La casa nel bosco
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La vicenda, vissuta tra immaginazione, sogni e fantasia, tra i filari dell'uva e le piante di ulivo, circondate da boschi ricchi di selvaggina, è ambientata, nella prima metà del 900, in una Italia prevalentemente povera e dedita in gran parte all'agricoltura.
I personaggi ed i fatti descritti nel racconto sono immaginari.
In appendice al racconto sono richiamati episodi che nel tempo mi sono tornati alla memoria, liberamente rimaneggiati.
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La storia di Michele Sorova Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniUno sguardo al tempo passato tra realtà e fantasia Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioni
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Anteprima del libro
La casa nel bosco - Carlo De Angelis
rimaneggiati.
LA CASA NEL BOSCO
Nasce Filippo
Appena nacque nel paese lo chiamarono Filippo, in omaggio a San Filippo Neri.
Era piccolo e scuro di carnagione, con due occhi vivaci, che ti guardavano per leggerti dentro, nel profondo.
I genitori erano benestanti, come si può esserlo in un paese agricolo. Erano proprietari di diversi terreni, che producevano vino in abbondanza di varie specie e qualità. Le osterie del paese e di quelli vicini, le rifornivano in gran parte loro, nell’arco dell’anno. Per questo erano attrezzati con cavalli, carretti e botti, di tante dimensioni, per soddisfare le richieste via via crescenti.
Michele si chiamava il padre, cambiato dai paesani in Michelaccio, per via del vocione burbero, che incuteva paura ai bambini ed ai grandi un certo timore. Era considerato però un uomo buono, grande lavoratore nonché uomo onesto. Lui alla reputazione ci teneva e tanto. Guai a criticare il suo vino o peggio a sospettare che facesse alchimie. Allora diveniva veramente Michelaccio e non solo con la voce.
Liberata era il nome della madre, docile e quieta tra le mura domestiche. Tanto robusto era il marito, tanto piccola era lei. Il marito non la voleva in campagna, non perché non le piacesse la sua compagnia, ma per non farla affaticare. " I lavori pesanti non sono per le donne ", soleva ripetere e del resto, a casa o nell’immensa cantina, i lavori per Liberata non mancavano. Infatti, casa a parte, le attività nel ‘ cantinone ’, come lo chiamavano tutti, si susseguivano incessantemente. Un giorno c’erano da preparare le botti per la vendemmia, un altro per riempirle di vino, i restanti per venderlo sul posto o per portarlo dai clienti a destinazione; il lavoro non finiva mai. Liberata, più che lavorare, dirigeva i lavori, dando agli operai le dovute disposizioni. Liberata
, le gridava la gente, ma da chi?
dal demonio
, rispondeva lei e si faceva il segno della croce.
Nuovo o vecchio che fosse, il vino nel cantinone profumava tutto l’anno ed il profumo si spandeva all’intorno, nella parte bassa del paese.
La casa dei genitori di Filippo era situata sopra il cantinone ed era raggiungibile sia dalle scale interne, sia entrando dall’esterno. Era piena di stanze e stanzette, alcune delle quali servivano da magazzino e contenevano numerosi attrezzi per la campagna.
A fianco della casa stava la stalla per i cavalli nonché un orto che una sorella di Liberata, la zia Nunziatina, rimasta zitella, mandava avanti con tanta cura, quando non aveva da badare a far crescere Filippo.
Michelaccio, Liberata, Nunziatina e Filippo non erano i soli ad abitare in quella casa enorme, posta al limitare del bosco, sulla strada per la campagna. Ci vivevano pure i genitori di Liberata, molto avanti negli anni e malfermi in salute.
I genitori di Michelaccio erano morti entrambi, quando lui era ancora bambino, tanto che a malapena ne ricordava i volti, incorniciati nell’ingresso di casa su una carta ingiallita con il tempo e spezzata in più parti, illuminati a stento da un minuscolo lucernario posto sopra il soffitto.
Michelaccio era stato allevato da una sorella della madre, la zia Pasqualina, che l’aveva unito ai suoi sette figli e tirato su come un figlio, così che diceva di averne otto.
La zia Pasqualina era morta da poco, ma aveva fatto in tempo a combinare il matrimonio di Michelaccio con Liberata ed a veder nascere l’erede. Così era morta contenta, sicura di non aver fatto torto al nipote perché, come soleva dire " Michele è figlio di mia sorella e perciò è sangue mio ".
Liberata per Michelaccio era l’occasione giusta, perché i genitori cercavano per la figlia uno che sapesse mandare avanti i terreni e sapesse farlo bene. La zia Pasqualina l’aveva intuito ed aveva saputo combinar le cose per bene, senza che nessuno avesse a pentirsene. Allora si usava così.
Tutti i beni dei genitori erano perciò di Liberata, erede naturale di tutto, essendo Nunziatina rimasta zitella senza più speranza di matrimonio.
La casa era appartenuta agli antenati di Liberata e Nunziatina. I loro genitori erano soliti dire che era vecchia di tre secoli e che nel corso del tempo ogni generazione vi aveva apportato modifiche e miglioramenti. Ora era una costruzione che si estendeva in lunghezza, d’un rosso sbiadito, che sapeva d’antico.
Anche i terreni appartenevano alla famiglia da tempo immemorabile e via via erano aumentati perché la famiglia di Liberata da sempre aveva lavorato proficuamente, impiegando utilmente i risparmi con scaltrezza contadina. Tanto ben di Dio era ora amministrato da Michelaccio, con il beneplacito della moglie e dei suoceri, che di lui si fidavano ciecamente. Del resto non c’era alcun motivo per non fidarsi. Perché Michelaccio sapeva lavorare e bene. I progressi si vedevano a vista d’occhio, in quanto aveva saputo in breve tempo aggiungere terra a terra e quindi aumentare notevolmente la produzione di vino.
Michelaccio, dopo il lavoro, aveva un solo svago, la caccia. Ma anche da lì aveva modo di vedersi i terreni, perché i boschi dove cacciava erano situati vicino alle vigne, spesso in salita e quindi in un buon punto panoramico. Specie quando l’uva era matura, era sufficiente un colpo di fucile per far capire a qualche male intenzionato che Michelaccio si aggirava nelle vicinanze e che era meglio stare alla larga dai terreni, sui quali vigilavano comunque anche gli operai, che un tempo abbondavano nelle campagne.
In questo clima quasi idilliaco, Filippo cresceva all’aria aperta, sano e libero. Il padre, scuola permettendo, lo portava spesso con sé, togliendolo al resto della famiglia che pure lo reclamava. Per i nonni era una compagnia ed un aiuto, visto che avevano sempre bisogno di qualcuno che portasse loro le medicine. Non che le figlie si rifiutassero di farlo. Tutt’altro. Ma i nonni preferivano il nipote. A vederlo correre per le stanze, con i capelli sempre scomposti, si sentivano pure loro più giovani. E’ come se un soffio di primavera penetrasse nelle loro ossa.
Filippo amava andare a caccia. In mezzo agli alberi si sentiva ancora più sereno, l’avventura lo esaltava. Mentre il padre portava il fucile e mandava avanti i cani, per stanare le lepri, Filippo si armava di arco e frecce e un po’ per gioco, un po’ sul serio, mirava anche lui alla selvaggina tanto che qualche volta, con l’aiuto del padre e dei cani, riusciva pure a far centro.
Allora il padre prendeva la lepre uccisa e gliela caricava sulle spalle, cosicché Filippo, circondato dai cani, scendeva dal bosco saltellando, tutto orgoglioso del suo trofeo, che mostrava prima ai contadini e poi ai nonni, tanto fieri del loro nipote.
La mamma Liberata non amava vedere quelle bestiole uccise, preferiva ammirarle vive nel bosco e si rifiutava di cucinarle, affidando l’incarico alla zia Nunziatina, meno ‘sensibile’ dinanzi alla selvaggina uccisa. Anzi, Nunziatina se la rideva ed a pranzo ‘beccava’ Liberata, che a tavola mangiava pure lei quella carne preparata al focolare.
" Non la cucini, però la mangi", incalzava e se sono ossa tenere, vedo che mastichi pure quelle!
.
Liberata non sapeva cosa rispondere e cercava di spostare il discorso sui pericoli della caccia. Ma il marito la rassicurava, ricordandole che lui era un cacciatore nato, abituato fin dalla nascita a cacciare con i cugini.
" Io sparo solo se vedo le prede, non mi contento del fruscìo. So bene che i rumori nel bosco possono scaturire da tante cose, da una castagna che cade, da una ghianda, dal movimento franoso del terreno. E’ pure vero che il rumore può essere causato dall’uomo in cerca di qualcosa, di funghi per esempio. Per questo, se non vedo la bestia non sparo. E lo stesso insegno a Filippo. Ed anche ai cacciatori della zona, che conosco tutti, ripeto sempre le stesse cose. Tanto è vero che qui intorno, come ben sai, disgrazie non sono mai accadute ". Filippo ascoltava e annuiva.
Comunque Filippo non si annoiava nemmeno a casa e se c’era da fermarsi per guardare i nonni, non se lo faceva ripetere due volte. D’altronde pure a casa si divertiva. Quando la zia Nunziatina scendeva nell’orto per innaffiare le verdure, Filippo era sempre pronto con la zappa ad incanalare l’acqua nei solchi interessati, togliendo e mettendo la terra a secondo del solco dove doveva essere diretta. " Nunziatina, non farmelo bagnare , diceva Liberata alla sorella quando vedeva Filippo trafficare con l’acqua.
Hai un uomo o no ?", le rispondeva a tono la sorella, che tanti problemi non se li poneva e al massimo pensava che a risolverli fossero sufficienti un paio di stivaloni dove Filippo sprofondava, tanto erano grandi. Liberata però, in mezzo al fango ed all’acqua Filippo non