutto ciò che, di umano, avviene lì sotto è fortuito, quasi fosse un luogo privilegiato della parenclisi di Epicuro. Fiumi di passeggeri si spostano, lungo i tragitti del loro periodo vitale, in poche manciate di minuti. Le fermate si susseguono una dopo l’altra e le persone entrano nei vagoni, si fermano ed escono in pochissimo tempo per ricongiungere i fili della loro vita. I convogli si svuotano in pochi istanti e, sempre in pochi istanti, si riempiono ancora di centinaia di altri passeggeri. Dopo qualche minuto un altro treno ripete lo stesso percorso e altre moltitudini di persone si incontrano di nuovo, e poi di nuovo… in un flusso esistenziale ininterrotto. Insomma, in un simile turbinio di vite, di storie personali, di sofferenze o di felicità che si intersecano e si accomunano, nella più totale indifferenza e imprevedibilità, avere degli incontri occasionali rientra nella consuetudine. L’occasione di incontrare le vite degli altri è, dunque, favorita dalla babele di esistenze che si incrociano di continuo e che, una accanto all’altra e senza conoscersi, costruiscono la trama della società. La stessa necessità di dover decidere su quale vagone salire, e da dove entrare, è pur sempre una scelta di vita. Sliding doors, porte scorrevoli, è un modo per definire un’alternativa dai risvolti imprevedibili. Decidere, infatti, di salire o di non salire per una qualsiasi di quelle porte che si aprono e si chiudono in pochi secondi, portandosi via chissà quali frammenti di vita mai vissuta, è un vero e proprio bivio esistenziale. E se la riproduzione onirica della metropolitana che

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