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Devi orzare, Baal!
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E-book262 pagine7 ore

Devi orzare, Baal!

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Info su questo ebook

Il giovane Paolo è imbarcato come prodiere su Excalibur, un quaranta piedi da regata che partecipa a un torneo a tappe. A Punta Ala conosce Micaela, velista bella e capace, con la quale vivrà una breve e sfortunata storia.

Baal, il suo ruvido skipper, ritrova amici naviganti persi di vista da tempo: tutti, sportivi appassionati ed esperti, si preparano con entusiasmo alla competizione. Ma, ancor prima del via, un curioso e inspiegato incidente provoca la morte di uno di loro; altri eventi luttuosi accompagneranno il circuito.

Toccherà a Baal, anch’egli in pericolo di vita, risolvere drammaticamente il giallo?
LinguaItaliano
Data di uscita28 mag 2020
ISBN9788831675420
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    Anteprima del libro

    Devi orzare, Baal! - Virginia Less

    Bol­di

    1

    Punta Ala. L'equipaggio di Excalibur.

    Primo incontro con Micaela.

    Che pasticcio, le stazze! Il primo incidente.

    Con la schie­na co­mo­da­men­te ap­pog­gia­ta al­la ba­se dell'al­be­ro e le lun­ghe gam­be di­ste­se sul­la tu­ga, Pao­lo ri­vol­ge­va al­la ban­chi­na le suo­le zi­gri­na­te del­le vec­chie Tim­ber­land. Te­ne­va d’oc­chio la ma­no­vra di Sa­man­tha, un 10 me­tri vec­chiot­to ma ben te­nu­to che, ap­pe­na ar­ri­va­to, si di­spo­ne­va all'or­meg­gio.

    L'equi­pag­gio ave­va rior­di­na­to ve­le e ma­no­vre du­ran­te l'ul­ti­mo trat­to di na­vi­ga­zio­ne - com'è buo­na nor­ma quan­do il ven­to scar­seg­gia, ap­prez­zò Pao­lo- e in un at­ti­mo due gio­va­ni e una ra­gaz­za sal­ta­ro­no agil­men­te a ban­chi­na. Si­ste­ma­te le ci­me a ter­ra con ra­pi­di­tà ed ef­fi­ca­cia evi­den­ti all'oc­chio esper­to dell'os­ser­va­to­re, si di­res­se­ro tra chiac­che­re e ri­sa­te ver­so la zo­na com­mer­cia­le del­la ma­ri­na. Un uo­mo più an­zia­no li os­ser­vò per qual­che se­con­do dal poz­zet­to, poi spa­rì sot­to­co­per­ta pro­nun­cian­do qual­che pa­ro­la che Pao­lo non af­fer­rò, ri­vol­to a un in­vi­si­bi­le in­ter­lo­cu­to­re.

    Que­sta sce­na si era ri­pe­tu­ta più vol­te, con va­rian­ti po­co si­gni­fi­ca­ti­ve, nel cor­so di quel­la cal­da gior­na­ta di fi­ne apri­le, e il ra­gaz­zo ave­va se­gui­to ogni vol­ta sen­za an­no­iar­si le ma­no­vre che si svol­ge­va­no nel­le vi­ci­nan­ze per­ché tut­to ciò che ri­guar­da­va la ve­la at­ti­ra­va co­mun­que la sua at­ten­zio­ne.

    Ave­va ap­pe­na vent'an­ni e quel­la era, dal­la pri­ma ado­le­scen­za, la sua esclu­si­va, do­mi­nan­te pas­sio­ne. Gli era man­ca­ta la tra­di­zio­na­le ini­zia­zio­ne ve­li­ca in­fan­ti­le -Op­ti­mi­st a set­te  an­ni, 420 in­tor­no ai do­di­ci e via elen­can­do fi­no al J 24- per­ché non era fi­glio d'ar­te. Ma da quan­do, tre­di­cen­ne, gli era ca­pi­ta­to di sa­li­re qua­si per ca­so su un vec­chio Mi­ni ton­ner, era sta­to un amo­re a pri­ma vi­sta.

    Non sa­reb­be for­se mai di­ven­ta­to un ve­ro ma­ni­co: gli fa­ce­va un po' di­fet­to quel­la sen­si­bi­li­tà im­pon­de­ra­bi­le per le mi­ni­me va­ria­zio­ni di ren­di­men­to e di as­set­to del­la bar­ca che ca­rat­te­riz­za i ti­mo­nie­ri di va­glia. Pe­rò se la ca­va­va de­cen­te­men­te nei cam­pio­na­ti zo­na­li di Finn e sul­le bar­che gran­di ave­va or­mai al suo at­ti­vo quat­tro an­ni di re­ga­te, sia lun­ghe che co­stie­re, tra Fiu­mi­ci­no, Net­tu­no e la To­sca­na. Al­to, ro­bu­sto e agi­le, era un va­li­do e ri­cer­ca­to pro­die­re

    Con­clu­se le ope­ra­zio­ni di staz­za, Pao­lo era ri­ma­sto da so­lo a bor­do di Ex­ca­li­bur, un 42 pie­di del­la X- Ya­ch­ts, con l'in­ten­zio­ne di­chia­ra­ta di stu­dia­re un po' di di­rit­to pri­va­to.

    Iscrit­to al pri­mo an­no di Scien­ze eco­no­mi­che e com­mer­cia­li, ave­va ga­ran­ti­to in per­fet­ta buo­na fe­de a suo pa­dre, pre­oc­cu­pa­to per l'in­ten­si­fi­ca­zio­ne del­le at­ti­vi­tà ve­li­che, un re­go­la­re svol­gi­men­to de­gli esa­mi. Pur li­mi­ta­te ai fi­ne set­ti­ma­na fin­ché ave­va fre­quen­ta­to l'isti­tu­to tec­ni­co, sem­pre era­no sta­te cau­sa di be­ghe in fa­mi­glia.

    Era ap­pe­na la fi­ne di ot­to­bre, quan­do ave­va­no avu­to ini­zio i cam­pio­na­ti in­ver­na­li, e la pri­ma tor­na­ta di esa­mi sem­bra­va lon­ta­nis­si­ma! In­ve­ce in quei me­si ave­va so­ste­nu­to ap­pe­na uno scrit­to e due eso­ne­ri. Le re­ga­te si era­no mol­ti­pli­ca­te in sin­cro­nia con le la­men­te­le ma­ter­ne, per­ché An­ni­ba­le cor­re­va sia a Fiu­mi­ci­no che a Ca­la Ga­le­ra. A mar­zo c'era­no sta­te le se­le­zio­ni re­gio­na­li di Finn e ora ini­zia­va que­sto im­por­tan­te cir­cui­to tir­re­ni­co.

    Pao­lo spo­sta­va i li­bri di ma­te­ma­ti­ca e di di­rit­to da ca­sa a mac­chi­na e da mac­chi­na a bar­ca, ma era dif­fi­ci­le che riu­scis­se a stu­dia­re dav­ve­ro... o che non ci fos­se qual­co­sa di ve­li­co a di­strar­lo!

    Ex­ca­li­bur era sta­ta una del­le pri­me bar­che a con­clu­de­re le pro­ce­du­re di staz­za. Me­ri­to del­la buo­na or­ga­niz­za­zio­ne: ar­ri­vo in por­to al mat­ti­no pre­sto, coor­di­na­men­to dell'equi­pag­gio, ge­stio­ne at­ten­ta e pon­de­ra­ta del suo skip­per.

    An­ni­ba­le, det­to Baal senz'al­cu­na ma­le­vo­len­za, al­za­va ra­ra­men­te di to­no la sua vo­ce na­sa­le dal mar­ca­to ac­cen­to ro­ma­ne­sco. Non si ar­rab­bia­va mai; se a bor­do suc­ce­de­va qual­che gros­so ca­si­no ave­va l'abi­tu­di­ne di re­ci­ta­re sot­to­vo­ce un pit­to­re­sco mea cul­pa di osce­ni­tà: co­me po­te­va es­se­re tan­to rin­co­glio­ni­to da pre­su­me­re di far re­ga­te con un si­mi­le bran­co di pa­ra­li­ti­ci, cor­ti di men­te per giun­ta? E se c'era a bor­do una don­na, ami­ca o ra­gaz­za di qual­che mem­bro dell'equi­pag­gio, il che ac­ca­de­va di ra­do, la gia­cu­la­to­ria non ve­ni­va omes­sa ma pro­nun­cia­ta a vo­lu­me qua­si im­per­cet­ti­bi­le.

    Quan­to ai tra­sfe­ri­men­ti, av­ve­ni­va­no in re­gi­me di tut­to ri­po­so, a me­no che le con­di­zio­ni at­mo­sfe­ri­che non ri­chie­des­se­ro par­ti­co­la­re at­ten­zio­ne. Si svol­ge­va­no sem­pre un pa­io di eser­ci­ta­zio­ni, ma per il re­sto l'equi­pag­gio, so­li­ta­men­te di­vi­so in due o an­che tre guar­die se si an­da­va a mo­to­re con l'au­to­pi­lo­ta, ne ap­pro­fit­ta­va per ri­po­sa­re. Lo stes­so An­ni­ba­le si da­va a lun­ghi son­ni nel­la ca­bi­na di pop­pa, in mo­na­sti­ca so­li­tu­di­ne: era uno sca­po­lo­ne ma­tu­ro, or­mai, po­co so­pra i cin­quan­ta e, se don­ne ave­va, in bar­ca non s'era­no mai vi­ste!

    Pao­lo ten­tò di ri­por­ta­re la sua at­ten­zio­ne sul li­bro di di­rit­to pri­va­to e riu­scì a stu­dia­re vo­len­te­ro­sa­men­te per un'oret­ta scar­sa.

    Co­min­cia­va ad ave­re un po' fred­do nel­la Tshirt con il no­me dell'im­bar­ca­zio­ne sul pet­to e si ac­cin­ge­va a in­te­gra­re il suo ab­bi­glia­men­to, il che im­pli­ca­va la di­sce­sa sot­to­co­per­ta, quan­do si sen­tì chia­ma­re dal­la ban­chi­na.

    An­drea, uno dei grin­der, lo esor­ta­va a rag­giun­ge­re al ri­sto­ran­te il re­sto dell'equi­pag­gio: «È ve­ro che man­ca an­co­ra un quar­to al­le set­te, ma Baal ha det­to di sbri­gar­ci: c'è in gi­ro tan­ta di quel­la gen­te che tra po­co non tro­ve­re­mo un ta­vo­lo li­be­ro. Do­po la staz­za, poi, non è che ab­bia­mo fat­to 'sto gran pran­zo!»

    Pao­lo si af­fret­tò a ri­por­re i li­bri e, in­fi­la­ta una fel­pa, rag­giun­se il com­pa­gno a ter­ra.

    Per­cor­se­ro ra­pi­da­men­te il mez­zo pon­ti­le che li se­pa­ra­va dal­la ban­chi­na cen­tra­le, co­steg­gia­ro­no il por­ti­ca­to fit­to di ne­go­zi e di agen­zie e, su­pe­ra­ta la piaz­zet­ta so­pre­le­va­ta che co­sti­tui­sce il ful­cro an­che mon­da­no del ma­ri­na, fe­ce­ro il lo­ro in­gres­so nell'Har­ry's bar, il più no­to dei quat­tro ri­sto­ran­ti af­fac­cia­ti sul por­to.

    Du­ran­te le tra­sfer­te Baal non era alie­no dal­lo spo­star­si di qual­che chi­lo­me­tro con la Mul­ti­pla, qua­si sem­pre al se­gui­to nei por­ti, per com­pie­re escur­sio­ni ga­stro­no­mi­che. Que­sta vol­ta pe­rò ave­va pre­fe­ri­to ri­ma­ne­re nel­le im­me­dia­te vi­ci­nan­ze de­gli or­meg­gi per­ché -co­sì ave­va ri­fe­ri­to An­drea- si era im­bat­tu­to in un sac­co di vec­chie co­no­scen­ze ed era tut­to su di gi­ri.

    In­fat­ti non ave­va pre­so po­sto al lo­ro ta­vo­lo in­sie­me agli al­tri mem­bri dell'equi­pag­gio, ma a quel­lo di un al­tro grup­po po­co di­stan­te. Con­ver­sa­va ani­ma­ta­men­te con un uo­mo cor­pu­len­to, dai ca­pel­li di un bru­no so­spet­to, che do­ve­va es­ser vi­ci­no ai set­tan­ta.

    Pao­lo pre­se po­sto tra An­drea e Lu­cio, il qua­le sta­va ap­pun­to com­men­tan­do con Ni­co­la il tat­ti­co l'in­con­tro tra Baal e il ti­po an­zia­no.

    «Ap­pe­na l'ha vi­sto è ri­ma­sto pian­ta­to sul mo­lo a boc­ca aper­ta, poi si è but­ta­to ad ab­brac­ciar­lo escla­man­do tu sé lo mio mae­stro e lo mio du­ca men­tre quel­lo era sba­lor­di­to per­ché non l'ave­va af­fat­to ri­co­no­sciu­to! Non si ve­de­va­no da al­me­no ven­ti­cin­que an­ni, se ho ben ca­pi­to, e Baal ha det­to che è sta­to lui a far­gli cor­re­re le pri­me re­ga­te im­por­tan­ti, quan­do non ave­va an­co­ra una bar­ca sua. Han­no fat­to pa­rec­chie co­se in­sie­me, com­pre­sa una Gi­ra­glia. Lui ave­va un Ar­pè­ge già vec­chio, ma mol­to ben mes­so...»

    «Ne ha uno mio zio» sal­tò su Ro­ber­to il ran­di­sta, det­to ci pen­so io per la sua abi­tu­di­ne di of­frir­si al vo­lo, tan­to era con­ten­to di sta­re in bar­ca, per in­ca­ri­chi di ogni sor­ta. Non che aves­se bi­so­gno di es­se­re in­vi­ta­to, an­zi: era fat­to co­sì.

    Più gio­va­ne di Pao­lo di un an­no scar­so, pro­ve­ni­va da una fa­mi­glia in cui tut­ti an­da­va­no a ve­la, com­pre­sa la so­rel­li­na de­cen­ne che re­ga­ta­va su­gli Op­ti­mi­st, ed era sem­pre in gra­do di ci­ta­re uno zio, un cu­gi­no, un qual­si­vo­glia pa­ren­te che pos­se­de­va que­sta o quel­la bar­ca. Il pa­dre lo ave­va pre­sta­to a Baal, suo vec­chio ami­co, per la sta­gio­ne ve­li­ca, e que­sti mo­stra­va di ap­prez­zar­ne an­che le do­ti di ti­mo­nie­re af­fi­dan­do­gli tal­vol­ta la ruo­ta per un mez­zo bor­do, ono­re mai con­ces­so agli al­tri ra­gaz­zi, cui po­te­va ca­pi­ta­re, al mas­si­mo, di ri­por­ta­re Ex­ca­li­bur all'or­meg­gio do­po la re­ga­ta, esclu­se be­nin­te­so le ma­no­vre d'at­trac­co!

    «Or­mai è una bar­ca d'epo­ca, ma an­co­ra va­li­da nel suo ge­ne­re- sta­va di­chia­ran­do sa­pu­to il ra­gaz­zo. Ne­gli an­ni '60 è sta­ta la pri­ma di se­rie che po­te­va­no per­met­ter­si quel­li che non era­no Agnel­li: no­ve me­tri, di­slo­ca­men­to me­dio, lar­ghet­ta per quei tem­pi, ab­ba­stan­za abi­ta­bi­le e buo­na bo­li­nie­ra. Mio zio la tie­ne co­me un gio­iel­lo e ci fa la sua cro­cie­ri­na ogni an­no. D'al­tra par­te non è mol­to più gio­va­ne di quel­lo là!» con­clu­se in­di­can­do l'ami­co di Baal.

    «Lui ha fat­to car­rie­ra- ri­mar­cò An­drea. Ades­so ha uno Swan 42, qui a Pun­ta Ala. A quan­to pa­re non fa re­ga­te da un sac­co d'an­ni e per­ciò Baal l'ave­va per­so di vi­sta, pe­rò ora gli è ve­nu­ta vo­glia di se­gui­re que­sto cir­cui­to».

    «Uno Swan! Mi pia­ce­reb­be ve­der­lo...» si ani­mò Ro­ber­to

    Pao­lo e An­drea non gli ri­spo­se­ro per­ché os­ser­va­va­no con in­te­res­se il grup­po che fa­ce­va in quel mo­men­to il suo in­gres­so nel lo­ca­le.

    Si trat­ta­va evi­den­te­men­te di un al­tro equi­pag­gio qua­si al com­ple­to e com­pren­de­va due ra­gaz­ze in­tor­no ai 20 an­ni, bru­ne e gra­zio­se. La più bas­si­na si te­ne­va per ma­no con un ra­gaz­zo ric­ciu­to, l'al­tra cam­mi­na­va ac­can­to all'an­zia­no del grup­po, al qua­le so­mi­glia­va va­ga­men­te.

    Era­no na­po­le­ta­ni, co­me Pao­lo ar­guì dall'ac­cen­to, ma con­tra­ria­men­te al luo­go co­mu­ne par­la­va­no a bas­sa vo­ce.

    Pre­se­ro po­sto al ta­vo­lo che do­ve­va­no aver pre­no­ta­to, l'ul­ti­mo li­be­ro, ac­can­to a quel­lo del grup­po di Baal il qua­le, di­strat­to dal­la con­ver­sa­zio­ne per via del ru­mo­re di seg­gio­le smos­se, pre­se a os­ser­va­re uno do­po l'al­tro i nuo­vi ar­ri­va­ti.

    E si udì un'escla­ma­zio­ne a due vo­ci: «Pie­tro! An­ni­ba­le! An­che tu qui!»

    «E non ve­di chi c'è con me?» chie­se Baal. Il na­po­le­ta­no stu­diò con at­ten­zio­ne l'uo­mo più vec­chio, che at­ten­de­va sor­ri­den­do la con­clu­sio­ne dell'esa­me.

    «Ma cer­to, Ni­co­lac­cio! E co­me po­trei scor­da­re lo skip­per che mi ha fat­to cor­re­re a fru­sta­te mez­zo Me­di­ter­ra­neo! Sei uno splen­do­re, ca­ris­si­mo, co­me va?»

    «Si ti­ra avan­ti da po­ve­ri vec­chi- ri­spo­se quel­lo con mar­ca­to ac­cen­to to­sca­no. Sie­di­ti qui an­che tu. Lo sai che mi ri­ve­do in­nan­zi il vec­chio equi­pag­gio di Rim­baud?- so­spi­rò im­ma­lin­co­ni­to. An­ni­ba­le mi sta­va di­cen­do che so­no qui con le lo­ro bar­che pu­re l'An­drea e il Mas­si­mo».

    «Dav­ve­ro? Ma guar­da che coin­ci­den­za! Mi­cae­la, - fe­ce al­la ra­gaz­za bru­na che ave­va se­gui­to la sce­na con un sor­ri­set­to po­co de­ci­fra­bi­le. Pen­sa tu a or­di­na­re. Io mi sie­do con que­sti vec­chi ami­ci. È mia fi­glia- co­mu­ni­cò, con to­no al­quan­to pom­po­so. Bel­la e bra­va. Tre vol­te tra le pri­me die­ci agli ita­lia­ni di La­ser e, se aves­se più tem­po per al­le­nar­si, il ti­to­lo sa­reb­be al­la sua por­ta­ta. Ma de­ve pu­re stu­dia­re».

    Pao­lo non ave­va per­so una bat­tu­ta e os­ser­vò la ra­gaz­za con rin­no­va­to in­te­res­se.

    Mi­cae­la era ef­fet­ti­va­men­te un ti­po at­traen­te: vi­so ab­bron­za­to, lun­ga chio­ma e un bel cor­po, per quel che si po­te­va ca­pi­re, snel­lo e ro­bu­sto. Gli oc­chi scu­ri dal ta­glio un po’ al­lun­ga­to le con­fe­ri­va­no un toc­co eso­ti­co. Quan­do sfi­lò il giub­bot­to blu, con fo­de­ra ver­de ban­die­ra co­me la po­lo sot­to­stan­te, i ra­gaz­zi di Ex­ca­li­bur po­te­ro­no no­ta­re il col­lo slan­cia­to e il se­no flo­ri­do.

    «Pe­rò! Non ma­le 'sta Na­po­li» sus­sur­rò An­drea. Pao­lo an­nuì, sen­za di­sto­glie­re lo sguar­do.

    «E chiu­di al­me­no la boc­ca! -gli con­si­gliò l'al­tro. Pu­re la pic­co­let­ta non è ma­le, ma sta ben at­tac­ca­ta a quel ti­po».

    «Già, non lo mol­la un at­ti­mo» ri­spo­se Pao­lo, spo­stan­do a fa­ti­ca la sua at­ten­zio­ne sui due, che chiac­chie­ra­va­no fit­to.

    Il pa­sto an­dò ab­ba­stan­za per le lun­ghe, gra­zie all'af­fol­la­men­to del lo­ca­le. Mi­cae­la ri­cam­biò un pa­io di vol­te le oc­chia­te di Pao­lo, con espres­sio­ne tran­quil­la e ri­ser­va­ta. Man­gia­va com­po­sta, scam­bian­do qual­che fra­se con i suoi vi­ci­ni, due ra­gaz­zi po­co più gran­di.

    Il ta­vo­lo de­gli skip­per con­clu­se la ce­na pri­ma de­gli al­tri e il na­po­le­ta­no si av­vi­ci­nò sor­ri­den­do al suo equi­pag­gio.

    «Se­ra­ta li­be­ra, ciur­ma! Noi an­dia­mo a tro­va­re al­tri due ami­ci che so­no qui in bar­ca. Vi af­fi­do tut­ti a Ci­ro che sa co­me te­ner­vi a ba­da, non fa­te trop­po tar­di. Ci ve­dia­mo do­ma­ni mat­ti­na al­le 10, spe­ran­do che gli staz­za­to­ri ab­bia­no fi­ni­to».

    «Non dob­bia­mo aspet­tar­ti per tor­na­re in al­ber­go?» chie­se Mi­cae­la.

    «No, no: mi ri­por­te­rà An­ni­ba­le».

    An­che Baal scam­biò qual­che bat­tu­ta con i suoi; i tre uo­mi­ni usci­ro­no, di­ret­ti, ipo­tiz­zò fa­cil­men­te Pao­lo, ai pon­ti­li di po­nen­te do­ve era­no or­meg­gia­ti, a bre­ve di­stan­za l'uno dall'al­tro, Ar­ci­dia­vo­lo, un ge­mel­lo di Ex­ca­li­bur, e Gau­dea­mus, un Grand so­leil 45. Pa­nel­la e Bo­rin­ghie­ri era­no in­fat­ti l'An­drea e il Mas­si­mo no­mi­na­ti a ta­vo­la, ben no­ti, co­me i lo­ro equi­pag­gi, ai ra­gaz­zi di Baal in quan­to ro­ma­ni e fre­quen­ta­to­ri de­gli stes­si cam­pi di re­ga­ta.

    Le ta­vo­la­te or­fa­ne de­gli skip­per ter­mi­na­ro­no il pa­sto qua­si con­tem­po­ra­nea­men­te; i com­men­sa­li si era­no scam­bia­ti a trat­ti oc­chia­te in­cu­rio­si­te, ma non c'era sta­ta oc­ca­sio­ne, con vi­vo rin­cre­sci­men­to di Pao­lo, per una co­no­scen­za ve­ra e pro­pria.

    I na­po­le­ta­ni si al­za­ro­no per pri­mi e quan­do, do­po po­chi mi­nu­ti, an­che gli al­tri si di­res­se­ro ver­so la piaz­zet­ta era­no già un pez­zo avan­ti.

    I due grup­pi si ri­vi­de­ro un pa­io di vol­te a di­stan­za, nel lo­ro gi­ro­va­ga­re tra ne­go­zi di nau­ti­ca, bar, bou­ti­ques e agen­zie che si apro­no sot­to lo stret­to por­ti­ca­to gial­li­no. A in­ter­val­li re­go­la­ri bre­vi sca­let­te con­du­co­no al­le abi­ta­zio­ni so­pra­stan­ti e, sul la­to pro­spi­cien­te le ban­chi­ne, un mu­ret­to of­fre ap­pog­gio e ri­po­so ai nu­me­ro­si fre­quen­ta­to­ri del ma­ri­na.

    I ra­gaz­zi di Ex­ca­li­bur lo uti­liz­za­ro­no più vol­te, com­men­tan­do quel che li col­pi­va: una fac­cia buf­fa, qual­che bel­la ra­gaz­za, gli og­get­ti in ven­di­ta. Pas­seg­gia­va­no pi­gra­men­te, per­cor­ren­do la ban­chi­na, dai can­cel­li del can­tie­re al­la bian­ca tor­re di con­trol­lo, e si fer­ma­ro­no da­van­ti a pa­rec­chie bar­che, in­cu­rio­si­ti da qual­che par­ti­co­la­ri­tà del­lo sca­fo o dell'at­trez­za­tu­ra. Nel va­rio­pin­to mon­do nel­la nau­ti­ca si tro­va sem­pre qual­co­sa di cui pren­de­re no­ta, nel be­ne e nel ma­le.

    Era­no ri­ma­sti pre­sto in tre, vi­sto che Ni­co­la ave­va pre­no­ta­to una ca­me­ra al Pel­li­ca­no, do­ve, si pre­su­me­va, sa­reb­be sta­to rag­giun­to in tar­da se­ra­ta da Fe­de­ri­ca, la sua don­na. Poi­ché gli fa­ce­va da se­gre­ta­ria, era lei in buo­na so­stan­za a ren­de­re pos­si­bi­li le fre­quen­ti tra­sfer­te ve­li­che.

    Ele­gan­te tren­ta­cin­quen­ne di bell’aspet­to, nel­la vi­ta ci­vi­le Ni­co­la ri­co­pri­va il ruo­lo di so­cio gio­va­ne nel­lo stu­dio dei com­mer­cia­li­sti uti­liz­za­to da Baal. Il qua­le ave­va co­min­cia­to a im­bar­car­lo an­co­ra ra­gaz­zet­to: era ni­po­te del ti­to­la­re, al­lo­ra uni­co, che glie­ne ave­va lo­da­to la pas­sio­ne ma­ri­na­re­sca.

    Quan­to a Lu­cio, do­po aver­ce­lo ac­com­pa­gna­to con la mac­chi­na, s'era chia­ma­to fuo­ri, ri­ti­ran­do­si in cuc­cet­ta.

    An­drea e Ro­ber­to bla­te­ra­va­no, in­gol­fa­ti in un'ac­ce­sa di­scus­sio­ne sui si­ste­mi di staz­za­tu­ra del­le bar­che, de­ci­sa­men­te ri­vo­lu­zio­na­ti ne­gli ul­ti­mi lu­stri. Pao­lo li ascol­ta­va di­strat­ta­men­te: ave­va sen­ti­to più vol­te quel­le di­spu­te, ed era pia­ce­vol­men­te oc­cu­pa­to dai pri­mi pen­sie­ri, va­ghi e in­con­clu­den­ti, sul­la bel­la Mi­cae­la.

    De­plo­rò l'as­sen­za di Si­mo­ne, che li avreb­be az­zit­ti­ti con la sua vo­cio­na da or­co, men­tre quel­la di Sil­vio non era si­gni­fi­ca­ti­va. Par­la­va po­chis­si­mo, qua­si sem­pre per escla­ma­re non è pos­si­bi­le quan­do ca­pi­ta­va qual­che gua­io, e co­sì l'ave­va so­pran­no­mi­na­to Baal. En­tram­bi sa­reb­be­ro ar­ri­va­ti il mat­ti­no se­guen­te di buon'ora a com­ple­ta­re l'equi­pag­gio.

    Ol­tre­tut­to la dia­tri­ba non ave­va al­cun sen­so al pre­sen­te: per quel cir­cui­to era pre­vi­sto un si­ste­ma di com­pen­si ad hoc, ta­le da ri­sul­ta­re van­tag­gio­so so­lo per le bar­che re­ga­ta/cro­cie­ra spin­te ma non trop­po.

    Il tat­ti­co l’ave­va com­men­ta­to con un piz­zi­co di ma­li­gni­tà du­ran­te la na­vi­ga­zio­ne: «Non vo­glio­no il bar­co­ne con non­na e ca­na­ri­no, ma nep­pu­re i pro­fes­sio­ni­sti sui mo­stri d’avan­guar­dia. Han­no pen­sa­to pro­prio a te, glo­rio­so An­ni­ba­le, sta­gio­na­to ma com­pe­ti­ti­vo!»

    «Cer­to che so’ com­pe­ti­ti­vo… Stat­te si­cu­ro che ce fa­mo ono­re» ave­va ri­spo­sto lo skip­per, igno­ran­do l’iro­nia a buon mer­ca­to del com­mer­cia­li­sta.

    Quel­la sui ra­ting è una po­le­mi­ca an­no­sa; Pao­lo, giu­sta­men­te con­vin­to che un con­fron­to sen­za equi­vo­ci pos­sa av­ve­ni­re sol­tan­to tra mo­no­ti­pi, era stu­fo di sen­tir­ne par­la­re.

    Le de­ri­ve e al­cu­ni ca­bi­na­ti ap­par­ten­go­no a que­sta ca­te­go­ria, cioè so­no iden­ti­ci. Di­spu­ta­no com­pe­ti­zio­ni pro­prie, nel­le qua­li, sem­pli­ce­men­te, vin­ce chi ar­ri­va pri­ma. Esi­sto­no poi del­le bar­che a for­mu­la, di­ver­se tra lo­ro ma co­strui­te se­con­do pa­ra­me­tri che ri­spet­ta­no al­cu­ni va­lo­ri ma­te­ma­ti­ci fis­si; le più no­te so­no quel­le del­la Cop­pa Ame­ri­ca.

    La gran mas­sa del­le ve­le che par­te­ci­pa al­le re­ga­te ama­to­ria­li, an­che di an­ti­ca no­to­rie­tà qua­li la Bar­co­la­na e la Gi­ra­glia -o mol­to im­pe­gna­ti­ve, co­me la Sid­ney-Ho­bart- com­pren­de in­ve­ce sca­fi mol­to di­ver­si tra lo­ro. Per con­fron­tar­ne le pre­sta­zio­ni, nel cor­so de­gli an­ni so­no sta­ti mes­si a pun­to di­ver­si si­ste­mi di com­pen­sa­zio­ne, ov­ve­ro di han­di­cap. Sem­pre cri­ti­ca­ti dai re­ga­tan­ti.

    A ope­ra del­lo staz­za­to­re che ne pren­de le mi­su­re, di­men­sio­ni, al­tez­za d’al­be­ro, ve­le, at­trez­za­tu­re, ma­te­ria­li, ec­ce­te­ra, ven­go­no in­se­ri­ti in ac­con­cie pro­ce­du­re di cal­co­lo che dan­no ori­gi­ne a un nu­me­ro, det­to ap­pun­to ra­ting , il qua­le de­ter­mi­na il co­sid­det­to tem­po com­pen­sa­to. Vin­ce dun­que la pro­va non chi pre­ce­de gli av­ver­sa­ri sull'ac­qua, ma chi ha im­pie­ga­to il mi­nor tem­po in rap­por­to al suo ra­ting.

    Ine­vi­ta­bi­li i ma­lu­mo­ri.  Pe­rio­di­ca­men­te le po­le­mi­che rag­giun­go­no li­vel­li ta­li da in­dur­re i pia­ni al­ti del­la ve­la cam­bia­re si­ste­ma…E tut­to ri­co­min­cia!

    «Io di­co che è sta­ta una caz­za­ta! - in­si­ste­va An­drea. A suo tem­po la FIV ha ob­bli­ga­to tut­te le bar­che a staz­zar­si in IMS, ma ha crea­to un ca­si­no. Non ce n'era nes­sun bi­so­gno: l’IRC va be­nis­si­mo per le bar­che da cro­cie­ra, che vo­glio­no far­si tran­quil­la­men­te i lo­ro cam­pio­na­ti­ni di cir­co­lo sen­za do­ver per­de­re tem­po e quat­tri­ni con tan­ti ca­vo­li inu­ti­li, men­tre quel­le spin­te e i pro­to­ti­pi po­te­va­no be­nis­si­mo con­ti­nua­re con lo IOR o qual­co­sa del ge­ne­re...»

    «Ma dai, tra un po’ mi fai l’elo­gio del­la ve­la qua­dra! È un si­ste­ma dei tem­pi del cuc­co, noi man­co era­va­mo na­ti. Co­mun­que gi­ra­no an­co­ra bar­che co­strui­te al­lo­ra, guar­da­le: su­pe­ra­te e ri­di­co­le! Era an­che dan­no­so, non puoi ne­gar­lo; per an­ni i pro­get­ti­sti han­no la­vo­ra­to nei bu­chi del re­go­la­men­to. Pur­ché gli sca­fi pa­gas­se­ro po­co in ter­mi­ni di ra­ting si era di­spo­sti ad ac­cet­ta­re for­me stra­ne e so­lu­zio­ni a ri­schio...»

    «Ti con­ce­do che è dif­fi­ci­le tro­va­re un buon me­to­do per va­lu­ta­re bar­che tan­to dif­fe­ren­ti, vec­chie e nuo­ve. S’è pro­va­to a pe­na­liz­za­re le at­trez­za­tu­re più ri­cer­ca­te, pri­vi­le­gian­do i co­sid­det­ti equi­pag­gi fa­mi­lia­ri... Che co­mi­che! Gli ar­ma­to­ri si au­to-cer­ti­fi­ca­va­no,  spes­so di­chia­ran­do di pos­se­de­re at­trez­za­tu­re di re­cu­pe­ro, de­gne di un bo­li­nia­no di fer­ro, in­ve­ce del­le sar­tie in ton­di­no e del­le driz­ze di spec­tra! Non è se­rio, dai. Nien­te staz­za­to­re, una bel­la di­chia­ra­zio­ne e via...»

    «Ma fi­gu­ra­ti, quan­te sto­rie per quat­tro bor­di tra vi­ci­ni di pon­ti­le! C'è so­lo da ral­le­grar­si se le bar­che esco­no in ma­re an­che d’in­ver­no, in­ve­ce di fa­re la muf­fa a ban­chi­na. A Net­tu­no e a Fiu­mi­ci­no, do­ve ho po­tu­to

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