Sarai sempre con me
Di Dan Torr
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Anteprima del libro
Sarai sempre con me - Dan Torr
ricordare.
Primo capitolo
Orfana di madre, morta partorendo il suo ultimo e sesto fratello, Gina aveva dovuto fare un balzo e rinnegare l'età dei giochi per aiutare nelle faccende domestiche e nella cura dei fratelli più piccoli.
Della madre ricorderà sempre gran poco, anche se l'ombra del suo bel viso dai lineamenti dolci, la bocca piena e carnosa e gli occhi con le lunghe ciglia rimarranno stampati nella sua mente, assieme alla tristezza che sempre la accompagnava.
Il suo era un paese povero, dove ognuno cercava di aiutare l'altro, per non lasciar morire nessuno di fame.
Una Chiesa, un oratorio, una fila a destra e una a sinistra di case a schiera, tutte uguali e tutte cadenti. Un po' più in la una farmacia, una drogheria e un minuscolo negozio di alimentari che fungeva anche da edicola e da tabaccheria.
Da acquistare c'era ben poco, il dopo - guerra aveva impoverito tutti.
Inoltre i tedeschi ritirandosi dopo la sconfitta, avevano fatto man bassa di quelle poche cose che erano rimaste in paese. Rabbiosi come cani a cui cerchi di togliere l'osso di bocca.
Due zitelle anziane, che lei chiamava zie, le portavano di tanto in tanto patate, carote e altre verdure che raccoglievano nel loro piccolo orto davanti a casa.
La Flora invece, che aveva da poco partorito, si prese anche il suo sesto fratellino e lo allattò al seno insieme al suo Franco.
Trovare lavoro era impossibile, rimanevano solo i campi da cui riuscivi ad estrarre qualcosa ma erano proprietà dei padroni più abbienti.
E per il cibo bisognava darsi da fare e spesso inventarsi qualche sistema per rubare qualcosa.
Gina andava con i secchi a prendere l'acqua nel pozzo ogni giorno, dava da mangiare alle galline e lavorava di cucito per le altre, riuscendo così a guadagnare qualche soldo per il pane.
Per lei le giornate iniziavano alle cinque e finivano alle ventitré.
Ben presto però il padre capì che non riusciva da solo ad occuparsi dei sei figli e decise di sposare una vedova di un paese vicino.
L'aveva conosciuta in Chiesa e il parroco aveva messo una buona parola per loro due dicendo che due pecorelle possono percorrere più sicure il cammino.
Gina era spaventata da questa donna, sempre vestita di nero, ogni giorno li portava in Chiesa a tutte le Messe e in cimitero a pregare i parenti.
Così lei non riusciva più a svolgere i suoi lavoretti e a guadagnare qualche soldino.
La matrigna la sgridava perché i fratellini puzzavano e piangevano dalla fame, ma era la vedova stessa che vietava loro di usare l'acqua perché costava e dava mezzo pane al giorno come cibo.
Gina aveva scoperto che la strega nascondeva nello scantinato le verdure e il cibo che il padre portava a casa per i figli, riservandolo solo per lei e il figlio nato dalla nuova unione.
Più volte cercò di parlare al padre, ma la sera rientrava stanchissimo e la matrigna riusciva sempre a interrompere il discorso o a mandarli a letto prima.
Inoltre con il marito si comportava in modo gentile e lo colmava di attenzioni.
Gina odiava quella donna, a volte veniva presa a schiaffi con banali scuse.
Loro sei dormivano in una stanza da letto, mentre il figlio della megera aveva una camera tutta sua, la strega una matrimoniale con il marito e poi rimaneva una camera vuota per gli ospiti.
In salotto c'era un piattino colmo di dolcetti per le amiche del giovedì che facevano visita alla vedova a cui lei preparava anche il the zuccherato oltre al latte con i biscotti.
La mattina i fratellini di Gina osservavano quei dolcetti e immaginavano di mangiarli solo annusandone il profumo.
Arrivavano tutte in gruppo, ovviamente anche loro vestite di nero, tutte vedove e tutte arcigne come la matrigna.
Si rimpinzavano come dei maiali, spettegolavano di tutto il paese facendosi di tanto in tanto il segno della croce per poi ridere a squarciagola.
La mattina dopo la strega contava i dolcetti e i biscotti per controllare che gli orfani non ne avessero preso nessuno e li riponeva in una vecchia credenza con un giro di chiave.
Ogni mattina portava il figlio a scuola in bicicletta e la sua gonna svolazzante la faceva assomigliare a un corvo malefico.
Per loro di studiare non se ne parlava.
Gina però era riuscita ad arrivare alla terza elementare così insegnò agli altri a leggere e a far di conto.
La vipera non lo sapeva.
Un giorno le due zie zitelle andarono a trovarli, consegnando a Gina alcuni vasetti di marmellata, sospettando che facessero la fame visto che erano pelle e ossa.
Appena queste se ne andarono, la matrigna strappò di mano i vasetti a Gina e arricciando il naso disse che erano scaduti.
Loro sapevano che non era vero, ma preferirono non far capire all'altra che leggevano le lettere e i numeri.
Secondo capitolo
Quando gli orfani diventarono adolescenti, uno alla volta abbandonarono quella casa infernale, trovando lavoro come manovali per gli uomini o nei campi e come domestiche per le femmine.
Gina fu l'ultima a lasciare quel nido di serpi, pur dovendo patire ogni giorno l'inferno, ma non voleva