Nuove dipendenze: Da chi dipenderai domani?
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Anteprima del libro
Nuove dipendenze - Danilo Lazzaro
Saggi Epoké
Danilo Lazzaro
Nuove dipendenze
Da chi dipenderai domani?
edizioni epoké
ISBN 978-88-31327-06-0
©2020 Edizioni Epoké
Edizioni Epoké. Via N. Bixio, 5
15067, Novi Ligure (AL)
www.edizioniepoke.it
epoke@edizioniepoke.it
Editing e progetto grafico: Edoardo Traverso
In copertina: illustrazione di Alice Miglietta
I edizione
Finito di stampare nel mese di febbraio
Print on Web, Isola del Liri (FR)
Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere fotocopiata, riprodotta o archiviata, memorizzata o trasmessa in qualsiasi forma o mezzo – elettronico, meccanico, reprografico, digitale – se non nei termini previsti dalla legge che tutela il diritto d’autore.
Indice
Prefazione
di Giorgio Schiappacasse
Introduzione
Premiamo il tasto fare qualcosa
Quello che reclama la società
Capitolo uno
Oltre l’alcool
Capitolo due
Oltre i social
2.1 Comunicare per esistere: la dipendenza dai social media
2.2 Hikikomori. Ne hai mai sentito parlare?
2.3 The incel community, gli involontariamente celibi
Capitolo tre
Oltre il gioco
Le interviste
Vanessa Fieschi
Daria Ubaldeschi
Giulia Calamai
Ernesto De Bernardis
Maria Carlucci
Domenico Trocino
Giorgio Schiappacasse
Valentina Usala
Postfazione
Obbligo o necessità. Perché siamo qui?
Bibliografia
Vietato l’accesso ai minori
Ringraziamenti
Danilo Lazzaro
Prefazione
Dott. Giorgio Schiappacasse¹
È con piacere che scrivo queste righe di introduzione a un libro che è frutto dell’impegno dell’autore e dei tanti che hanno messo a disposizione, come dono prezioso, la loro esperienza, un lavoro personale e di squadra.
L’autore scrive in modo fresco e spontaneo, a volte non convenzionale, ed è proprio per questo che i concetti espressi arrivano in modo diretto, come frutto di consapevolezze maturate sul campo, e ci provocano a non rimanere passivi ma a riflettere e a darci da fare!
Il panorama dei problemi correlati all’uso delle sostanze psicoattive (siano esse legali o illegali) – e ai comportamenti compulsivi assimilabili – è così ampio e complesso da poter ritenere che tutti noi, le nostre famiglie e comunità siano toccate, in modo diretto o indiretto, da questi problemi (detti correlati) e dalle loro conseguenze, come ad esempio gli incidenti stradali oppure i problemi
degli adolescenti.
Negli Stati Uniti, patria del consumismo, overdose da pain killer (farmaci antidolorifici su base oppioide) e consumo di psicofarmaci nella popolazione generale sono un’emergenza normale
e il nuovo tsunami in arrivo riguarderà le dipendenze tecnologiche, anche queste non facilmente contrastabili soprattutto perché riguarderanno tutto il sistema.
Questi comportamenti di dipendenza tossica
sono attivati e sostenuti da una triade semplice: seduzione, disistima e insoddisfazione. Diamoci un’occhiata più da vicino:
seduzione, seduzione e seduzione, ovvero l’illusione di poter eliminare le proprie difficoltà o sofferenze con un elemento o atto magico
esterno che promette soluzioni a tutto, in un attimo, e che si pensa di poter controllare a proprio piacimento.
disistima di sé: io esisto
o sto bene solo in funzione di qualcos’altro fuori da me. È un processo graduale e progressivo di espropriazione indebita della propria autostima.
insoddisfazione cronica: si attiva verificando che l’elemento esterno non è in grado di dare quella soddisfazione assoluta che sembrava promessa. Strano a dirsi, ma questo porta a incrementare le dosi, o a passare ad altra dipendenza che utilizza le stesse premesse, piuttosto che a cambiare strada.
Vi ricorda qualcosa? Cosa dite di Pinocchio, del Gatto e la Volpe e del Paese dei Balocchi? Com’è finita? Già! Niente di nuovo sotto il sole. Ciò che possiamo placidamente rilevare in questi anni è la crisi del sistema educativo
che aveva fatto da riferimento costante alle generazioni precedenti. Le minacce ecologiche, l’insicurezza nel mondo economico, la precarietà dei percorsi lavorativi, la confusione dei riferimenti culturali, la perdita di contatto con le proprie radici, la crescente volgarità e scadimento etico del sistema delle comunicazioni, l’iper-consumismo hanno lasciato soli tutti noi. In particolare i genitori, la scuola e infine i nostri giovani.
Educare è una vera e propria mission impossible! Perché è scomodo, richiede pazienza, presenza e coerenza. Si tratta di elementi sempre più fuori moda e purtroppo i risultati si vedono in ogni campo. Anche le esperienze di reciprocità
così importanti nello sviluppo di una consapevolezza personale partecipativa, in particolare nei percorsi formativi dei giovani, sono entrate in crisi schiacciate da realtà sempre più virtuali, spesso auto-centrate.
Lo slogan di oggi è tutto e subito, evitando le fatiche della vita
, perché quello che è maggiormente assente è la prospettiva di un domani, del futuro. In altri termini, parafrasando un vecchio detto: l’erba voglio esiste, è un tuo diritto, prendila!
(veramente lo ricordavo diverso, e voi?). Guardate che così facendo rischiamo davvero di perdere l’allenamento, per noi e per i nostri figli. E questo perché viviamo in una società sempre più finta, di plastica, una vera e propria pubblicitocrazia condizionata da un consumismo esasperato, con una perdita dei valori di riferimento (etica del lavoro, del risparmio, dell’impegno, della famiglia, della parola data, della condivisione e dell’onore) che avevano guidato le generazioni precedenti.
A proposto della pubblicità, la vera spacciatrice di illusioni
oggi, ecco cosa scrive Frédéric Beigbeder, un pubblicitario pentito: «Sono un pubblicitario: ebbene sì, inquino l’universo. Io sono quello che vi vende tutta quella merda. Quello che vi fa sognare cose che non avrete mai... io vi drogo di novità, e il vantaggio della novità è che non resta mai nuova. C’è sempre una novità più nuova che fa invecchiare la precedente. Farvi sbavare è la mia missione. Nel mio mestiere nessuno desidera la vostra felicità, perché la gente felice non consuma²».
Avete capito? Abbiamo così accumulato in questi anni un debito educativo di cui tanto si parla, forse più importante di quello economico, e la droga della passività
impera nei nostri territori. E la solitudine? Anche di più! Ma, scusate, non siamo noi quelli dell’era della iper-comunicazione? Avrò capito male! Strano, vero?
Questa vera emergenza educativa
è sotto gli occhi di tutti quelli che vogliono vedere, ma «a differenza di quanto avviene in campo tecnico o economico, dove i progressi di oggi possono sommarsi a quelli del passato, nell’ambito della formazione e della crescita morale e sociale delle persone non esiste una simile possibilità di accumulazione, perché la libertà e la responsabilità dell’uomo è sempre nuova e quindi ciascuna persona e ciascuna generazione deve prendere di nuovo, e in proprio, le sue decisioni. Anche i più grandi valori del passato non possono semplicemente essere ereditati, vanno fatti nostri e rinnovati attraverso una, spesso sofferta, scelta personale»³.
L’unico farmaco-rimedio possibile (ma non lo compri certo in farmacia) consiste nell’impostare percorsi di partecipazione, attiva e consapevole, su molti livelli, a partire dai problemi da cui le persone e le famiglie sono toccate e coinvolte direttamente e da cui traggono motivazione tornando a essere protagoniste attive nei territori.
Una volta i ragazzi – e un po’ tutti noi – dovevano essere estirpati dai campi per essere mandati a scuola. Oggi è il contrario, dobbiamo tornare a sperimentarci e impegnarci davvero sul campo. È necessaria una nuova consapevolezza e l’impegno di tutta la comunità se vogliamo recuperare il debito educativo accumulato (chissà cosa dice l’Europa?).
Ecco i compiti per casa. Due spunti concreti che vi invito ad approfondire:
Conoscere e riflettere sull’esperienza islandese: in Islanda, il rapporto tra Stato e persone ha permesso a un efficace programma nazionale di ridurre i tassi di consumo eccessivo di alcol e droghe tra adolescenti riavvicinando le famiglie e aiutando i ragazzi a vivere in modo più sano da ogni punto di vista. Occorre sapere infatti che fino a due decenni fa la dipendenza da droghe e alcol in età adolescenziale era un problema che affliggeva l’Islanda, mentre oggi non lo è più. Gli interventi sono stati assai concreti, come l’introduzione di limitazioni orarie, in particolare d’estate, una maggiore collaborazione tra istituti scolastici e genitori, e soprattutto la creazione di attività extrascolastiche (sportive, culturali e artistiche, di impegno civico) che coinvolgessero gli adolescenti a tempo pieno. In questo modo si permetteva ai giovani di stare insieme, garantendo loro un senso di benessere psicofisico, lo stesso che ricercavano utilizzando droghe e alcool. Per i giovani meno abbienti il governo ha predisposto incentivi statali. È stato un lavoro duro, ha richiesto tempo, ma ha portato ottimi risultati. Nessun altro Paese penserà che questi benefici valgano i sacrifici.
Conoscere, sostenere e sviluppare le realtà di auto mutuo aiuto impegnate nel campo delle dipendenze (ma non solo) che fanno dello scambio esperienziale costante, della gratuità, dell’ auto-responsabilità, dell’autonomia e della territorializzazione i loro capisaldi. Cito le principali e vi invito a dare un’occhiata: Alcolisti Anonimi e il sistema dei 12 passi (Narcotici Anonimi, Giocatori Anonimi, Overeaters Anonymous, Co-dipendenti Anonimi, Debitori Anonimi, Sex Addicted Anonymous) e relativi gruppi per i familiari (Alanon, Famigliari Anonimi, Gamanon), Club degli Alcolisti (o Alcologici) in trattamento, Genitori insieme (gruppi di auto mutuo aiuto per genitori di adolescenti in difficoltà).
Molto si può fare partendo dal basso! Informiamoci e ricordiamoci che tenere un metodo nella vita di tutti i giorni non guasta affatto e permette, spesso, di trasformare il problema in risorsa.
Termino con un proverbio cinese che mi pare interpreti bene lo spirito dell’autore: «il tempo migliore per piantare un albero era vent’anni fa, l’altro tempo migliore è adesso». Buona lettura, e grazie Danilo per l’occasione di scambio e riflessione che ci hai regalato.
Introduzione
Premiamo il tasto fare qualcosa
Affinché questo nuovo libro abbia veramente senso, avrò bisogno del vostro aiuto. Per una volta non chiederò di comprarne una copia, di partecipare ad una presentazione oppure di mettere un mi piace e condividi
sulla pagina social del mio illuminato editore. Questa volta vi chiederò un piccolo azzardo, qualcosa di più, perché oggi, in questo preciso momento, è giunta l’ora di premere un pulsante nuovo, sconosciuto, il tasto parlane con
. Come dite? State facendo fatica a trovarlo? È quello piccolo, vicinissimo a quell’altro, minuscolo, che si chiama devi fare qualcosa
. Proprio di fianco a muoviti!
. Ma questa scommessa, fantastica e totalmente utopica, come starà pensando il solito pessimista seduto nell’ultima fila, avrà successo solamente se riusciremo a condividere i pensieri e i contenuti di queste pagine con un amico, meglio ancora se con un figlio oppure con uno studente.
Ci siamo lasciati poche righe fa e già ci troviamo immersi in questa nuova avventura letteraria dal titolo ND - Nuove dipendenze. Da chi dipenderai domani?
Come? Dite che somiglia a quello precedente, NSP - Nuove sostanze psicotrope. Come ti drogherai domani? Bravi. Come sempre vi trovo preparati ed attenti. Quindi non mi resta che spiegarvi il perché.
Ancora una volta ho deciso di puntare su di un titolo friccicariello (ovvero provocatorio, per i lettori diversamente napoletani
) ragionando a lungo su come introdurlo, non senza percepire una leggera inquietudine. Questo perché, dopo diverse presentazioni del precedente libro, ho iniziato a realizzare che il focus delle discussioni – sempre più spesso – non riguardava più soltanto la droga
, la bottiglia
oppure le macchinette
, ma si spostava, con maggiore insistenza, verso le pieghe del vissuto delle persone. Una vita normale, fatta di punch e giornale, come direbbe Vinicio Capossela, ma anche di abitudini e piccole manie che – per diverse ragioni, talvolta – finiscono per agglomerarsi fino a sfociare in vere e proprie patologie. Uno dei padri del racconto moderno, Guy de Maupassant, è famoso per aver composto questo verso: «Il nostro più gran tormento nella vita proviene dal fatto che siamo soli e tutte le nostre azioni e i nostri sforzi tendono a farci fuggire da questa solitudine⁴».
Fuggire da questa solitudine. Un aforismo bellissimo e struggente, non credete? Ma soprattutto vero e concreto come un pugno nello stomaco. Attraverso pochi cenni della sua penna, un uomo, scomparso all’alba del 1900, è riuscito a descrivere un concetto attuale e calzante, mai come oggi. Nelle prossime pagine, grazie anche alla partecipazione di alcuni esperti, proveremo ad accostarci alla sensazione descritta da Maupassant, a quel vuoto che ancora oggi ci porta a dipendere da qualunque cosa sia in grado di alleviarci dal tormento e dall’abbandono.
Ecco una piccola anticipazione dei loro contributi. Una psicoterapeuta ha voluto descrivere la dipendenza così, come «uno stato illusoriamente rassicurante, confortante e confortevole, quindi ricercato; una sorta di oggetto transizionale tardivo e tossico, che ha lo scopo di sostituire la dipendenza totalizzante del bambino dalla madre ma in modo disfunzionale. È annullante, toglie il pensiero e le responsabilità in quanto si diventa schiavi di qualcosa o qualcuno che in questo modo diviene contenitore della proiezione delle nostre parti più negative e rifiutate. Crea un piacere che, per quanto tossico, soprattutto all’inizio, viene percepito come curativo rispetto a dolori interiori, mentali, al punto che la richiesta rivolta dalla persona al curante di potersi disassuefare diviene paradossale».
Un informatico, invece, ne ha parlato in questi termini: «almeno inizialmente, risponde a un bisogno dell’individuo che nel tempo non riesce più a controllare, per tutti i meccanismi fisici e mentali che si innescano. Probabilmente, le persone che diventano dipendenti non riescono a trovare nelle relazioni sociali, piuttosto che nel lavoro o nei loro hobby, qualcosa che li gratifichi completamente. Negli ultimi anni gli standard sociali sono aumentati notevolmente, richiedono successo, visibilità, elevate prestazioni in tutto: se non ci si sente all’altezza, se si vuole rincorrere la società, o se si vuole fuggire da essa, è facile incorrere nell’uso di sostanze o abitudini da cui poi non si riesce più a liberarsi».
Un politico ci ha detto che «l’abitudine genera tranquillità, almeno momentanea. La dipendenza è quella scelta abituale che ci evita di riflettere, ma ci tranquillizza e genera piacere, almeno apparente. In realtà io credo che la felicità sia raggiungibile solo quando siamo privi di dipendenze, privi da schiavitù, completamente liberi, ma per far questo occorre una enorme capacità di adattamento. Nella società odierna siamo ogni giorno sottoposti a un’enorme quantità di stimoli e stress indotti dalla società che ci circonda. Per contrastare questo stress ci sono molti metodi: alcuni decidono di leggere, fare sport, fare shopping, giocare alle macchinette, fumare sigarette ecc... Queste attività, quando vengono ripetute costantemente, entrano nella nostra routine quotidiana e non riusciamo più a farne a meno. Quando si assumono sostanze psicotrope, oltre alla dipendenza dell’abitudine vi è una dipendenza fisica. Le dipendenze psichiche e fisiche sono difficili da combattere, ma sono convinto che, battuta quella psichica, la dipendenza fisica possa essere combattuta molto più facilmente. Viviamo in una società sempre più incline ai cambiamenti, pertanto dobbiamo abituare le persone ad adattarsi rapidamente ai cambiamenti così da ridurre le dipendenze. Combattere la paura del cambiamento dev’essere la priorità».
Un ingegnere viaggiatore e sperimentatore ci ha confidato di aver sempre percepito la dipendenza «come una prigione, qualcosa in cui ci si trova senza neanche rendersi conto, tale da poter cambiare la percezione della realtà e le proprie priorità. Sono cresciuto negli anni Ottanta: allora dipendenza significava droga e la droga era l’eroina. Per tanti anni tutto è stato o bianco o nero. Qualsiasi sostanza che non fosse un buon bicchiere di vino ti catalogava come un tossico; poi, crescendo, i contorni si sono fatti meno netti, come in quasi tutti gli aspetti della vita, e ho sviluppato il concetto che le droghe in sé non sono il male, e che l’abuso di esse è frutto del mondo in cui viviamo. Nonostante l’approccio relativistico, ritengo sia importante fissare dei limiti ben definiti che non vanno mai oltrepassati».
Niente male come inizio, vero? Profili professionali divergenti. Punti di vista comuni. Consapevolezza che il nostro cammino non è affatto tracciato. Al contrario, risulta disseminato da crepacci cosi profondi da renderne, talvolta, impossibile il ritorno. Arrivati a questo punto, immagino sarete curiosi di conoscere il mio punto di vista. Se fossi uno scrittore serio proverei a rompere il ghiaccio impressionandovi con una minuziosa analisi geopolitica del fenomeno afferente la massiva transizione di una parte del mercato verso il controllo di nuove potenziali forme di dipendenza
. Proseguirei certificandovi che il gotha delle multinazionali – lecite e illecite – è attualmente impegnato a riconfigurare il proprio core business, spostando il focus principale dalle dipendenze tradizionali verso i nuovi cavalli di battaglia del mercato
e ancora che le mafie, in perfetta simbiosi tra loro, stanno seguendo con attenzione gli sviluppi di quegli stessi mercati, confortate da nuovi opzioni d’investimento in un mercato totalmente lecito
. Potrei tentare di concludere citando Machiavelli, Einstein o addirittura Marx e il loro pensiero, che si sublima semplicisticamente nel concetto la storia si ripete
ma suggerisce anche una riflessione: possiamo comprendere e prevedere il futuro della dipendenza analizzando il passato?
Sono soltanto parole. Lo pensate voi (con una punta di ragione) e non ho nessun problema ad ammetterlo io stesso. Cercheremo, quindi, di fare qualcosa in più delle solite chiacchiere.
Bene! È davvero arrivato il momento di schiacciare il famoso tasto parlane con
per