Quando salgono le Ombre
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Una narrazione che si fa via via più avvincente e ricca di colpi di scena, dalla constatazione da parte di un anziano dei cambiamenti nel comportamento dei suoi compaesani, a partire da un apparente ringiovanimento a bordo di biciclette ultratecnologiche, alla scoperta di antichi testi portatori di disgrazie e orrori, fino all’incontro con verità nascoste e mostri sepolti nella profondità della terra e della memoria.
Un intreccio incalzante di indizi, sospetti, vicende sconvolgenti e raccapriccianti scoperte, tra digressioni che portano talora il lettore fuori strada, fino allo sconvolgente finale; un terremoto biologico e morale, che sembra scomporre l’architettura di questo mondo e dei suoi abitanti, vittime inconsapevoli di eredità medianiche e geni aberranti, sospesi tra il bene e il male, in un alchemico labirinto di divinazioni, formule criptiche, echi del passato, vibrazioni cosmiche e… tintinnii d’ossa.
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Anteprima del libro
Quando salgono le Ombre - Gabriella Pison
morali
Prefazione
I Nani protagonisti di questo romanzo della scrittrice triestina Gabriella Pison non ricordano tanto quelli tolkieniani, burberi ma bucolici, si ricollegano però in parte alla tradizione popolare che spesso attribuisce loro connotazioni e attitudini ambigue, terragne, talvolta decisamente pericolose per gli uomini: si pensi non solo ai nani delle leggende e delle fiabe di mezzo mondo, ma anche a quelle strane creature selvagge che popolano le asperità dei monti o le profondità dei boschi, come i Krampus della tradizione austriaca e della val Canale in Friuli.
Sarà per il forte attaccamento che questa razza esprime per la lavorazione dei metalli, per la passione smodata nell’accumulare oro, per i luoghi da essi abitati, profonde cavità e anfratti dove lavorano instancabilmente alla costruzione di labirintiche gallerie: alla stessa tradizione metallurgica, come scrive l’esoterista francese René Guénon, è stata spesso associata una valenza ambigua e sinistra, dovuta probabilmente al contatto diretto con la potenza ctonia della Natura, a sua volta veicolo di influenze cosmiche precise.
Questi elementi sembrano attirare o dinamizzare in loro qualità oscure che nel libro della Pison si manifestano in forma particolarmente accentuata, in una scrittura iperbolica e coinvolgente, gotica e surreale che stravolge gli schemi di un genere preciso.
In effetti mano a mano che si procede nella lettura aumentano i richiami letterari e le citazioni filosofiche, quasi che l’Autrice voglia suggerire molto di più di quanto normalmente si presuppone in un racconto fantasy. Affastellate in una serie di rivelazioni concitate, scorrono immagini che da un placido villaggio della Carinzia ci trasportano fino in Slovenia nel cuore, insomma, di quella Mitteleuropa che sfiora anche Trieste, città natale della scrittrice. Ma al di sopra della complessa vicenda del rapporto tra Uomini e Nani, di quella relazione sempre aperta, tesa e mai scontata tra equilibrio e follia, ordine e caos, luce e ombra, aleggia l’ombra di un Destino apparentemente insondabile che apre il libro a ulteriori imprevedibili sviluppi questa volta in senso lovecraftiano, con l’irruzione sulla scena di abissali, oscure divinità a cui è legata una finalità occulta e con l’innestarsi, nella trama del racconto, delle degenerazioni transumanistiche e dell’ingegneria genetica – fattori altamente inquietanti anche per il nostro futuro. Sarà solo grazie allo sviluppo di particolari virtù che l’universo sarà liberato dalle influenze malefiche, virtù paradossalmente antiche o, meglio, senza tempo, come ci ricorda la splendida citazione finale di Marsilio Ficino che conclude l’opera.
Mario Cecere
1
Eppure la concentrazione di passato e futuro
intrecciati nella debolezza del corpo che cambia
protegge la razza umana dal cielo
e dalla dannazione che la carne non può sopportare.
Thomas Stearns Eliot, Quattro quartetti , Burnt Norton
, II.
Auen era un villaggio della Carinzia, ai piedi delle montagne, fatto di tante case sparse tra i prati; al centro una piccola piazza con un tabernacolo contenente l’immagine del Cristo, come si usa in queste zone, rallegrata da deliziose aiuole con piccoli fiori colorati, che catturavano le sfumature del cielo dall’indaco al violetto.
Un’osteria, Zu den wilden Hirschen, Al cervo selvatico, ritrovo serale per scambiare due chiacchiere, bere l’ultimo schluck prima di rientrare a casa. Fritz era uno degli habitué e qualche volta gli scappava di bere un’ ombra di troppo, ma non si era mai ubriacato!
Un venerdì sera, dopo il consueto rito del chi paga da bere con gli amici, salutò tutti e si avviò verso casa: lo aspettava sua moglie Fedra in una graziosa casetta su due piani, colorata di azzurro, con un balcone in legno intarsiato e un garage che usava anche come officina per fare delle piccole riparazioni, un giardinetto tutt’intorno e qualche albero di mele, che aspettava la bella stagione per iniziare a fiorire.
Uscito dal locale, si accorse che il cielo era diventato cupo e si udiva in lontananza come un rimbombo di tuono, il vento smuoveva le poche foglie degli alberi e penetrava sotto la giacca, perciò affrettò il passo… non voleva certo farsi sorprendere dall’acquazzone! Camminava veloce lungo quella che era la via principale del paesino; molte luci erano accese, ormai quasi tutti erano rientrati per la cena, ma quello che attrasse la sua attenzione fu una bicicletta nuova fiammante legata sotto la casa degli Stern. Come era possibile che la vecchia Mathilda e il figlio ormai adulto Thomas avessero comperato una bici così bella e costosa? Non li aveva mai visti pedalare, non erano tipi, si spostavano in macchina o a piedi, ma in bicicletta, figurarsi! Probabilmente avevano visite, qualche nipote, qualche giovane ospite o qualche amico che si era appena fatto un gran bel regalo. Dopo essersi dato questa spiegazione Fritz proseguì verso casa, ma anche giunto a destinazione continuava ad arrovellarsi su quella bici rossa e bianca, con quel cambio di ultima generazione, quel sellino aerodinamico, le ruote sottili e con un battistrada dal disegno originale e sicuramente adatto alla corsa… Come avrebbe voluto anche lui una bicicletta come quella! Le aveva viste nei negozi; avevano il telaio in titanio, pesavano pochissimo e correvano come il vento, ma non costavano meno di duemila euro! Una spesa davvero fuori programma per la sua economia modesta e poi sua moglie l’avrebbe rimproverato all’infinito. Di bici ne aveva già una e andava più che bene.
Il giorno seguente avrebbe dovuto mettere a posto il giardino, tagliare l’erba, strappare le piante infestanti, raccogliere un po’ di legna… e invece decise di fare un giro con la sua vecchia bicicletta; voleva valutare con attenzione come frenava, come si innestavano le marce, perché se ci fosse stato qualche problema non avrebbe avuto altra scelta che comperarsene una nuova! Iniziò a gironzolare così per Auen, passò sotto la villetta rustica dei Luxa e quella dei Moser, salutò Walter Kravin che stava zappando il suo piccolo orto quando vide appoggiata davanti all’uscio dei Sommerer una bicicletta meravigliosa, ancora più bella di quella della sera prima, un modello nuovissimo di mountain bike… ma cosa se ne faceva che aveva più di ottant’anni, e sua moglie poco meno? Sicuramente non era loro e anche in questo caso ipotizzò la visita di un nipotino, perché in effetti avevano due figli, che sicuramente amavano le gite in bicicletta.
Rientrando a casa per il pranzo raccontò a Fedra di quelle due bici, gliele descrisse nei minimi particolari, la donna lo ascoltò più per educazione che per vero interesse finché a un certo punto esclamò: "Adesso che