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La scuola al tempo del covid: Tra spazio di esperienza ed orizzonte d’attesa
La scuola al tempo del covid: Tra spazio di esperienza ed orizzonte d’attesa
La scuola al tempo del covid: Tra spazio di esperienza ed orizzonte d’attesa
E-book330 pagine4 ore

La scuola al tempo del covid: Tra spazio di esperienza ed orizzonte d’attesa

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Info su questo ebook

Mai capitata una catastrofe come quella del Covid19. Mai capitata tuttavia nemmeno l'inettitudine conclamata di una pretesa classe dirigente ad affrontarla. Questo almeno per la scuola. Il testo, quasi un diario critico, argomenta questi severi giudizi, mostrando come non siano affatto ingenerosi, ma, purtroppo, referenziali. Se solo ci si allontanasse dalla faziosità politica e si superasse la "sindrome dell'elefante in casa", tutti dovrebbero infatti riconoscere che se, davvero, non a parole d'ordine declamate stentoree per qualche voto in più, la scuola fosse ritenuta «un asset decisivo per il futuro del paese», meriterebbe di essere trattata in modo molto diverso da come si è fatto. Tutto per resistenza, poco o nulla per resilienza, niente, ed è questo il punto, con la plasticità innovativa indispensabile per non far naufragare una nave già malconcia e senza bussola. Poiché spes ultima dea, l'autore si aggrappa ai debiti del Recovery fund come ultima campanella per progettare interventi che possano segnare un'inversione di tendenza nella crisi strutturale della scuola italiana che la pratica sociale e politica all'abbandono autoreferenziale ha moltiplicato negli ultimi decenni.
LinguaItaliano
Data di uscita6 nov 2020
ISBN9788838250088
La scuola al tempo del covid: Tra spazio di esperienza ed orizzonte d’attesa

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    La scuola al tempo del covid - Giuseppe Bertagna

    Giuseppe Bertagna

    La scuola al tempo del covid

    Tra spazio di esperienza ed orizzonte d’attesa

    Tutti i volumi pubblicati nelle collane dell’editrice Studium Cultura ed Universale sono sottoposti a doppio referaggio cieco. La documentazione resta agli atti. Per consulenze specifiche, ci si avvale anche di professori esterni al Comitato scientifico, consultabile all’indirizzo web http://www.edizionistudium.it/content/comitato-scientifico-0.

    Realizzato con il contributo del Dipartimento di Scienze Umane e Sociali dell’Università degli Studi di Bergamo.

    Copyright © 2020 by Edizioni Studium - Roma

    ISSN della collana Universale 2612-2812

    ISBN 978-88-382-5008-8

    www.edizionistudium.it

    ISBN: 9788838250088

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    PREMESSA

    Scenari di virus

    INTRODUZIONE

    La politica, le scienze e la pedagogia: distinguere, ma per unire

    PARTE I

    I. Dopo il lockdown: quasi un diario

    II. Perché e come una scholé estiva

    III. Rivoluzione digitale e valore legale dei titoli di studio

    IV. Meritocrazia e meritorietà: dal paradigma del setaccio a quello del lievito

    V. Davvero verso un cambio di paradigma?

    PARTE II

    I. La scuola asset decisivo per il paese. Parole o fatti?

    II. Un Governo che gestisce per resistenza

    III. Il Recovery fund ultima occasione per una «ri-forma» sempre mancata

    IV. Idee per sei progetti da Action plan europeo

    EPILOGO

    Apologia dell’«insegnante»: ma quale?

    L’Autore

    Indice dei nomi

    UNIVERSALE STUDIUM

    UNIVERSALE

    Studium

    113.

    Nuova serie

    A mia moglie, appassionata insegnante

    PREMESSA

    Scenari di virus

    1957. Influenza asiatica . Il virus è classificato H2N2. Capo del Governo era il democristiano Adone Zoli che non aveva alcuna vanità di essere o di diventare Winston Churchill. Non ci furono mascherine, né distanziamenti sui luoghi di lavoro, né panico, né infodemia, tantomeno lockdown . I morti furono 30.000, allora 600 morti per milione di abitanti (contro i 570 registrati fino all’inizio dell’autunno per Covid , n.d.r .).

    Come quasi tutte le malattie infettive degli ultimi 2000 anni, venne dall’Estremo Oriente. Partì anni prima da un gruppo di anatre selvatiche, poi passò, nel 1957, a colpire gli esseri umani in Cina. Furono i giovani, di età compresa tra i 6 e i 15 anni ad essere maggiormente colpiti. Ma le scuole rimasero sempre aperte. Gli anziani ne furono quasi immuni grazie agli anticorpi sviluppati dopo le pandemie precedenti, forse addirittura con la famosa influenza spagnola nata alla fine del 1918 e durata fino all’inizio del 1921.

    I sintomi erano quelli di una normale influenza stagionale: febbre, mal di gola, tosse. Con la differenza che, per recuperare e guarire servivano diverse settimane ai giovani. La pericolosità della malattia fu determinata dalle complicazioni: polmoniti, insufficienze cardiache.

    In Cina si diffuse nei primissimi mesi del 1957. Ad aprile giunse a Singapore e ad Hong Kong, per poi proseguire in Africa, quindi in Sud America, poi in Nordamerica, quindi in Europa (il Paese più colpito fu il Regno Unito). Gli Usa contarono tra i 70.000 e i 116.000 morti.

    In Italia, arrivò molto prima delle classiche influenze stagionali. I primi casi si riscontrarono nel Meridione, in piena estate. Napoli fu la città maggiormente colpita. Ad agosto vide un terzo dei suoi cittadini colpiti dal virus. A favorire la propagazione della malattia in tutta la penisola contribuirono i soldati di leva che, tra licenze, esercitazioni e parate, si muovevano per tutto il Paese. Nessuno pensò di chiudere le caserme. Al termine della pandemia, avvenuto nel 1958, in totale si registrarono 26 milioni di italiani contagiati. Sui 30 mila deceduti, 20 mila furono militari di leva.

    Nonostante il virus H2N2 fosse riuscito a colpire un terzo della popolazione mondiale, confrontata con le pandemie precedenti, l’asiatica fece un numero di vittime minore: la mortalità fu contenuta attestandosi su un tasso del 0,4%, pari a circa due milioni di morti in tutto il pianeta. Per il contenimento della malattia e dei decessi, nel 1957, l’Istituto di microbiologia di Wright-Fleming di Londra produsse un vaccino che limitò e rallentò gli effetti dell’epidemia, ma non riuscì a spegnerla.

    1968-1970. Influenza asiatica o spaziale. Infatti, dopo la prima diffusione nel 1957, il virus H2N2 si mutò in H3N2, provocando una seconda ondata epidemica, tra il 1968 e il 1969. L’influenza fu nominata Hong Kong perché la città asiatica fu la prima che registrò il nuovo virus. Partita dalla Cina nel 1968, si diffuse negli Stati Uniti nello stesso anno, si interruppe l’anno seguente, il 1969, per riprendere alla fine dello stesso anno e prolungarsi fino ad oltre la metà del 1970. Il numero delle vittime globali è incerto: tra 1 e 2 milioni di persone.

    In Italia, fu chiamata influenza spaziale anche per la coincidenza con le missioni della Nasa Apollo 11 (primo allunaggio umano, 20 luglio 1969), Apollo 12 (secondo allunaggio, 19 novembre 1969) e Apollo 13 (decollato l’11 aprile 1970, ma senza allunaggio perché un’esplosione nel modulo di servizio danneggiò molti equipaggiamenti e costrinse i tre astronauti a trasferirsi nel Modulo Lunare Aquarius per utilizzarlo come navicella per il ritorno a terra avvenuto il 17 aprile, anziché come mezzo per allunare e tornare alla navicella madre).

    Dopo le due ondate del 1957 e del 1968, il virus dell’asiatica perse progressivamente il suo carattere aggressivo: da causa di pandemie divenne causa di normali influenze per gli anni successivi (con un tasso ordinario di mortalità pari allo 0,2%, ma anche in alcuni casi dell’1%).

    1994. La prossima peste. Laurie Garrett, biologa, giornalista specializzata pubblica un best seller sulle malattie epidemiche provocate da virus sconosciuti, trasmessi all’uomo dopo essere cresciuti nel mondo animale [1] . Fu accusata di cassandrismo a scopo commerciale perché sostenne che queste malattie sarebbero state le nuove emergenze nei decenni successivi. E che non si sarebbe saputo come affrontarle proprio per la loro origine sconosciuta. L’anno successivo si guadagnò il Pulitzer per i suoi servizi sul focolaio di Ebolavirus scoppiato in Congo, virus che circolava in Africa dal 1976, endemico tra i primati e passato all’uomo. Dopo la pubblicazione del suo libro, i gruppi di ricerca scientifica indirizzati alla ricerca di virus sconosciuti ma potenzialmente pericolosi si moltiplicarono a livello mondiale.

    2000. La svolta Gates-Buffet. Con sede a Seattle, stato di Washington, Bill (fondatore di Microsoft) e Melinda Gates (la moglie), con la successiva adesione anche dell’altrettanto ricchissimo finanziere Warren Buffett, avviano la più grande fondazione filantropica privata del mondo. A livello mondiale, la Fondazione si è data l’obiettivo di migliorare l’assistenza sanitaria e di ridurre la povertà estrema. A livello di Usa si è concentrata sull’espansione delle opportunità educative e dell’accesso anche dei non abbienti alle tecnologie dell’informazione.

    A partire dal 2008, la percentuale maggiore delle ingenti risorse distribuite della Fondazione Bill & Melinda Gates è stata investita su programmi sanitari d’avanguardia e tra questi, in particolare, quelli relativi alla ricerca per combattere non solo l’animale più letale esistente al mondo, la zanzara anofele che continua a provocare la malaria (475 mila morti annui, contro i 10 del pescecane o del lupo, i 25 mila di cani domestici o i 50 mila dei serpenti velenosi), ma anche i virus delle malattie infettive epidemiche e pandemiche.

    Dopo le molto letali epidemie di Sars-Covid (2002, 2003), di Mers-Covid (2012) e, nuovamente, di Ebola (2014), la Fondazione ha concentrato i suoi finanziamenti su centri di ricerca sparsi nel mondo (come quello di Wuhan in Cina che lavora sui pipistrelli portatori sani di moltissimi coronavirus) proprio per studiare le circostanze di eventuali spillover e trovare vaccini e antidoti in grado di combattere i nuovi virus.

    In questa direzione, nell’ottobre 2019, la Fondazione ha richiesto alla Johns Hopkins Center for Health Security di Baltimora, organizzazione non profit incentrata sullo studio della biosicurezza degli Stati e del mondo, in partnership con la Fondazione World Economic Forum di Davos, promossa anch’essa fin dal secolo scorso per iniziativa dell’economista ed accademico Klaus Schwab al fine di mettere al centro dei programmi mondali i temi della salute e dell’ambiente, la simulazione di una pandemia che avrebbe avuto come focolaio iniziale il Brasile. La simulazione prevedeva la morte di 65 milioni di persone (da 15 a 20 milioni in più della epidemia di spagnola del 1918-1920). È stata questa simulazione a far proliferare in rete moltissime teorie cospirazioniste tese ad immaginare che questi studi sarebbero stati, in realtà, una prova dell’esistenza di un Deep State transnazionale volto a realizzare il disegno di un nuovo dominio mondiale fondato sul dispotismo terapeutico della biopolitica, della biosicurezza e della bioinformazione. Per trasformare, insomma, i cittadini in malati pedissequamente dipendenti dalle diagnosi e dalle prognosi indiscutibili dei dottori e ad imparare che politica e medicina sarebbero la stessa cosa.

    2011. Contagion. Diretto dal regista Steven Soderbergh esce questo film. Anche in italiano non c’è stato bisogno di traduzione. Titolo programmatico del genere apocalittico. Racconta la diffusione di una malattia nuova e letale, causata da un virus trasmesso da doplet e fomiti, che colpisce il sistema respiratorio, provoca febbre alta e tosse e la morte nell’arco di pochissimo tempo. Quando appaiono, i sintomi donano alla pelle degli infettati un colorito zombiesco che non lascia dubbi sul loro ferale decorso. I protagonisti fanno i conti con duri lockdown, ricerca del paziente zero, distanziamento sociale, ricerca spasmodica di guanti e mascherine, con l’allarme sociale ad ogni colpo di tosse individuale e, chiaramente, con la rincorsa all’accaparramento di beni di prima necessità. Quasi un’anticipazione di quanto sarebbe accaduto all’inizio del 2020 con Covid-19 [2] .

    2012. Un altro best seller di genere. David Quammen scrittore, autore di saggi di alta divulgazione scientifica, giornalista, pubblica Spillover [3] . Il libro, come annuncia il titolo, segue da vicino i virus che saltano di specie. L’autore fa entrare il lettore nelle grotte della Malesia sulle cui pareti vivono migliaia di pipistrelli, o nel folto della foresta pluviale del Congo, alla ricerca di rarissimi, e apparentemente inoffensivi, gorilla. Mostra poi come maiali, zanzare, scimpanzé che si incontrano in altre pagine, possono essere il vettore della prossima pandemia di Nipah, Ebola, SARS o di virus dormienti e ancora solo in parte conosciuti, che si possono trasmettere all’uomo quando meno ce lo si aspetta. La suspence spinge ogni lettore fino all’ultima riga, sperando di capire se a provocare la prossima certa «grande epidemia mondiale» sarà davvero Ebola o un altro virus che spicca il suo volo sull’uomo da un mercato cittadino di animali vivi macellati sul posto della Cina meridionale.

    2019. Lo spillover del coronavirus. Dall’epidemia di spagnola ad oggi gli abitanti del pianeta si sono quasi quadruplicati. Dall’epidemia dell’asiatica si sono più che raddoppiati (da 3 a 7,8 miliardi). In 70 anni, e in particolare con la globalizzazione accelerata degli ultimi tre decenni, tuttavia, la percentuale di chi patisce la fame nel mondo è crollata di ben oltre la metà. In numeri assoluti una diminuzione impressionante. Il paradosso è che l’attuale quasi un miliardo di uomini che rischia malattie e perfino la morte per fame potrebbe benissimo vivere con quanto il miliardo circa di uomini che ha problemi solo di linea getta ogni giorno nella spazzatura. Se a questo aggiungiamo le derrate alimentari programmaticamente distrutte ogni giorno dai governi del mondo per non far crollare i prezzi di mercato dei prodotti agricoli e delle carni degli allevamenti ormai per la maggior parte intensivi abbiamo l’idea di come, pur in diminuzione di terreni agricoli e di tradizionali pascoli, con relative mandrie, e di quanto si stia realizzando in meno di un secolo una nuova rivoluzione agricola che, nel neolitico, quando iniziò, durò millenni. Da aggiungere, infine, che, sempre negli ultimi 70 anni, e in particolare con la globalizzazione accelerata degli ultimi tre decenni, il 55% della popolazione mondiale si è concentrato in agglomerati urbani, quando, solo due secoli fa, oltre il 90% degli abitanti del globo viveva nelle aree rurali, con una densità di popolazione per kmq oggi nemmeno immaginabile.

    Più che ragionevole, quindi, aspettarsi che questi fenomeni abbiano costretto animali selvatici che non avevano mai frequentato l’uomo da ere geologiche ad incontrarlo in massa ormai ogni giorno. In particolare, in certe aree dell’Estremo Oriente dove anche per arcaiche tradizioni alimentari, si ha l’abitudine di mercati dove i consumatori si fanno macellare all’impronta animali ancora vivi da cucinare (anatre, polli, suini, uccelli, cani e pipistrelli nella Cina meridionale).

    Si sono create, di conseguenza, tutte le condizioni perché si ripeta con altri animali quanto accadde con il primo addomesticamento delle mucche, circa 10 mila anni fa. Erano portatrici endemiche del virus del morbillo che, con una mutazione, si trasmise anche agli uomini. Da allora virosi animali come malaria (zanzare), febbri vaiolose e varicella (roditori), peste (topi, ma in questo caso si tratta di un batterio, non di un virus) divennero terribili compagne costanti dell’umanità. E quando alcuni europei portatori sani dei virus del morbillo, della varicella e del vaiolo arrivarono in America fu una strage di durata bisecolare, per gli autoctoni. Finché Edward Jenner (1801), e guarda caso studiando il decorso benigno del vaiolo nelle mucche (gli animali, in altre parole ci passano virus mortiferi ma ci aiutano anche a trovarne gli antidoti con la ricerca scientifica) non trovò il vaccino, e il vaiolo a poco a poco scomparve.

    Il Covid-19 si inserisce in questo scenario. Dai pipistrelli macellati vivi in uno dei mercati di Wuhan o dintorni, oppure in uno dei centri di ricerca nei quali si studiano i pipistrelli sani, ma pieni di coronavirus (compreso quello di Wuhan stesso, istituito dalla Cina, con partecipazioni di Fondazione Gates e, in parte, di Francia e Gran Bretagna) passa all’uomo. E probabilmente ciò è accaduto da tempo.

    2020. Dalla Cina con tremore. A fine dicembre 2019, alcuni dottori cinesi iniziarono a notare «misteriose polmoniti» resistenti a ogni cura (a dire il vero si registrarono polmoniti strane anche in Italia fin dall’inizio dell’anno).

    Il 27 dicembre 2019 un’azienda, la Vision Medicals, aveva messo insieme gran parte delle sequenze del genoma di un virus incredibilmente simile alla Sars. Allertò le autorità di Wuhan che, in tutta fretta, convocarono in città, da Shanghai, dove si trovava in quel momento, Shi Zhengli, 55 anni, virologa specializzata nello studio del genoma dei pipistrelli e responsabile del Centro malattie infettive dell’Istituto di Wuhan. Zhengli e il suo team completarono la decodifica del virus il 2 gennaio 2020. La Commissione sanitaria delle autorità cinesi impose però il silenzio ai laboratori, e alla stessa Shi. Il 5 gennaio, altri tre laboratori completarono la codifica. Il genoma del virus venne pubblicamente diffuso da parte delle autorità cinesi l’11 gennaio 2020 (ma perché Zhang Yongzhen, ricercatore del Centro di salute pubblica di Shanghai, lo aveva già pubblicato sul sito virological.org, trasgressione che gli costò la chiusura del Centro).

    Solo a quel punto, anche gli altri laboratori furono costretti a pubblicare le sequenze in loro possesso. Era il 12 gennaio. Il 14 gennaio, Shi manda una mail ai collaboratori in cui comunica di aver accertato la trasmissione umana del virus (ma lo stesso giorno l’Oms la nega). Solo il 20 gennaio le autorità cinesi parlano per la prima volta di un virus in grado di trasmettersi da umano a umano. Ma anche a quel punto, la Cina non diede per altre due settimane all’Oms tutte le informazioni di cui era in possesso.

    Nel frattempo, il 22 gennaio le autorità cinesi dispongono lockdown totale ipercontrollato (tracciamenti obbligatori e mascherine sempre per tutti e in ogni luogo) per 60 milioni di persone. Il 25 iniziano la costruzione di due grandi ospedali da migliaia di posti letto per le terapie intensive. Li finiscono e li attrezzano in tempi certamente non italiani: nell’arco di 10-14 giorni!

    Risulta poco credibile, quindi, che abbiano deliberato questi provvedimenti eccezionali con gli appena 17 morti e i 571 casi di polmonite da ben 25 province fino ad allora dichiarati formalmente.

    Solo dopo un viaggio a Pechino del suo direttore generale, l’etiope Tedros Adhanom Ghebreyesus (l’Etiopia è uno dei Paesi africani nel quale i capitali cinesi sono più penetrati e capillarmente diffusi), il 30 gennaio l’Oms dichiara finalmente il coronavirus una emergenza globale. Una pandemia. E, vedendo i provvedimenti sanitari draconiani adottati a Wuhan e nella provincia dell’Hubei, tutti i responsabili dei vari Paesi del mondo avevano la possibilità di capire, a questo punto, pur in ritardo di almeno un mese, la gravità della situazione. E forse, avrebbe suggerito la prudenza, di prepararsi ad un prevedibile tsunami di proporzioni mai immaginate

    2020. L’Italia non s’é desta: s’è persa. Intanto da noi, in Italia, nessuno ricorda che i giochi militari di Wuhan risalgono proprio al mese di ottobre 2019 e che molti nostri atleti, come altri di nazioni europee, sono tornati dalla Cina accusando esattamente gli stessi sintomi del virus. Essendo giovani e robusti, tuttavia, e non avendo problemi a guarire, non si sono trasformati in «incidenti critici» da studiare o anche solo da contabilizzare per successive revisioni cliniche ed elaborazioni statistiche.

    Nemmeno si considera che, da prima del Natale 2019, ci si imbatte, soprattutto al nord e nella bassa Lombardia in particolare, complice anche l’inquinamento e la stagione invernale, in un aumento sorprendente delle infezioni polmonari che esigono ricoveri ospedalieri. Si pensa a conseguenze severe della solita influenza stagionale per pazienti che non si erano vaccinati.

    Al 7 gennaio l’unico medico di base di Cividate al Piano, cinquemila abitanti sulla riva destra del fiume Oglio, 25 chilometri da Bergamo, trova nel suo ambulatorio 5 pazienti che lui aveva già vaccinato per l’influenza di stagione, però ancora con febbre e una strana tosse. Faticano a respirare. A ognuno prescrive una radiografia al torace e il responso è sempre uguale: complicazione da polmonite, con marcati addensamenti interstiziali. Quel giorno, su 50 visite, dodici sono per gli stessi sintomi. Il giorno dopo, ancora. E poi ancora. E così anche in altri comuni lombardi. Dagli inizi di gennaio all’ospedale milanese San Paolo i casi sono circa 250/280 al giorno rispetto alla media di 200, al Niguarda si arriva tra fine dicembre e i primi di gennaio a 350 casi rispetto alla media dei 280. Era già il virus cinese in azione? Non si sa. Nessuno organo istituzionale indaga nello specifico.

    Il 9 gennaio, tuttavia, il ministero della Salute, pubblica sul suo sito istituzionale un documento, datato 5 gennaio, in cui si parla espressamente di polmonite da eziologia sconosciuta-Cina. Ma il virus, nonostante le numerose segnalazioni dal basso, forse perché non morde ancora, in alto, essendo un’ipotesi non considerata o ritenuta probabile, non lo si cerca e quindi nemmeno lo si trova.

    Il 22 gennaio 2020, il Ministero della salute promulga sorprendentemente una circolare che prescrive il tampone in caso di polmoniti insolite. «Senza tener conto del luogo di residenza o storia di viaggio, anche se è stata identificata un’altra eziologia che spiega pienamente la situazione clinica». Cinque giorni dopo, però, il 27 gennaio, emana una nuova circolare, dalla quale questa frase sparisce. I controlli sono disposti soltanto su chi arriva da Wuhan o ha avuto contatti diretti e recenti con la Cina. Anche se nessuno considera che dalla Cina si poteva tornare anche non direttamente, ma con scali intermedi, passando per altri Paesi europei.

    La sera del 30 gennaio, però, i tg nazionali aprono tutti con la stessa notizia. «Virus, colpita l’Italia». Due turisti cinesi infetti ricoverati a Roma. Sui quotidiani si anticipano i provvedimenti che il Governo si appresterebbe a prendere: dichiarazione dello stato d’emergenza e blocco dei voli diretti da e con la Cina. Il decreto del Consiglio dei ministri sulla proclamazione dello stato di emergenza arriva il giorno seguente, il 31 gennaio. «Si ritiene necessario provvedere tempestivamente a porre in essere tutte le iniziative di carattere straordinario...». Il capo del Governo rassicura i cittadini: «La situazione è sotto controllo». Mancano però le istruzioni per l’uso. C’è uno stato d’emergenza, ma non un piano operativo per l’emergenza. Come si devono comportare gli ospedali, le regioni, i comuni, per esempio in fatto di tamponi? Si è provveduto alle scorte?

    D’altra parte, l’articolo 32 della legge 833 del 1978 sulla riforma sanitaria nazionale e la famosa lettera q) del comma 2 dell’art. 117 della Costituzione riformato dal centro sinistra nel 2001 obbliga lo Stato di assumersi una competenza esclusiva nella profilassi internazionale e nelle decisioni necessarie per reggere, parole ormai chiare dell’Oms, una pandemia come quella annunciata. E comunque, se anche non ci fosse la lettera q) appena citata, l’articolo 117, comma 3, della Costituzione impone, in ogni caso, allo Stato di dettare i «principi generali» nelle materie di legislazione concorrente e, quindi, anche a fini di tutela della salute in capo alle Regioni. Alla luce anche di questa sola seconda, e meno cogente della prima, disposizione costituzionale, se il Governo nazionale avesse stabilito, per esempio, che il principio di azione per il controllo della pandemia avrebbe dovuto essere il tampone per i sospetti di Covid-19 le Regioni sarebbero state costrette ad eseguirlo. Esse avrebbero potuto solo emanare disposizioni di dettaglio organizzativo per rendere possibile la disposizione nazionale o, al massimo, aumentare ulteriormente le misure diagnostiche e preventive, andando oltre il tampone obbligatorio.

    L’art. 117 comma 2, lettera r) della Costituzione, inoltre, avrebbe imposto al Governo di istituire, a maggior ragione in casi così gravi, un coordinamento delle statistiche di Stato anche per gli Enti territoriali inferiori. La norma è chiara: è un altro dovere costituzionale del centro garantire la piena trasparenza pubblica non solo di tutti gli atti dei procedimenti relativi alla costruzione delle leggi, ma anche di tutti quelli relativi all’elaborazione e alla diffusione dei dati statistici ufficiali su tutto il territorio della Repubblica. Lo Stato doveva, quindi, emanare direttive per l’acquisizione uniforme e completa dei dati per poi elaborarli e metterli a disposizione della ricerca scientifica.

    Non è la stessa cosa conoscere il numero preciso di chi muore per Covid-19 o con Covid-19 (e in questo caso con quali altre comorbilità). Informazione che non si ha nemmeno ora. Allo stesso modo, sapere quanti bambini, adulti e vecchi, maschi e femmine, risultano positivi al tampone e il decorso della loro posizione: malattia, conclamata, paucisintomatica, asintomatica. E dentro questi dati, quanti sono stati i ragionevolmente contagiati in famiglia, a scuola, nei luoghi di lavoro (per esempio, le cassiere dei supermercati si ammalano più o meno di chi non è così esposto al pubblico per tutta la giornata?), sui mezzi di trasporto ecc. Una task-force di competenti su come non dare i numeri, ma su come avere a disposizione numeri ordinati, affidabili e comparabili su cui studiare per ricavare indicazioni orientative d’azioni sarebbe stata una priorità di buon senso. E ciò, al di là dell’indubbia utilità tecnica e scientifica, anche per non consegnare questo fondamentale aspetto della gestione di una pandemia ad una ristretta élite interessata a salvare se stessa, ai mass media, agli umori dei social e alle polemiche interpretative spesso faziose e strumentali, in fondo autorizzate proprio dall’imprecisione forse addirittura intenzionale dei dati disponibili. Trasformando, così, la pandemia in una non meno letale, sul piano sociale e culturale, infodemia, ricca di fake news. Al punto che lo stesso Governo ha cercato poi, più avanti nei mesi, di provvedere a questa degenerazione con un rimedio peggiore della malattia da curare: ha istituito una commissione per stabilire quali notizie fossero attendibili e quali no. Istituzione irrituale in un sano regime liberale e democratico che avrebbe dovuto, invece, affidare questi compiti all’incedere del libero dibattito scientifico e culturale proprio sui dati incontestabili messi dal Governo a disposizione della comunità scientifica e politica.

    In assenza di queste assunzioni di responsabilità costituzionali, invece, l’Italia permette di entrare nel suo territorio senza predisporre tamponi sia agli italiani andati in vacanza o al lavoro all’estero sia a stranieri che arrivano per turismo o lavoro.

    Alle 14.50 del 15 febbraio permette di far decollare dalla base di pronto intervento Unhrd delle Nazioni unite di Brindisi un volo diretto a Pechino, organizzato dal ministero degli Esteri. A bordo ci sono anche due tonnellate di materiale sanitario, regalo simbolico e politico della Farnesina alla Cina. Pochi giorni dopo, mascherine e tute di protezione per gli operatori sanitari si riveleranno introvabili nelle zone più colpite a morte della Lombardia. Immaginiamoci per quanto altro tempo i cittadini non le hanno trovate anche a pagamento sul libero mercato. Addirittura, non si sa se per giustificarne la colpevole assenza per tutti o per convinzione pregiudiziale,

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