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È facile vivere bene a Bologna se sai cosa fare
È facile vivere bene a Bologna se sai cosa fare
È facile vivere bene a Bologna se sai cosa fare
E-book294 pagine3 ore

È facile vivere bene a Bologna se sai cosa fare

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Info su questo ebook

Tante proposte per vivere bene in città e conoscerla al meglio

Alla scoperta di tante idee per vivere “la dotta” al meglio

Piccola, aperta, anticonformista, provinciale, dotta, bottegaia, antica ma anche all’avanguardia. Bologna è capace di far convivere istanze diverse e contrapposte, forse per l’abitudine radicata ad accogliere masse in movimento, ma forse anche in virtù della gioventù e della creatività portate dagli studenti che continuano ad affluirvi. A Bologna si vive bene per le tante cose belle da vedere, i monumenti e i tesori artistici, e anche per le cose da fare, con la sua generosa proposta culturale e di intrattenimento. Grazie alle idee che vi circolano e che hanno ispirato i tanti musicisti, gli scrittori qui più numerosi che in qualsiasi altra città italiana, i poeti e tutti i loro lettori, gli artisti e i teatranti. E grazie al cinema che vi è nato e vi si proietta, nelle numerose sale e in quell’autentico gioiello che è la Cineteca comunale. E allora, bolognesi e non, ecco a voi cultura, eventi, gastronomia: tutto quello che c’è da sapere per apprezzare ancora di più una città bellissima.
Maria Grazia Perugini
ternana di nascita e bolognese di lungo corso, lavora da anni nell’editoria. Già caporedattrice di una casa editrice cittadina, traduce dall’inglese e dal russo. Con la Newton Compton ha pubblicato È facile vincere lo stress a Bologna se sai dove andare e Keep calm e passeggia per Bologna.
LinguaItaliano
Data di uscita4 nov 2016
ISBN9788854198692
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    Anteprima del libro

    È facile vivere bene a Bologna se sai cosa fare - Maria Grazia Perugini

    355

    Della stessa autrice:

    È facile vincere lo stress a Bologna se sai dove andare

    Keep calm e passeggia per Bologna

    Prima edizione ebook: novembre 2016

    © 2016 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-9869-2

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Oldoni Grafica Editoriale, Milano – www.oldoni.com

    Ai miei genitori

    Introduzione


    Piccola, laboriosa e provinciale, Bologna è in grado al tempo stesso di essere aperta, giocosa e anticonformista. Una città dotata di un centro storico ampio, ben conservato e custodito gelosamente e un’area metropolitana che ne raddoppia abbondantemente superficie e popolazione. Una città dotta e bottegaia, con un grande cuore medievale che pulsa al suo interno, che sa anche mostrarsi estremamente ricettiva rispetto alle innovazioni, anzi spesso essere all’avanguardia. Bologna è capace di accogliere e far convivere tante istanze anche contrapposte: forse per una qualche qualità connaturata ai suoi cittadini, abituati da secoli al passaggio di masse e flussi in movimento; ma forse anche grazie alla ventata di gioventù e creatività portata, insieme alle mensilità degli appartamenti in affitto e alla fiorente vita notturna legata al loro intrattenimento, dalle migliaia di studenti che ogni anno si iscrivono al suo glorioso ateneo.

    Bologna può essere molto facile da vivere ma non è sempre facile da decifrare, neanche per chi ci è nato o per chi come tanti ha scelto di restarci e ci vive da anni. Certo è che nella sua lunga storia, segnata anche da eventi tragici e il cui impatto è andato spesso ben al di là della cerchia delle sue mura una volta possenti, la città ha appreso l’arte del vivere bene. Di una vera e propria arte si tratta, affinata grazie a una pratica secolare e declinata in mille modi diversi che si traducono anche, ma non solo, in una gastronomia rinomata a livello internazionale. Del resto, non si può pensare di vivere unicamente di tortellini o mortadelle, nonostante negli ultimi tempi sembra si stia facendo di tutto per trasformare la città in un enorme paradiso del cibo, correndo il rischio che a lungo andare diventi vagamente stucchevole. Accanto a una tradizione gastronomica senza dubbio eccelsa e invidiabile, c’è anche e c’è sempre stata un’offerta pragmatica e generosa di servizi pubblici, un tessuto sociale storicamente avvezzo alla partecipazione nonché una vita culturale decisamente ricca per quella che in fin dei conti è una città di provincia. Basti pensare che, tra i suoi tanti primati, nell’area metropolitana Bologna può vantare oltre cento musei e gallerie pubblici e privati, numero eccezionalmente elevato per una città che conta meno di 400.000 abitanti.

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    Una vecchia cartolina di via Rizzoli in cui si vedono svettare le due torri, simbolo di Bologna.

    A Bologna si vive bene non solo per tutto quello che c’è da vedere, la bellezza dei suoi monumenti e gli innumerevoli tesori artistici che conserva, o per quello che la città offre, con i tanti eventi culturali e di intrattenimento che vi vengono organizzati. Se si vive bene, è anche grazie a quello che ha prodotto e continua a produrre: nelle cucine dei suoi rinomati ristoranti certo, come pure nei laboratori e nelle officine meccaniche del suo operoso distretto industriale. Ma allo stesso tempo anche per tutto ciò che della sua produzione non è immediatamente tangibile, fruibile o masticabile: le idee che nascono nei dipartimenti e nelle aule universitarie o ai tavoli delle osterie, o ancora quelle che ispirano i suoi scrittori, più numerosi qui che in qualsiasi altra città italiana, i suoi poeti e tutti i loro lettori, anche quelli probabilmente in numero maggiore che altrove; i fumettisti che ha cresciuto e che continua a crescere, coltivare e pubblicare grazie a riviste e case editrici, le radio che per prime hanno diffuso cultura e informazione libera dalle frequenze locali. O ancora, le compagnie teatrali che vi sono sorte e che continuano a operarvi e il cinema che vi si è prodotto e vi si proietta, nelle tante sale ancora fortunatamente attive e frequentate e grazie al lavoro impareggiabile di divulgazione e conservazione svolto dalla Cineteca comunale. Poi la musica, tutta quella buona musica che riecheggia da sempre sotto i portici.

    Ci si vive bene perché è probabilmente anche in virtù di tutto questo che la gente che la abita rimane ancora piuttosto aperta, generosa e cordiale; perché la città ha quella confortevole dimensione per cui tutto sommato alla fine ci si conosce un po’ tutti e che al tempo stesso consente di percorrerla quasi interamente in bicicletta. Anzi, se tutti ci mettessimo finalmente a pedalare come stanno già facendo in tanti, allora sì che vivremmo bene davvero e più a lungo, con un guadagno enorme in termini di relax e di salute.

    Musica

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    Il cantautore bolognese Lucio Dalla con il suo sassofono, in una foto dei primi anni Ottanta. (Fotografia di Gorup de Besanez, su licenza Creative Commons BY-SA 4.0).

    Musica (leggera) sotto i portici


    Quante parole ti cantano, cullando i cliché della gente…

    Francesco Guccini

    …sotto i portici pieni di musica della nostra città femmina.

    Enrico Brizzi

    Sarà capitato anche a voi. Basta fare una passeggiata per il centro in una livida mattina invernale, quando il cielo è un coperchio di metallo e lo sguardo è offuscato da una pioggia sottile. O in un pomeriggio di primavera, con i gelsomini e i tigli dei giardini nascosti che diffondono i loro profumi fino nei vicoli più angusti e la pietra rossa dei palazzi risplende maestosa nel sole. Non c’è bisogno di avere le cuffie alle orecchie, perché la musica e le canzoni che hanno celebrato Bologna o che semplicemente vi sono nate sembrano echeggiare tra le colonne dei portici, risuonando amplificate sotto le arcate. E quasi senza accorgersene ci si ritrova a canticchiare.

    In un bellissimo documentario prodotto da RAI3 verso la fine degli anni Ottanta, Amo Bologna, Roberto Roversi raccontò la città affidandosi a Francesco Guccini, che girava per le strade intervistando cittadini illustri (oltre a Lucio Dalla, Luca Carboni, Alessandro Bergonzoni, Giovanni Lindo Ferretti, Andrea Mingardi, Romano Montroni e altri). I bolognesi sono da sempre dottori e fissatori del pensiero, grandi organizzatori, sostiene Lucio soffermandosi davanti alle tombe dei glossatori in San Domenico. Poi la scena si sposta in un interno, uno studio di registrazione, e Guccini continua a incalzare l’amico con le sue domande, ponendogli quella che lui stesso definisce classica: perché, se è vero che è così, Bologna ha dato tanto alla musica (ma anche al cinema)? Dalla crede di saperlo e risponde che secondo lui Bologna è tanto ricca di musica perché è passata direttamente, senza alcuna mediazione, dalla civiltà contadina a quella industriale. Dai campi alle fabbriche, i modelli di aggregazione canora hanno resistito, sono stati trasferiti in questa nuova società: le mondine hanno continuato a cantare, pensate a Nilla Pizzi. Un’altra ragione sarebbe stata la centralità geografica della città, il suo trovarsi in un incrocio strategico della penisola ma al tempo stesso a debita distanza dai grandi centri urbani, il che comporta un carattere di provincialismo ma anche di originalità. E ancora, il fatto che la musica popolare locale sia vivace e ritmata, tesa a scandire i tempi della vita agricola e operaia, non lenta e sentimentale come possono essere altre tradizioni musicali.

    È allora obbligatorio un passaggio in via D’Azeglio 15, sotto il balcone fiorito dal quale ci aspettiamo che compaia, anche solo per un istante, la sagoma inconfondibile e divertita di Lucio Dalla. Del resto, a Bologna, volendo Dalla lo si incontra dappertutto. È nell’aria, nei ciottoli delle strade e delle piazze, tra le bancarelle dei mercati. Ed è in buona compagnia: gran parte dei cantautori italiani non esisterebbero, se non ci fosse Bologna. Sebbene ogni generazione abbia un proprio inno, la canzone che ha forse meglio di tutte ritratto la città evidenziandone la bellezza, la ricchezza e le contraddizioni è Bologna di Guccini, che ha contribuito in larga misura a edificarne il mito. O forse, non volendo usare parole troppo grosse che talvolta neanche le si addicono, ha aiutato a delineare quell’atmosfera particolare (quella «Parigi in minore») che vanno probabilmente ancora cercando in tanti quando arrivano qui e che vogliamo credere si respiri in parte tuttora, anche se molte cose sono cambiate. Ironicamente, proprio quei versi di Guccini che ormai conoscono a memoria anche i muri sono forse diventati essi stessi un cliché, abusati dalla propria fama. Dalla purtroppo se n’è andato e il Maestrone ha scelto ormai da anni di rifugiarsi sull’Appennino, ma la presenza di entrambi è ancora viva e tangibile, insieme a quella dei tanti che per fortuna sono rimasti. Accanto a Dalla e Guccini, viene in mente il più giovane Luca Carboni, notato da Dalla per avergli consegnato, una fortunata sera dell’81 dentro l’Osteria da Vito, una busta con i suoi testi e il suo numero di telefono, ritrovandosi di lì a poco a lavorare come autore insieme agli Stadio. Ben prima di vincere Sanremo, il gruppo di Curreri conoscerà il successo con una canzone scritta su insistenza di Dalla, ancora lui, intorno a un testo bellissimo di Roberto Roversi, Chiedi chi erano i Beatles. Ma torniamo a Carboni, con le sue ballate sghembe e la pronuncia strascicata, bolognese al cento per cento: nel giro di poco più di due anni da quella serata da Vito registra il suo primo album solista, …Intanto Dustin Hoffman non sbaglia un film, che lo impone già all’attenzione del pubblico e dei colleghi. Ha una sua grazia dolce e graffiante ed esorta con discrezione ad «andare più piano», mentre il Vasco nazionale spingeva a vivere al massimo. Poi c’è Samuele Bersani, riminese schivo che ha fatto di Bologna la sua città e l’ha cantata in tanti dei suoi brani. Autore raffinato più volte vincitore del premio Tenco, scrive pezzi di un delicato lirismo che sa essere anche ironico e scanzonato. Se Dalla scopritore di talenti è stato per Carboni e Bersani un comune denominatore, i due artisti sono uniti anche da una vena intima e un po’ romantica, una freschezza pura, giovanile.

    Tornando un po’ indietro nel tempo (ma lui è tuttora e sempre alla ribalta, serafico divo dei social) non possiamo non citare Gianni Morandi, l’eterno ragazzo della canzone italiana. Nato in provincia di Bologna, a Monghidoro per l’esattezza, è attualmente residente a San Lazzaro, in una casa all’interno del parco dei Calanchi dell’Abbadessa, si dice poco distante da Riccardo Fogli che, seppur toscano di nascita ha frequentato assiduamente il capoluogo emiliano finendo per stabilirvisi. Se la vena leggera e sentimentale di Morandi l’ha allontanato dai colleghi più impegnati dal punto di vista dei testi, è certo che anche lui rappresenta bene Bologna e uno dei suoi tanti modi di essere. Con un azzardo gli accostiamo Cesare Cremonini, altro campione della musica pop nostrana e alfiere di una bolognesità talentuosa e lieve, sbandierata insieme ai Lùnapop in sella a una Vespa Special in giro per i colli della sua amata città. Del resto, a unire i due c’è anche una comune passione calcistica per la squadra del Bologna, di cui Morandi è stato anche presidente onorario tra il 2010 e il 2014, nonché una recente esperienza cinematografica nel film Padroni di casa, girato nel 2012 da Edoardo Gabbriellini sull’Appennino tosco-emiliano. Nel cast, insieme al meglio del nuovo cinema italiano, Valerio Mastandrea, Elio Germano e Valeria Bruni Tedeschi, Morandi interpretava il ruolo di un cantante sul viale del tramonto. Cesare Cremonini, al suo esordio come creatore di colonne sonore, ha composto per lui due pezzi che non stonerebbero affatto nel suo repertorio anni Sessanta.

    Come corista di Dalla, Morandi ma anche Ron e De Gregori, nonché come attrice esordiente nel videoclip dei primi Stadio, Chiedi chi erano i Beatles, dagli anni Novanta emerge Angela Baraldi, artista indipendente e sperimentatrice che ha avviato un’interessante carriera di cantautrice e attrice, recitando spesso in produzioni profondamente legate a Bologna, da Jack Frusciante è uscito dal gruppo tratto dall’omonimo bestseller di Enrico Brizzi, al ruolo da protagonista in Quo vadis, baby? del 2005, dal romanzo di un’altra concittadina, Grazia Verasani, diretta da Salvatores.

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    Francesco Guccini in una foto del 1979.

    Se i pezzi di Morandi e Cremonini hanno una grande visibilità e fanno grandi numeri, contemporaneamente a Bologna è da sempre molto viva anche una scena decisamente più nascosta, fuori dai circuiti e dalle dinamiche delle grandi case discografiche, che possiamo definire underground. Così negli anni Ottanta, dopo che il movimento del Settantasette era stato represso dai blindati, la crea­tività non si spegneva e nelle cantine si sperimentava il punk, con gruppi come gli anarcho-punk Nabat, i più new wave Gaznevada o i RAF Punk di Helena Velena e la sua Attack Punk records, storica etichetta che in un decennio di attività produrrà praticamente tutto il punk e l’hardcore italiano, compresi i primi CCCP. Nel contempo, Roberto Freak Antoni animava gli Skiantos dando vita al genere tutto nuovo del rock demenziale, misto ineguagliabile di ironia e intelligenza immaginifica. La scia di questa irripetibile ondata creativa si protrae ancora un poco negli anni successivi, in un periodo ancora particolarmente felice per la scena culturale alternativa non solo locale, in cui si sprigionano le note vivide di contrasti dei Disciplinatha, quelle distorte degli Splatterpink, che piacevano tanto a John Peel, quelle esistenzialiste dei Massimo Volume di Emidio Clementi; legati dall’amicizia con questi ultimi, tra coloro che frequentano assiduamente Bologna ci sono anche i milanesi Afterhours di Manuel Agnelli. Ma qui siamo già nel pieno degli anni Novanta, quando Bologna si impone a livello nazionale per la cultura rap e hip hop grazie a quel laboratorio di sperimentazione che è stato l’Isola nel kantiere, con il fenomeno delle posse che poi si è diffuso in tutta la penisola. Sono cantanti e musicisti per lo più sconosciuti al grande pubblico, ma molti di loro a due decenni di distanza continuano a fare musica e alcuni hanno raggiunto anche il successo commerciale (per esempio Neffa, Papa Ricky, la Suz). Possiamo pensare che si sia creata una tradizione in città, se è vero che ancora oggi vi si svolgono energiche freestyle battles, competizioni in cui due rapper si sfidano improvvisando a ritmo di rap e un giovane come Nico Royale canta la sua dichiarazione d’amore reggae per Bologna («ma che bisogno c’era d’andare nella Grande Mela se il centro del mondo era qua», da Bologna, Bologna, Bologna), con le treccine rasta che gli scendono sulla sciarpa rigorosamente rossoblù stretta al collo.

    Tanti altri sono gli artisti locali o legati a Bologna che non sono stati menzionati in questa breve rassegna, dallo schivo Claudio Lolli, autore di ballate intense e tristi, ad Andrea Mingardi, che ha scritto tante canzoni cariche di ironia anche in dialetto. Poi ovviamente c’è Vasco, che finora è stato trascurato ma solo perché meriterebbe un capitolo tutto per sé. Come si sa è nato a Zocca, sull’Appennino modenese, ma ha frequentato a lungo la città, condividendo case da universitario turbolento con il compianto Massimo Riva. Lo sanno bene le schiere di fan che continuano la loro ininterrotta processione al Roxy bar di via Rizzoli, nominato (forse) in Vita spericolata (a nulla sono valse le ripetute smentite di Red Ronnie, che di Roxy bar se ne intende e che sostiene invece che il Blasco stesse piuttosto citando Che notte di Fred Buscaglione). Poi ancora, Marta sui tubi muove i primi passi in musica proprio nel capoluogo emiliano, pur essendo i membri del gruppo originari di Marsala; così come il ferrarese Vasco Brondi, alias Le luci della centrale elettrica, apprezzato di recente anche come narratore; mentre tutta bolognese è la formazione dello Stato sociale, giovane band electropop composta da tre dj di una radio cittadina, radio Fujiko.

    Inesauribile commistione di elementi pop, rock e folk, avanguardia scanzonata e tradizione rivisitata, personalità, generi e arti che si ibridano tra loro e da cui nascono idee originali e innovative: questa attitudine alla contaminazione e all’intreccio senza pregiudizi, che è una caratteristica costante della cultura bolognese, ha sempre mantenuto vivace e fertile l’ambito artistico cittadino. Ancora oggi ci sono diverse piccole case di produzione musicale indipendenti che continuano a diffondere e promuovere l’inquieta e sfaccettata musicalità che nasce e vive a Bologna. Tra tutte, una delle più attive e interessanti è la Famosa Etichetta Trovarobato, con la sua affiliata promozionale Sfera Cubica, entrambe animate dalla raffinata poliedricità di Michele Orvieti, dj di Radio Città del capo, musicista e promoter/produttore che ha lanciato e riverberato dalla ribalta cittadina preziosi e ricercati cantautori come Iosonouncane, Musica per bambini o Dino Fumaretto; o gustose e divertentissime contaminazioni pop/folk con gli Extraliscio, quando non veri e propri happening sportivo/culturali come le esibizioni di polka chinata – ballo popolare maschile di ambito esclusivamente bolognese – o il torneo calcistico tra etichette discografiche indipendenti Tutto molto bello, che si tiene in settembre presso i giardini del Dopolavoro ferroviario cittadino. Tra queste gareggia anche La Fabbrica Etichetta Indipendente, casa discografica nata nel 2012 che realizza la produzione di un gruppo di giovani artisti molto variegato, di una musica dalle matrici decisamente contemporanee e che sviluppa contaminazioni tra generi, epoche e tecnologie diversi. Tra i musicisti prodotti, solo per citarne alcuni: La Governante, che definisce la propria poetica animata «dalla beat generation, le droghe, la new wave più scura con squarci di post rock distesi su tappeti di elettronica»; i 2Pigeons, raffinato duo electropop che crea tramite strumenti e dispositivi elettronici – ma niente computer! – un genere sperimentale tra il kraut rock, l’ambient, la techno, l’house, il jazz e che viene ben definito dal titolo di un loro album del 2012, Retronica. Inoltre, La Fabbrica realizza diversi festival musicali bolognesi come Salotto Muzika, in collaborazione con Locomotiv Club, Marte Live Bologna o ancora Fabbrica Live, itinerario musicale cittadino. Poi ancora la Unhip Records di Giovanni Gandolfi, dj radiofonico e critico musicale, che è attiva sin dal 2001 e ha prodotto numerosi artisti della scena indipendente italiana (Settlefish e Disco Drive, solo per citare due nomi), facendo uscire anche versioni in vinile di gruppi come Afterhours, Massimo Volume, Offlaga Disco Pax o Le luci della centrale elettrica. Queste ultime e intraprendenti realtà non devono comunque farci dimenticare altre storiche etichette indipendenti bolognesi tuttora attive, come la Irma Records, che dalla fine degli anni Ottanta si è fatta promotrice di quasi tutto l’acid jazz, il funky e il bossa Brasil jazz italiani; o la Alampo Records, dal 2001 specializzata in musica ambient, dark ambient, industrial, electro ed electro acustica, con un progetto aperto ed etico in opposizione ai vincoli del diritto d’autore; o ancora la Miraloop, struttura decisamente pragmatica, diramata in quattro diverse etichette autonome e tematiche, dalla classica all’elettronica e in partnership con l’Alma Mater Studiorum-Università di Bologna per tirocini e progetti di ricerca, via via sfumando verso le numerose piccole aziende di edizioni musicali, di supporto professionale tecnico-logistico, di service…

    Si delinea così un quadro estremamente composito del mondo musicale cittadino, in grado di abbracciare praticamente tutti i generi prodotti in Italia, se non in Europa.

    Con tutto questo, non crediamo di avere fornito una rassegna esauriente della musica bolognese e dei suoi protagonisti; piuttosto, abbiamo tracciato un excursus asistematico e un po’ sentimentale. Quello che ci pare comunque evidente è che la musica da queste parti sia tutt’altro che finita. Cambiano i modi e le mode, ma Bologna resta una città che ama profondamente la musica e ne è amata a sua volta.

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