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Comunicazione evolutiva: Principi di comunicazione efficace per l’evoluzione delle relazioni interpersonali e del proprio stato di coscienza
Comunicazione evolutiva: Principi di comunicazione efficace per l’evoluzione delle relazioni interpersonali e del proprio stato di coscienza
Comunicazione evolutiva: Principi di comunicazione efficace per l’evoluzione delle relazioni interpersonali e del proprio stato di coscienza
E-book364 pagine4 ore

Comunicazione evolutiva: Principi di comunicazione efficace per l’evoluzione delle relazioni interpersonali e del proprio stato di coscienza

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Info su questo ebook

Quando il conflitto e l’esigenza di sopravvivenza nelle relazioni sentimentali, nei rapporti lavorativi, nelle interazioni familiari ci spingono verso una cambiamento delle cose, quello è il momento in cui dobbiamo riconsiderare il nostro sistema di comunicazione con gli altri. Disponiamo di potenti energie relazionali che non sappiamo utilizzare perché nessuno ci ha mai spiegato come fare. Le tecniche di comunicazioni risultano poco efficaci se non vengono depositate su di una solida base di carattere personale: per una comunicazione nuova serve, in definitiva, un essere umano nuovo. La nostra esistenza è frammentazione dei nostri stati emotivi, siamo diversi a seconda delle circostanze, delle persone che frequentiamo e questo ci comporta stanchezza e mancanza di univocità. Necessitiamo di evoluzione. Ricollegare tutte le nostre parti ci permette di riscoprire la qualità più apprezzata dagli altri: la nostra autenticità. L’individuo autentico, ricomposto, centrato e vero comunica evolutivamente in modo potente, sincero, inequivocabile e trasformante.
LinguaItaliano
Data di uscita26 ott 2020
ISBN9788863655667
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    Anteprima del libro

    Comunicazione evolutiva - Michele Micheletti

    comunicazione!

    PRIMA PARTE

    CAPITOLO 1

    LA COMUNICAZIONE EVOLUTIVA

    Voi morirete, ma non potrete mai comunicare a nessuno

    la sostanza più intima della vostra idea.

    Fëdor Michajlovič Dostoevskij

    La comunicazione efficace è impossibile!

    La prima cosa da capire è proprio questa. Quali che siano gli sforzi che possiamo produrre per trasmettere la migliore qualità del nostro messaggio, otterremo sempre, dall’altro capo del filo, una comprensione della nostra idea originaria incompleta, quando non completamente distorta. Pensare di essere davvero capaci di scardinare la visione del mondo del nostro interlocutore – con le nostre parole, con la nostra ostinazione a far comprendere – ci riporta, a volte drammaticamente, al perimetro dello spazio egoico in cui il nostro io si muove, sempre indaffarato nel tentativo di dimostrare la sua esistenza.

    Da un lato è impossibile non comunicare¹; dall’altro dobbiamo fare i conti con che cosa veramente comunichiamo. Proprio quest’ultimo resta il nodo irrisolto per tutti coloro che fanno della comunicazione una parte importante della loro attività professionale. Niente come l’atto di comunicare caratterizza il percorso quotidiano dell’uomo in quanto animale sociale, pervadendo ogni risvolto dell’esistenza e della relazione interpersonale. Abbiamo necessità di comunicare in modo efficace con il medico quando dobbiamo descrivere i nostri sintomi; con i colleghi quando dobbiamo esporre un progetto che deve essere approvato e condiviso; con il commesso quando dobbiamo esprimere i nostri gusti in fatto di abbigliamento; con i nostri figli quando dobbiamo interagire con loro in modo chiaro e autentico… In queste e in ogni altra situazione si impone con forza la necessità di una comunicazione efficace: il nostro interlocutore deve cogliere in modo inequivocabile (e possibilmente empatico) quello che intendiamo trasmettergli e la comunicazione deve essere finalizzata a ottimizzare il processo relazionale e a ottenere il massimo dall’interazione, evitando frustrazioni e fraintendimenti dovuti alla mancata – totale o parziale – comprensione del messaggio erogato.

    Abbiamo tutti sperimentato quanto il nostro stato emotivo incida sulla trasmissione e sulla comprensione delle comunicazioni. Dobbiamo quindi porre al centro del nostro interesse la via dell’efficacia, l’ideale regolativo dell’aderenza di quanto vogliamo comunicare alla nostra intuizione originaria. Più riusciamo a restare focalizzati su questo nucleo intuito, sgombrando il campo dalle energie emotive e fisiche, più abbiamo la possibilità di renderlo fruibile e di comunicarlo a tutti. Precisamente questa è la prima – e fondamentale – questione da affrontare, la prima regola che dobbiamo far nostra: se non la rispettiamo, ci esponiamo inevitabilmente alle possibilità del fraintendimento, della cattiva interpretazione di quanto abbiamo comunicato: e la responsabilità – è bene tenerlo sempre a mente – è sempre del comunicatore.

    Non abbiamo la capacità per concentrarci totalmente e ininterrottamente su tutte le qualità dell’oggetto che ci viene comunicato: la nostra attenzione è discontinua e funziona a tratti. Ci sono momenti in cui siamo pienamente percettivi, altri in cui ci assentiamo, altri nei quali recuperiamo attenzione. Al termine dell’interazione ci ritroviamo invariabilmente con dei dati parziali a disposizione e per trarre le dovute conclusioni, mettiamo in atto un processo per similarità, provando a dedurre ciò che abbiamo perso.

    Ma perché avviene tutto questo? Come è possibile che un essere relazionale come l’uomo, che ha basato la sua evoluzione e l’organizzazione sociale sulla comunicazione e sulla forza della persuasione, possa perdere o tradire contenuti comunicativi? Una risposta di prima approssimazione potrebbe essere questa: altro è l’idea, il concetto originale puro e intuitivo di quello che vogliamo esprimere e trasmettere, altro è la sua comunicazione effettiva. In questo passaggio è racchiusa la possibilità – e, al contempo, l’ineluttabile problematicità – di una comunicazione efficace. Ma prima di spiegarlo nel dettaglio parlando di piani della comunicazione, è necessario definire che cosa intendiamo con comunicazione, comunicazione efficace e comunicazione evolutiva.

    1.1. COMUNICAZIONE

    Per comunicazione (dal latino cum = con, e munire = legare, costruire; e dal latino communico = mettere in comune, far partecipe) si intende il processo – e le modalità – di trasmissione di una informazione da un individuo a un altro (o da un luogo a un altro), attraverso lo scambio di un messaggio elaborato secondo le regole di un determinato codice². La comunicazione è dunque il processo attraverso il quale un emittente, un soggetto che intende trasferire il messaggio, invia un significato a un ricevente. L’utilizzo e la condivisione del codice avvengono all’interno del linguaggio e della parola intesi in senso allargato come lingua. In realtà la struttura del codice è molto più estesa e sconfina nel territorio della psicologia profonda, legandosi anche alla dimensione socio-culturale:

    […] nella medesima società, le parole assumono spesso significati diversi nei diversi strati sociali. Questi, in apparenza, impiegano le stesse parole, in realtà parlano lingue diverse.³

    1.2. COMUNICAZIONE EFFICACE

    In linea di principio non dovrebbe esistere una distinzione tra comunicazione e comunicazione efficace: ogni azione-intento comunicativo dovrebbe essere impostato sui criteri dell’efficacia, giacché non ha molto senso un modello diverso in termini di utilità comune. Non possiamo infatti pensare all’esercizio di una comunicazione che non sia efficace, che non ottenga un risultato condiviso tra emittente e ricevente. A che cosa potrebbe mai servire una comunicazione inefficace? Forse soltanto all’attività politica o ai talk show televisivi pomeridiani…

    Tornando a noi, si realizza una comunicazione quando si condivide tra emittente e ricevente una stessa rappresentazione mentale a cui viene dato un significato condiviso (Watzlawick). La comunicazione è efficace quando ottiene ciò che si prefigge, quando l’idea originaria dell’emittente viene trasferita in modo incorrotto al sistema di identificazione delle idee del ricevente. Più precisamente, possiamo parlare di un tentativo di comunicare, e questo tentativo può esitare in area di efficacia oppure di non efficacia.

    Nondimeno la natura stessa della comunicazione in quanto tentativo di ricercare un significato condiviso – un significato che scaturisca da una stessa rappresentazione mentale, come suggerisce lo stesso Watzlawick – racchiude di fatto l’impossibilità della piena efficacia comunicativa. Per offrire una prima semplificazione: le mie parole e tutto quanto concorre all’attività di trasmissione del mio messaggio, dalla mia fisionomia alla mia vocalità al mio stato mentale ed emotivo, devono essere in grado di generare un’immagine chiara e definita del concetto trasmesso, la quale a sua volta possa produrre nell’interlocutore una rappresentazione mentale quanto più simile alla mia nel momento in cui ho deciso di effettuare la comunicazione.

    La temporalità è un fattore indiscutibilmente importante: quello che penso oggi – identificando questo pensiero con un’immagine mentale – non è mai perfettamente sovrapponibile a ciò che penserò domani. Questo accade perché il significato di una certa idea cambia con il senso delle nostre esperienze e delle attività che sperimentiamo giorno dopo giorno. E poi ci sono i significati individuali e le immagini mentali a complicare tutto.

    Durante i nostri corsi non manchiamo mai di effettuare il Test della tazzina da caffè. Se hai partecipato a uno di questi incontri sai di cosa parliamo. Chiediamo semplicemente ai presenti di immaginare una tazzina da caffè. Non forniamo altre indicazioni. Se vuoi, puoi fare questo semplice test anche adesso insieme a qualcuno che conosci. Ciò che si realizza è l’incredibile differenziazione dovuta alla personalizzazione delle esperienze, che portano alla caratterizzazione descrittiva di una moltitudine di diverse tazzine da caffè. Per la precisione, ne avremo tante quante sono le persone presenti nella sala. Tutte diverse. L’elemento base sarà sempre lo stesso ma verrà concepito con colori differenti e con le forme più disparate; vi si aggiungeranno particolari non richiesti come il caffè, il latte, lo zucchero, un cucchiaino, un piattino; si creerà un’ambientazione alla tazzina, completando la rappresentazione con un tavolo, delle sedie, delle persone o addirittura con una scenografia di fondo – una cucina, una sala, una terrazza o forse un bar. Riusciamo a particolareggiare in modo estremamente personale la richiesta iniziale tanto da far passare la tazzina in secondo o in terzo piano. Perché accade questo? Quale processo mentale seguiamo?

    La cosa è abbastanza semplice da spiegare. Sostituiamo l’immagine suggerita dalla richiesta con tutta una serie di attributi descrittivi derivati dalla nostra esperienza individuale. Già Gustave Le Bon, del resto, scriveva che le parole generano immagini mentali e queste sono indipendenti dai significati.

    Il potere di una parola non dipende dal suo significato ma dall’immagine che essa suscita e proprio le parole dal significato più confuso possiedono a volte il più grande potere. Così è, ad esempio, per termini come democrazia, socialismo, eguaglianza, libertà, il cui significato è talmente vago (e potente) che tomi di ragguardevoli dimensioni non sono stati sufficienti a precisarlo. Eppure una forza veramente magica si lega a quelle parole, come se esse contenessero la soluzione di ogni problema. Sintetizzano le aspirazioni di miliardi di individui e la speranza della loro realizzazione. Poiché sono indipendenti dai significati, le immagini evocate dalle parole variano da un’epoca all’altra, da un popolo all’altro, pur restando identiche le formule. A certe parole si ricollegano temporaneamente alcune immagini: la parola, in fondo, è come lo squillo di campanello che le fa apparire⁴.

    Più avanti capiremo come queste basi vadano a costituire gli automatismi relazionali derivanti dalla meccanicità della nostra frammentazione individuale, e quanto questa divisione determini il nostro stato di incongruenza. La coerenza è l’elemento che deve sussistere fra i tre canali della nostra comunicazione: quello verbale (ciò che dico), quello para-verbale (come lo dico) e quello non verbale (il linguaggio del corpo). I tre livelli di comunicazione, sempre e comunque attivi in qualunque relazione tra due o più soggetti, non solo non si devono contraddire (devono essere appunto coerenti), ma più sono allineati e più il risultato della nostra azione comunicativa sarà efficace. Si ha comunicazione poco efficace quando il nostro non verbale (postura, espressioni del viso, movimenti del corpo) e il nostro para-verbale (tono di voce, volume, ritmo) contraddicono ciò che stiamo dicendo, creando nel destinatario distonia di significati: sento ciò che dici ma c’è qualcosa, nel tuo modo di fare, che non mi convince o addirittura mi confonde⁵. L’allineamento, cioè la coerenza di questi tre linguaggi, non si ottiene con un corso o dopo la lettura di un libro. Si tratta di un percorso che prevede impegno, disciplina e costanza. Offrire gli strumenti per uscire dall’allucinazione dell’incoerenza, dall’addormentamento della mente, è l’obiettivo di queste pagine.

    1.3. COMUNICAZIONE EVOLUTIVA

    Veniamo al tema di questo lavoro. Sappiamo che la nostra contraddizione interna si palesa con l’incongruenza dei canali comunicativi: più siamo frammentati, più facilmente offriamo una relazione perturbata. Con l’espressione comunicazione evolutiva indichiamo quegli aspetti dello scambio comunicativo che riguardano le relazioni instaurate dagli individui che hanno faticosamente portato la propria frammentazione interna su un percorso di unificazione.

    Mi è capitato recentemente di assistere a una conferenza medica di carattere specialistico. Il relatore, Marco, era particolarmente bravo nell’associare la sua fisionomia al senso del discorso, un vero professionista del palcoscenico. Ho pensato che era stato preparato da qualcuno che ne aveva curato il public speaking con grande efficacia e mi sono ripromesso di parlarne con lui alla fine del suo intervento. Al termine sono andato dunque a complimentarmi, dicendogli che avevo assistito alla sua performance solo per valutarne gli aspetti più squisitamente relazionali, senza prestare la dovuta attenzione a quelli clinici, non avendo la necessaria competenza per farlo. Gli ho detto che ero rimasto colpito dalla sua congruenza comunicativa, dall’efficacia del suo discorso. Mentre prendevamo un caffè mi ha rivelato di non aver mai fatto ricorso a dei coach o a insegnamenti particolari; semplicemente, ha intrapreso un lungo percorso di lavoro interiore, in piena autonomia, interessandosi a certe letture, video e documenti che lo avevano gradualmente permeato. Ha trovato singolare il fatto che qualcuno si interessasse a questo aspetto e siamo rimasti in contatto.

    Comunichiamo efficacemente solo quando siamo in grado di comunicare correttamente con noi stessi, e questo avviene al termine di un processo di ricostruzione e identificazione delle nostre sub-personalità, le nostre parti interne, e dei nostri stati di incongruenza. Quando siamo congruenti, la nostra comunicazione diventa quasi completamente non fraintendibile: ogni nostro aspetto comunica nella direzione dell’idea originaria in cooperazione con il nostro profondo e con le esigenze dell’altro, strutturando modelli di collaborazione virtuosa. Noi comunichiamo solo quando siamo connessi con i nostri interlocutori sul piano dell’ascolto reciproco e della comprensione empatica – e con noi stessi, interiormente, nell’ascolto dei nostri bisogni. La comunicazione evolutiva porta la comunicazione efficace oltre il concetto della semplice capacità di esprimersi correttamente e di quella di convincere l’interlocutore. Il convincimento è una triste e deviante accezione della comunicazione, derivante dalle regole commerciali – nel senso, badiamo bene, della vendita vecchio stile –, o riconducibile a origini che potremmo definire scolastiche o famigliari o alle dinamiche dei rapporti di coppia; o, ancora, a situazioni proprie degli ambienti religiosi, e via discorrendo. Comunicare vuol dire condividere, cioè mettere insieme, partecipare insieme, e la comunicazione è un processo che si costruisce in pluralità, a partire dalla identificazione dei propri stati profondi per procedere verticalmente verso i processi inter-relazionali, che si tratti di processi che hanno attinenza con il lavoro o con la dimensione pubblica e sociale, fino ai rapporti tra organismi internazionali. A questo tipo di comunicazione spetta il ruolo di far evolvere l’individuo verso il suo simile affinché ciascuno possa ridefinire il suo specifico ruolo all’interno del proprio sistema di personalità e capacità relazionali, verso una visione comune. La comunicazione evolutiva è una comunicazione di facilitazione, volta al superamento della identificazione e delle barriere divisorie erette dallo stato di coscienza egoico. La capacità di favorire la relazione sociale integrata, che accoglie le diversità interiori ed esteriori degli individui, sviluppa nuovi capitoli del divenire del singolo soggetto verso una coscienza più evoluta e focalizzata, per un mondo nel quale possano esprimersi compiutamente l’attenzione, la comprensione, l’armonia e la bellezza.

    Una nuova comunicazione, dunque, in grado di distinguere e caratterizzare un nuovo essere umano; un soggetto capace di fare di sé stesso unità e unificazione da esportare nella società, nell’ambiente che lo circonda, nello società di cui fa parte e nell’universo che lo ospita. Si tratta di adottare uno stile di pensiero che diventa anche stile di vita autentico, e questo significa abbracciare un cambiamento che presupponga un criterio evolutivo: lo scopo è essere diversi alla fine del percorso. Tutto ciò riguarda sia le modalità generali con le quali ci rivolgiamo a noi stessi per attivare il nostro dialogo interno, sia quelle che poniamo in atto per parlare con gli altri, gli individui al nostro esterno. Le due dimensioni procedono di pari passo; se impariamo a comunicare con noi stessi in modo armonico, questo beneficio troverà una diretta e virtuosa applicazione nella nostra capacità relazionale rivolta agli altri.

    In termini generali, si può affermare non siamo consapevoli della nostra dissociazione – o almeno che non ne siamo pienamente consapevoli. Quando però entriamo in relazione con qualcuno, quell’essere che abbiamo davanti è lo specchio della nostra condizione interiore. Grazie a questo confronto con l’altro, possiamo recuperare le indicazioni necessarie per lo svolgimento del compito più difficile: comprendere noi stessi dall’interno. Quando saremo in grado di generare comprensione per tutto quello che avviene nelle nostre profondità, potremmo forse essere in grado di comprendere davvero le necessità degli altri. La dimensione individuale si estende dal dentro al fuori, divenendo respiro ampio e coinvolgente. Essa è la cellula e lo specchio della dimensione sociale, e una corretta comunicazione e armonizzazione interna porta a un efficace dialogo esterno. La comunicazione inizia dalle nostre parti piccole, dai nostri stati di divisione. Siamo esseri scissi e la prima ripartizione che mostriamo è quella tra sfera emozionale e sfera razionale. In prima istanza potremmo semplificare in questo modo: disponiamo di due menti, una che pensa e l’altra che sente. Queste due diverse modalità di conoscenza interagiscono favorendo la nostra vita mentale.

    La mente razionale è la modalità di comprensione della quale siamo solitamente coscienti: dominante nella consapevolezza e nella riflessione, presiede alle capacità di ponderare e di riflettere. Ma accanto ad essa c’è un altro sistema di conoscenza impulsiva e potente, la mente emozionale⁶.

    Mente emozionale e mente razionale appartengono a circuiti cerebrali distinti ma interconnessi, che necessitano di una comunicazione efficace. Da questa comunicazione inter-psichica si origina la facoltà di una comunicazione intra-psichica: attivando la prima, l’individuo inizia il suo percorso di attenzione volontaria alla comunicazione, che corre parallelo a quello della sua stessa evoluzione. Parlando di evoluzione siamo istintivamente portati a pensarla in termini meccanici: un certo stato iniziale, per effetto di leggi e proprietà più o meno note, comincia a modificarsi per diventare qualcosa di diverso, senza alcuna proprietà determinata volontaria e quindi senza alcuno sforzo effettivo: semplicemente è così, semplicemente accade. Restando alla comunicazione, non potremo spiegare l’evoluzione meglio di quanto non abbia già fatto il grande filosofo Pëtr Dem’janovič Uspenskij.

    L’evoluzione dell’uomo, se avviene, può essere soltanto il risultato di conoscenza e sforzo; finché l’uomo sa soltanto ciò che può sapere in maniera comune, per lui non c’è, e non c’è mai stata, evoluzione.

    Disponiamo, come detto, di due diversi tipi di intelligenza: quella emotiva e quella razionale. Il nostro comportamento deriva dalla loro capacità di creare dialogo e sinergia. Goleman scrive, a tale proposito, che la complementarietà del sistema limbico e della neocorteccia, dell’amigdala e dei lobi prefrontali, dimostra che entrambe sono componenti essenziali, e a pieno diritto, della vita mentale. Quando questi partner interagiscono bene, l’intelligenza emotiva si sviluppa e altrettanto fanno le capacità intellettuali.

    Howard Gardner, nel suo Formae Mentis (1983), definisce sette tipi di intelligenze fondamentali che caratterizzano l’individuo, sostenendo che non è solo l’intelligenza logico-matematica a garantire il successo nella vita. In un’altra pubblicazione, indica che il Qi, il quoziente intellettivo attribuito con i test di logica, contribuisce solo per il 20 per cento al successo nella vita, mentre il restante 80 per cento è determinato da altre ragioni, endogene ed esogene, tra le quali l’appartenenza a una certa classe sociale, l’educazione, la stessa fortuna⁸.

    Molti individui dotati di Qi 160 possono avere prestazioni simili ad altri con Qi pari solo a 100, se questi ultimi maturano capacità spiccate di intelligenza intrapersonale. E nella realtà quotidiana nessuna intelligenza è più importante di quella intrapersonale.

    L’intelligenza emotiva sembra ricoprire un ruolo essenziale nello sviluppo delle facoltà individuali di tipo relazionale e si manifesta nella capacità di motivare se stessi e di conseguire un obiettivo, di controllare i propri istinti rimandando la gratificazione, di elaborare gli stati di sofferenza perché essi non ci impediscano di pensare in modo coerente e produttivo e di offrire empatia e speranza nelle relazioni. Nel novero delle intelligenze multiple, Gardner riporta quella interpersonale e quella intrapersonale. Vedremo che esse che sono essenziali nell’articolazione del nostro discorso. Per intelligenza interpersonale si intende la capacità di comprendere le intenzioni, le motivazioni e i desideri delle altre persone, consentendo a un soggetto di lavorare efficacemente in gruppo. Per intelligenza intrapersonale intendiamo invece la capacità di essere consci dei propri sentimenti e di saperli esprimere senza farsene sopraffare, «assumendoli come guida del proprio comportamento». Si tratta di una capacità correlativa rivolta verso l’interno: è l’abilità di formarsi un modello accurato e veritiero di sé stessi e di usarlo per operare efficacemente nella vita⁹.

    La comunicazione evolutiva è il linguaggio che scaturisce dall’utilizzo consapevole di queste intelligenze e per certi aspetti ne è l’espressione tangibile, la cartina tornasole. Si tratta di usare l’intelligenza intrapersonale per compiere lo sforzo di osservazione dei nostri stati interni, delle nostre suddivisioni, delle nostre menti, delle nostre discontinuità e disarmonie al fine di ricomporle in una direzione coerente; e si tratta, successivamente, di usare l’intelligenza interpersonale per permettere agli altri di vibrare, in modo armonico e socialmente produttivo, sulla nostra nuova lunghezza d’onda raggiunta. Il primo passo verso la nostra evoluzione comincia quindi con lo studio di noi stessi: solo quando lo strumento del Sé individuale risulterà perfettamente accordato, potremo esprimere la nostra più alta frequenza comunicativa.

    Possiamo osservare la nostra comunicazione e da essa trarre ottimi insegnamenti per dirigere il nostro stato evolutivo verso una forma dell’interazione relazionale virtuosa, efficace e produttiva. Il percorso evolutivo ci allontana dagli automatismi del pensiero e da quelli dell’agire: essere intelligenti significa disporre di qualità consce sul piano dell’integrazione della propria conoscenza. Abbiamo bisogno di una comunicazione che sia frutto di, non che possa servire a.

    Una comunicazione evolutiva.

    CAPITOLO 2

    LA MECCANICITÀ

    Due persone dicono reciprocamente ti amo,

    o lo pensano, e ciascuno vuol dire una cosa diversa,

    una vita diversa, perfino forse un colore diverso

    o un aroma diverso, nella somma astratta di impressioni

    che costituisce l’attività dell’anima.

    Fernando Pessoa

    Siamo meccanici. Lo siamo nella nostra ritualità quotidiana, nelle nostre scelte alimentari, nei gusti musicali e – purtroppo – anche negli schemi relazionali. Lo facciamo perché il nostro cervello è programmato per risparmiare energia e quindi preferisce adottare degli schemi comportamentali che gli evitano, per quanto possibile, di dover processare quantità infinite di dati provenienti dagli stimoli sensoriali esterni. Siamo meccanici perché la nostra mente preferisce gestire la realtà utilizzando scorciatoie di programma che possano garantirle una certa velocità di esecuzione. Questo accade perché in natura un sistema completamente automatizzato ed efficiente è garanzia di sopravvivenza. Comprendiamo bene che quando questo modello viene esportato nel campo della comunicazione il rischio del fallimento aumenta e l’intesa profonda e armonica tra le parti diventa più problematica.

    Vi racconto una delle nostre ultime esperienze in ambito di mediazione relazionale. Abbiamo appena terminato un importante intervento di coaching evolutivo con un gruppo di lavoro vasto e variegato per competenze, mansioni e qualità individuali. Generalmente, quando veniamo chiamati per prestare la nostra attività in contesti di questo tipo, accade con lo scopo di migliorare le modalità comunicative dei componenti del team. Nella vita sociale della squadra di lavoro, infatti, possono instaurarsi delle ritualità nell’interrelazione che portano a stati di disagio, anche molto pesanti, per una parte o per la totalità del work-team. Nelson e Winter, docenti di Yale ed esperti di strategia aziendale e teoria delle strutture organizzative, hanno descritto questi schemi in modo esemplare:

    Gran parte del comportamento di un’azienda è da interpretarsi come il riflesso di abitudini generali e di orientamenti strategici provenienti dal passato dell’azienda, piuttosto che come il risultato di un esame dettagliato dei rami periferici dell’albero decisionale.¹

    Le routine aziendali sono indispensabili per il funzionamento delle organizzazioni fino a quando non sottendono schemi di conflitto interno. Queste dinamiche sono difficili da risolvere in modo autonomo e generano dimensioni di profondo malessere nei componenti del gruppo. Esse possono sfociare in significative difficoltà lavorative – talora anche di vita –, in motivi concreti di improduttività o addirittura nella disgregazione del team.

    Il gruppo con il quale abbiamo lavorato presentava le caratteristiche tipiche di questa emergenza: gravi dissapori tra alcuni membri, disattenzione e scarsa focalizzazione sulle mansioni, clima di stanchezza e pesantezza nell’ambiente lavorativo, fino a scene di pianto e isolamento. Dopo alcune sedute singole e collettive per indagare le dinamiche relazionali interne al team, siamo riusciti a individuare le fonti di disagio: una di queste, forse la principale, consisteva nell’atteggiamento del leader, nel suo modo di rivolgersi – a partire proprio dal suo tono di voce – ai collaboratori più stretti. In realtà è piuttosto comune ritrovarsi in questa situazione – a chi non è capitato? A noi accade con grandissima frequenza. La modulazione vocale veniva interpretata – ed elaborata – secondo uno schema personale che alimentava la convinzione del collaboratore di essere una persona non gradita o non abbastanza apprezzata nell’ecosistema del gruppo. Le intenzionalità espressive vocali sono vere e proprie paludi da attraversare; se non restiamo vigili e percettivi, il nostro sistema cognitivo, parsimonioso e sbrigativo, finisce sempre per scegliere strade veloci ma impopolari nell’approccio alle altre persone. Generalmente avviene quando rivolgiamo richieste a qualcuno mentre siamo impegnati in altro. Queste situazioni sono una delle fonti primarie di malintesi e attriti:

    «Passami quel documento!»

    «Mi passi quel documento?»

    «Potresti passarmi quel documento?»

    «Gentilmente, ti dispiacerebbe passarmi quel documento?»

    Anche soltanto chiedendo un

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