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La poesia del Novecento
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E-book234 pagine2 ore

La poesia del Novecento

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Info su questo ebook

Ho un’istintiva repulsione per certi commenti di dotti analisti che hanno la pretesa di spiegare tutto, di rigirare i versi come si gira un calzino, di affermare che tutto è compiuto, tutto è spiegato con fredda autopsia, col risultato di scoraggiare il lettore ed indurlo ad abbandonare la lettura.

Il commento a mio parere deve essere un rivivere, per quanto possibile, il lavorio interiore dell’estro, solo così si potrà scoprire il “valore di esperienza dell’atto poetico, che sarà comunicativo solo quando capace di suscitare un’analoga (non identica né univoca) esperienza nel lettore.”
LinguaItaliano
Data di uscita23 set 2020
ISBN9788831693844
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    Anteprima del libro

    La poesia del Novecento - Antonio Magnolo

    info@youcanprint.it

    Dedicato al lettore

    Ho pensato a te lettore, in te mi son rivisto come in uno specchio veritiero, ti ho conosciuto compagno di emozioni, ho ascoltato i battiti del cuore mentre silenziosa e soave sul ciglio s’affacciava una lacrima.

    Fortunati coloro che possono a ben ragione dirsi Lettori, avranno valido ausilio per scacciare dalla mente il tedio e l’oscura noia, posseggono il dono dell’apprezzamento: è di essi il pregio di gustare a pieno l’incanto della poesia.

    Questo mio lavoro vuol essere un dono a chi legge la poesia non con la lente d’ingrandimento dell’erudito che stila esaurienti commenti, con la pretesa, assurda, di voler mettere la parola fine; questo mio lavoro non è rivolto agli studenti, essi sì … hanno bisogno degli eruditi. Il mio lettore è quello che legge per il gusto di leggere, per ricercare in sé stesso intima corrispondenza alla commozione emotiva del poeta, alla ricerca di quello stato d’animo che ha generato l’estro e la prorompente spinta a scrivere.

    Una sola richiesta, sempre se di gradimento: una breve recensione sullo stesso sito di e-book o una breve e-mail al mio account: magnoloantonio@libero.it

    Ringrazio fin d’ora tutti coloro che vorranno aderire a questa mia richiesta, anch’io lettore

    Antonio Magnolo

    Premessa

    Il Novecento è il secolo della svolta e del cambiamento in tutti i campi, in particolar modo in quello delle arti e della letteratura. All’inizio di tutto furono i Futuristi con il loro programma, messo nero su bianco nel Manifesto pubblicato sul FIGARO il 20 febbraio 1909. Il loro credo è presto detto: occorreva distruggere tutto e ricominciare da zero. Non si salverà nessuno: non Dante, non Petrarca, non Alfieri, non Foscolo, non Leopardi, non Manzoni, non Carducci e per ultimo D’Annunzio. Il primo periodo del futurismo è caratterizzato dal rifiuto di qualsiasi ordine e regola, è il periodo dei Distruttori. Ma a lungo andare non si vive all’addiaccio, ed ecco che ai distruttori, inventori di un nuovo linguaggio vennero a mancare gli spettatori, … i lettori. E fu il momento dei Diluitori, che cercarono di recuperare quanto del passato era pur valido, adattandolo al nuovo che certo vinceva in freschezza di linguaggio. Si dà vita, quindi, ad una scrittura che tenta di scendere nella profondità dell’anima, e quando l’italiano beneficiò dell’iniezione di forti dosi di dialetto si raggiunse una ricchezza lessicale inusitata. E fu con questa lingua arricchita che si scrissero i romanzi insuperati del Novecento. E per la poesia? Occorre guardare agli ermetici per avere un paragone valido con quanto aveva raggiunto il romanzo.

    La poesia ermetica non racconta la realtà nella sua estrinseca oggettività, piuttosto come qualcosa entro cui proiettare la propria interiorità. Non esiste altra realtà al di fuori di quella del proprio animo. Da qui il senso di smarrimento del poeta nella vita frenetica della città, un vagabondare ripiegandosi dentro, uno scavare interiore nel proprio essere uomo.

    È quindi una poesia essenzialmente autobiografica, autoreferenziale, che racconta i propri sentimenti, le proprie esperienze. Dei classici eredita l’amore per la natura, unica fonte di effimero sollievo; in essa si rifugia per sfuggire alla cruda realtà fatta di guerra e di dittatura, lamento di stragi e di rovine. La poesia ermetica si caratterizza per l’uso frequente di simboli, del resto il simbolismo è il movimento nato in Francia e ben presto diffuso in tutta Europa. La letteratura cessa i caratteri specifici di una data regione, di una data Nazione per assumere i caratteri di universalità: più si interiorizza ed individualizza e più diventa messaggio che raggiunge tutti. Ma non è facile comprendere il significato che l’autore attribuisce al simbolo che usa.

    Altro strumento della poesia ermetica è l’analogia: tecnica espressiva che rapporta fra loro immagini e situazioni diverse e senz’alcun apparente legame. E non è certo con la ragione o con la logica il giusto approccio per comprenderne il senso; è nella propria sensibilità che occorre cercare per trovare la chiave interpretativa delle associazioni analogiche.

    Non pretendo certo di aver stilato commenti esaustivi delle sillogi di questi tre grandi poeti, ho solo cercato di accostarmi con rispetto al loro estro cercando di sorbire quel poco che le mie modeste capacità hanno permesso. Di una cosa sono certo: sono stato ampiamente ricompensato del tempo e dell’impegno profuso; ho gustato poesia di alto livello assaporando emozioni che mi hanno lasciato ora stordito, ora incantato, spesso intimamente commosso.

    Sogliano Cavour 05. 04. 2014

    Antonio Magnolo

    Il porto sepolto

    di Giuseppe Ungaretti

    La prima silloge di Ungaretti uscirà in ottanta copie con il titolo Il Porto Sepolto nel dicembre del 1916 e raccoglie le poesie scritte in un anno, come confesserà l'autore: dal primo giorno in trincea, e quel giorno era il giorno di Natale del '15, e io ero sul Carso, sul Monte San Michele.

    www.amicidicastelnuovo.it/?sezione=parco&sottosezione=progetto

    Ungaretti durante il servizio militare

    La Grande Guerra

    Quando nel 1914 scoppiò la prima guerra mondiale, Ungaretti partecipò alla campagna interventista, per poi arruolarsi volontario nel 19º reggimento di fanteria, quando il 24 maggio 1915 l'Italia entrò in guerra. Combatté sul Carso e in seguito a questa esperienza scrisse le poesie che, raccolte dall'amico Ettore Serra (un giovane ufficiale), vennero stampate in 80 copie presso una tipografia di Udine nel 1916, con il titolo Il porto sepolto. Collaborava a quel tempo anche al giornale di trincea Sempre Avanti. Trascorse un breve periodo a Napoli, nel 1916 (testimoniato da alcune poesie, per esempio Natale: Non ho voglia / di tuffarmi / in un gomitolo di strade....) [5]. Il 26 gennaio 1917 a Santa Maria la Longa (UD) scrisse la nota poesia Mattina.

    https://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Ungaretti

    Lindoro di deserto

    Dondolo di ali in fumo

    mozza il silenzio degli occhi *

    Col vento si spippola il corallo *

    di una sete di baci

    Allibisco all'alba

    Mi si travasa la vita

    in un ghirigoro di nostalgie

    Ora specchio i punti di mondo

    che avevo compagni

    e fiuto l'orientamento

    Sino alla morte in balia del viaggio

    Abbiamo le soste di sonno

    Il sole spegne il pianto

    Mi copro di un tiedipo manto *

    di lindoro

    Da questa terrazza di desolazione

    i braccio mi sporgo *

    al buon tempo

    Cima Quattro, il 22 dicembre 1915

    _________________________

    * (il silenzio degli occhi, sinestesia)

    * (spippola, da spippolare … canta, emette suoni; si spippola il corallo

    … Il poeta è in montagna per cui corallo sta a significare non certo

    l’essere vivente marino, così diffuso nel Mar Mediterraneo, ma

    piuttosto il suo colore rosso, come rosse le labbra avide "di una sete

    di baci".)

    * (tiedipo, tiepido … un refuso o voce dialettale?)

    * (i braccio, penso sia … in braccio)

    * * tiedipo, il sito http://www.partecipiamo.it riporta ‘tepido’ ma è

    l’unica fonte trovata, così come riporta invece di i braccio … in

    braccio.

    A prima lettura si evidenziano pensieri come scritti alla rinfusa, come scritti di getto e non riletti, in cui non mancherebbero perfino refusi. Ad una rilettura, più attenta, rimangono i dubbi di eventuali refusi, rimbalza lo stato d’animo del poeta alla sua immediata esperienza con il fronte di guerra. Già il toponimo, Cima Quattro, fa intravvedere un contesto di estraniazione …, per un giovane a poco più di ventisette anni. Sembra di assistere alla caduta di sogni, progetti, speranze. La stessa guerra, a cui aderisce con immediata spontaneità, si rivela per quello che era ed è e sarà: stupida follia di menti insane, assurda ingordigia di potere, crudeltà di uomini trasformati in belve. E di contrasto si evidenziano desideri e sentimenti.

    I primi quattro versi sembrano un libero volo dal peso che grava nell’animo, qualunque sia il significato che si possa dare ad ali in fumo e al corallo che si crogiola in una sete di baci. Pietà della notte ma, come spugna su lavagna …, tutto svanisce e Allibisco all’alba. Non resta che il rimpianto di quanto si è perduto, preso in un vortice che disorienta come la vita / in un ghirigoro di nostalgie.

    Quanto diversa la cruda realtà dai decantati, pur giusti valori di Patria e di sacri doveri; di quante rovine e di quanto sangue sono il prezzo: sofferenze da nulla ripagate, da nulla giustificate ed inspiegate se non come frutto di stupida disumana follia. Ed è sempre tardi quando agli occhi della mente si disvela:

    "Ora specchio i punti di mondo

    che avevo compagni

    e fiuto l'orientamento".

    Siamo fuscelli sballottati dalla corrente, Sino alla morte in balia del viaggio, fino a raggiungere la meta: Il porto sepolto ci attende. Non resta se non lo sfogo di singhiozzi nelle soste di sonno, perché al suo ritorno Il sole spegne il pianto. E sia di conforto il tepido abbraccio di luce, … null’altro rimane su questa terrazza di desolazione.

    Veglia

    Un'intera nottata

    buttato vicino

    a un compagno

    massacrato

    con la sua bocca

    digrignata

    volta al plenilunio

    con la congestione

    delle sue mani

    penetrata

    nel mio silenzio

    ho scritto

    lettere piene d'amore.

    Non sono mai stato

    tanto

    attaccato alla vita.

    Cima Quattro il 23 dicembre 1915

    Ed ecco uno dei tanti ritratti della guerra, non nella sua interezza ma in uno scorcio, come negli affreschi dei grandi pittori. Ed invero la scena non è descritta nel suo insieme ma nel particolare tragico che ritrae il poeta vicino a un compagno, più di lui sfortunato:

    "Un'intera nottata

    buttato vicino

    a un compagno

    massacrato".

    Nessun altro elemento li circonda se non la luna nel suo splendore di luce … E che cosa può fare il poeta per quella bocca / digrignata, non per rabbia, del resto giustificata, ma nello strazio del dolore fisico e di animo, o, forse, nell’estremo rantolo? Ascolta l’emozione che gli ispira il contatto freddo delle sue mani e

    "nel mio silenzio

    ho scritto

    lettere piene d'amore."

    Sarebbe importante sapere, di quelle lettere, destinatario/a e mittente. Se scrive per sé stesso o traduce un desiderio del compagno che muore. Ed è quella vita che si spegne …, a fargli comprendere quanto lui stesso sia attaccato alla vita.

    Un testo scritto in gioventù. Le spine, ai piedi e al cuore del poeta, sono iniziate presto quando la fresca età è stata strappata ai sogni vaghi del sentir d’amore. È la guerra il contesto acerbo amaro dei suoi versi. Invece di soavi membra di fanciulla le sue braccia stringono un compagno / massacrato; invece di carezzare esili tepide mani, stringe quelle congestionate di un commilitone strappato alla vita. Ed in questo contesto di crudele morte nasce, più struggente, il sentimento di attaccamento alla vita.

    A riposo

    Chi mi accompagnerà pei campi

    Il sole si semina in diamanti

    di gocciole d'acqua

    sull'erba flessuosa

    Resto docile

    all'inclinazione

    dell'universo sereno

    Si dilatano le montagne

    in sorsi d'ombra lilla

    e vogano col cielo

    Su alla volta lieve

    l'incanto si è troncato

    E piombo in me

    E m'oscuro in un mio nido

    Versa, il 27 aprile 1916

    Non è venuta meno la capacità del poeta di osservare e godere dei doni della natura. Quello che manca è la sorpresa che hanno i fanciulli con gli occhi sbarrati di stupore e con il cuore che rompe di gioia. Per questo la semina in diamanti, di cui prodigo Il sole fa dono, non smuove più di tanto l’emozione: Resto docile …, l’incanto si è troncato. Come di scuro metallo che grava sul cuore: piombo in me. Non resta che trovare una nicchia nascosta, un angolo E m'oscuro in un mio nido.

    Fase d’Oriente

    Nel molle giro di un sorriso

    ci sentiamo legare da un turbine

    di germogli di desiderio

    Ci vendemmia il sole

    Chiudiamo gli occhi

    per vedere nuotare in un lago

    infinite promesse

    Ci rinveniamo a marcare la terra

    con questo corpo

    che ora troppo ci pesa

    Versa, il 27 aprile 1916

    Occorre tener presente che queste poesie sono il diario poetico di Ungaretti, pagine scritte da un soldato che vive con i commilitoni una vita stentata in trincea, ed in agguato per attacchi improvvisi, inferti o sofferti. Ha ventotto anni, nella giovinezza piena, costretto a comprimere i sentimenti, impossibilitato a dar loro sfogo in pensieri e desideri alati. E vorremmo essere generosi, e pensare che sia veritiero il sussulto provocato da

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