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Milano scomparsa, o quasi...: I personaggi della città
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Milano scomparsa, o quasi...: I personaggi della città
E-book209 pagine1 ora

Milano scomparsa, o quasi...: I personaggi della città

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Info su questo ebook

Storie di milanesi qualcunque, puntando l'occhio sui personaggi più strani, meno comuni, talvolta dei veri e propri mostri, altre volte dei semplici "gajna" o dei disperati qualsiasi, ma spesso dei semplici milanesi.
 
LinguaItaliano
Data di uscita13 nov 2020
ISBN9791220220743
Milano scomparsa, o quasi...: I personaggi della città

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    Anteprima del libro

    Milano scomparsa, o quasi... - Milano scomparsa

    Introduzione

    Ogni venerdì sera, quando ero bambino, la mia famiglia si riuniva dai nonni paterni a cena. La casa si trovava lungo il Naviglio Grande, a San Cristoforo e a casa della nonna Tina e del nonno Nino vigevano poche regole, ma una sola era inderogabile, l’uso delle pattine. Nonna Tina controllava come un cerbero che tutti usassero le pattine su quel pavimento di palladiana di marmo che brillava ed era scivoloso più del ghiaccio, Ciapa i pattin, me racumandi, ripeteva sempre. Una delle poche altre regole era l’uso del dialetto milanese; tutti parlavano in milanese. A cena avevamo lo stesso identico menù, per anni e anni… nervitt, mondeghili, risòtt giald con i oss bus; in inverno, ogni tanto, la cassoeula o la pulenta e gurgunsöla.

    Proprio grazie a quelle cene ho imparato a comprendere il milanese, a masticarlo, a dire qualche frase, ad amare le canzoni in dialetto, ad apprezzare, anni dopo, i Gufi e Nanni Svampa e poi a capire le origini della comicità e delle storie raccontate o cantate da Cochi e Renato, Gaber, Jannacci e molti altri.

    Forse proprio da quelle cene familiari è nata la mia passione per la Milano che è scomparsa o va scomparendo, esattamente come per il nostro dialetto. Questo libro narra le storie, le vicende, le bassezze, talvolta gli orrori o gli splendidi gesti, commessi da milanesi vissuti decenni o secoli fa. Quasi tutti personaggi dimenticati o cancellati dalla memoria, alcuni erano vere e proprie macchiette, altri dei mostri, altri ancora dei semplici bravi milanesi.

    Sono storie che ho recuperato anche con difficoltà in biblioteche, vecchi volumi, in rete, negli archivi storici e che riporto qui, su questo volume, come per anni ho fatto sulla pagina Instagram di Milano scomparsa o quasi; mi piace pensare che questa ricerca ridia vita a queste storie e a queste persone dimenticate nel tempo.

    Alla fine sono semplici storie di milanesi.

    El  Sciavatta

    Un funerale negli anni '30; il corteo stava percorrendo via Novara, davanti all'Osteria delle Pioppette di Trenno.

    Per diversi decenni, dalla metà dell'800, sino alla primavera del 1885, un certo Agostino Peroni, detto el Sciavatta, cioè il Ciabatta, dalle calzature sformate e distrutte, che trascinava rumorosamente, fungeva da sacrestano per le famiglie povere della città, quelle che non avevano abbastanza quattrini per pagare un prete durante il percorso dalla chiesa al cimitero.

    Dopo la funzione funebre in chiesa, infatti, i preti erano soliti richiedere un obolo abbastanza caro per accompagnare il caro estinto sino al cimitero; le famiglie povere ovviavano ingaggiando el Sciavatta.

    Il Peroni, descritto come un uomo molto alto, lungo lungo, alquanto ricurvo, inclinato in modo speciale da una parte, si piazzavaappena alle spalle dei familiari del morto, che seguivano il carro funebre, allora trainato da cavalli e, con in mano un rosario, iniziava a snocciolare preghiere. Era noto per avere la voce stonata, acuta e gracchiante, ottima per un funerale, dicevano i milanesi dell'epoca; era solito farsi pagare 1 Lira, ma per le famiglie meno abbiente scendeva senza problemi a 80 o 70 centesimi.

    Abitava alla Cittadella, nel cuore del quartiere del Ticinese, nell'Ottocento la parte povera della città. In gioventù aveva lavorato come ortolano e, molto pio e devoto, anche come sacrestano in varie chiese della Cittadella, tanto che preferiva come soprannome el Sacrista. Era sposato con vari figli, di cui uno falegname, ma non viveva più con la famiglia da decenni. La sua residenza era in via Vetraschi al 25, una strada oggi scomparsa nell'odierna Piazza Vetra, a nord di San Lorenzo. Viveva in una misera stanza in affitto sopra l'Osteria della Carlotta e tutte le mattine era solito recarsi di buon ora presso l'Ospedale Maggiore e presso il Comune, per conoscere chi era morto, dove e quando si sarebbero tenuti i funerali.

    Poi iniziava il suo giro in città offrendo i suoi servigi.

    Il 15 aprile del 1885 el Sciavatta uscì all'alba dalla casa di via Vetraschi, incontrò un suo amico brumista al Ticinese e gli disse che andava a farsi vedere all'Ospedale Maggiore, perchè non si sentiva molto bene, dicendogli: Mi sento in uno stato da farmi recitare fra poco il rosario che ho recitato per tanta gente....

    Ricoverato con una febbre altissima, morì poche ore dopo. Quando il figlio falegname si recò nella piccola stanza al Ticinese, trovò una agenda sul quale il padre aveva meticolosamente riportato tutti i funerali a cui aveva partecipato. Mancava solo il suo.

    L’anguraio di Porta Romana

    Una rivendita di angurie in Piazza Medaglie d'Oro, all'angolo con Via Sabotino, proprio di fronte ai Bastioni di Porta Romana. Anni Venti.

    Sino al Primo Dopoguerra, l'unico luogo dove si poteva vendere e acquistare della frutta e della verdura a Milano era il Mercato del Verziere, che per secoli si era svolto in Piazza del Duomo, poi dal 1551 in Piazza Fontana, poi dall’inizio del XIX secolo nell'odierno Largo Augusto e infine al Nuovo Verziere di Corso XXII Marzo. L'unica eccezione, storicamente, era riservata ai rivenditori di poponi e cocomeri, chiamati a Milano meloni e angurie; questi frutti potevano essere venduti solo presso il mercato di Piazza Santo Stefano e dalle bancarelle in Via Bergamini e Via dell'Ospedale. I rivenditori di meloni e angurie provenivano per lo più dal Lodigiano e dal Pavese.

    Dal Settecento l'autorità municipale mandava squadre di controllori per verificare la qualità e i prezzi della merce venduta. Tra le loro facoltà vi era anche quella di assicurarsi che i frutti non fossero né troppo acerbi né troppo maturi, altrimenti la merce veniva sequestrata.

    Tutta gli ortaggi sotto sequestro venivano condotti con appositi carri in Via Altaguardia, presso il Cimitero di San Rocco, cosparsi di acido fenico e interrati in un campo.

    Per rendere un'idea della quantità di merce sequestrata e distrutta, questi furono i dati del solo luglio 1891:

    3.046 kg di pere

    1.884 kg di prugne

    6.105 kg di albicocche

    80 kg di ciliegie marasche

    580 kg di altre ciliegie

    154 kg di fichi

    55 kg di fichi d'India

    429 kg di funghi di ogni genere

    935 kg di mele

    204 kg di pesche

    160 kg di piselli

    980 kg di meloni e angurie.

    Sino agli anni Trenta a Milano rimase in vigore il dazio, cioè la tassa per importare le merci dentro i confini comunali; per questo motivo molti commercianti tentavano, storicamente, di importare merce di nascosto, per risparmiare sul dazio. A Milano gli addetti al dazio erano noti come Burlandotti.

    I Burlandott

    Un ritratto di alcune Guardie Daziarie di Milano a fine Ottocento. Erano soprannominati i Burlandott.

    Le Guardie Daziarie erano un vero e proprio corpo militare al servizio del Comune di Milano e svolgevano la guardia presso le Porte della città, controllando le merci e riscuotendo le gabelle. Loro acerrimi rivali erano i contrabbandieri, detti in milanesi i Trapanant e le donne del contado, che venivano perquisite dalle Guardie che ne approfittavano per allungare le mani...

    Divise in 8 brigate, erano composti da 480 effettivi; le brigate avevano i nomi di Sempione, Garibaldi, Venezia, Nuova, Macello, Ticinese, Romana e Magenta, corrispondenti alle 8 porte di Milano. La brigata Macello prendeva il nome dal Macello Pubblico, che nell'Ottocento si trovava in piazza Sant'Agostino, nei pressi di Porta Genova.

    Dal 1865 avevano il loro quartier generale in una caserma in via Luini, alle spalle di corso Magenta, ricavata dove si trovavano i chiostri del Monastero di San Maurizio.

    La brigata Nuova era la punta di diamante del corpo, con 43 guardie armate, un reparto di cavalleria e uno in bicicletta che assieme formavano la Squadra Volante, pronta a dar man forte alle altre brigate.

    La brigata Macello al contrario era composta da 45 guardie tra le più vecchie del corpo, una sorta di pensionato per guardie anziane.

    Le guardie si esercitavano semestralmente al Tiro a Segno Nazionale e svolgevano una preparazione militare identica a quella dell'Esercito, tanto da essere ovviamente esonerate dal servizio di leva. Le guardie più giovani venivano anche istruite in apposite scuole letterarie e godevano di concorsi con premi in denaro per i migliori di ogni corso.

    Il 20 marzo 1930 un Regio Decreto riformò il settore e portò all'abolizione dei dazi interni e alla loro sostituzione con le Imposte Comunali di Consumo. Il 1° aprile dello stesso anno tutte le cinte daziarie vennero abolite. Dopo 800 anni scomparivano così le Guardie Daziarie delle porte di Milano.

    La Bestia Feroce che divorava i bambini

    Un disegno della Bestia Feroce che nell'estate del 1792 uccise e sbranò oltre una dozzina di bambini e ragazzi nelle campagne appena fuori dai Bastioni Spagnoli.

    La prima vittima è Giuseppe Antonio Gaudenzio, dodici anni; il 4 luglio 1792 stava pascolando l'unica vacca di proprietà della sua famiglia nei boschi e nelle radure tra Milano e Cusago. Il giorno dopo il padre, cercandolo disperatamente, trovò solo la vacca. Solo alcuni giorni dopo vennero ritrovati dei resti umani e

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