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Lontano: dieci viaggi che cambiano la vita
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Lontano: dieci viaggi che cambiano la vita
E-book183 pagine3 ore

Lontano: dieci viaggi che cambiano la vita

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Info su questo ebook

Secondo il grande filosofo Sant’Agostino “il mondo è un libro e chi non viaggia, ne conosce solo una pagina”. Matteo Gracis ha fatto suo tale aforisma, dedicando energie, tempo e risorse per andare alla scoperta di luoghi e culture. Così facendo ha avuto la fortuna di visitare già oltre 60 stati del mondo, toccando tutti i continenti e vivendo esperienze di inestimabile valore. Dal suo “vivere viaggiante" ha scelto di raccontare in questo libro le dieci avventure più preziose, che vengono narrate con passione e coinvolgimento. Non semplici racconti di viaggio ma diari ricamati con spunti di riflessione dalle mille sfumature, a volte ironici e leggeri, altre profondi e commoventi. Dalla cima più alta dell’Africa, il Kilimangiaro, alla grande Russia a bordo della Transiberiana, dal classico Coast to coast sulla mitica Route 66, a un Cammino di Santiago in solitaria e ancora dall’Himalaya al Machu Picchu, dalla Scandinavia in camper all’Orient Express, dagli altopiani boliviani ai templi del Giappone. Un susseguirsi entusiasmante di emozioni, imprevisti e scorci mozzafiato, che si conclude con una graditissima sorpresa, ovvero l’undicesimo viaggio, nel Paese che l’autore considera - a mani basse e senza dubbio alcuno - il più bello del mondo. Un’opera on the road, un trionfo delle avventure zaino in spalla nonché una corposa fonte d’ispirazione per le nostre mete future. Matteo con questo libro ci porta in viaggio con lui facendoci letteralmente viaggiare con la mente e i pensieri, più Lontano che mai.
LinguaItaliano
Data di uscita3 dic 2020
ISBN9791220229630
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    Anteprima del libro

    Lontano - Matteo Gracis

    bonus

    Introduzione

    Persi nella nostra monotona quotidianità abbiamo una visione del mondo, della vita, dell’esistenza, estremamente limitata. Non vediamo aldilà del nostro naso, camminiamo coi paraocchi e i tappi alle orecchie. I nostri pensieri sono piccoli, inconsistenti, superficiali. Tutto è relegato a un micro-cosmo fatto di finti problemi e giornate molto simili tra loro, se non addirittura uguali. Sprechiamo il nostro tempo in cose futili, le nostre energie in battaglie senza senso, le nostre preziose risorse in questioni ridicole. Quelli all’apparenza più fortunati tra noi, si sono messi un'enorme palla al piede con tanto di catena lucidata a puntino, che si chiama confort zone e illude, di tanto in tanto, di vivere alla grande.

    La verità è che siamo tutti miopi di fronte alla meraviglia dell’universo e sordi nei confronti dei continui segnali che la nostra anima ci invia. Abbiamo sempre un piede bloccato nelle sabbie mobili del passato e uno nella palude del futuro, mentre il vento fresco del presente ci passa attraverso come fossimo fantasmi, senza lasciarci nulla.

    E il più delle volte, siamo naturalmente inconsapevoli di tutto questo.

    Non abbiamo nulla di più prezioso del tempo, il nostro tempo. E ciò nonostante ci troviamo spesso a sperare che finisca quella determinata giornata, quella settimana, quel mese o anno. Siamo dei fottuti pazzi! L’essere umano è impazzito.

    Siamo gravemente malati, il nostro corpo è avvelenato e di conseguenza anche il nostro spirito. Houston, abbiamo un problema.

    Ma come per tutte le malattie, esiste una cura. Come per tutti i veleni, c’è un antidoto. Come per tutti i problemi, abbiamo una soluzione. Qual è? Il viaggio, il movimento, l’andare.

    Viaggiare fa staccare dal suolo e prendere quota. Rende leggeri più dell’aria, fa volare la mente. La nostra vista si estende, supera qualsiasi montagna e ostacolo verso l’orizzonte. Dissipa nebbie, nubi e nuvole rendendo tutto più chiaro e definito.

    Da lassù, i veri viaggiatori sono dei che sorridono guardando le diatribe miserevoli in cui si perdono i comuni mortali. E i veri viaggiatori, badate bene, sono coloro che esplorano il mondo senza paura e senza grandi mezzi a disposizione: più lenti si spostano, più lontano vanno; più scalzi camminano, più alti volano; più si espongono agli imprevisti, più traggono benefici dalle esperienze. Meno denaro spendono, più vita guadagnano.

    I veri viaggiatori sono bambini sorridenti che saltano nelle pozzanghere senza preoccupazioni, senza esitazioni, senza limiti, senza genitori noiosi nei paraggi. I veri viaggiatori sono fuochi d’artificio, coriandoli colorati, lapilli di esplosioni vulcaniche, riflessi di plancton nell’acqua nera del mare notturno.

    Nel vero viaggio ogni giorno è diverso dall’altro. Ogni giorno si celebra e si onora la vita. Il vero viaggio è il trionfo assoluto del qui e ora.

    E allora prendi e vai! Prendi uno zaino, mettici dentro meno cose possibili e vai a scoprire il mondo. Non puoi farlo? Non puoi partire? Non hai i mezzi? Cazzate!

    Quando ti svegli, ogni mattina, davanti allo specchio, guardati negli occhi e ripeti ad alta voce questa frase: Siamo dove vogliamo essere, facciamo quello che vogliamo fare. Tutto il resto è semplice geografia della scusa.

    Buon viaggio.

    1. Coast to coast

    Stati Uniti d'America e Canada

    Sono appena tornato da un giro in Spagna di tre settimane con alcuni amici e ho l’elettricità nel cuore. Non mi sono mai sentito così vivo. Notti in tenda sotto milioni di stelle e a pochi passi dal mare. Giornate totalmente improvvisate, di quelle che non si sa cosa succederà l’ora seguente e neanche quella dopo ancora, notti infinite, energie positive. Cazzo, questa è vita! Questa è la vita che mi piace. Ne ho bisogno, ancora. Mi fa bene, mi fa crescere. È una droga sana. È quello che voglio ora!

    Adesso devo vedere l’America. Gli Stati Uniti d’America. Sono cresciuto a pane e 2pac, a Michael Jordan e i suoi Chicago Bulls, a Hollywood e pop-corn. Devo vederla bene e tutta, viverla e morderla, attraversarla da costa a costa. Ne ho bisogno. Ho venticinque anni, se non lo faccio ora, quando?

    Il tempo non mi manca, posso lavorare viaggiando, ma non ho soldi sufficienti per un’avventura simile, per una vacanza di più di un mese oltreoceano. E allora mi siedo a un tavolino e ragiono. Pensa, Matteo, pensa. Così metto insieme le mie due grandi passioni, la comunicazione e i viaggi, e trovo uno sponsor disponibile a investire sulla mia idea: promuoverò il loro brand (di occhiali da sole e da vista) attraverso un blog – che sarà anche il mio diario di viaggio – e altri canali, ovvero una radio e un quotidiano locale che aggiornerò di giorno in giorno e a cui racconterò l’avventura negli States. Inoltre, l’auto a noleggio che userò sarà tappezzata con il logo dello sponsor. Probabilmente in viaggio dovrò lavorare il doppio, ma se questo mi permetterà di partire, ben venga. Via!

    «Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati.»

    «Dove andiamo?»

    «Non lo so, ma dobbiamo andare.»

    È con questo mood che voglio iniziare la mia avventura, con un passo del celebre On the road di Jack Kerouac. La partenza è fissata per il 23 settembre 2008 e – anche se diversi dettagli logistici li abbiamo decisi in anticipo – lo spirito con il quale ci prepariamo al coast to coast è lo stesso che guidava il maestro della Beat Generation. New York-San Francisco, con una deviazione verso i Grandi Laghi canadesi. Vento nei capelli e dritti verso l’ignoto, questo è il programma.

    Siamo in tre, il numero perfetto: io e i miei amici Raffaello e Andrea. Volo Lufthansa Venezia-New York e ritorno San Francisco-Venezia previsto per il 2 novembre, acquistato insieme all’assicurazione sanitaria. Abbiamo anche prenotato l’auto che ci accompagnerà per l’intero tragitto, una Toyota 4Runner, SUV di piccole dimensioni, almeno per gli standard americani. Ce la siamo cavata con circa duemila euro a testa, per ora!

    Quaranta giorni negli Stati Uniti, dalla East alla West Coast. Un sogno che si avvera. E allora… Are u ready? Let’s go!

    Il volo di andata è volato nel vero senso della parola! Eccitazione al massimo. Primo approccio all’aeroporto JFK traumatico: controlli severissimi per ottenere il timbro di ingresso, domande serrate della polizia ai desk della dogana e la compilazione di svariati moduli – tra cui il famoso foglio verde – dove, tra le mille domande, ti chiedono espressamente se sei un terrorista o se sei lì per uccidere qualche gringos. Loro che vendono armi a ogni angolo! penso perplesso.

    Poi foto e impronte digitali. Superata la pratica ci bastano poche ore, trascorse per la maggior parte con il naso all’insù, per innamorarci definitivamente della Grande Mela.

    L’impatto è positivamente devastante: il traffico di N.Y. è spaventoso con camion enormi, pedoni spregiudicati, sirene accese che sfrecciano ovunque e ciclisti impavidi che inventano traiettorie impossibili. Nonostante questo, la sensazione che ho è quella di una città che vive in un disordine ordinato, un caos armonico. Tutto ha un senso, tutto e tutti sono al posto giusto al momento giusto, incredibilmente.

    Facciamo un giro nel Bronx, bello underground, ma in generale la situazione è più tranquilla rispetto a come ce la immaginavamo. Un’occhiata veloce allo Yankee Stadium e poi via di MoMA. Proseguiamo il nostro tour disorganizzato passando di fronte all’imponente sede del New York Times e, dopo una breve visita all’Empire State Building, la giornata si conclude a Ground Zero, il luogo dove sorgevano le Torri Gemelle prima dell’11 settembre 2001. La zona è transennata e sono in corso i lavori della nuova torre che verrà inaugurata fra qualche anno con il nome di Freedom Tower.

    New York City ci ha travolto e siamo completamente sballati dal jet lag. Serata tranquilla in un motel del New Jersey. L’indomani sveglia, caffè americano e via verso la Statua della Libertà, Staten Island e poi il mitico Central Park attraversando il ponte di Brooklyn. Il parco è una meraviglia, una piccola città verde dentro la città dove tutti corrono. Serata al Madison Square Garden per una partita dell’NHL, hockey su ghiaccio: inno nazionale, animazione durante i time out, hot dog, negozi, bar. Più che una partita è un vero e proprio show, tant’è che nessuno sembra particolarmente abbattuto per la sconfitta della squadra di casa. Finito lo spettacolo andiamo in un locale di Manhattan dove suona un gruppo R&B e hip hop in un’atmosfera calda e bellissima. Sono tutti neri e all’entrata ci squadrano dalla testa ai piedi, ma dopo qualche minuto le attenzioni svaniscono e ci godiamo il sound e le good vibes.

    È già arrivato il momento di ripartire. Ci rendiamo presto conto che questo viaggio sarà un tour de force, ma va bene così. E allora via verso la seconda tappa!

    Nel tardo pomeriggio – dopo circa due ore di strada – arriviamo a Philadelphia accolti da una fitta nebbia che avvolge i grattacieli. Tra i monumenti più visitati della capitale della Pennsylvania – data anche la chiara povertà storico-culturale del Paese – c’è la statua in onore di Rocky Balboa. Ci passiamo davanti e percorriamo anche la scalinata simbolo del film, gridando «Adrianaaa» una volta in cima. Visita veloce al Museum of Art e via di movida. La vita notturna di Philadelphia è animata da pub e locali veramente cool.

    Andiamo a letto presto e la mattina successiva inizia di buon’ora con la visita all’Independence Mall: qui fu firmata la Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti – la cui prima bozza era in carta di canapa – e si respira un’aria ufficiale e maestosa. Sul bordo della strada un gruppetto di persone inscena una protesta brandendo cartelli e distribuendo volantini: denunciano lo stato critico della situazione economica del Paese. Siamo a un mese e mezzo dalle elezioni, quelle che incoroneranno Barack Obama primo presidente nero nella storia degli USA.

    Si riparte, il nostro coast to coast non prevede pause. 225 chilometri direzione sud-ovest, obiettivo: trascorrere il primo sabato sera americano nella capitale, Washington. Facciamo le tre di notte sbronzandoci di Budweiser tra una discoteca e l’altra della città.

    Il modo migliore per visitare Washington è in bicicletta. Me lo avevano detto e ora posso anche confermarlo. La mattina seguente prendiamo a noleggio tre mountain bike e ci fiondiamo verso la Casa Bianca. In breve tempo siamo davanti ai cancelli della dimora presidenziale. Appoggiamo le nostre bici alla staccionata – che, è bene sottolineare, dista quasi un chilometro dalla White House – e ci allontaniamo di qualche metro, verso un gruppo di turisti, per farci fare una foto. Pochi istanti dopo, mentre torniamo a riprendere i nostri mezzi, sentiamo un’agente donna che ci grida contro frasi per noi incomprensibili. La poliziotta è evidentemente incazzata. Ci chiede, senza mai smettere di urlare, perché abbiamo lasciato le bici incustodite. Per un momento è panico, la folla di turisti è immobile e fissa noi e questa Nikita adirata con la mano fissa sulla fondina. Lei nel frattempo deve aver chiamato i rinforzi perché arrivano altre due pattuglie piene di RoboCop. Provo a spiegare, nel mio stentatissimo inglese maccheronico, che siamo semplici turisti e che ci siamo spostati di qualche passo solo per scattare una fotografia. Il tutto, per fortuna, finisce lì. La poliziotta torna al suo posto, gli altri agenti se ne vanno e noi anche.

    Sono esterrefatto. Ok che questa è la Casa Bianca, ok che siamo nella capitale degli Stati Uniti, ok che hanno avuto l’11 settembre… ma ormai sono passati sette anni e qui, signori, la paura fa novanta. C’è un clima tesissimo e tutti sembrano essere sul chi va là. In generale finora, specie nelle città, abbiamo avuto la sensazione di avere sempre il fiato sul collo, e l’esperienza appena raccontata ne è l’ennesima prova.

    Ancora scossi riprendiamo il nostro giro fermandoci al Washington Monument – l’obelisco simbolo della città – al Lincoln e al Thomas Jefferson Memorial, per finire al maestoso Campidoglio. Un bellissimo percorso tra parchi, laghetti e sentieri perfettamente ordinati. Ci fermiamo qualche ora a respirare aria che trasuda orgoglio americano, mentre giochiamo con alcuni scoiattoli che animano i curatissimi prati inglesi intorno agli edifici. Poi si riparte, nuovo obiettivo Pittsburgh, quarta tappa del viaggio.

    Qui, complici le dimensioni più contenute della città e la stanchezza che già inizia ad affiorare nonostante il viaggio sia tecnicamente appena iniziato, rallentiamo un po’ i ritmi. Visitiamo il museo dedicato ad Andy Warhol, natio di questa zona. La sera facciamo un giro mentre la città è praticamente ferma per la contemporanea partita degli Steelers contro Baltimora. Proviamo anche a entrare allo stadio ma il bagarino ci chiede una cifra fuori dalla nostra portata.

    Si prosegue in direzione ovest fino al lago Erie, sulle cui sponde sorge Cleveland. È il 2 ottobre. Siamo in viaggio da due settimane e per la prima volta ci regaliamo una cena in un vero ristorante, concedendoci una pausa dal malatissimo approccio all’alimentazione veloce degli americani. Sì, perché qua la gente mangia di tutto e dappertutto. È una cosa indescrivibile: ci sono cittadine che hanno più fast food che case. Le confezioni di snack sono giganti. Si trova cibo ovunque e ovunque si vede gente obesa. Però tutti quanti bevono Coca-Cola rigorosamente light. Come se servisse…

    La mattina visitiamo la Rock & Roll Hall of Fame. Fermarsi a guardare il foglio originale su cui Jimi Hendrix scrisse Purple Haze è veramente figo!

    La tappa successiva è Buffalo, a 250 chilometri di distanza, praticamente sul confine con il Canada. È la città più vicina alle Cascate del Niagara, nostro principale obiettivo in questa zona: non sono altissime – 57 metri di salto nel punto più alto – ma la quantità di acqua che si muove, gli scenari e la sensazione di forza e maestosità che trasmettono, sono indescrivibili. Prendiamo un battello che porta fino a poche decine di metri dai getti d’acqua e restiamo impressionati dalla dirompente potenza della natura.

    Il 4 ottobre si riparte per varcare la frontiera nord. Si va in Canada per un piccolo diversivo al tradizionale coast to coast. La dogana prevede il passaggio di due blocchi di controllo. In entrambi siamo sottoposti a un accurato interrogatorio degli agenti di turno, con domande dettagliate sul nostro viaggio e oltre. «Cosa siete venuti a fare qui? Quanto rimanete? Quando ripartite? Da dove e per dove? Cos’avete nelle valigie? Cosa fate nella vita?» E via così.

    In breve arriviamo nella capitale dell’Ontario: Toronto è splendida, pulita, ordinata, moderna ma accogliente allo stesso tempo. Saliamo sulla CN Tower, torre che arriva all’incredibile altezza di 553 metri – tra le più alte del mondo – e rende lo skyline inconfondibile, offrendo la possibilità di vedere tutta la città dall’alto. Visita lampo alla Hockey Hall of Fame, dove i cimeli di Gretzky – il miglior giocatore di sempre – mi mettono i brividi, avendo praticato questo sport per tanti anni.

    In serata ripartiamo. Finalmente into the wild.

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