L'unicorno rosso
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Anteprima del libro
L'unicorno rosso - Marzio Candus
Sinossi
Raphael, uno scienziato nel settore della robotica, decide di lasciare il suo lavoro per inseguire un processo di crescita personale e spirituale in Messico. Questo primo libro narra il viaggio che gli cambierà radicalmente la vita e lo farà diventare definitivamente un guaritore di anime, un uomo virtuoso che nelle visioni fantastiche delle cerimonie tradizionali centro sud americane troverà il suo posto nel mondo, che gli verrà rivelato mano a mano in un viaggio fantastico da coloro che lo formeranno alle antiche arti sciamaniche, fino a farlo diventare un unicorno rosso, rosso come un guerriero intento a diffondere valori corretti e pacifici che si scontrano con la dissolutezza e il menefreghismo della società attuale.
L’unicorno rosso è un libro in cui fantasia e realtà si mescolano perché l’autore è un sognatore e si pone domande importanti sul significato della vita trasponendole in una novella dove i personaggi strani non mancano e le sorprese neppure.
Ogni riferimento a persone o fatti accaduti realmente è puramente casuale
Prefazione dell’autore
Chi mi conosce sa bene che è da almeno dieci anni che dico devo scrivere un libro
Ecco, finalmente l’ho fatto ed anche in pochi giorni.
C’è tanto me stesso in questa opera come credo sia normale per qualunque artista. C’è tanto che avrei voluto spiegare a chi ha passato del tempo a sentirmi raccontare le mie avventure, a chi è diventato mio amico, a chi è stato un mio lettore da quando ero più giovane, sui miei vari blog che non so neanche dove siano finiti nel marasma di internet.
Per facilitare la lettura del libro, che è denso di personaggi, ho incluso un’appendice Personaggi e termini
alla fine del libro per far capire fino in fondo il senso del libro.
Vi esorto a non andare a leggerla per prima perché non capireste niente comunque ma ad usarla se vi perdeste nell’intreccio della storia
Spero che questo mio narrare sia lieve e profondo allo stesso tempo, che abbia un ritmo cadenzato, che riesca a toccare qualche corda nel vostro cuore, che risuoni nel vostro come risuona nel mio.
Buona lettura
Marzio
PS: il libro parla in maniera molto palese di sostanze psicotrope che esistono veramente e vengono usate nei rituali in ogni parte del mondo anche da persone incapaci e da buffoni. Sia ben chiaro che con questo libro NON sto incoraggiando nessuno a provarle.
Incipit
Quel giorno di dicembre del 2012 avevo 32 anni ed un gran bel lavoro in una multinazionale tra le più grandi del mondo. Ma ero profondamente infelice. Così triste da non riuscire a guardarmi allo specchio la mattina prima di andare al lavoro senza farmi schifo. Ribrezzo. Odio misto al rancore per la mancanza di coraggio che mi impediva di andarmene da lì, nonostante il buono uscita che avrei potuto chiedere e le finanze casalinghe a posto e da gestire più attentamente.
Odiavo ciò che facevo e come lo facevo in RECMA, la più grande multinazionale di robotica e ricerca del mondo. Ero responsabile di una buona parte dei progetti di ricerca e sviluppo e al contempo mal sopportavo il laisse faire e il disinteresse con cui le persone con le quali lavoravo e che comandavo, non capivano che quello che facevamo là dentro non era solo il loro dovere, da bravi soldatini, ma anche un atto di distruzione nei confronti del pianeta Terra.
Mentre ci facevamo prendere in giro dalla policy aziendale che recitava la ricerca di oggi formerà lo splendido futuro di un mondo migliore in cui robot e uomini saranno in equilibrio col pianeta
Rileggevo spesso quelle righe perché, guardandomi attorno, vedevo solo gente intenta a portarsi a casa lo stipendio e a fottersene del futuro migliore per i loro figli e nipoti. Che schifo mi facevano. Che schifo mi fanno ancora.
Da quel giorno del dicembre 2012 ci misi in seguito quasi tre mesi per convincermi che lasciare quel posto sicuro, quel lavoro che un giorno mi avrebbe reso un pensionato felice, quell’ufficio open space che odiavo, sarebbe stata la più grande scommessa e la più grande scelta della mia vita. Il più grande salto nel vuoto ma al contempo la migliore delle scelte. Me lo sentivo dentro, era una sensazione inspiegabile ma al contempo era quella stessa sensazione che provavo e che mi rendeva difficile accettare di compiere il passo definitivo, quello di avere il coraggio di voler dare le dimissioni sul serio
Dimettermi. Senza un piano B già pronto, ma solo per la rabbia che non avrei avuto un piano B nemmeno all’interno di RECMA.
Quella mattina, davanti allo specchio, capii che c’erano due possibilità con cui potermi confrontare; la prima è che nessuna delle esperienze di vita messe insieme finora, tra cui un’infinità di viaggi in posti meravigliosi, mi definivano ma allo stesso tempo, sicuramente, avevano cambiato qualcosa in me; la seconda era che avevo fatto un poit pouirri di esperienze in un lasso così breve di vita e non avevo avuto modo di assimilarle tutte, per mancanza di una riflessione profonda sul senso stesso della mia vita anche a causa della mia giovane età. Insomma mi sembrava di non aver ancora capito molto dove volessi andare, cosa volessi fare e soprattutto chi volessi essere.
Quel mattino di fine febbraio 2013 mi decisi a partire per camminare lungo il sentiero non semplice della scoperta di sé stessi.
Fino a quel giorno mi ero fatto trascinare da un vortice di emozioni ed eventi più grosso di me, così grosso da rischiare di farmi diventare la persona che avrei odiato per tutta la mia vita, un morto che cammina, uno zombie radiocomandato, un possibile suicida.
All’opposto invece, sarei potuto diventare un esploratore di me stesso, un camminante del mondo, un pedone ingenuo in un mondo di persone mosse dagli istinti e dai sogni più variegati e stravaganti possibile, come avevo scoperto grazie ai miei viaggi in solitaria in giro per il mondo.
Ero spinto dal desiderio di diventare un esploratore cosciente del mondo e di riflesso di me stesso, un uomo solitario ma forte che attraverso il confronto con gli altri si rinforzava ancora di più perché più le persone mi facevano domande sulle quali riflettevo, più la mia mente elaborava risposte che mai mi erano passate per la testa. Al tempo ero ancora convinto che vi fossero solo delle risposte preconcette al cosa vuoi fare da grande
o al chi sarai un giorno in questa società globale; o peggio ancora quando accadeva di dover rispondere alla classica domanda da responsabile delle risorse umane: dove ti vedi da qui a 5 anni?
Che ne sapevo della vita e delle sue varie tappe? A 10 anni, quando gli adulti mi chiedevano cosa avrei voluto fare da grande, rispondevo che avrei voluto essere pompiere o astronauta.
A 20 anni quando la maturità mi diede la possibilità di scegliere dissi farò l’ingegnere
, perché era una materia difficile per la quale però ero portato ma anche perché garantiva un lavoro sicuro e perché, senza saperne molto di che facessero gli ingegneri nello specifico, essendo appena uscito dal liceo, mi era sembrato che potessero fare un po’ di tutto e fossero delle persone molto colte, quindi da ammirare. E proprio grazie alla mentalità e al metodo da ingegnere riportato alla vita reale e non solo ai progetti di lavoro, avrei avuto la possibilità di vivere al meglio la mia esistenza.
Studiai ingegneria con gusto, ma anche con quel pizzico di furbizia che mi caratterizza, scegliendo la facoltà che più è prona a capire il mondo: l’ingegneria chimica, l’ingegneria dei processi, delle cause e degli effetti. Quella che può fare tutto ma che alla fine può anche andare a fare i software, che sono processi algoritmici che ci garantiscono un futuro più complesso per le macchine ma più facile per gli uomini.
A vent’anni non capivo nulla del mondo come ne capisco ora a 32, dopo il cammino fatto e ciò che mi è successo in RECMA fino al giorno in cui ho deciso di dare le dimissioni dal reparto ricerca e sviluppo dell’azienda.
E ora mi trovo a scrivere per schiarirmi le idee e per filosofeggiare sull’esistenza, perché mi sento solo e perché, in fin dei conti, è una cosa che mi diverte. Sia scrivere che farmi leggere da quei pochi o molti che siano, non importa. Ho solo voglia di trasmettere il mio messaggio attraverso la scrittura che è la forma d’arte che amo di più.
Coloro che hanno la fortuna di chiedersi qualcosa sul senso della vita e sul valore della felicità di solito diventano miei grandi estimatori e poi anche lettori.
Questo è solo l’incipit di un libro di pura fantasia in cui ognuno di voi, sono certo, proverà ad interpretare le mie parole nel modo in cui gli arriveranno al cuore.
Ho voglia di rendervi partecipi di questo viaggio proprio grazie alle interpretazioni che voi darete alle mie parole, sentendo quali emozioni provate nel leggere certe cose che dico.
È una storia di fantasia ma è molto più reale di quanto crediate. Mi auguro vi piaccia.
Il licenziamento
Timothy, il capo di tutta la ricerca e sviluppo di RECMA, era un capo molto poco autoritario. Mi ci era voluto poco per scavalcarlo ed andare a parlare direttamente con Stefan, l’amministratore delegato e il vero capo del dipartimento di Ricerca e Sviluppo.
Appena mi presentai con la lettera di dimissioni infatti, Timothy, in maniera poco accorta, vi appose subito la firma, dopo una mia brevissima giustificazione che adduceva generici problemi di famiglia e di salute dei miei familiari in generale.
Appena Stefan venne a sapere della mancata accortezza di Timothy, mi chiamò nel suo ufficio per parlarne. Contava su di me, voleva farmi fare carriera, ero uno dei pochi là dentro che cercava veramente di trovare i problemi e che tentava di risolverli come un buon manager dovrebbe fare, organizzando riunioni nel suo ufficio per far sì che ci si rendesse conto di come bisognava lavorare meglio e che c’erano un sacco di ingegneri che non riuscivano a farlo.
La frustrazione veniva dal vedere persone che ridevano a sentire le mie idee organizzate e che diventavano ben presto, non solo davanti a me ma anche davanti a Stefan, dei project manager molto meno gradassi, siccome si rendevano conto che non sapevano neanche cosa fosse un planning ben fatto o peggio ancora non avevano nemmeno idea di come scrivere un progetto, non ponendo obiettivi e finalità da raggiungere o almeno da provare a raggiungere. Direi che a livello lavorativo era a dir poco uno scandalo e Stefan ne era pienamente al corrente e ne discuteva spesso con me per migliorare la situazione.
Io mi ero infuriato così tanto nei mesi passati che non avevo neanche avuto tempo di smaltire la rabbia e la frustrazione per le situazioni da risolvere che quotidianamente mi si riversavano addosso, neanche fossero olio bollente buttato giù dai muri dei castelli medievali. In RECMA non combattevamo insieme una battaglia, uniti per il bene della società e per il progresso, ma ognuno di noi, proprietario del suo piccolo progettino mal scritto e con poche speranze di essere mai realizzato, teneva ben stretto il suo tesoretto e non faceva altro che scatenare il putiferio appena gli si facevano notare le mancanze, soprattutto riguardo alle nozioni di base.
Stefan aveva tentato in tutti i modi di coinvolgermi nelle riunioni di alto livello che si tenevano con tutti i capi dei vari dipartimenti, ma il suo farlo aveva avuto il risultato inverso di allontanarmi dal voler salire di livello piuttosto che il contrario. Non volevo essere come loro, persone estremamente intelligenti che facevano baruffe su argomenti ignoti e a volte pure idioti. E che decidevano senza sapere di chi fidarsi per chiedere un parere, visto che tutti avevano la coda di paglia e nessuno osava scagliare la prima pietra per dichiararsi peccatore.
Avevo ironicamente chiamato la RECMA con un nomignolo che le calzava a pennello: per me RECMA era il mondo al contrario in cui tutte le cose opposte alla logica potevano succedere; come un moderno mondo del sogno allucinogeno di Alice nel paese delle meraviglie, pieno di personaggi meravigliosi ma senza nessuna logica né freno.
Là dentro, in 7 anni, da Alice mi ero trasformato in una sorta di stregatto, quel personaggio che suggerisce agli altri cosa fare in modo sornione ed enigmatico, ironico ed evanescente. Solo così ero stato capace di sopravvivere fino a quel momento e a fare carriera nel mondo al contrario. Dicendo le ovvietà e le verità che palesemente venivano nascoste, normalmente per codardia ma soprattutto da chi non aveva le palle per dire che le cose andavano cambiate, ed anche in fretta. Codardia mista a paura di perdere il posto, perché per dire le cose bisogna non solo avere le palle ma anche tanta fiducia e stima in sé stessi per sapere che le prossime mosse da fare saranno giuste e porteranno a risultati.
A tutte queste cose avevo pensato quando mi ero seduto nell’ufficio di Stefan per comunicargli che me ne sarei andato da RECMA, e che la mia decisione era irremovibile. Stefan mi propose qualunque cosa, qualunque posizione purché rimanessi con loro; nel frattempo io guardavo fuori dalla finestra e fantasticavo che mondo e che avventure mi stessero aspettando là fuori. Stefan cedette ai miei silenzi, come fecero i responsabili delle risorse umane ed altri che volevano convincermi a restare.
Quando finalmente restituii il mio badge, non tornai più neanche per salutare le persone. Tanti dipendenti di RECMA mi volevano bene perché avevo avuto il coraggio di farli svegliare dal loro sonno in cui il mondo al contrario sembrava averli portati, facendo loro pensare che quel modus operandi fosse normale. A pochi ragazzi volevo bene in quei palazzi. Quei ragazzi in gamba li vedevo tristemente impigliati come mosche sulla ragnatela del ragno di quel mondo e che, capendolo perché stupidi non erano, si erano messi di buona lena per trovare un loro spazio da Alice smarrita in quel mondo di continue maratonde ed infiniti non compleanni. Alcuni lo facevano per mancanza di scelte alternative, altri per mancanza di esperienza e di coraggio.
Dimettermi non fu una decisione facile ma la sensazione di libertà e l’odore dell’aria aperta dopo aver voltato definitivamente le spalle a RECMA erano sensazioni meravigliose, mai provate prima e che non dimenticherò mai.
Thailandia e Clara
Ho vissuto in parecchi luoghi del mondo, ma la pace che si trova in Thailandia non si trova da nessuna parte. La prima cosa che feci dopo aver firmato le dimissioni, fu prendere un biglietto aereo per Bangkok per una vacanza di relax e spiritualità in Thailandia, a Koh Phangan.
Lì mi aspettavo di incontrare Duccio, un altro che alla mia età aveva deciso di mollare tutto per costruire un resort su quell’isola. Un mio mito, al tempo, introdottomi da Benedetta, la mia ormai ex morosa.
Eh sì, perché quando dò un taglio netto con il passato, lo faccio con il machete e quindi ero partito libero e senza meta, a parte andare a trovare Duccio in Malesia e in Thailandia.
Non è descrivibile la magia di camminare scalzi su una spiaggia corallina in una notte di luna piena in cui si vede tutto come fosse illuminato dai lampioni e fantasticare al contempo sulla mia vita futura.
All’epoca sull’isola di Phangan provai di tutto, da una settimana di pulizia del colon con annesso digiuno, ai massaggi thai sui lettini di fronte al mare, alle saune, allo yoga, al thai chi, al dormire da solo sotto una palma dopo aver attraversato mezza isola su un motorino.
Facevo tutto ciò che mi rendeva felice e evidentemente, emanavo questa aura di felicità perché avevo modo di conoscere persone e di instaurare dei bei rapporti di amicizia con loro.
Mi ricordo ancora i componenti di Sirio Survivors, il gruppo Facebook che avevamo creato per ricordarci quanto fosse stato duro il digiuno al centro Sirio e quanto il non mangiare così a lungo ci aveva uniti nelle difficoltà. Sirio è il nome del luogo dei digiuni dove conobbi tutti i partecipanti al gruppo e con cui organizzai la nostra gita in barca alla volta di bottle beach, letteralmente il paradiso sulla terra, un lembo di spiaggia corallina con dietro una foresta di mangrovie, un ristorante in cui la prima cosa che ti mostravano era il loro sorriso e il loro relax per essere lì tutto il giorno a mettere a posto le poche cose che i turisti lasciavano dopo aver mangiato. Più che altro le noci di cocco che tutti noi bevevamo con avidità e di cui mangiavamo l’interno come fosse yogurt.
Eravamo in 7, il mio numero prediletto. Io facevo da capo gita, come al solito mi capita, gli uomini erano in inferiorità numerica ed eravamo accompagnati da delle belle donne olandesi, una russa e una magnifica inglese per cui avevo letteralmente perso la testa perché avevo scoperto essere donna sognatrice e anima pura come la mia.
Amo chiacchierare, soprattutto con le donne, che lo amano fare di natura. Sono sempre stato un uomo atipico, ho ammirato la capacità di apertura emotiva delle donne, anche con gli sconosciuti o quasi, come sono io per loro dopo qualche giorno di vacanza. Poi il chiacchierare aiuta a capirsi e crea quel legame che i silenzi invece non creano.
Mi ritrovo, senza sapere come sia successo, a parlare di vita con una ragazza, Lotte, che di lavoro fa la trainer psicologica per i poliziotti olandesi, mettendoli alla prova nelle condizioni più difficili. A vederla così, sembra una ragazza tranquilla e a modo mentre scopro che è praticamente nelle task force olandesi. Queste sono le amicizie che amo intessere nei viaggi in solitaria.
Sarah, la ragazza inglese, cerca di evitarmi il più possibile perché è fidanzata e ha capito che vado matto per lei, ma riesco a conquistarla scrivendole una lettera in cui non è possibile che non capisca la mia infatuazione. Una sera viene a fare un giro con me in motorino, si concede un po’, mi scalda un po’ il cuore, quel che basta per sentirmi amato ma nei limiti del possibile.
Il gruppo dei Sirio Survivors è movimentato e pieno di belle persone che tra l’altro si sono da poco depurate da tossine e sostanza nocive che hanno lasciato spazio a cellule nuove ma anche a pensieri migliori e meno negativi.
Non essendo un fanatico dello sport, non ho mai pensato a quante tossine elimini il nostro corpo grazie al movimento e anche a pulizie così intense come il digiuno e i lavaggi intestinali.
Mi sento nuovo, rinato, con la carica di un ventenne. E allora torno a divertirmi con i Sirio Survivors per rimpossessarmi di un po’ di adolescenza e spensieratezza, tutte assieme e accompagnate da un gran relax. L’importanza dell’intesa e della coesione di un gruppo la imparo là e non, come mi era successo di