Wangari: la madre degli alberi
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Info su questo ebook
In Swahili la chiamano Mama Miti, che vuol dire la madre degli alberi. Wangari Maathai, nasce in piccolo villaggio del Kenya e a otto anni non è ancora andata a scuola ma è affascinata dalla natura, da tutto quello che nasce e cresce grazie alla terra, studia e ottiene un dottorato in biologia, si impegna in politica, affronta con passione battaglie ecologiche, per le quali finisce più di una volta in carcere. È la prima donna africana a ricevere il premio Nobel per la pace nel 2004.
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Anteprima del libro
Wangari - Fulvia Degl'Innocenti
Indice
Un momento importante
Agosto 2006
Capitolo 1
Ihithe e il monte Kenya
Capitolo 2
Tutti insieme a Nakuru
Capitolo 3
L’orto di Wangari
Capitolo 4
Una nuova casa e un nuovo fratello
Capitolo 5
Finalmente a scuola
Capitolo 6
Racconti intorno al fuoco
Capitolo 7
Il collegio di Santa Cecilia
Capitolo 8
Tempo di rivoluzione
Capitolo 9
L’Università in America
Capitolo 10
ritorno con sorprese
Capitolo 11
Tra famiglia e lavoro
Capitolo 12
Il problema non sono le zecche!
Capitolo 13
La politica e il valore di una promessa
Capitolo 14
Una scelta necessaria
Capitolo 15
Salviamo Il parco Uhuru
Capitolo 16
L’assedio e il carcere
Capitolo 17
Un nuovo partito,
una nuova battaglia
Capitolo 18
Il premio dei premi
Capitolo 19
Devi mettercela tutta!
Biografia
Bibliografia e note
Un momento importante
Agosto 2006
Un giovane uomo di colore in giacca e cravatta color sabbia cammina nel parco di Uhuru, a Nairobi, capitale del Kenya, abbracciato a una donna di mezza età dalle fattezze robuste, vestita con un abito lungo giallo acceso e un vistoso fiocco dello stesso colore sui capelli raccolti. Intorno a loro uomini bianchi e di colore in abiti eleganti e una folla di curiosi tutto intorno.
C’è anche la famiglia dell’uomo: la moglie e due bambine, che zampettano vivaci e curiose. Pochi passi e raggiungono uno spiazzo in cui c’è una buca scavata nella terra rossastra. La donna prende una pianticella di olivo e la porge all’uomo. Insieme la adagiano delicatamente nella buca, poi l’uomo prende una palla e la ricopre di terra, aiutato dalle bambine.
– Immaginiamo che ogni persona pianti un albero – dice la donna al pubblico e alle telecamere che riprendono la scena, – in breve sarebbero miliardi, e questo contribuirebbe a rallentare il riscaldamento globale.
L’uomo impugna un megafono per ringraziare la folla accorsa ad assistere all’evento: – Apprezzo molto quello che il Kenya sta facendo per l’ambiente, e vi ringrazio per l’accoglienza, ora devo andare a casa, ma spero di tornare presto.
Ora sulla Terra c’è un albero in più e i due, ancora abbracciati in un gesto di intimità e affetto, si allontanano.
L’uomo e la donna hanno molte cose in comune oltre al colore della pelle: hanno a cuore le sorti del mondo e dell’ambiente, e credono nella pace.
Lei è Wangari Maathai e solo due anni prima è stata la prima donna africana a ricevere il premio Nobel per la pace. Lui è Barack Obama, che due anni dopo diventerà il primo presidente di colore degli Stati Uniti e nel 2009 riceverà anch’egli il premio Nobel per la pace.
Se Barack Obama è stato sicuramente uno dei personaggi più conosciuti al mondo, la figura di Wangari Maathai è sconosciuta alla maggior parte delle persone, malgrado il Nobel. Eppure, grazie a una sua intuizione, e al suo impegno per la salvaguardia della natura e il rispetto dei diritti umani, migliaia di donne keniote in pochi anni hanno piantato cinquanta milioni di alberi.
Un gesto semplice, che richiede poco tempo ma, che moltiplicato all’infinito, porta con sé una grande rivoluzione. Soprattutto se pensiamo che è stato compiuto da una persona nata in un povero villaggio nel cuore della foresta e che fino a otto anni non era mai andata a scuola. La sua è una storia straordinaria.
Capitolo 1
Ihithe e il monte Kenya
Quello che accadde il 1° aprile del 1940 nel villaggio di Ihithe, ai piedi del monte Kenya, non era uno scherzo: ma la nascita di una bella bambina. Mamma Lydi, una giovane alta e slanciata dai lunghi capelli lisci, era al suo terzo parto. Fuori dalla capanna c’erano papà e i loro bambini, due maschietti,
– Spingi, brava, così –, la incitava l’ostetrica, una donna dalle braccia robuste e i fianchi larghi. Con lei c’erano anche le donne del villaggio, che vigilavano e si davano da fare. La nascita era un evento collettivo, ogni nuovo arrivato era il figlio della comunità. Un vagito acuto e possente annunciò l’arrivo della bimba. La mamma si lasciò cadere sul pagliericcio esausta, pronta ad accogliere la bimba tra le braccia. La piccola smise di strillare e cercò avidamente il seno. Una delle donne uscì dalla capanna per dare l’annuncio al papà: – È una femmina!
– Sia lode a Dio –, commentò l’uomo alzando le braccia al cielo. – Si chiamerà Wangari, come mia madre.
Le donne uscirono e rientrarono poco dopo con i tipici doni che salutavano l’arrivo di un neonato: un casco di banane verdi, intatto, che rappresentava integrità e benessere. Delle patate dolci arrostite e una canna da zucchero di colore blu-violaceo. La madre masticò un pezzetto di quei cibi e versò nella bocca della neonata qualche goccia del loro succo, come segno di prosperità e buona fortuna. Ora toccava al padre preparare un altro cibo rituale. Prese l’agnello che nelle settimane precedenti era cresciuto in casa, bello pasciuto, e lo uccise cucinando la sua carne.
Wangari aveva pochi giorni di vita quando il padre lasciò il villaggio: come molti degli uomini della comunità aveva bisogno di lavorare per mantenere la famiglia. Da quando i coloni bianchi inglesi occupavano quelle terre, le cose stavano cambiando. Non si poteva più vivere solo con il lavoro dei campi e l’allevamento degli animali, ma bisognava avere soldi per acquistare beni di prima necessità. E il lavoro del papà di Wangari era lontano, nella fattoria del signor Nylan.
Il papà era un uomo alto e dalla forza prodigiosa, e aveva imparato a guidare le auto e a riparare i motori.
Al contrario della mamma di Wangari, che era analfabeta, era andato a scuola e poteva leggere la Bibbia.
Sempre più persone, grazie all’opera dei missionari, si erano convertite al cristianesimo e molti degli antichi culti andavano ormai scomparendo. Ma il monte Kenya, che dominava l’orizzonte con le