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La ricerca pedagogica nell'Italia contemporanea: Problemi e Prospettive
La ricerca pedagogica nell'Italia contemporanea: Problemi e Prospettive
La ricerca pedagogica nell'Italia contemporanea: Problemi e Prospettive
E-book662 pagine9 ore

La ricerca pedagogica nell'Italia contemporanea: Problemi e Prospettive

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Info su questo ebook

La Pedagogia è sempre più impegnata nel compito di sviluppare la propria ricerca in dialogo con le istanze della contemporaneità, che impongono nuove sfide e richiedono un continuo sforzo riflessivo e progettuale. Tale impegno porta con sé la necessità di ridefinire il compito stesso della pedagogia oggi che, nei grandi processi trasformativi in atto e nel panorama della altre discipline, si deve intendere in modo sempre più aperto e inclusivo. Nella terza edizione della Summer School Siped, svoltasi presso l'Università degli Studi di Bergamo nel luglio del 2016, i diversi settori scientifici della pedagogia, le molteplici matrici e tradizioni culturali e di ricerca, molti dei numerosi gruppi di studio della SIPED, in modo plurale e produttivo, hanno lavorato alla riscoperta di un comune e condiviso orizzonte pedagogico. Il volume, in cui viene fornito un quadro degli assi della ricerca pedagogica italiana, è rivolto particolarmente a tutti i giovani studiosi e studiose impegnati dentro e fuori l'Università nel loro percorso formativo e nel progetto di vita.
LinguaItaliano
Data di uscita31 ott 2017
ISBN9788838246142
La ricerca pedagogica nell'Italia contemporanea: Problemi e Prospettive

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    Anteprima del libro

    La ricerca pedagogica nell'Italia contemporanea - Giuseppe Bertagna

    GIUSEPPE BERTAGNA, SIMONETTA ULIVIERI

    LA RICERCA PEDAGOGICA NELL'ITALIA CONTEMPORANEA

    PROBLEMI E PROSPETTIVE

    Copyright © 2017 by Edizioni Studium - Roma

    www.edizionistudium.it

    ISBN: 9788838246142

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    LA RICERCA PEDAGOGICA TERZA SUMMER SCHOOL SIPED

    LE SUMMER SCHOOLS SIPED LUOGO DI RIFLESSIONE PEDAGOGICA PARTECIPATA

    LA RICERCA PEDAGOGICA

    Il rapporto tra pedagogia e didattica. Appunti di lavoro

    I. LA PEDAGOGIA TEORETICA

    II. LA PEDAGOGIA DELLA SCUOLA

    III. OGGETTI, METODOLOGIE E TENDENZE ATTUALI DELLA RICERCA STORICO-PEDAGOGICA

    IV. MAESTRI E GENERAZIONI NELLA RICERCA PEDAGOGICA

    V. LA FORMAZIONE TRA TEORIA E PRASSI

    VI. LE PROFESSIONI EDUCATIVE

    VII. LA PEDAGOGIA SPERIMENTALE

    I CONTRIBUTI ALLA RICERCA DEI GRUPPI DI LAVORO SIPED

    1. PEDAGOGIA DELL’INFANZIA TRA PASSATO E PRESENTE

    VIII. L’INTRECCIO TRA RICERCA ED EDUCAZIONE: QUESTIONI METODOLOGICHE IN PEDAGOGIA DELL’INFANZIA

    IX. LA PEDAGOGIA DELL’INFANZIA IN ITALIA. QUESTIONI, RAGIONI, PROBLEMI

    2. PEDAGOGIA DELL’AMBIENTE, SVILUPPO UMANO, RESPONSABILITÀ SOCIALE

    X. FORMAZIONE E RICERCA PEDAGOGICA PER UN’ECOLOGIA INTEGRALE. PROLEGOMENI

    XI. S.M.A.R.T. ENVIRONMENTS. SPORT, MOVIMENTO, ALIMENTAZIONE, RELAZIONI E TECNOLOGIE

    3. ORIENTAMENTO, COUNSELING E CURA EDUCATIVA

    XII. L’ORIENTAMENTO COME LUOGO PEDAGOGICO

    4. L’INTERNAZIONALIZZAZIONE E LA RICERCA STORICO-EDUCATIVA

    XIII. RICERCA PEDAGOGICA E INTERNAZIONALIZZAZIONE

    5. COMPETENZE, MODELLI PEDAGOGICI E STANDARD EUROPEI

    XIV. RIFLETTERE SULLE COMPETENZE SALVAGUARDANDO L’ISTANZA EDUCATIVA FONDAMENTALE, LA PROMOZIONE DEL TALENTO NELLA PERSONA UMANA

    6. PEDAGOGIA DELLE RELAZIONI EDUCATIVE E FAMILIARI

    XV. LA RICERCA PEDAGOGICA RIVOLTA ALLE FAMIGLIE

    7. TEORIE, PROCESSI E PROGETTI DI EDUCAZIONE DEGLI ADULTI E DI FORMAZIONE PERMANENTE

    XVI. L’AFFERMAZIONE DELL’IDEA E DELLA PRATICA DELL’ APPRENDIMENTO PERMANENTE

    XVII. COSTRUIRE EMPLOYABILITY IN HIGHER EDUCATION

    8. LA LETTERATURA PER L’INFANZIA: OGGETTI, METODOLOGIE, TENDENZE ATTUALI DELLA RICERCA

    XVIII. LA LETTERATURA DELL’INFANZIA COME SERBATOIO DELL’IMMAGINARIO

    9. TRAIETTORIE NON LINEARI

    XIX. ALCUNE RIFLESSIONI SULLA LINEARITÀ E SULLA NON LINEARITÀ IN DIDATTICA

    10. ISTRUZIONE SUPERIORE, ALTA FORMAZIONE E DOTTORATI DI RICERCA

    XX. SULLE TRACCE DI UNA FORMAZIONE GENERATIVA DELL’UMANO

    XXI. DOTTORATI INDUSTRIALI E IN APPRENDISTATO. LE NUOVE PROSPETTIVE DI ALTA FORMAZIONE

    11. PEDAGOGIA DELLE PROFESSIONI DELLA SALUTE E DELLA CURA

    XXII. LO STRUMENTO DEL TIROCINIO NELLE PROFESSIONI DELLA SALUTE E DELLA CURA COME STRUMENTO DI TRANSIZIONE

    12. PRATICHE LAVORATIVE E FORMAZIONE

    XXIII. ORGANIZZAZIONI E PRATICHE LAVORATIVE. TRAIETTORIE EVOLUTIVE E APPRENDIMENTI INTERGENERAZIONALI

    XXIV. RICERCARE, APPRENDERE, TRASFORMARE

    13. RELIGIOSITÀ E FORMAZIONE RELIGIOSA

    XXV. LA RELIGIOSITÀ COME CAMPO DI RICERCA PEDAGOGICA RIFLESSIONI E LINEE DI SVILUPPO

    14. TEORIA E METODI DELLA RICERCA EMPIRICA I N EDUCAZIONE

    XXVI. VERSO UNA TEORIA SISTEMATICA DELLA RICERCA EDUCATIVA IN ITALIA

    INTRODUZIONE ALLA SINTESI FINALE DEI GRUPPI DI LAVORO

    XXVIII. AMBITI DI RICERCA E PROSPETTIVE INTERDISCIPLINARI

    SINTESI FINALE DEI LAVORI DI GRUPPO

    1. PEDAGOGIA DELL’INFANZIA TRA PASSATO E PRESENTE

    2. PEDAGOGIA DELL’AMBIENTE, SVILUPPO UMANO, RESPONSABILITÀ SOCIALE

    3. ORIENTAMENTO, COUNSELING E CURA EDUCATIVA

    4. L’INTERNAZIONALIZZAZIONE E LA RICERCA STORICO-EDUCATIVA

    5. COMPETENZE, MODELLI PEDAGOGICI E STANDARD EUROPEI

    6. PEDAGOGIA DELLE RELAZIONI EDUCATIVE E FAMILIARI

    7. TEORIE, PROCESSI E PROGETTI DI EDUCAZIONE DEGLI ADULTI E DI FORMAZIONE PERMANENTE

    8. LA LETTERATURA PER L’INFANZIA: OGGETTI, METODOLOGIE, TENDENZE ATTUALI DELLA RICERCA

    9. TRAIETTORIE NON LINEARI

    10. ISTRUZIONE SUPERIORE, ALTA FORMAZIONE E DOTTORATI DI RICERCA

    11. PEDAGOGIA DELLE PROFESSIONI DELLA SALUTE E DELLA CURA

    12. PRATICHE LAVORATIVE E FORMAZIONE

    13. RELIGIOSITÀ E FORMAZIONE RELIGIOSA

    14. TEORIA E METODI DELLA RICERCA EMPIRICA IN EDUCAZIONE

    CULTURA

    Studium

    105.

    Tutti i volumi pubblicati nelle collane dell’editrice Studium Cultura ed Universale sono sottoposti a doppio referaggio cieco. La documentazione resta agli atti. Per consulenze specifiche, ci si avvale anche di professori esterni al Comitato scientifico, consultabile all’indirizzo web http://www.edizionistudium.it/content/comitato-scientifico-0.

    Realizzato con il contributo del Dipartimento di Scienze Umane e Sociali dell’Università degli studi di Bergamo e della Società Italiana di Pedagogia – SIPED.

    LA RICERCA PEDAGOGICA TERZA SUMMER SCHOOL SIPED

    Bergamo 6-9 luglio 2016

    LE SUMMER SCHOOLS SIPED LUOGO DI RIFLESSIONE PEDAGOGICA PARTECIPATA

    SIMONETTA ULIVIERI*

    La Siped - Società Italiana di Pedagogia - ha inaugurato al proprio interno, a partire dal novembre 2013, un modo diverso di far ricerca nella Società Scientifica e tramite di essa. Due i punti essenziali su cui ci siamo mossi: 1. avere una newsletter agile, efficiente, veloce e efficace nella comunicazione, riuscendo a trasmettere giorno per giorno, in tempo reale, quali attività si svolgono nelle varie sedi pedagogiche italiane ed europee (convegni, seminari, presentazione di volumi, call. per riviste, eventi, ecc.); 2. organizzare degli incontri estivi in vari luoghi d’Italia, lontano da luoghi di moda vacanzieri e consumistici per riflettere su tematiche di ricerca educativa, chiamando a incontrarsi giovani studiosi, soprattutto assegnisti, dottori di ricerca e dottorandi, con maturi caposcuola della ricerca pedagogica. La newsletter è partita quasi immediatamente, a dicembre del 2013, con l’aiuto della Segretaria Siped prof.ssa Mariagrazia Riva che ha trovato le modalità tecniche per diffondere in maniera capillare le informazioni.

    1. La Prima Summer School a Collazzone

    In primavera è iniziata l’organizzazione della Summer. Avevamo pensato nel nostro Direttivo all’Umbria come un luogo sereno di meditazione, un luogo dove ripensare le nostre comuni radici culturali da cui ripartire. Nell’estate, dal 9 al 12 Luglio 2014, a Collazzone in provincia di Perugia, con l’aiuto di Francesco Claudio Ugolini e Lorenzo Cantatore, si tiene la Prima Summer School Siped, dedicata a La mia Pedagogia, chiamando a partecipare studiosi di chiara fama, di diverse aree della ricerca pedagogica, da Franca Pinto a Massimo Baldacci, da Marinella Tomarchio a Isabella Loiodice, da Luisa Santelli a Luciano Galliani, da Teresa Grange a Loretta Fabbri, da Giuseppe Trebisacce a Roberto Sani e Simonetta Polenghi, da Gaetano Domenici a Antonio Calvani, da Susanna Mantovani a Michele Corsi a Giuseppe Elia, da Lucio Cottini a Luigi d’Alonzo, da Lucia De Anna a Roberta Caldin, da Giuseppe Zanniello a Renza Cerri, affinché, raccontandosi nel loro lungo e spesso frastagliato percorso di studio intrecciato a quello esistenziale, dessero modo ai più giovani ricercatori di costruire ponti generazionali nella ricerca pedagogica italiana, tra i Maestri e le Maestre di ieri e gli studiosi (ricercatori, assegnisti, dottori di ricerca e dottorandi) di oggi, aprendo una riflessione comune e partecipata, estesa a tutte le sedi. Come ebbe poi a ben esemplificare nel suo intervento Lorenzo Cantatore Abbiamo bisogno di maestri, scrivendo di un volume «interamente dedicato alla riflessione che alcuni grandi protagonisti dell’attuale dibattito pedagogico italiano hanno elaborato intorno al loro essere stati allievi per diventare a loro volta maestri» [1] . A questo proposito così intervenivo: «Narrare in primo luogo a sé e quindi agli altri quali siano i propri punti di riferimento scientifico, credo costituisca un utile e importante esercizio per delineare la propria identità, il proprio percorso di ricerca, i risultati paradigmatici dei propri studi, le genealogie culturali, la propria appartenenza ad una ‘scuola’ di studi e di

    pensiero» [2] . Venne introdotto per aprire ai diversi ambiti di ricerca il concetto di maestria condivisa, che investe in primis i rapporti tra studiosi accademici e giovani ricercatori, ma che va anche oltre, guardando al positivo incontro/contaminazione tra universitari e professionisti dell’educazione, avendo considerazione per chi lavora sul campo e nel territorio, quale operatore/strumento significativo di innesto tra studio/lavoro e pratiche autoformative.

    Il tema prescelto, La mia Pedagogia, ebbe ottimi risultati, dando luogo ad una pubblicazione unica nel suo genere che rappresenta ormai un classico della storia della pedagogia contemporanea, ancor più prezioso, perché ogni contributo è frutto di un pensiero riflessivo sul proprio percorso di costruzione dell’identità professionale. Del resto, riscoprendo il valore della propria storia, ognuno restituisce un senso al proprio percorso esistenziale e culturale. Il racconto di sé e poi la scrittura che lo accompagnerà permettono di riscoprire i significati nascosti o impensati della propria formazione, attribuendo ad essa sensi nuovi ed emozioni sommerse. Raccontare ha pure aiutato a riprogettarsi e guardare al futuro con occhio prospettico; la propria esperienza, il proprio percorso ripresi e narrati, consentano di assumere coscienza del proprio vissuto, della propria esperienza, che viene rielaborata, riflettuta nell’atto di trasmettere una parte di sé agli altri. Questo diventa un modo per soddisfare anche il bisogno di condivisione, di appartenenza, di relazionalità di chi si narra [3] .

    2. La Seconda Summer School a Enna-Kore

    L’anno seguente a Enna, dal 15 al 18 luglio 2015, presso l’Università di Kore, grazie all’organizzazione generosa e ospitale di Marinella Muscarà, si tiene la Seconda Summer School della Siped, dedicata a La ricerca pedagogica , con la partecipazione di studiosi noti e apprezzati come Giuditta Alessandrini, Carmen Betti, Antonia Criscenti, Giuseppe Elia, Pier Cesare Rivoltella, Bruno Rossi, Maurizio Sibilio e Maria Tomarchio [4] .

    Hanno aderito a questa nuova proposta di rendere visibili le ricerche in atto, attraverso relazioni scientifiche introduttive correlate da adesioni di diversi gruppi di studiosi, dodici Gruppi di studio con larga partecipazione di molti Soci di tutte le sedi. I Gruppi coinvolti sono stati i seguenti:

    1. Pedagogia teoretica; 2. Pedagogia delle relazioni educative e familiari; 3. Traiettorie non lineari; 4. L’Internazionalizzazione e la ricerca storico-educativa; 5. Professioni educative e formative per il riconoscimento delle competenze in ambito nazionale ed europeo; 6. Pedagogia delle emozioni; 7. Educazione e studi di genere; 8. Pedagogia della scuola; 9. Studi Deweyani; 10. Disabilità e Inclusione; 11. Student Voice; 12. Pedagogia interculturale.

    Sulla ricerca educativa vista in rapporto alle prassi collaborative e ad una dimensione etica, pone domande e dà risposte in un significativo intervento Giuditta Alessandrini, la quale sottolinea come in ogni ambiente di ricerca si possano instaurare positivi circuiti dialogici di condivisione e come nelle pratiche collaborative si possano sviluppare prospettive solidaristiche, che portano di fatto ad un miglioramento della ricerca: «Ritengo fondamentale per l’università promuovere una rappresentazione globale dello sviluppo umano sia come sviluppo della persona che come sviluppo del sociale ovvero attraverso la promozione di un nuovo solidarismo. La ricerca scientifica incide sulla dimensione dell’equità, ha cioè un impatto anche nei confronti della produzione di benefici materiali ed immateriali a vantaggio della collettività» [5] .

    Di rilievo nei rispettivi ambiti tutte le voci presenti impegnate sul divenire della ricerca. Interessanti le dodici relazioni finali in cui giovani e brillanti rapporteurs rendono conto alla Comunità pedagogica del lavoro svolto nei rispettivi gruppi, dei diversi punti di vista, delle prospettive emerse. Come noterà Giuseppe Zanniello, coordinatore di questa fase conclusiva, «Quattro giorni vissuti insieme, intensamente, da giovani studiosi ed esperti ricercatori costituiscono un rilevante contributo che l’Università di Enna Kore ha fornito allo sviluppo della ricerca pedagogica in Italia» [6] .

    3. La Terza Summer School a Bergamo

    Alla Terza Summer School Siped, dedicata a La ricerca in pedagogica e tenutasi presso l’Università di Bergamo dal 6 al 9 luglio 2016, ben quattordici Gruppi di ricerca hanno presentato e discusso i lavori svolti in due anni e mezzo di attività, illustrando lo stato dell’arte della ricerca pedagogica attuale in Italia. Si tratta da parte della Siped, in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Umane e Sociali e con il suo Direttore, il prof. Giuseppe Bertagna, che ha creduto nell’iniziativa e nella sua attuazione, di un vero e proprio investimento nel campo dell’innovazione educativa e formativa, attraverso una più ampia circolazione delle ricerche scientifiche anche su soggetti nuovi d’indagine: dalle pratiche lavorative ai modelli dell’alternanza formativa in Italia e in Europa, dall’orientamento alla cura, dalla pedagogia dell’ambiente alle professioni educative nei vari ambiti dell’extra scuola. Del resto il ‘pensiero sostenibile’ rappresenta una forma di interpretazione del mondo molto innovativa e attuale, uno strumento di riflessione dell’azione umana plurale che come atto educativo si riverbera sul quotidiano e sulla vita futura di tutti [7] .

    La ricerca pedagogica ha trovato ampio spazio di discussione e di confronto. La rassegna, seppure non esaustiva, si è presentata a Bergamo in questa occasione di incontro e di riflessione comune, ricca e multiforme. L’intento era quello di svolgere una attività di ricerca estesa a tutti i soci, in particolare ai più giovani e a quelli provenienti dalle Sedi più periferiche. In effetti la partecipazione di giovani studiosi e studiose è stata ricca e piena di entusiasmo. Il piano scientifico e euristico si è dimostrato strettamente collegato al quadro istituzionale dei corsi di laurea attivati nelle varie sedi dei dipartimenti di Scienze della Formazione e dell’Educazione; in altri termini le tematiche si sono sviluppate guardando, sia alla ricerca teorica, storica, sociale e sperimentale, ma anche alla loro applicabilità nella didattica, così come richiesto nei diversi Corsi di Laurea Triennali e Magistrali.

    Questi i Gruppi di lavoro attivati: 1. Pedagogia dell’infanzia tra passato e presente, con il coordinamento di Andrea Bobbio e Anna Maria Bondioli; 2. Pedagogia dell’ambiente, sviluppo umano, responsabilità sociale, con il coordinamento di Maria Luisa Iavarone e Pierluigi Malavasi; 3. Orientamento, counseling, cura educativa, con il coordinamento di Antonia Cunti e Domenico Simeone; 4. L’internazionalizzazione e la ricerca storico-educativa, con il coordinamento di Gianfranco Bandini e Simonetta Polenghi; 5. Competenze, modelli pedagogici e standard europei, con il coordinamento di Giuditta Alessandrini e Maria Luisa De Natale; 6. Pedagogia delle relazioni educative e familiari, con il coordinamento di Monica Amadini e Livia Cadei; 7. Teorie, processi e progetti di educazione degli adulti e formazione permanente, con il coordinamento di Vanna Boffo e Liliana Dozza; 8. La letteratura per l’infanzia, con il coordinamento di Anna Ascenzi, Flavia Bacchetti e Emy Beseghi; 9. Traiettorie non lineari, con il coordinamento di Pier Cesare Rivoltella e Maurizio Sibilio; 10. Istruzione superiore, alta formazione e dottorati di ricerca, con il coordinamento di Laura Clarizia e Giuliana Sandrone; 11. Pedagogia delle professioni della salute e della cura, con il coordinamento di Patrizia de Mennato e Silvia Kanitzsa; 12. Pratiche lavorative e formazione, con il coordinamento di Loretta Fabbri e Bruno Rossi; 13. Religiosità e formazione religiosa, con il coordinamento di Maria Teresa Moscato e Pierpaolo Triani; 14. Teoria e metodi della ricerca empirica in educazione, con il coordinamento di Luigina Mortari e Massimiliano Tarozzi. La ricerca pedagogica è emersa nel suo complesso guardando anche a tematiche sociali di cui tra gli studenti dei nostri Corsi di Laurea c’è oggi molta richiesta formativa: da studi sul ruolo dell’educazione, nella comunicazione e nella didattica a analisi storiche e culturali; dall’istruzione superiore e universitaria al lavoro organizzativo e alla formazione degli adulti; dalla cura sanitaria alla persona alla formazione religiosa. Nell’attuale momento di trasformazione e di cambiamento nella relazione educativa, in un quadro internazionale di difficile interpretazione sia per la sua complessità sia per le contraddizioni che ne emergono, i pedagogisti italiani hanno provato a ridiscutere e proiettare nel futuro le loro finalità di ricerca per contribuire a valutare criticamente e a indirizzare i grandi processi trasformativi in atto, considerando che mutano gli apparati ideologici e le metodologie interpretative e, di conseguenza, le politiche formative in relazione ai contesti giovanili e all’ingresso nel mondo del lavoro. In realtà la domanda di fondo che ci si è posti è quanto la Pedagogia italiana nei suoi percorsi universitari e post-laurea, sia adeguata e rispondente al cambiamento, alle domande sociali e professionali che ci pervengono dalla società nei principali snodi istituzionali e territoriali.

    4. Educazione e futuro

    Risulta evidente che per indicare politiche formative innovative, il momento obbligato passa dalle nuove realtà familiari, dallo stato delle nostre scuole e della professionalità dei docenti, dall’analisi culturale in chiave critica dei riti e dei miti di una società globalizzata e connotata da incertezza e precarietà. Secondo Miguel Benasayag e Gérard Schmit [8] nella nostra epoca, contraddistinta dalla perdita di ideali e dal manifestarsi di una triste rassegnazione ad un presente di conflitti e di violenza, la società nel suo insieme tende ad abbandonare un tipo di educazione proiettata nel futuro, contraddistinta da fiducia e desiderio di realizzazione e di felicità. L’educazione di bambini e ragazzi non guarda più a insegnare a vivere e ad amare la vita: si educa in funzione della paura di un mondo che si avverte incombente e minaccioso. Si insegna ai propri figli a temere il futuro, ad attrezzarsi per entrare in un mondo pericoloso, a viverlo come una minaccia sempre presente. Di recente si è di nuovo parlato di conflitto nucleare, di vari capi di paesi-potenze nucleari che ‘mostravano i muscoli’, ma oltre questo pericolo reale di annientamento della terra, e di tutti i suoi abitanti (vincitori e vinti), siamo perennemente attraversati da conflitti delimitati, ma sanguinosi, in varie parti del mondo; nelle zone, poi, dove apparentemente regna la pace, l’emarginazione e la sofferenza dei popoli e dei gruppi più poveri e marginali esplode spesso la sua rabbia, approdando ad atti di autoannientamento sacrificale, che minano la convivenza civile e creano il sospetto e la paura diffusa e collettiva verso chi è diverso per etnia, per religione, per lingua, per cultura. Il populismo politico si va sempre più diffondendo in difesa di chi è privilegiato e teme di perdere i propri standard di ricchezza e benessere. Come nota Zygmunt Bauman [9] dalle macerie del vecchio ordine politico bipolare, dai paesi dell’est e comunque dai paesi ex-comunisti, ai paesi dell’ovest, più liberali e a capitalismo avanzato, siamo passati ad un nuovo disordine globale, che nelle coscienze crea solo precarietà e incertezza. Siamo attorniati, quasi accerchiati, da forme diverse di criminalità, anche quella di politici e di colletti bianchi, che promette difficoltà nell’organizzare una vita stabile, imprevedibilità del futuro, presenza sempre più diffusa di stranieri e migranti, politiche di contrasto al terrorismo. Soprattutto i giovani sentono il peso di un presente ignoto, dove i diritti umani e le libertà individuali vengono ridotte, dove c’è il rischio che lo stato di diritto ceda di fronte alle emergenze dell’antiterrorismo [10] . La guerra al terrorismo non la si fa devastando città e villaggi e uccidendo popolazioni inermi, «ma cancellando i debiti dei paesi poveri, aprendo i nostri ricchi mercati ai prodotti di base di questi paesi, finanziando l’istruzione per i 115 milioni di bambini attualmente privi di qualsiasi accesso alla scuola e deliberando altri provvedimenti simili» [11] . Lo studio dei cambiamenti avvenuti negli ultimi trenta anni, sia sul versante delle scienze umane e della formazione che in quello delle scienze tecnologicamente più avanzate, pone la Pedagogia di fronte alla necessità di sviluppare la propria ricerca in forme più aperte e inclusive, progettando e gestendo i processi di crescita delle persone, dall’infanzia all’età adulta, nei contesti di vita, di apprendimento e di lavoro, guardando sia all’identità pedagogica ed educativa, ma anche alla gamma dei diversi approcci interdisciplinari, che rendono la ricerca e i suoi risultati applicativi più diffusi dai processi di transdisciplinarietà. La terza Summer School Siped, svoltasi sui luminosi colli bergamaschi, nello storico complesso di Sant’Agostino, ha rinnovato la positività di un nuovo modello dello stare insieme e del vivere bene insieme tra pedagogisti, attraverso momenti di incontro, di scambio di idee e di modalità più serene e partecipate di fare ricerca. Questo lavoro, con le tante e diverse voci che lo compongono, con le insistenti domande che pone, con i difficili tentativi di risposta che rimanda, rappresenta una scommessa sul futuro della Pedagogia e per questo è rivolto a tutti i giovani studiosi e studiose impegnati dentro e fuori l’Università nel loro percorso formativo, con l’augurio di accettare la sfida che la società contemporanea pone all’educazione e di andare oltre .

    Ci piace chiudere con un intervento positivamente prospettico di Duccio Demetrio, il quale nota come l’educazione ponga e rappresenti spesso il problema dei nostri rapporti con chi non ci piace, con chi non è amabile, con chi si pone fuori dalle regole condivise, con comportamenti volgari o scorretti. L’educazione ci aiuta a coltivare l’altruismo, la solidarietà, il senso della fratellanza e della condivisione, ci spinge a mettere nelle nostre azioni la passione, il coraggio, l’idealità: «Proprio qui l’educazione può ritrovare il meglio della sua ancestrale missione, dandosi da fare per cambiare le sorti umane. Offrendo ad ognuno una possibilità di rinascita e riscatto con il rinforzo di una collegialità di intenti che non annulli le differenze. Perché, ponendo le differenze al centro, rende l’altruismo una maniera di conoscersi attraverso chi non è ‘me’» [12] .


    [1] L. Cantatore, Abbiamo bisogno di maestri, in S. Ulivieri, L. Cantatore, F. C. Ugolini (edd.), La mia pedagogia. Atti della prima Summer School Siped, ETS, Pisa 2015, p.21.

    [2] S. Ulivieri, Riflessioni sull’identità del pedagogista. La prima Summer School della Siped, in S. Ulivieri, L. Cantatore, F. C. Ugolini (edd.), cit ., p. 10.

    [3] D. Demetrio, Raccontarsi. L’autobiografia come cura di sé, Raffaello Cortina, Milano 1995; F. Cambi, L’autobiografia come metodo formativo, Laterza, Roma-Bari 2005.

    [4] M. Muscarà, S. Ulivieri (edd.), La ricerca pedagogica in Italia, ETS, Pisa 2016.

    [5] G. Alessandrini, Community building nella ricerca educativa: prassi collaborative e dimensione etica, in S. Ulivieri, L. Cantatore, F. C. Ugolini (edd.), cit ., p.44.

    [6] G. Zanniello, Introduzione alle relazioni finali dei gruppi, in S. Ulivieri, L. Cantatore, F. C. Ugolini (edd.), cit ., p. 281.

    [7] A. Traverso, Sostenibilità e tecnologie didattiche per la progettazione educativa, in Id. (ed.), Reti e storie per innovare in educazione. Approcci di ricerca e complessità, ETS, Pisa 2014.

    [8] M. Benasayag, G. Schmit, L’epoca delle passioni tristi [2003], Feltrinelli, Milano 2004.

    [9] Z. Bauman, La società dell’incertezza [1999], il Mulino, Bologna 1999.

    [10] J. Butler, Vite precarie. Contro l’uso della violenza in risposta al lutto collettivo[2004], Meltemi, Roma 2004.

    [11] Z. Bauman, Paura liquida [2006], Laterza, Roma-Bari 2009, p.137.

    [12] D. Demetrio, L’educazione non è finita. Idee per difenderla, Raffaello Cortina, Milano 2009, p.147.

    LA RICERCA PEDAGOGICA

    Il rapporto tra pedagogia e didattica. Appunti di lavoro

    MASSIMO BALDACCI

    1. Il problema della distinzione tra pedagogia e didattica

    Nel nostro Paese, la distinzione tra pedagogia e didattica si è progressivamente trasformata in una frattura che rischia di compromettere l’unitarietà della problematica formativa. Al di là di una divisione del lavoro di ricerca tra le differenti articolazioni del sapere pedagogico (divisione opportuna per favorire la crescita della conoscenza educativa e l’approfondimento dei suoi vari aspetti), si sta infatti creando una divisione tra comunità separate all’interno della casa pedagogica (i pedagogisti generali da una parte, i didatti e gli sperimentalisti dall’altra), ciascuna delle quali parla una lingua diversa e mostra scarsa propensione a comprendere il discorso dell’altra.

    In questo contributo, intendiamo affrontare tale questione nel suo duplice aspetto: l’ autonomia sia della pedagogia sia della didattica (che chiama in causa la loro distinta oggettualità); e la ridefinizione del rapporto tra pedagogia e didattica, nel senso della necessità del loro nesso rispetto all’attuale tendenza alla separazione. Ci limiteremo, tuttavia, alla stesura di appunti di lavoro sommari e provvisori.

    Per quanto riguarda il primo risvolto, l’autonomia di queste due discipline, occorre innanzitutto precisare che la conquista dell’indipendenza della didattica dalla pedagogia è un fatto ormai consolidato. Oggi, solo pochi (forse nessuno) sarebbero disposti a sottoscrivere la vecchia concezione gerarchica che vedeva la didattica subordinata alla pedagogia in qualità di disciplina meramente applicativa e, dunque, sostanzialmente de-teorizzata. Il possesso di una dimensione teorica autonoma da parte della didattica non è più oggetto di discussione. Tuttavia, tale indipendenza non può esaurirsi in una situazione di fatto, frutto di un processo storico. Occorre elaborare a livello teorico l’autonomia reciproca di queste due discipline, ossia passare dalla questione di fatto a quella di diritto, al principio di legalità che fonda tale autonomia.

    Nell’epistemologia generale, tale principio di legalità – che rappresenta la condizione dell’autonomia d’una disciplina – è stato solitamente individuato nella sfera dell’ oggettualità [1] . Per costituirsi come scienza autonoma, una disciplina deve possedere un proprio specifico oggetto. Inoltre, la definizione di tale oggetto è stata ricondotta a due questioni: la delimitazione di un campo d’esperienza particolare, e l’individuazione di uno specifico punto di vista portato su tale campo. In questo modo, una disciplina si può dire autonoma se studia un determinato campo da una propria specifica angolazione. Parallelamente, due discipline si possono distinguere in base alla diversità del campo di cui si occupano, oppure – se insistono sul medesimo campo – sulla scorta del diverso punto di vista da cui lo guardano. In questa impostazione è però presente un presupposto implicito che, nel nostro caso, tende a favorire l’idea di una netta separazione tra pedagogia e didattica, rendendo problematico ricostruire il loro nesso. Per cogliere questa problematica dovremo risalire al Gentile del secondo volume del Sommario di pedagogia, intitolato alla didattica. Per definire l’identità e il ruolo della didattica rispetto alla pedagogia, il filosofo di Castelvetrano inizia dall’individuazione di due modalità per distinguere le entità [2] . La prima modalità è di tipo statico-spaziale : due entità sono distinte se occupano spazi differenti (anche se esse sono morfologicamente identiche, come due sedie). La seconda è di tipo dinamico-temporale , che si riscontra quando due entità corrispondono a momenti di un processo, come il seme e la pianta. La prima modalità ha un carattere atomistico : mette capo a entità irrelate; la seconda è di natura dialettica , vede le entità connesse entro un movimento. Ciò premesso, secondo Gentile il rapporto tra pedagogia e didattica è di tipo dialettico, ossia esse rappresentano momenti di un processo dinamico-temporale, anziché essere distinte in modo statico-spaziale. Di conseguenza, tali discipline non sono atomisticamente separate, bensì legate da un movimento dialettico. Infatti, quando l’educazione di realizza come scuola, la pedagogia può esserne coscienza solo facendosi didattica. La didattica si pone così come coscienza critica della scuola, ma per costituirsi come tale deve necessariamente tornare a risolversi nella pedagogia in quanto filosofia. In questo processo, cioè, la pedagogia rappresenta la tesi da cui nasce necessariamente la propria antitesi, nella forma della didattica, ma questa – secondo l’andamento della dialettica gentiliana – non può che ritornare in seno alla tesi stessa, che si fa così sintesi di tale processo.

    Rispetto a questo quadro, non ci importa della particolare soluzione di Gentile, che appare inadeguata ai nostri scopi, poiché fa nascere la didattica da una necessità interna del processo educativo scolastico, ma solo per farla morire immediatamente, risolvendola nella filosofia. Ci interessa invece la sua impostazione del problema, legata alle sopra citate modalità di distinguere due entità. Infatti, nel modo consueto di individuare l’oggetto di una disciplina in base al suo campo e al suo punto di vista, si assume implicitamente che queste categorie siano di natura statico-spaziale (il campo è analogo a uno spazio, l’angolazione è fissa). In questo modo, la distinzione tra pedagogia e didattica diventa basata su una separazione di dominio (spaziale e statica), ma così esse si costituiscono come entità disciplinari irrelate, tra le quali è problematico ricostruire un nesso (sebbene si possa invocare, genericamente, un rapporto di tipo interdisciplinare). Senza contare che questa differenza di dominio che distinguerebbe la didattica dalla pedagogia è tutt’altro che stabilita in modo pacifico. A questo proposito, anzi, le vulgate correnti sono del tutto insoddisfacenti. Individuare il campo specifico della didattica nella scuola, per esempio, è fortemente opinabile: non si possono concepire una pedagogia scolastica, e una didattica extrascolastica? Parimenti, appare poco plausibile assegnare alla didattica il dominio formativo inerente al cognitivo: si può pensare veramente una pedagogia indifferente all’educazione intellettuale? E la didattica è davvero estranea alle questioni etico-affettive?

    Inoltre, percorrendo questa rotta si può arrivare a determinare i confini disciplinari, ma giunti a ciò si rischia di arenarsi. Infatti, una volta stabilita la linea che separa il campo della didattica da quello della pedagogia, si può sperare in un rapporto di buon vicinato, ma è pacifico che ognuna coltiva il proprio orticello. Certo, in fondo è quello che sta accadendo nella pedagogia odierna, ma siamo certi che questa soluzione sia valida in senso teorico e feconda in senso pratico?

    Infine, ci sono differenti tipi di confine. I confini tra ambiti disciplinari diversi (tra la pedagogia e la psicologia, per esempio) sono necessari come lo sono i confini tra Stati, poiché definiscono entità organicamente separate (sotto il profilo epistemico le discipline, sotto quello politico gli Stati). I confini tra discipline afferenti al medesimo ambito (come quello tra pedagogia generale e didattica), invece, dato che sono inerenti alle articolazioni interne di tale ambito, sono maggiormente simili ai confini tra regioni dello stesso Stato: hanno valore amministrativo più che politico, e non mettono in discussione l’unità dell’organismo statale. La questione è se dobbiamo pensare la didattica e la pedagogia come Stati distinti o come regioni dello stesso territorio; come organismi epistemici separati, oppure come apparati dello stesso organismo.

    In altre parole, la questione è quella di non trasformare la distinzione tra pedagogia e didattica in una loro rigida separazione. Tale distinzione è opportuna per garantire una relativa autonomia alla loro ricerca, ma essa è metodica anziché organica, ed è perciò sufficiente che sia approssimativa. Una netta separazione, infatti, crea più problemi di quanti non ne risolva, a partire da quello di come ricostruire il loro nesso unitario.

    A titolo di mero contributo alla discussione, intendiamo avanzare un’ ipotesi di lavoro che istituisce la distinzione tra pedagogia e didattica in base a un criterio dinamico-temporale e perciò dialettico, anziché statico-spaziale e dunque atomistico. Pedagogia e didattica saranno, cioè, considerate come momenti connessi entro un processo unitario. In altre parole, seguiremo l’impostazione indicata da Gentile, ma andremo in questa direzione passando per una strada diversa dalla sua, giungendo così a esiti del tutto differenti. A questo scopo, prima compiremo una rapida analisi logica del campo formativo; poi avanzeremo la nostra ipotesi di lavoro, che vedrà la distinzione tra pedagogia e didattica legarsi a un movimento del punto di vista tra livelli logici diversi, anziché basarsi su una separazione di dominio. In questa sede, le nostre riflessioni saranno però limitate al contesto scolastico, senza impegnarci sulla validità generale dell’ipotesi che avanzeremo. Lavoreremo, cioè, a una soluzione circoscritta all’ambito del curricolo.

    2. L’analisi logica del curricolo scolastico

    Assumere il curricolo scolastico come terreno per impostare il rapporto tra pedagogia e didattica, sebbene possa limitare il raggio dei risultati, rappresenta una possibilità interessante, poiché non è rara l’indicazione del curricolo come campo, oggetto o dominio precipuo della didattica. Secondo la nostra ipotesi, invece, si può dare anche una pedagogia del curricolo , perché la distinzione tra pedagogia e didattica non concerne il dominio, ma il livello logico dello sguardo. Ma procediamo con ordine. Innanzitutto, vediamo le mosse necessarie per impostare la questione. La prima mossa consiste nel muovere dalla definizione di Frabboni [3] del curricolo nei termini di percorso formativo scolastico. La seconda corrisponde all’accettazione condizionata dell’indicazione di Laporta [4] circa l’opportunità di procedere a una riduzione empirica dei concetti di educazione e di formazione a quello di apprendimento, per dare maggiore chiarezza e operatività ai processi in gioco. In questo modo, anche il curricolo può essere ridotto empiricamente a un percorso di apprendimenti scolastici. La condizione di tale accettazione è che tale riduzione si mantenga effettivamente empirica, e non scivoli in una riduzione ontologica. A questo proposito, diremo perciò che l’educazione scolastica (il curricolo) presuppone l’apprendimento, ma non si riduce ontologicamente ad esso: serba, cioè, un sovrappiù di senso (umano). La terza mossa consiste nel criticare l’idea di Laporta secondo la quale con questa riduzione dell’educazione ad apprendimento si guadagna la chiarezza concettuale. Seguendo Bateson [5] , assumiamo invece che quello di apprendimento sia un concetto ancora vago, usando il quale si fa spesso confusione perché non si distinguono i differenti tipi o livelli dell’apprendimento stesso. La nostra prossima mossa, allora, sarà quella di presentare l’analisi logica dei tipi d’apprendimento compiuta da Bateson. Dopodiché, proietteremo questi tipi d’apprendimento sulla struttura del curricolo, distinguendone così diversi livelli logici. L’analisi di Bateson distingue tre livelli dell’apprendimento. L’ apprendimento 1 (o protoapprendimento) consiste in una modificazione del comportamento e della struttura cognitiva del soggetto. Rientrano in questo livello gli apprendimenti di conoscenze e abilità. L’ apprendimento 2 (o deuteroapprendimento) rappresenta, invece, un cambiamento del processo d’apprendimento 1, che viene reso più rapido, per esempio. Le acquisizioni di questo livello riguardano la strutturazione di abiti mentali, ossia di durevoli disposizioni intellettuali e socio-affettive. Infine, l’ apprendimento 3 consiste in una modificazione dell’ apprendimento 2 , ossia in un processo di trasformazione degli abiti mentali precedentemente acquisiti.

    Come dicevamo, si tratta ora di proiettare questi livelli sulla struttura del curricolo, determinandone un’articolazione su più livelli logici [6] . Per semplicità, ci limitiamo a distinguere due livelli: il curricolo di primo ordine corrisponde al protoapprendimento e consiste nell’assimilazione di conoscenze e abilità legate ai vari saperi curricolari (lingua, matematica ecc.); il curricolo di secondo ordine, invece, corrisponde al deuteroapprendimento e riguarda la formazione di abiti mentali ( formae mentis, modi di pensare, stili cognitivi, competenze ecc.).

    Per comprendere le conseguenze di questa strutturazione del curricolo, occorre qualche ulteriore chiarimento. In primo luogo, si deve precisare che l’ apprendimento 1 è diretto e manifesto, mentre l’ apprendimento 2 ha carattere collaterale (si struttura parallelamente all’ apprendimento 1 e solo in connessione con esso) e risulta, perciò, poco evidente. Inoltre, si deve considerare che l’apprendimento 1 produce risultati a breve- medio termine, mentre l’ apprendimento 2 dà i suoi esiti nel medio-lungo termine.

    Queste caratteristiche producono un diverso regime dei due livelli del curricolo. Il curricolo di primo ordine concerne i risultati diretti e immediati delle singole discipline; si tratta, cioè, del curricolo nel senso ordinario del termine: come corso di studio delle diverse materie scolastiche. Il curricolo di secondo ordine riguarda invece gli effetti formativi di lungo termine della scuola, nei termini di mentalità, stili di pensiero, competenze ecc.

    In questo modo, possiamo inoltre distinguere tra l’istruzione e l’educazione sulla base del loro differente riferimento ai livelli curricolari. Il curricolo di primo ordine corrisponde a quella che solitamente chiamiamo istruzione, mentre il curricolo di secondo ordine è inerente alla cosiddetta educazione intellettuale. Tuttavia, il carattere collaterale del deuteroapprendimento chiarisce che l’ educazione intellettuale si struttura in concomitanza con i processi d’istruzione, ossia che – come voleva Herbart – a scuola l’istruzione è educativa, poiché i modi e i contenuti dell’istruzione – a lungo andare – producono la formazione di abiti mentali durevoli. Pertanto, le distinzioni tra apprendimento 1 e apprendimento 2, nonché tra i due livelli del curricolo, hanno un carattere meramente concettuale e astratto. L’apprendimento concreto è sempre un’interconnessione tra l’apprendimento di primo livello e quello di secondo livello, che si struttura collateralmente ad esso, così come il concreto curricolo scolastico intreccia sempre e necessariamente i due ordini logici.

    3. La distinzione e il nesso tra pedagogia e didattica

    Come abbiamo accennato, sulla base della teoria dei livelli logici dell’apprendimento, la distinzione tra istruzione e educazione non si basa su una diversità di campo, ossia non corrisponde alla differenza tra aspetti cognitivi e non cognitivi della formazione. Tale distinzione si fonda, invece, su una differenza di livelli logici, che determina una scala temporale diversa degli apprendimenti: di breve-medio termine quella relativa alle conoscenze e alle abilità; di medio-lungo termine quella inerente alla strutturazione di abiti intellettuali e socio-affettivi.

    A questo punto, per preparare la nostra ipotesi, basta compiere un’ultima mossa: mettere in relazione la didattica con l’istruzione e la pedagogia con l’educazione. Questo significa che la didattica scolastica si occupa essenzialmente del curricolo di primo ordine, ossia dell’insegnamento-apprendimento dei saperi disciplinari. Ciò, ovviamente, non le impedisce di fare astrazione dagli specifici contenuti culturali, ossia di porsi come didattica generale. La pedagogia scolastica, invece, si occupa essenzialmente del curricolo di secondo ordine, ossia della strutturazione di abiti intellettuali e socio-affettivi. Pertanto, avanziamo l’ipotesi che la distinzione tra pedagogia e didattica non sia una distinzione di campo o dominio, bensì una distinzione di livelli logici. Ciò può essere reso in modo operazionalizzato nei termini di una diversa scala temporale dello sguardo adottato. La didattica focalizza essenzialmente il proprio sguardo sugli esiti a breve-medio termine inerenti le conoscenze e le abilità disciplinari. La pedagogia, invece, adotta un punto di vista centrato sugli effetti a medio-lungo termine, concernenti la formazione di abiti mentali. Si tratta, perciò, di punti di vista caratterizzati temporalmente, ma secondo una distinzione che rimane approssimativa, poiché il confine tra le due scale dei tempi non è netto ma sfumato. In altre parole, non si può fissare con precisione una linea di separazione tra il breve-medio termine e il medio-lungo termine: sfumano insensibilmente l’uno nell’altro, sebbene a un certo punto si sia chiaramente da una parte o dall’altra. Di conseguenza, anche la distinzione tra pedagogia e didattica – concepita in termini di differenza di livelli logici – risulta approssimativa, e si deve probabilmente ammettere una loro parziale sovrapposizione. Anzi, un’analisi a grana più fine porta a sfumare ancora di più tale distinzione. Prendiamo, per esempio, la questione dell’acquisizione di elementi metodologici relativi ai saperi. Ogni disciplina possiede una propria logica interna, e quindi propri elementi di metodo, che in quanto contenuti inerenti a un sapere vedono indubbiamente un interessamento della didattica. L’apprendimento dei metodi di una disciplina, però, non è riducibile all’acquisizione di conoscenze e abilità specifiche (ossia al proto-apprendimento). La padronanza di tali metodi è descrivibile, piuttosto, in termini di competenza, ma quest’ultima – pur includendo conoscenza e abilità come proprie componenti – implica profili inerenti ad abiti mentali. Infatti, apprendere realmente i metodi di una disciplina richiede un certo grado di strutturazione degli abiti mentali tipici di tale disciplina (abiti da matematico, da storico ecc.), e quindi si lega a processi di deutero-apprendimento, che si estendono sul medio-lungo termine. In quanto tali abiti rappresentano il sedimento formativo di contenuti disciplinari, sarebbe opinabile sostenere che sono privi di pertinenza per la didattica. D’altra parte, poiché questi abiti vanno a costituire aspetti della mentalità del soggetto, essi si collocano su un registro formativo d’indubbio interesse per la pedagogia. In altre parole, ci sembra plausibile ammettere che certi effetti formativi di medio-lungo termine specifici a una disciplina vedano una sovrapposizione degli interessi della pedagogia e di quelli della didattica. Quest’ammissione porta a precisare la nostra ipotesi: la didattica riguarda essenzialmente i risultati a breve-medio termine specifici ai saperi disciplinari; la pedagogia concerne essenzialmente gli esiti formativi complessivi di medio-lungo termine; mentre i risultati formativi di medio-lungo termine specifici ai vari saperi vedono tendenzialmente un loro co-interessamento. Detto banalmente, se si tratta d’imparare ad applicare il teorema di pitagora o d’acquisire la conoscenza della tassonomia botanica siamo nella didattica; mentre, se si parla della formazione del produttore o del cittadino siamo nella pedagogia; se, invece, è in questione il ragionamento dimostrativo o il metodo scientifico registriamo una sovrapposizione d’interesse tra la didattica e la pedagogia. Ovviamente, ciò non toglie che tale interesse possa essere diversamente orientato. Prendiamo il caso del metodo scientifico: nella didattica può essere visto come aspetto della struttura sintattica delle scienze naturali (si pensi a Schwab [7] ); nella pedagogia, invece, può essere considerato in connessione con l’educazione democratica (si pensi a Dewey [8] ).

    Se qualcuno obbiettasse che impostando la questione in questo modo la distinzione tra pedagogia e didattica non è precisa ma approssimativa, rispondiamo che in linea di massima essa ci sembra sufficiente, e che tentare di tracciare un confine netto – oltre a richiedere assunzioni artificiose – tende a produrre più problemi di quanti non ne risolva, rendendo difficile comprendere il nesso tra queste due discipline. Adesso dobbiamo affrontare proprio tale questione.

    Fin’ora abbiamo distinto approssimativamente pedagogia e didattica secondo un criterio temporale, adesso dobbiamo evidenziare il nesso dinamico che le connette come momenti di uno stesso processo (pedagogico in senso ampio: comprensivo della pedagogia generale e della didattica generale). La base di tale nesso risiede nel fatto che nella sua concretezza l’apprendimento è sempre un intreccio di protoapprendimento e deuteroapprendimento, che procedono in modo collaterale sebbene con regimi temporali diversi. Ciò significa che fare didattica o fare pedagogia consiste essenzialmente nell’assumere un punto di vista temporalmente diverso sul concreto processo d’apprendimento, focalizzando lo sguardo sugli esiti a breve-medio termine o su quelli a medio-lungo-termine. La metafora della focalizzazione dello sguardo, sopra usata, è significativa: ciò che viene focalizzato appare nitido, ma il resto non scompare, sebbene sfocato rimane sullo sfondo. In altre parole, assumere il punto di vista della didattica non deve voler dire diventare ciechi da quello pedagogico (ovviamente, vale anche l’inverso), ma semplicemente che le considerazioni pedagogiche passano nello sfondo, in una dimensione implicita. Inoltre, se l’apprendimento concreto è un intreccio di regimi temporali, la distinzione tra pedagogia generale e didattica ha una natura meramente concettuale e astratta, metodica anziché organica. Nella sua viva concretezza, la pedagogia (in senso ampio) richiede un nesso dinamico tra i due punti di vista temporali, la possibilità di un continuo passaggio dall’uno all’altro.

    Ciò appare evidente rispetto all’educatore, all’insegnante, concretamente impegnato nella formazione degli scolari. Un punto di vista esclusivamente didattico (limitato al curricolo di primo ordine) sarebbe miope: porterebbe alla disattenzione verso gli effetti formativi di lungo termine delle modalità d’insegnamento, cosicché questi si produrrebbero in modo casuale e incontrollato, senza la consapevolezza e l’intenzionalità del docente. Tuttavia, un punto di vista esclusivamente pedagogico (generale) sarebbe presbite: condurrebbe alla noncuranza per la qualità degli apprendimenti disciplinari in sé e per la concretezza e la contingenza quotidiana dell’insegnamento. In altre parole, una competenza limitata unilateralmente alla didattica o alla pedagogia generale darebbe luogo a un difetto della vista professionale. Gli occhiali del docente debbono essere bifocali, e il suo sguardo deve oscillare tra i due livelli, così da permettergli una visione d’insieme del problema formativo.

    Il medesimo principio vale anche per la ricerca, sebbene ciò possa apparire meno evidente. Condurre una ricerca secondo un criterio di rigida pertinenza disciplinare crea unilateralità e limiti rispetto al problema da indagare, e limiti tanto più forti quanto meno chiaro è il criterio di pertinenza e il ricercatore si impone quindi autocensure basate sui pregiudizi correnti [9] . Ma fatto salvo in linea di principio e in senso generale il principio di pertinenza disciplinare, il percorso di ricerca dovrebbe seguire la logica interna del problema indagato (non divisioni astratte), e seguirla laddove essa conduce, senza soverchie preoccupazioni di sconfinamento dalla pedagogia alla didattica o viceversa (anche perché la loro distinzione è approssimativa, come si è visto). Quello che conta è raggiungere una migliore comprensione del problema e capire meglio come affrontarlo in sede formativa, non serbare una purezza disciplinare che potrebbe impoverire la portata dell’indagine [10] .

    Concludendo, la nostra impostazione della distinzione tra pedagogia e didattica è per certi versi analoga a quella gentiliana, poiché si basa su un criterio dinamico-temporale, anziché statico-spaziale, dialettico invece che atomistico. Ma il taglio dialettico da noi proposto differisce nettamente da quello gentiliano. Gentile vede il rapporto tra pedagogia e didattica come un movimento dialettico, basato cioè sulla negazione della negazione. La pedagogia è la tesi da cui nasce necessariamente la didattica come sua antitesi, che però si dissolve altrettanto necessariamente nella tesi stessa. La didattica, cioè, nasce solo per morire. Così, alla fine, anzi fin dall’inizio, c’è solo la pedagogia, la quale si risolve però a sua volta nella filosofia. Nella nostra ipotesi, invece, tra pedagogia e didattica corre una relazione dialettica, ossia un nesso fatto di mutua tensione e di reciproca compenetrazione, senza che l’una assorba mai l’altra.

    Da tale ipotesi discende come corollario la concezione della comunità pedagogia come unità articolata [11] . In altre parole, il territorio della pedagogia non va visto come diviso tra tribù disciplinari tra loro estranee: tutti i suoi abitanti sono pedagogisti, sebbene secondo specificità diverse.


    [1] E. Agazzi, Analogicità del concetto di scienza, in V. Possenti (ed.), Epistemologia e scienze umane, Mario, Milano 1979.

    [2] G. Gentile, Sommario di Pedagogia come scienza filosofica, Vol. II, Laterza, Bari 1914, pp. 5-28.

    [3] F. Frabboni, Manuale di didattica generale, Laterza, Roma-Bari 2000.

    [4] R. Laporta , L’assoluto pedagogico, La Nuova Italia, Firenze 1996.

    [5] G. Bateson, Verso un’ecologia della mente [1977], Adelphi, Milano 1997.

    [6] Questa analisi è svolta in modo più ampio e articolato in M. Baldacci, Ripensare il curricolo, Carocci, Roma 2006.

    [7] J.J. Schwab, L.H.Lange, G.C. Wilson, M. Scriven, La struttura della conoscenza e il curricolo, La Nuova Italia, Firenze 1975 (estratto dal volume G. Ford, L. Pugno [Edd.], Structure of knowledge and the curriculum, Rand McNally, Chicago 1964).

    [8] J. Dewey, Democrazia e educazione [1916] , La Nuova Italia, Firenze 2000.

    [9] Queste autocensure sono ingrandite dalle preoccupazioni legate ai concorsi accademici e al problema della pertinenza delle pubblicazioni a un settore scientifico-disciplinare.

    [10] Questo vuol dire che nelle pubblicazioni inerenti al campo pedagogico solo una parte di esse sarà chiaramente ascrivibile alla pedagogia generale o alla didattica. Una parte significativa di tali pubblicazioni si collocherà invece a cavallo tra le due discipline, e la loro pertinenza concorsuale dovrebbe perciò essere valutata con larghezza di vedute.

    [11] Precisiamo che consideriamo valida l’esigenza di un nesso organico anche per il rapporto tra pedagogia e storia della pedagogia. Secondo noi, né il pedagogista generale né l’insegnante possono fare a meno della consapevolezza storica circa la problematica educativa.

    I. LA PEDAGOGIA TEORETICA

    Il rapporto tra pedagogia e didattica. Appunti di lavoro

    MASSIMO BALDACCI

    Sturzo sperò a lungo, per l’Italia, nell’abbandono della «scuola amministrativa». Quella della burocrazia centralista ministeriale avviata nel 1859. Per combatterla, aveva inserito il suo contrario nel programma del Partito popolare italiano, da lui fondato nel 1919. Fu sconfitto. Il ventennio fascista portò lui all’esilio americano e, con la completa statalizzazione delle scuole di ogni ordine e grado, all’estensione monopolistica di questo modello che non era soltanto istituzionale e organizzativo, ma anche ideologico.

    Questa impostazione, tuttavia, non ebbe l’onore di essere formalmente consacrata nella Costituzione del 1948. Sturzo restò molto deluso, perciò, quando, rientrato dall’esilio, la Repubblica, per tante ragioni lumeggiate oggi dagli storici (compresa l’inevitabile inerzia del passato), continuò questo impianto «amministrativo» come se non fosse stato possibile altrimenti. Anzi, a dire il vero, lo potenziò al cubo. Con una sua proliferazione teratomorfa che si estese, in pochi decenni, a qualsiasi aspetto del governo, della gestione e del controllo delle scuole di ogni ordine e grado, istruzione professionale inclusa.

    Ma come, la scuola, in tutte le sue articolazioni, costretta ad essere governata, gestita e, per di più, anche valutata dallo stesso soggetto, in questo caso lo Stato, secondo programmi, circolari, modelli, disposizioni ministeriali dettate da un unico centro, espressione, fra l’altro, per la maggior parte, dell’esecutivo invece che dell’organo legislativo (il parlamento, come avrebbe fatto pensare anche la lettera dell’art. 33, comma 2 della Costituzione)?

    Fino alla sua morte, Sturzo lottò contro questo riduzionismo statalista e ministerialista della scuola italiana. A suo avviso, mortificava non solo le responsabilità sociali e formative verso le nuove generazioni delle famiglie, delle autonomie locali e regionali, del tessuto economico-imprenditoriale e delle altre «formazioni sociali» di ogni territorio (chiese, associazioni cooperative e/o di volontariato, partiti, sindacati), ma anche la vera natura della scuola dovuta a ogni persona libera e

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