La casa del ciliegio
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Anteprima del libro
La casa del ciliegio - Olimpia Greco
Olimpia Greco
LA CASA DEL CILIEGIO
Un sogno cullato, amato, coccolato
... diventato realtà
dedicato a me stessa
Il Libro dei Racconti
di Carta e Penna
Tutti i diritti riservati - All rights reserved
Copyright © by Olimpia Greco
Realizzato da
Associazione Culturale
Carta e Penna
10138 Torino - Via Susa, 37
www.cartaepenna.it
cartaepenna@cartaepenna.it
In copertina: disegno di Tiziana Graziano
Prima edizione cartacea luglio 2013 (ISBN:9788897902553)
ISBN: 9788869321030
I fatti e i personaggi descritti sono opera di fantasia.
Zia Gina
Vidi la zia immobile nella bara posta al centro della stanza.
Attorno fiori e corone, amici e conoscenti che mesti, biascicavano a mezza voce delle preghiere in sua memoria. «Non può essere vero, lei ai miei occhi era immortale. Donne come lei non dovrebbero mai morire», continuavo a ripetere come un disco rotto mentre venivo sorretta da alcuni presenti.
La zia Gina ci aveva lasciato in un caldo mattino d’agosto, quando le strade son deserte e le panchine formicolano di vecchi appoggiati al loro bastone, quando il sole è troppo caldo e le nuvole hanno le sembianze di panna montata.
Tutto ciò che mi circondava, dagli oggetti della casa ai volti delle persone, accompagnava la mia mente a scrutare tra le pareti della memoria. Mi affioravano le parole dette e le cose non fatte, i momenti trascorsi insieme ma ancor più primeggiava, tra il mare dei ricordi, la sua figura di donna dal carattere forte e fedele ai suoi principi.
Il signor Bindo, benestante possidente terriero del paese dal cuore tenero, aveva l’abitudine di andare a caccia del cinghiale nelle fertili terre intorno a Mombarcaro e con l’occasione portava con sé alcune donne di borgo San Quirico che avrebbero potuto raccogliere castagne e nocciole da vendere, poi, al mercato di Moncalieri. Giunti in un bosco avvolto dalla nebbia e impastato dall’odore di foglie bagnate, mentre erano intente nel loro lavoro, una voce concitata di donna ruppe improvvisamente il silenzio urlando: «Presto, qualcuno corra a cercare il signor Bindo, dobbiamo portare la Teresa giù in paese, sta per partorire!». Una bimba paffutella, con tanti capelli neri venne alla luce presso la casa del medico condotto anche grazie all’intervento della levatrice della zona. La piccola fu subito amata dalla gente del borgo come l’orchidea più rara di un collezionista: già quel suo modo così particolare di venire al mondo, aveva fatto intuire a tutti, chi era e chi sarebbe stata Gina.
Suo padre, Amilcare Brini, felice per il lieto evento, piantò nel giardino di casa un bellissimo albero di ciliegie che nel tempo arrivò persino a lambire il terrazzo del secondo piano. Per tutti i cittadini del borgo e zone circostanti, questo casolare, atipico per la zona, divenne la Casa del Ciliegio.
Agli inizi del novecento i discendenti della famiglia Brini avevano avuto l’ingegno di rimboccarsi le maniche e incominciare a coltivare un pezzo di terra per poi, pian piano, realizzare questo casolare. Venne costruito in una posizione panoramica ideale per poter ammirare dal balcone della stanza da letto il faro della collina, visibile da molti chilometri di distanza, e il castello dei Savoia che, al sorgere del sole, sembrava incantato. Dal lato del soggiorno invece, si poteva avere una visione della catena alpina e l’immensità dell’orizzonte arricchito, durante certi periodi dell’anno, d’incantevoli tramonti dai colori spettacolari simili ad arance rosse di Sicilia.
Il casolare era caratterizzato da un’aiuola ma specialmente abbellito dal bellissimo albero di ciliegie posto alla destra del cancello d’ingresso. Al primo piano vi era la grande sala corredata da un camino che per questa famiglia rappresentava il centro del mondo; vi era anche una piccola stufa che faceva da cucina. Alle finestre la mamma di Gina aveva appeso delle tende di canapa rendendo il locale ancor più accogliente. Al secondo piano si trovavano tre camere da letto utilizzate dai genitori, da Mino e l’ultima divisa dalle tre fanciulle di casa ovvero Gina, Anna e Tina. Erano delle piccole stanze dal soffitto basso: meno male che in famiglia la statura più elevata era un metro e sessantotto centimetri altrimenti chissà che dolori!
Zia Gina cresceva determinata e autorevole, proprio come il suo ciliegio, proferendo già da bambina perle di saggezza inconsuete per la sua giovane età. Riuscì a superare, così, le difficoltà e la paura che la seconda guerra mondiale recò tra le genti, rendendo la sua giovinezza una storia incredibilmente interessante da ascoltare. Se fosse morta in seguito a un evento bellicoso o per malattia in giovane età, sicuramente la chiesa cattolica, attraverso le testimonianze della gente del borgo, l’avrebbe fatta santa. O senza esagerare, almeno beata. La ricordo seduta sul divano accanto al camino, sia nei giorni freddi e bui dell’inverno o in primavera, dopo aver curato il suo albero di ciliegio o il suo giardino di carote patate e ortensie. Amava trascorrere il tempo libero leggendo testi scientifici, passione mai sopita per la medicina e anche a creare immacolati centrini all’uncinetto, poi posti in bella mostra sui mobili.
E proprio accanto a lei, accovacciata sul divano rosso, ho trascorso i miei pomeriggi di bimba ad ascoltare, quasi fosse una favola, ciò che era stato il suo vissuto, le sue abitudini di anni ormai lontani. Adoravo notare come ogni occasione era buona per raccontarmi gli episodi che avevano segnato la sua giovinezza e con quanto orgoglio mi parlava dei suoi cari. Da questi racconti potevo trarre pillole di saggezza e forza d’animo esemplare. Mi raccontava: «Papà Amilcare faceva il maniscalco dal signor Bindo anche se spesso veniva impiegato come la mamma, nella raccolta dei prodotti della terra del suo podere. Io e mio fratello Mino, quindi, dovevamo contribuire alla conduzione della casa. Le mie giornate erano spese ad accudire le mie sorelle minori, Anna e Tina, lavare i panni al fiume o recarmi dal contadino a prendere le uova. In primavera avevo anche l’onere, seppur con piacere, della sistemazione del giardino. Mino invece, dopo la scuola, aiutava papà Amilcare, che per arrotondare le entrate economiche, faceva il ciabattino in un angolo del sottoscala. Soltanto tra una faccenda e l’altra, rubavo attimi per dedicarli alla lettura dei testi di medicina recuperati dal medico del paese».
Mi parlava, compiaciuta, della sua metamorfosi: «Dalla bambina con le trecce, mi trasformai con gli anni in una splendida sirenetta da far girare la testa ai giovanotti del borgo. Nel guardaroba, poi, vi era solo un vestito da indossare tutti i